Il
sapore agrodolce dell'inchiostro
Capitolo
5
“As
long as you're alive
Here
I am
I
promise I will take you there.”
Le
volte in cui Brian aveva sfiorato la sua chitarra negli ultimi dieci
anni potevano contarsi sulla punta della dita; quando si ritrovava a
pizzicare distrattamente le corde non poteva fare a meno di vagare
con la mente nel passato e il fuoco che gli si era acceso nello
stomaco dopo che le prime note avevano preso a vibrare nell'aria, si
spegneva a poco a poco fino a lasciare solo rimasugli di cenere
sporca e grigia. Poi inevitabilmente finiva per sentirsi
così anche
lui, grigio e sporco, come quelle mattine in cui il cielo sembra aver
rapito il sole e non si può far altro che sentirsi tristi.
Dal
suo piccolo balcone non riusciva a vedere l'oceano, i palazzi
dell'isolato coprivano tutte le visuali e non evocava nessuna
particolare immagine suonare davanti ad enormi pezzi di cemento che
lo guardavano impassibili mentre i graffiti sulla loro superficie
parevano schernirlo. Con quel plettro viola tra le dita però
riusciva a non pensare a ciò che vedeva con gli occhi e si
concentrava solo su ciò che percepiva col cuore: questo
faceva male,
veniva strappato un pezzo alla volta e cominciava a vorticare nella
sua melodia come frammenti di giornale mentre il viso di Matt
continuava a fargli visita dai suoi ricordi facendolo sospirare
rassegnato.
“Sono
io che ci sto ricadendo di nuovo.”
Si
era sentito abbandonato e confuso, quando il ragazzo se n'era andato
senza troppe spiegazioni, ma il solo pensiero che fosse solo un
ennesimo sbaglio lo faceva innervosire. Per quanto continuasse a
lottare e stringere i denti, si ritrovava sempre ad inciampare e a
perdere ciò a cui teneva di più; solo Jimmy era
rimasto e spesso si
chiedeva quando sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe dovuto
dirgli addio.
Si
alzò portando con sé la chitarra, non aveva
neanche iniziato a
suonare che era già stufo. Aveva sperato che con quel nuovo
regalo e
tanto dolore fosse riuscito a sbloccarsi e sfogare ciò che
aveva
dentro strimpellando quelle corde a lui tanto care, ma a quanto
sembrava non era così.
Non
ci riusciva, forse non ci sarebbe mai riuscito, forse se Matt fosse
stato lì in quel momento tutto sarebbe stato diverso.
Ed
era questo che desiderava, mentre infilava lo strumento nella sua
custodia scura, che se non fosse stato rifiutato adesso lui e
quell'idiota per cui aveva una cotta se ne sarebbero stati
accoccolati sul divano con una birra in mano o a baciarsi fino a non
sentire più le labbra. Anche se lo infastidiva ammetterlo,
iniziava
a sentirsi solo in quel monolocale alla periferia di Huntington
Beach, dove la precarietà era dilagante e la
dignità assente.
Avvolto dalla quotidianità del suo quartiere, si sentiva
fortunato
ad essere in pari con l'affitto, sapeva bene cosa succedeva a chi
veniva trascinato giù nel baratro di prestiti e strozzini,
non se ne
usciva mai vivi... o tutti interi.
Posò
il plettro sul comodino quando si sfilò i vestiti per
mettersi il
pigiama facendo però attenzione a voltare il lato con la M
così,
dopo essersi infilato sotto le coperte, poteva voltarsi da quella
parte senza sentirsi un totale fallimento.
Erano
passate settimane dall'ultima volta in cui si erano visti e
più
volte Brian avrebbe voluto chiamarlo o farsi vivo in qualche modo ma,
visto che l'altro non sentiva alcun bisogno di chiarirsi, non capiva
perché avrebbe dovuto farlo lui. Non era mai corso dietro a
nessuno,
mai,
e non avrebbe iniziato proprio adesso soprattutto con una persona a
cui si era aperto svelandosi completamente e che non aveva saputo
altro che rispondergli con dei silenzi, di quelli che fanno
più
rumore di un boeing in partenza.
