Ho quasi paura
a postare questa cosa... Vi prego di mangiare qualcosina prima della
lettura, non vorrei essere sbranata viva. Grazie.
Aurora.
I raggi luminosi del sole non illuminavano ancora il Villaggio dei
Vincitori. Mentre lentamente stava albeggiando, il Distretto 12
dormiva. In quella mattina d'estate, Peeta Mellark si rese conto che il
tempo che gli era rimasto stava scivolando via.
Già
da qualche giorno si sentiva più stanco, più
vecchio del solito.
La sensazione
che lo aveva afferrato in quel momento, però, non poteva
essere fraintesa.
Sul petto lo
schiacciava un pesantissimo macigno, che gli rendeva difficile
respirare. Non avrebbe saputo spiegare come stesse succedendo, ma
sembrava che il suo corpo se ne fosse reso conto molto prima della sua
mente. Semplicemente, stava morendo.
Al suo fianco,
Katniss dormiva ancora, bianca ed evanescente come il chiarore che si
cominciava ad intravedere dietro alle montagne. Il respiro di Peeta si
fece più pesante, e seppe con certezza che quella era
l'ultima volta che la guardava riposare.
Pur nella
vecchiaia, era ancora bella. Non avrebbe voluto svegliarla: sarebbe
stato bello andarsene con quella tranquilla immagine di lei scolpita
nel cuore. Un'uscita di scena serena, poco rumorosa.
Ma se le parti
fossero state invertite, sapeva che lui non l'avrebbe mai perdonata per
un gesto simile. E poi aveva ancora tante cose da dirle,
così tante cose, e così poco tempo...
Avvicinò
la mano alla sua spalla, e si accorse che era tremava vistosamente.
«Katniss».
Lei
mugugnò qualcosa, muovendo il volto contro il cuscino. Il
cuore di Peeta si strinse in una morsa. Era ancora così
bella, e lui l'amava così tanto, così tanto...
«Katniss»,
sussurrò tra i denti. Il fiato gli mancava. «Ti
prego».
Lei socchiuse
gli occhi, scivolando verso di lui.
«Che
c'è?». Si stropicciò gli occhi,
sbadigliando. «Un incubo?».
Peeta fu
scosso da un improvviso tremore. Era peggio di un incubo. In quel caso
avrebbe solo dovuto sperare di svegliarsi presto. Invece, ora doveva
restare lì ad aspettare di addormentarsi per sempre.
«Peeta?».
Katniss aprì del tutto gli occhi, preoccupata dalla mancanza
di risposte. Gli prese una mano e la avvolse con le sue, calde e
ruvide. «Hai le mani ghiacciate»,
mormorò a mezza voce, aggrottando le sopracciglia.
Lui
cercò di sorridere, ma sul viso gli si dipinse solo una
smorfia. Respirare si stava facendo sempre più difficile.
«Peeta!».
Le mani di Katniss vagarono sul suo viso e lo avvolsero. Il suo sguardo
angosciato comparve nel suo campo visivo. Batté le palpebre,
tentando di cancellare lo strano sfarfallio che gli impediva di vederla
bene.
«Katniss,
ascoltami». L'urgenza nella sua voce era palpabile.
Lei si
ritirò in fretta, tremando. Tentò di districarsi
tra le coperte che le avvolgevano le gambe, per scendere dal letto.
Peeta
mugolò, allungando una mano verso di lei. Dove stava
andando? Aveva intenzione di lasciarlo lì a morire?
«Peeta»,
disse lei concitata, già alla porta. «Peeta,
calmati. Vado a chiamare Lily, tu sta' calmo».
«No,
resta».
Katniss si
riavvicinò al letto, con i muscoli del volto contratti. Era
il ritratto dell'angoscia.
«Ci
metterai troppo. Resta».
«Ma-».
Peeta
cominciò a tossire forte, il corpo scosso dagli spasmi. Lei
gli corse di fianco, smettendo di parlare. Prese la sua mano gelida e
la strinse, aiutandolo a risistemarsi sul cuscino.
