i didn't realize you were in my bones.

di past_zonk
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Ogni tanto è sempre bello tornare sul proprio fandom. Sopratutto dopo aver solcato mille mari e mille diversi personaggi, ci si sente sempre un po' a casa, tornando a scrivere su una di quelle coppie che hanno dato vita a tutto. Sono un po' esagerata, forse, ma è davvero così. Scrivere BellDom mi catapulta in un altro periodo della mia vita, c'è quella sorta di malinconia al pensiero delle discussioni passate, delle notti al pc, delle prime sigarette, delle vecchie solite amicizie che ti ritrovavi tra le recensioni. Ora ci sono nuove persone, nuove tematiche, persino loro sono molto cambiati.
Beh, ecco di cosa parla questa piccola shot.
Di tutto che cambia, e di me - di Dom - che rimango la stessa, dopotutto.

Silvia.









Lo osservava da lontano, con gli stessi occhi di dieci anni prima. Lo guardava con attenzione, seguendo dedito ogni espressione del suo volto. Si guardava allo specchio e si diceva di non essere cambiato tanto quanto lui. Quanto Matt.
Nei suoi gesti, nei suoi occhi, nelle sue mani, ora, c’era un altro uomo. Era grazie a questo pensiero che la sua mancanza non faceva così tanto male.
Mancava, e molto; mancava da morire a tutti il ragazzino che era stato, ma a più di chiunque altro mancava a lui. Era quel genere di dolore che faceva più male.
Se avesse voluto, lo sapeva, avrebbe potuto riaverlo, ma non sarebbe stato come prima.
C’era stato, dieci anni prima, qualcosa di magico e mistico in Matthew Bellamy; qualcosa di inespresso che lo trascinava sempre più verso di lui. Qualcosa nei suoi occhi, qualcosa nelle sue mani irrequiete. Qualcosa che ritrovava solo ascoltando Screenager, una canzone scritta per essere suonata sulle sue ossa, sulle sue costole, una percussione tutta nuova che solo lui e Matt conoscevano. Ora che tutto era sparito, Dom cercava di suonare quello stesso ritmo sulle sue stesse vecchie storte vertebre, ma non era lo stesso.
I fantasmi di Matthew Bellamy erano spariti, i suoi invece gli facevano ancora compagnia. Era difficile farli volare via; era come uccidere qualcuno.
Così lo osservava da lontano, sperando egoisticamente di vedere quella sorta di dolore senza nome dipinto sul suo volto, sperando di sentirlo ancora cantare con la stessa perdizione.
Non era facile spingere via quei pensieri.
Perché, se ogni tanto si concedeva di chiudere coscientemente gli occhi, la notte, vedeva lo stesso Matt scheletrico di dieci anni prima - ormai morto e decomposto - guardarlo con le pupille dilatate e dirgli, “Vorrei morire.”
Solo allora poteva dormire con più tranquillità accanto al suo fantasma, sperando di poter di nuovo, un’ultima volta, strofinare le sue labbra contro quelle pallide del suo vecchio, storto Matthew.








 




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