Si
girò da un lato allungando un braccio verso la porzione di
letto
vuota e chiuse gli occhi, Matt continuava a guardarlo con quel suo
sguardo basso e amareggiato e si addormentò, molti minuti
dopo,
mentre si mordeva il labbro inferiore, spaventato.
Anche
l'altro ragazzo se ne stava sul suo letto, seduto e con le gambe
incrociate, la schiena aveva iniziato a fargli male da un po' visto
che era appoggiata alla testata in ferro battuto. In una mano teneva
stretto il cellulare e nell'altra un fogliettino di carta sui cui la
calligrafia di Jimmy faceva mostra di sé, i numeri erano
tremolanti
e i caratteri piuttosto grandi.
“Chiamami,
se hai bisogno.” lesse a bassa voce, come a soppesare l'idea.
Se
gliel'avesse chiesto, gli avrebbe dato il numero di Brian senza
problemi anzi, lo avrebbe spronato a chiamarlo e a chiarirsi, a
chiedergli scusa magari e a rimettere le cose al loro posto. Invece
appallottolò il bigliettino e lo lanciò verso il
cestino all'angolo
della stanza senza però centrarlo e gettò il
telefono sul materasso
non molto lontano dal suo piede sinistro.
Sospirò
profondamente e chiuse gli occhi, le dita premevano sulle tempie e il
cervello cercava una via d'uscita a quella situazione del cazzo. Si
poteva quasi sentire il cigolìo dei suoi ingranaggi che si
sforzavano ad andare più veloci rimanendo però
sempre al punto di
partenza.
Tutte
le volte che aveva provato a comporre il numero di Jimmy si era
ritrovato a sentire la voce dell'interlocutore urlare
“Pronto?
Pronto? Identificati bastardo!” e giurò di aver
sentito “Matt?”
l'ultima volta che telefonò, proprio mentre premeva il tasto
rosso a
destra. Questo lo fece sentire ancora più vigliacco del
solito, ed
era per questo che quella sera era stato così restio a
chiamare. Si
sentiva fottuto, fottuto ed in trappola e questo non poteva che
bloccarlo.
L'ultima
volta che si era gettato tra le braccia di una persona a cui sembrava
importare di lui aveva preso una bella bastonata sulla testa, non
poteva rischiare che anche Brian lo facesse sentire di nuovo uno
schifo come quella volta.
Preferiva
la solitudine, ad essere trattato come un fazzolettino di carta che
viene gettato dopo essere stato usato.
***
Il
Radisson Hotel invase la visuale del finestrino di destra del
furgoncino di Brian che, per colpa della testa di Jimmy, non riusciva
a vederne l'entrata. All'esterno non vi erano molte persone ed il
sole era ancora basso, faceva quasi freddo quando aprì lo
sportello
per scendere.
Ad
entrambi i ragazzi sudavano le mani: era la prima volta che
partecipavano a quella Convention e l'agitazione raschiava
dall'interno. Poteva succedere di tutto – di negativo,
ovviamente –
e la loro breve carriera si sarebbe dissolta come ghiaccio in un
bicchiere di whisky.
Le
piccole aiuole erano ben curate, gli alberi stavano per fiorire e
l'intonaco chiaro non appariva segnato dal tempo; quell'hotel
sembrava brillare in mezzo alla città, tutti i turisti di
Santa
Maria e dintorni alloggiavano lì e non avrebbero potuto
scegliere
location migliore per un evento tanto rinomato in tutto lo Stato e
non solo.
Dopo
la sistemazione dello stand e l'arrivo del primo cliente che aveva
prenotato il tatuaggio in negozio, Brian iniziò ad avvertire
una
strana sensazione che lo rese ancora più inquieto di quanto
già non
fosse: si sentiva vuoto e con il cuore a mille per colpa dell'ansia,
doveva tatuare un semplice dragone ma la mano non voleva smettere di
tremare. A malapena riusciva a tenere la macchinetta ben in posizione
e temeva che l'ago entrasse troppo o che l'inchiostro non fosse
sufficiente a delineare bene i contorni.