Fu quello il
momento in cui vide sul serio quello che le stava davanti. In cui si
rese conto anche lei che la morte li aveva risparmiati quando erano
giovani, ma ora stava tornando a riscuotere il suo pegno.
Peeta era
pallido come un cencio, coperto di sudori freddi, con una mano sul
petto e l'altra, ghiacciata, tra le sue. Non c'era bisogno di sua
figlia per capire che la stava lasciando.
Katniss
salì sul letto, accucciandosi al suo fianco.
Cominciò ad accarezzargli i capelli grigi con movimenti
ritmici, rassicuranti. Gli sorrise incoraggiante, massaggiandogli le
mani rigide e fredde. Attese che lui chiudesse gli occhi, stanco.
Da quel
momento lasciò che le lacrime vincessero la sua resistenza.
Cominciarono a
scivolare silenziose lungo il suo viso segnato dagli anni, dalle
cicatrici, dal dolore. Non riusciva a sentire niente, in quell'attimo.
Era come avere in circolo nel sangue una massiccia dose di morfamina.
L'unica cosa che percepiva era una sensazione di soffocamento, di vuoto
devastante.
«Katniss?».
«Mh?».
Le sfuggirono un paio di singhiozzi, ma Peeta non sembrò
accorgersene. O forse non aveva la forza di aprire gli occhi per
controllare.
«Che...».
Sospirò pesantemente, con fatica. «Che ore
sono?».
«È...
è adesso l'alba».
Peeta
aggrottò le sopracciglia, come se quelle parole lo avessero
ferito. «L'alba?».
«Sì...»,
rispose piano Katniss, senza capire di preciso cosa intendesse.
«Peccato».
Aprì gli occhi chiari e cercò quelli della
moglie. «Avrei voluto vedere... un altro tramonto».
Katniss
tentò di sorridere, ma il suo tentativo degenerò
in una smorfia umida di lacrime.
Lui se ne
accorse e allungò una mano verso il suo viso.
«No...
non fare così. Ehi, non piangere, Kat». Di fronte
a quel soprannome lei cominciò a singhiozzare più
forte. «Coraggio... io starò bene. C'è
chi mi farà compagnia...». Le accarezzò
i capelli bianchi con la mano che tremava. «Si prenderanno
cura di me, lo sai... ti aspetteremo insieme».
Respirò a fatica. «Però non avere
fretta, per favore».
Katniss
avrebbe voluto urlare, spaccare tutto ciò che le fosse
capitato sottomano, tornare nei panni della ragazza in fiamme per
incendiare ogni cosa. Ma non ci riusciva. Era come prigioniera di un
corpo che non reagiva ai comandi. Fu solo in grado di stringere Peeta
come se non lo volesse lasciare più andare, mentre le
lacrime le scendevano lungo il viso.
Era finita. Le
guerre combattute, le battaglie vinte, ciò che
rimaneva della vita. Tutto stava morendo fra le sue braccia.
«Katniss».
Non serviva essere dei medici per capire che quelli erano gli ultimi
respiri di Peeta. «Saluta i ragazzi per me. Baciali... e
digli che li amo».
«Non
te ne stai andando...». La voce di Katniss era poco
più di un sussurro spezzato.
«Digli
che mi... dispiace». Tossì fuori la poca aria che
gli rimaneva. «È importante, diglielo».
«Non
te ne stai andando».
Le mani fredde
di Peeta strinsero le sue. «Sì, invece. Mi
dispiace... Kat».
«No!»,
gridò lei. «Me lo avevi promesso! Mi avevi
promesso che saresti rimasto con me!».
Peeta fece un
sorriso tristissimo, mentre due lacrime gli sfuggivano dalle ciglia.
