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Autore: Kristi 87    21/03/2008    2 recensioni
Ancora una volta si imbracciano le armi. Ancora una volta il sangue scorre. Ancora una volta il male torna, svegliandosi dal sonno più profondo.
E ancora una volta la giustizia sarà lì a combattere, e i più grandi fra i guerrieri vestiranno le loro armature per l'umanità, combatteranno per la gloria, per la pace, per la giustizia.
Ma... Un segreto oscuro stavolta intralcia l'operato di Atena e un alleato insospettato e pericoloso agirà per svelarlo.
E ancora una volta qualcuno aprirà il vaso di Pandora...
Genere: Romantico, Commedia, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Pandora_11

Shun di Andromeda : Grazie per gli auguri, spero tu passerai bene la Pasqua

Killkenny : L'arrivo di Beatrice, o meglio Beatrice stessa, causerà un bel po' di scompiglio, molto, molto scompiglio.

Questo è sostanzialmente il terzo anno di vita di Pandora, vecchia edizione compresa, e quindi volevo ringraziare tutti voi, abituali o saltuari lettori, voi che mi avete seguito per tutto questo tempo, o che avete cominciato da poco a leggermi. Un grazie di cuore.

E tanto per cambiare chiedo venia per il ritardo, lo studio mi toglie energia e tempo, ma ho preso un impegno con questa storia, e in un modo o nell'altro lo manterrò.

POV Cristina

La strada per il gineceo non è diversa dalle tante stradine del Santuario, un sentiero sterrato come ce ne sono tanti, il che non è un vero e proprio problema, alla fine uno si abitua e si muove tranquillamente fra le varie zone di questo arcaico angolo di Atene.

Anche se i primi tempi mi ci perdevo allegramente ogni giorno, tardando alla mensa per ogni pasto; invece la strada per l'arena l'ho imparata in fretta. A nessuno piace fare trecento giri di campo per punizione.

Da queste parti poi arrivare tardi alla mensa non è precisamente il massimo, considerato che ci sono personaggi come il Saint del Toro, capaci di prendere la terza razione di quella che chiamano 'carne' (ho i miei seri dubbi che lo sia veramente, assomiglia più alla suola di uno scarpone). Anche se alla fine rientro anche io tra questi personaggi.

Il bello del Santuario è che nessuno fa mai domande sul passato degli altri, non che io abbia da nascondere chissà quali drammatici trascorsi. Anzi, sono tra le poche persone che non ha gravi tragedie alle spalle, certo i miei sono morti, ma da qualche parte ho ancora una famiglia che non mi odia, in fin dei conti.

Sono nata in un paesino sperduto della Sicilia, duecento anime in totale, appartenenti a massaie e pescatori in prevalenza. Mio padre era un pescatore, appunto. Di lui ricordo molto, visto che è morto quando avevo sei anni, più che altro odori e sensazioni, come l'odore di pesce che lo accompagnava ovunque o il mal di mare quando mi portò con sé sul peschereccio sgangherato che aveva preso insieme ad altri uomini del paese per pescare nel mare azzurro. Lo stesso mare da cui cercava di ottenere ciò di cui vivevamo, racimolando il denaro sufficente per mangiare e mantenere una famiglia di tre persone. Nelle foto che mia madre conservava con religiosa cura, dopo esere rimasta vedova, e a cui potevo avvicinarmi solo sotto la sua supervisione, vedevo un uomo dalla pelle cotta dal sole, i capelli scuri e la bocca larga che tra l'altro mi ha lasciato come eredità genetica. Anche se da lui ho preso anche gli occhi, chiari, non molto comuni dove sono nata io, che in tutte le foto, e nei miei pochi felici ricordi di lui, brillavano di malizia e divertimento, dando al suo volto un'aria da eterno ragazzino, immortalata per sempre.

Ed era di quello sguardo di cui si era innamorata mia madre, andando contro la famiglia della buona borghesia da dove proveniva per sposare un pescatore squattrinato e mettere al mondo quattro figli, di cui io sono l'unica superstite.

Mia madre aveva sofferto in modo terribile della morte dei miei fratelli, nati da gravidanze diffici e sopravvissuti al massimo qualche settimana. Quando poi ero nata io, dopo che mia madre aveva passato gli ultimi tre mesi di gravidanza costretta a letto, aveva riversato su di me tutto l'affetto materno che aveva. Ma per la sua rinnovata felicità di madre, il prezzo da pagare si rivelò alto, infatti dopo quelle gravidanze difficili il suo fisico, già debole, era notevolmente indebolito.

La mamma non era abituata a fare altri lavori che quelli domestici e per mantenere me e se stessa dovette trovare lavoretti saltuari alla città vicina, dato che nessuno nel nostro paesino aveva denaro da buttare per una domestica.La salute cagionevole e il lavoro duro, ma anche e sopratutto il dolore per la predità di mio padre, finirono con l'ucciderla quando avevo otto anni.