Jimmy
se ne stava in piedi al suo fianco e parlava con gli appassionati che
si avvicinavano, era riuscito anche a riempire alcuni buchi vuoti con
un paio di tatuaggi ed aveva ammiccato alle ragazze carine che
sembravano essere più interessate alle doti fisiche di
Brian, che a
quelle da tatuatore; circa tre ore dopo si era concesso una birra e
ne aveva portato una anche all'amico che, tra un lavoro e l'altro,
l'aveva bevuta velocemente rischiando quasi di strozzarsi.
Un
ragazzo, alto e con le spalle larghe, si stava sfilando la maglietta
quando Brian aveva iniziato a darsi dello stupido. Aveva sbagliato ad
accettare di tatuare quel tipo, viste le somiglianze che aveva con
Matt. Mentre lo tatuava, infatti, non poteva fare a meno di ripensare
a quella pelle, a quel respiro regolare, agli occhi verdi che non
facevano che trapassarlo da parte a parte fingendo di osservare
qualcosa oltre le sue spalle. Per non parlare dei sospiri di cui
Brian aveva segretamente goduto e dei movimenti lenti della sua mano
e della sua lingua.
Alzò
il viso, sospirò e poi chiese al cliente un paio di minuti
di pausa
con la scusa che in quella posizione aveva male alla schiena; non che
mentisse, ma erano talmente tanti anni che sopportava quel dolore da
non farci più nemmeno caso.
“Non
preoccuparti, ho bisogno anch'io di riprendere fiato.”
rispose
quello abbozzando un leggero sorriso che Brian aveva voglia di
strappargli infilzandogli le unghie nella carne; dovevano esserci le
fossette di Matt, al suo posto.
“Finalmente
vi ho trovati.” disse Johnny sospirando e dopo essere
arrivato ad
un palmo dai due ragazzi. “Nessuno sembrava sapere
esattamente dove
fosse lo stand del Syn Gates Tattoo.”
Non
appena Brian vide il suo amico così vicino, sentì
il suo cuore
calmarsi e ridurre la frequenza dei battiti, le mani si fecero
più
calde e meno intorpidite; era certo che Johnny non fosse andato
lì
da solo e aspettava con impazienza che anche l'altro facesse la sua
comparsa. I suoi pensieri dovevano essere evidenti agli occhi degli
altri due visto che si lanciarono un'occhiata fugace priva
però di
incoraggiamento, il che lo fece voltare e ricominciare il lavoro da
dove lo aveva lasciato.
Non
poteva permettersi che il cervello vagasse lontano o facesse
supposizioni senza il minimo fondamento, doveva rimanere concentrato
il più possibile e, se si fosse arrabbiato, avrebbe
rischiato di
uccidere qualcuno con uno dei suoi aghi.
“E
comunque ci sono le cartine con le postazioni.” aggiunse
Jimmy
dando una pacca sulla spalla del ragazzo con la cresta bionda.
“Lascia
perdere, non ho un buon rapporto con loro.”
Brian
non li sentiva nemmeno, si era talmente concentrato sul
ronzìo della
sua macchinetta da non udire nemmeno i passi dei due amici
allontanarsi e Jimmy urlare: “Andiamo a prenderci una
birra!”
mentre con una mano sfiorava le dita di Johnny che le ritrasse
all'improvviso come se si fosse scottato. Allo stesso modo aveva
ignorato il resto della sala, il resto dei tatuatori e il resto dei
clienti, persino quello che se ne stava in piedi davanti al tavolino
e che lo guardava emozionato torturandosi le pellicine intorno alle
unghie.
"Hai
posto per un piccolo tatuaggio?"
Brian
alzò il viso, la
lentezza con cui eseguì il movimento serviva a metabolizzare
il
suono della voce che aveva appena sentito.
I
giorni terribili che
erano trascorsi non avevano ormai alcun senso, c'era solo quel timbro
basso dalle venature roche e il largo sorriso che gli riempì
lo
sguardo.
"C-Che
devi tatuarti?" chiese dubbioso, sicuro
di essere un po' arrossito. Da una parte voleva essere arrabbiato,
dall'altra quel paio di fossette agli angoli della bocca lo
distoglievano da qualsiasi pensiero od intenzione.
