Pandora_11
Shun di Andromeda : Grazie per
gli auguri, spero tu passerai bene la Pasqua
Killkenny
: L'arrivo di Beatrice, o meglio Beatrice stessa, causerà un bel
po' di scompiglio, molto, molto scompiglio.
Questo è sostanzialmente
il terzo anno di vita di Pandora, vecchia edizione compresa, e quindi
volevo ringraziare tutti voi, abituali o saltuari lettori, voi che mi avete
seguito per tutto questo tempo, o che avete cominciato da poco a leggermi. Un
grazie di cuore.
E tanto per cambiare chiedo
venia per il ritardo, lo studio mi toglie energia e tempo, ma ho preso un
impegno con questa storia, e in un modo o nell'altro lo manterrò.
POV Cristina
La strada
per il gineceo non è diversa dalle tante stradine del Santuario, un
sentiero sterrato come ce ne sono tanti, il che non è un vero e proprio
problema, alla fine uno si abitua e
si muove tranquillamente fra le varie zone di questo arcaico angolo di Atene.
Anche se i primi tempi mi ci perdevo allegramente ogni giorno, tardando
alla mensa per ogni pasto; invece la strada per l'arena l'ho imparata
in fretta. A nessuno piace fare trecento giri di
campo per punizione.
Da
queste parti poi arrivare tardi alla mensa non è precisamente il
massimo, considerato che ci sono personaggi come il Saint del Toro, capaci
di prendere la terza razione di quella che chiamano 'carne' (ho i miei seri
dubbi che lo sia veramente, assomiglia più alla suola
di uno scarpone). Anche se alla fine rientro anche io tra questi personaggi.
Il
bello del Santuario è che nessuno fa mai domande sul passato degli altri,
non che io abbia da nascondere chissà quali drammatici trascorsi. Anzi, sono tra
le poche persone che non ha gravi tragedie alle spalle, certo i miei sono
morti, ma da qualche parte ho ancora una famiglia che non mi odia, in fin dei
conti.
Sono nata in un paesino
sperduto della Sicilia, duecento anime in
totale, appartenenti a massaie e pescatori in prevalenza. Mio padre
era un pescatore, appunto. Di lui ricordo molto, visto che è
morto quando avevo sei anni, più che altro
odori e sensazioni, come l'odore di pesce che lo accompagnava ovunque o il mal
di mare quando mi portò con sé sul peschereccio sgangherato che aveva preso insieme
ad altri uomini del paese per pescare nel mare azzurro. Lo stesso mare da cui cercava
di ottenere ciò di cui vivevamo, racimolando il denaro sufficente per mangiare e mantenere una
famiglia di tre persone. Nelle foto che mia madre conservava con religiosa cura, dopo
esere rimasta vedova, e a cui potevo avvicinarmi solo sotto la sua supervisione,
vedevo un uomo dalla pelle cotta dal sole, i capelli scuri e la bocca
larga che tra l'altro mi ha lasciato come eredità genetica. Anche se da lui ho
preso anche gli occhi, chiari, non molto comuni dove sono nata io, che in tutte le
foto, e nei miei pochi felici ricordi di lui, brillavano di malizia e divertimento,
dando al suo volto un'aria da eterno ragazzino, immortalata per
sempre.
Ed era
di quello sguardo di cui si era innamorata mia madre, andando contro la famiglia della
buona borghesia da dove proveniva per sposare un pescatore squattrinato e mettere al mondo quattro
figli, di cui io sono l'unica superstite.
Mia
madre aveva sofferto in modo terribile della morte dei miei fratelli, nati da
gravidanze diffici e sopravvissuti al massimo qualche settimana. Quando poi ero nata io, dopo
che mia madre aveva passato gli ultimi tre mesi di gravidanza costretta
a letto, aveva riversato su di me tutto l'affetto materno che aveva. Ma per
la sua rinnovata felicità di madre, il prezzo da pagare si rivelò alto, infatti dopo quelle gravidanze
difficili il suo fisico, già debole, era notevolmente indebolito.
La
mamma non era abituata a fare altri lavori che quelli domestici e per mantenere
me e se stessa dovette trovare lavoretti saltuari alla città vicina, dato che nessuno nel nostro paesino aveva
denaro da buttare per una domestica.La salute cagionevole e il lavoro duro,
ma anche e sopratutto il dolore per la predità di mio padre, finirono con
l'ucciderla quando avevo otto anni.
Nel giro di due anni appena, il mio mondo
felice era crollato come un castello di carte. Mio padre morto in mare e
mia madre stroncata dal dolore e dalla pessima salute, e io
che scoprivo tra la sorpresa e lo sgomento me stessa.