Nel giro di due anni appena, il mio mondo felice era crollato come un castello di carte. Mio padre morto in mare e mia madre stroncata dal dolore e dalla pessima salute, e io che scoprivo tra la sorpresa e lo sgomento me stessa.

Mi scoprivo, non nel senso che avevo trovato chissà quale illuminazione (ad otto anni poi!) ma nel senso che scoprivo alcune mie particolari capacità; dalle ceneri del mio cordoglio di bambina era nata un'inspiegabile rabbia, a cui solo oggi riesco a dare un senso, seppur molto nebuloso. Mi era stato tolto tutto, e la cosa non mi era parsa affatto giusta; cosa avevo fatto io, bambina qualsiasi, per meritare tanto?

Quella rabbia che aveva cominciato a serpeggiare nelle profondità del mio animo, doveva aver smosso qualche ingranaggio sepolto ancora più a fondo dei meandri dove la mia ira infantile cresceva, nutrendosi della mia serenità.

Ora che ci penso un po' di tormento l'ho avuto anche io.

Dicevo, gli ingranaggi. Più il tempo passava, più quelli cominciavano a muoversi, senza che io sapessi quale meccanismo stessero mettendo, con fatica e costanza, in moto.

In quel periodo la mia tutela fu assegnata ai miei nonni, quegli stessi nonni che erano arrivati a far finta di non avere più una figlia e di conseguenza ignorare la mia esistenza, nonostante mia madre avesse scritto loro più e più lettere (che ritrovai poi custodite in un cassetto dello scrittoio di mio nonno, legate insieme da un nastrino, talmente consunte da testimoniare una frequente lettura). A volte mi ero posta domande su come fossero questi fantomatici genitori di mia madre, e avevo a disposizione veramente poco materiale; fatto sta che la mia idea su di loro era veramente pessima, e francamente loro non fecero nulla per deludere le mie aspettative.

Era chiaro che mi avessero preso con loro solo per rispettare le ultime volontà di mia madre, che nel suo testamento li aveva praticamente supplicati di prendersi cura di me.

E così, con il vestito nero per il lutto, la mia bambola di pezza alla mano, cominciavo la nuova fase della mia vita, quella che mi avrebbe condotto dove sono ora. Infatti gli ingranaggi di cui sopra, avevano preso a lavorare a pieno regime i pochi mesi, trasformando ulteriormente il mio mondo, sotto lo sguardo vigile di mia nonna.

La prima volta che la vidi mi sembrò che quegli occhi scuri fossero in grado di vedere cose invisibili ai più. E se lo aveva capito una bimbetta di otto anni...

***

Atene. Gineceo

Il cielo, ricoperto di stelle, così splendenti da sembrare decine di migliaia di Soli, avvolgeva il Gineceo mentre due apprendiste camminavano a passo svelto verso la loro casa. L'una, dal passo elastico e la falcata ampia, l'altra, agile e veloce, due figure estremamente divere, eppure ingranaggi dello stesso, misterioso macchinario.

***

Un cielo livido.

Un campo senza vita.

Un fiume di acqua sanguigna.

Alberi dalle foglie acuminate come picche.

-Che luogo è questo?-

Eco di voce tremante nel vuoto, come sospiro nel vento.

-Dove sono?-

Domanda, figlia dello sgomento e del terrore dell'animale braccato.

-Ovunque e da nessuna parte-

Voce di bimba crudele, figlia del dolore e madre degli incubi che sottraggono serenità.

-Perché sono qui?-

Il terrore muore al sentire quel tono infantile, il terrore rivive a quella risata di demone, l'inquietudine nasce.

-Sei l'unico che può sentirmi-

Desolanti ricordi di solitudine dolorosa e limbo sonnolento in una constatazione, ultimo appiglio sul dirupo.

-Chi sei tu?-

Ennesima domanda, sospiro tremante, anelito di terrore nel vento impetuoso dell'umana curiosità.

-Sono il sogno e l'incubo, ma questa non è cosa di cui ti devi interrogare-

Voce impaziente di bimba che vede un gioco a cui non le è permesso ancora di giocare.

-Cosa sta succedendo?-

Domanda di un uomo che più non sa quale dio pregare per capire la risposta.

-Basta domande!-

Imperioso ordine di creatura arcana che trascente il tempo e lo spazio.

-Sei qui per un motivo ben preciso, Cavaliere, tu che più di ogni altro sai guardare il mondo senza la superbia dei tuoi pari, pur possedendo la capacità di sentirmi. Ciò che succede nel tuo mondo non è frutto del caso, il caso non esiste nelle beghe divine. Dì a colei che ti comanda che le nubi si addensano all'orizzonte e i primi rombi di tuono si avvertono. Dille che non è più il tempo dell'orgoglio e dell'ostinazione, ma quello di rimediare ai propri errori, prima che la sua superbia annienti ciò per cui lei stessa ha combattuto. Và e dille questo, lei capirà.-

Alberi dalle foglie acuminate come picche.

Un fiume di acqua sanguigna.

Un campo senza vita.

Un cielo livido.

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