"Sì."
rispose solo, attendendo la domanda che di lì a poco sarebbe
arrivata.
"Eh?"
"Sì
Brian, sì." disse
Matt curvando la schiena e appoggiando i gomiti sul tavolo.
"Risponderò sì ad ogni tua domanda, ogni tua
richiesta e
voglio che quando mi abbraccerai o accarezzerai il mio corpo ti
ricorderai che per te sarà sempre un sì. Vuoi
scappare ad Honolulu?
Sì Brian. Fare bungee jumping? Sono fottutamente pronto. Non
so,
fare la pazzia più grande della tua vita? Facciamola, io la
mia la
sto vivendo adesso."
Brian
strabuzzò gli occhi e sbattè la palpebre
più volte sorprendendosi
di ritrovare ancora Matt lì davanti a lui. Aveva, per
precauzione,
spento la macchinetta e adesso il cliente li guardava con
un'espressione interrogativa sul volto incrinando quel momento che
era sembrato non arrivare mai ma che alla fine il destino aveva
deciso di compiere.
Ogni
parola, a quel punto, non avrebbe avuto senso, sarebbe stata oscurata
dalla bellezza del discorso che Matt gli aveva appena rivolto e dalla
totale devozione che quegli occhi verdi rivolgevano solo e soltanto a
lui.
“Finisco
qui e mi occupo di te.” rispose solo trattenendo un sorriso
che,
seppur mascherandolo, era largo ed intenso. Matt acconsentì
con un
cenno del capo ed andò a sedersi al posto di Jimmy per poi
voltarsi
verso la schiena dell'altro ragazzo. Nonostante la maglietta blu
scuro si intravedeva la forma dei muscoli di tanto in tanto,
soprattutto quando Brian spingeva l'ago un po' più in fondo;
avrebbe
voluto allungare una mano ed accarezzarlo con delicatezza solo per
fargli capire che gli copriva le spalle e non se ne sarebbe
più
andato, stavolta per davvero, ma convenne che era meglio non
distrarlo e che avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per farsi
perdorare l'assenza.
Quando
finalmente quel ragazzo si alzò e andò via,
guardandoli sempre in
quel modo un po' dubbioso, Matt prese il suo posto con grande gioia
di Brian che per tutto il tempo non aveva fatto che aspettare quel
momento con dita tremanti.
“Lo
vuoi davvero il tatuaggio?” gli chiese, iniziando a cercare
una
boccetta nuova d'inchiostro nero.
“Pensavi
che non dicessi sul serio?”
“No,
pensavo che certe cose farebbero meglio a rimanere tra me e
te.”
rispose facendogli l'occhiolino e provocando risate da parte
dell'altro. “Avrei un'idea migliore.” aggiunse
sfiorando con le
dita coperte dai guanti il bicipite destro su cui vi era una porzione
di pelle bianca ed inviolata.
“Mi
fido di te, Brian.”
Intanto,
all'esterno dell'hotel, Jimmy e Johnny se ne stavano appoggiati al
muro a bere tranquillamente le loro birre mentre i loro sguardi
vagavano per il parcheggio. Non avevano parlato molto da quando erano
arrivati lì, si erano più che altro limitati a
lanciarsi sguardi
fugaci e il più alto non faceva che ripetergli, solo con lo
sguardo,
di non aver paura.
“Io
non ho paura.” sbottò ad un certo punto Johnny,
abbassando la
bottiglia dall'altezza del viso. “Dacci un taglio con quella
faccia.”
“Allora
perché ti sei allontanato quando ti ho
sfiorato con la mano? Non l'ho neanche fatto apposta.”
Chiunque,
al posto del bassista, non ci avrebbe creduto, ma quando si
è
invischiati in certe cose è impossibile notare anche le
intenzioni
più evidenti.
“Se
lo dici tu.” rispose, dopo un sospiro. “Secondo te
quei due hanno
fatto pace?”
“Neanche
a chiederlo, appena torniamo dentro tutta la sala li starà
fissando
mentre si limonano senza pietà.”