Mi scoprivo, non nel senso che avevo trovato
chissà quale illuminazione (ad otto anni poi!) ma nel senso che scoprivo alcune
mie particolari capacità; dalle ceneri del mio cordoglio di bambina era nata
un'inspiegabile rabbia, a cui solo oggi riesco a dare un senso, seppur molto
nebuloso. Mi era stato tolto tutto, e la cosa non mi era parsa affatto giusta;
cosa avevo fatto io, bambina qualsiasi, per meritare tanto?
Quella rabbia che aveva cominciato a
serpeggiare nelle profondità del mio animo, doveva aver smosso qualche
ingranaggio sepolto ancora più a fondo dei meandri dove la mia ira infantile
cresceva, nutrendosi della mia serenità.
Ora che ci penso un po' di tormento l'ho
avuto anche io.
Dicevo, gli ingranaggi. Più il tempo
passava, più quelli cominciavano a muoversi, senza che io sapessi quale
meccanismo stessero mettendo, con fatica e costanza, in moto.
In quel periodo la mia tutela fu assegnata
ai miei nonni, quegli stessi nonni che erano arrivati a far finta di non avere
più una figlia e di conseguenza ignorare la mia esistenza, nonostante mia madre
avesse scritto loro più e più lettere (che ritrovai poi custodite in un cassetto
dello scrittoio di mio nonno, legate insieme da un nastrino, talmente consunte
da testimoniare una frequente lettura). A volte mi ero posta domande su come
fossero questi fantomatici genitori di mia madre, e avevo a disposizione
veramente poco materiale; fatto sta che la mia idea su di loro era veramente
pessima, e francamente loro non fecero nulla per deludere le mie
aspettative.
Era chiaro che mi avessero preso con loro
solo per rispettare le ultime volontà di mia madre, che nel suo testamento
li aveva praticamente supplicati di prendersi cura di me.
E così, con il vestito nero per il
lutto, la mia bambola di pezza alla mano, cominciavo la nuova fase della mia
vita, quella che mi avrebbe condotto dove sono ora. Infatti gli ingranaggi di
cui sopra, avevano preso a lavorare a pieno regime i pochi mesi, trasformando
ulteriormente il mio mondo, sotto lo sguardo vigile di mia nonna.
La prima volta che la vidi mi sembrò che
quegli occhi scuri fossero in grado di vedere cose invisibili ai più. E se lo
aveva capito una bimbetta di otto anni...
***
Atene. Gineceo
Il cielo, ricoperto di stelle,
così splendenti da sembrare decine di migliaia di Soli, avvolgeva il
Gineceo mentre due apprendiste camminavano a passo svelto verso la loro casa.
L'una, dal passo elastico e la falcata ampia, l'altra, agile e veloce, due
figure estremamente divere, eppure ingranaggi dello stesso, misterioso
macchinario.
***
Un cielo
livido.
Un campo senza
vita.
Un fiume di acqua
sanguigna.
Alberi dalle foglie acuminate
come picche.
-Che luogo è
questo?-
Eco di voce tremante nel
vuoto, come sospiro nel vento.
-Dove sono?-
Domanda, figlia dello
sgomento e del terrore dell'animale braccato.
-Ovunque e da nessuna
parte-
Voce di bimba crudele, figlia
del dolore e madre degli incubi che sottraggono serenità.
-Perché sono
qui?-
Il terrore muore al
sentire quel tono infantile, il terrore rivive a quella risata di demone,
l'inquietudine nasce.
-Sei l'unico che può
sentirmi-
Desolanti ricordi di
solitudine dolorosa e limbo sonnolento in una constatazione, ultimo
appiglio sul dirupo.
-Chi sei tu?-
Ennesima domanda, sospiro
tremante, anelito di terrore nel vento impetuoso dell'umana
curiosità.
-Sono il sogno e l'incubo, ma
questa non è cosa di cui ti devi interrogare-
Voce impaziente di bimba che
vede un gioco a cui non le è permesso ancora di giocare.
-Cosa sta
succedendo?-
Domanda di un uomo che più
non sa quale dio pregare per capire la risposta.
-Basta
domande!-
Imperioso ordine di creatura
arcana che trascente il tempo e lo spazio.
-Sei qui per un motivo ben
preciso, Cavaliere, tu che più di ogni altro sai guardare il mondo senza la
superbia dei tuoi pari, pur possedendo la capacità di sentirmi. Ciò che
succede nel tuo mondo non è frutto del caso, il caso non esiste nelle beghe
divine. Dì a colei che ti comanda che le nubi si addensano all'orizzonte e i
primi rombi di tuono si avvertono. Dille che non è più il tempo dell'orgoglio e
dell'ostinazione, ma quello di rimediare ai propri errori, prima che la sua
superbia annienti ciò per cui lei stessa ha combattuto. Và e dille questo, lei
capirà.-
Alberi dalle foglie acuminate
come picche.
Un fiume di acqua
sanguigna.
Un campo senza
vita.
Un cielo
livido.
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