Stava per abbandonare per sempre l'angoscia, il dolore, il rimorso. Lo
aspettava un lunghissimo riposo senza incubi, la pace della terra
scura. Ma Katniss, china su di lui, Katniss, che piangeva disperata,
Katniss, la sua amata moglie, lei sarebbe rimasta.
Peeta non ci
aveva mai creduto, ma qualcosa dopo ci doveva
essere. Non avrebbe sopportato di doverla lasciare per sempre.
«Dovevi
restare!», gridò di nuovo Katniss.
Peeta
allungò una mano e gliela appoggiò sulla guancia.
Lei la avvolse tra le sue e la strinse come se fosse la vita stessa del
marito, e nessuno potesse portargliela via. Sentì che lui la
tirava per averla più vicina, e si chinò sul suo
viso, singhiozzando.
«Resterò»,
sussurrò Peeta, così piano che quasi non si
sentì. Prese un ultimo respiro e lasciò un bacio
sulla fronte di Katniss. «Sempre».
Le parole
si persero nella stanza, poi Peeta chiuse gli occhi.
I raggi
luminosi del sole non illuminavano ancora il Villaggio dei Vincitori.
Dietro le montagne spuntava l'aurora e il Distretto 12 dormiva, in
quella mattina d'estate.
Poi, un urlo
straziante squarciò il silenzio.
_______________
Ehm, risparmiate la mia vita, per favore. Non voglio fare la fine di
Peeta, è un po' prestino per me.
Uhm... adesso
immagino di dovermi scusare. Voglio dire, non solo ho intasato
letteralmente il fandom in questi giorni (tre storie in quattro
giorni!), ma ho pure ucciso Peeta! Se vi può consolare,
scriverlo è stato assolutamente, totalmente straziante.
Secondo Word
questa storia l'ho scritta venerdì 30 novembre 2012. Mi
è sempre mancato il fegato di pubblicarla,
perché, insomma, non muore una
persona qualunque. Ma stasera hanno pubblicato anche Eco e Deb e mi
è venuto uno slancio di coraggio, quindi eccomi qua.
I prossimi
giorni cercherò di lasciarvi un po' in pace e non ammorbarvi
con le mie storie. Le prossime comunque dovrebbero essere
più felici. Va beh, okay, anche un
episodio di depistaggio di Peeta sarebbe più felice di
questa storia.
Tre
piccole puntualizzazioni.
La prima
è grammaticale, riguarda il punto in cui Peeta dice:
«Saluta i ragazzi per me. Baciali... e digli che li
amo». Allora, sono consapevole del fatto che sarebbe
«Dì loro che li amo», ma cerchiamo di
essere realisti... chi è che parla così mentre
sta morendo? Può averlo fatto giusto il fondatore
dell'Accademia della Crusca, forse.
La seconda informazione riguarda Lily, la figlia dei PK. In caso in cui
non l'abbiate capito, lei e il fratello al momento sono molto adulti,
ovviamente, e la primogenita è diventata un medico. Ecco
perchè Katniss voleva andarla a chiamare quando ha visto che
Peeta stava male (a parte ovviamente l'istinto di chiamare i figli in
un momento simile).
L'ultima
noticina è legata alla differenza tra alba e aurora. Mi sono
informata, per utilizzare questi termini con cognizione di causa, e
secondo il dizionario online del Corriere (il mio dizionario pesa un
botto e non avevo voglia di andare a prenderlo, va bene?) queste sono
le definizioni.
Alba:
Luminosità mattutina che rischiara il cielo notturno e
precede l'aurora.
Aurora:
Luminosità dorata e rosea che precede il sorgere del sole.
Ergo, prima
c'è il buio, poi l'alba, poi l'aurora, poi spunta il sole e Peeta
l'è già bello che morto.
Mi dileguo,
prima che qualcuno mi spari.
Grazie di
essere passati e spero di non avervi fatto deprimere troppo (E
comunque, Eco, hai iniziato tu con quella cosa depressa su Gale, quindi
non voglio sentirti fiatare :P)!
Un abbraccio
consolatorio,
wip
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