***
“Allora,
ti piace?” chiese Brian non appena ebbe pulito le ultime
sbavature
d'inchiostro. La pelle bruciava ancora un po' e la si sentiva gonfia
sotto le dita, ma il turbine che investiva Matt in quel momento gli
impediva di provare qualsiasi cosa fosse vicina al dolore, era come
se la sua pelle fosse anestetizzata.
“È...
Sì mi piace tantissimo.” sussurrò
abbassando lo sguardo sul
tatuaggio, come se si vergognasse a lasciar trasparire in quella
maniera tutto ciò che stava provando. E la voragine nello
stomaco
che Brian era riuscito ad aprire con un solo sorriso, si allargava
sempre di più mentre notava i vari dettagli delle rose che
adesso
decoravano il suo braccio, appena sopra il microfono. Erano piccole e
delicate, probabilmente non le avrebbe mai scelte, ma Brian aveva
occhio per certe cose ed aveva fatto un lavoro perfetto. Si chiedeva
solo cosa lo avesse spinto a ritrarre quel soggetto.
“Queste
rose sono sinonimo di vita.” spiegò, non appena
Matt glielo
chiese. “Siamo io e te che siamo appena nati e che ci stiamo
intrecciando, abbiamo entrambi le spine ma riusciamo a non farci del
male. Magari ce ne faremo, anzi di certo, però continueremo
a
crescere insieme dalle stesse radici, a condividere l'acqua e la
terra, a sbocciare e morire fino a perdere tutti i petali.
Sarà
bello farlo insieme, sono stanco di stare da solo.”
Le
loro mani si avvicinarono, le dita si incastrarono completamente e il
loro palmi aderirono in una presa salda più solenne e sacra
di
qualsiasi promessa di matrimonio. Le loro ginocchia si sfioravano
quando tentarono di bruciare la distanza tra i loro corpi fino a far
incontrare le labbra che per giorni si erano disperatamente cercate.
Le delusioni che Matt aveva sopportato in passato non c'erano
più,
l'angoscia di Brian neanche e non aveva intenzione di chiedere
nessuna spiegazione all'altro: erano insieme finalmente, non aveva
bisogno di altro.
Nessuno
prestò attenzione a quei due ragazzi che in quel momento si
tenevano
stretti e desideravano solo scoprirsi a poco a poco, conoscere i
reciproci difetti e affrontare tante albe e tanti tramonti insieme,
il loro bacio era tenero e silenzioso, era una piccola farfalla che
volava via dal Radisson Hotel, che si perdeva nel cielo, che giurava
amore eterno alle stelle.
Ultimo
capitolo finalmente online, iniziavate ad avere paura che l'avessi
abbandonata, vero?
Invece no, era nel mio pc da un po' ma sono successe diverse cose che
mi hanno tenuta lontana dal computer (ed anche per questo non ho ancora
risposto alle recensioni che sono cinque,
dio grazie siete tutti meravigliosi *-* ma prometto che
risponderò, oh yes). In ogni caso immagino vi chiedate cosa
mi si sia successo: ho passato il test di Lingue Orientali alla
Sapienza e mi trasferirò quindi, tra un paio di settimane, a
Roma.
Sappiate comunque che non ho intenzione di abbandonare il sito, le
storie e tutte le varie cose di cui vi avevo parlato nello scorso
capitolo, al massimo ci metterò solo un po' di
più a sfornarle.
Che ve ne pare come finale? Spero vi abbia riempiti di zucchero a
sufficienza, io avevo tutti i denti cariati quando ho finito di
scriverlo!
Vi ringrazio dal primo lettore all'ultimo, chi ha recensito, chi no,
chi ha odiato la storia e chi l'ha amata, ringrazio ognuno di voi.
Grazie perché se non ci foste probabilmente non sarei qui a
scrivere o comunque non sarei la persona che sono adesso, ogni singola
parola che mi scrivete mi arricchisce e mi rende migliore.
Un bacio e spero di tornare presto con missing moments, sequel e
prequel vari (non manca proprio niente, sì)!
Dominil.
P.S. I versi ad inizio capitolo sono tratti da The Taste of Ink dei The
Used.
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