Capitolo 9
“Where is the edge
Of
your darkest emotions?
Why
does it all survive?
Where
is the light
Of
your deepest devotions?
I
pray that it's still alive”
[…]
“
Even
though you don't know what the price is
It
is justified
So
much more that you've got left to fight for
But
it still doesn't change who you are
There
is no fear you'll ever give in to
You're
untouchable
'Cause
you're losing your mind and you sleep
In
the heart of the night”
(
Where is the Edge? – Within Temptation)
Non ricordava quanto
tempo fosse
passato dall’ultima volta in cui si era sentita
tanto
stanca, ma ora che si guardava per la prima volta dopo aver passato
tanti giorni a mantenere i confini sicuri, Astrid non riusciva
più a riconoscersi, perché la donna che
ricambiava il suo
sguardo era stata prosciugata da ogni cosa.
Gioia.
Speranza.
Non c’era
più niente a muoverla se non la disperazione.
Ed era la disperazione
stessa a
convincerla ogni giorno ad aprire gli occhi per scoprire se lo sguardo
di Loki risultasse un po’ meno diffidente, un po’
più suo, e se così non fosse stato, se il
riconoscimento
non l’avesse trovato, avrebbe provato a sforzarsi
ancora un
poco con la speranza che forse, i ricordi che stavano
riaffiorando non lo avrebbero fatto impazzire, che non li avrebbe
respinti come avrebbe fatto con chiunque, che avrebbe provato
anche lui a combattere per entrambi, a salvare entrambi, ora
che
di quelle battaglie Astrid cominciava ad essere stanca mentre
la
fine di quella guerra non si riusciva a vedere ancora, e non
c’era rimasto più tempo.
Lei non ne aveva mai
avuto, in
verità, un paradosso per un essere immortale come
lei, ma
era così,e né lei, né Loki
avrebbero potuto
fare nulla contro i rintocchi dell’orologio.
E come se ciò non bastasse, le rappresaglie di
Galactus
non avevano fatto altro che aumentare, e aumentare, tanto che le ferite
che le segnavano il corpo asciutto non avevano ancora avuto il tempo di
rimarginarsi del tutto, non che riposarsi le fosse stato possibile,
perché c’erano gli umani da tenere
d’occhio, e gli
dei da controllare, i non-morti, e i Giganti di Ghiaccio, quella, in
verità, era la sua più grande preoccupazione, la
prima
fonte di angoscia.
Non che quelle
creature non le
avessero mai dato motivo di preoccuparsi di loro, ma la situazione era
degenerata da quando Loki aveva perso ogni memoria del passato, di lei,
e del suo ruolo di Re e Tiranno, un posto vacante che Knut avrebbe
tentato di fare proprio se non vi fosse stata Sunniva a comandare in
sua vece di aspettare il ritorno del loro Re, perché lei lo
avrebbe aspettato, anche se fossero stati necessari cento e
più
anni.
Anche se non
c’era tempo,
anche se lui non aveva ancora ricordato, anche se continuava ad essere
sola in quella lotta contro il mondo e contro chi nel loro amore non
aveva mai creduto.
Ma lei ci credeva, ci
aveva sempre creduto, e sapeva che anche Loki, in fondo al cuore, aveva
cominciato a farlo.
Perché lo
aveva sentito
quando si erano sfiorati, quando lo aveva toccato e aveva scorto la
crepa minuscola dalla quale poco prima aveva solo potuto sbirciare
dentro la stanza nella quale Loki si era nascosto, mentre ora, ora
poteva allungare la mano e sentire il palmo gelato dall’altra
parte sfiorare timidamente le sue dita.
Era ancora spaventato.
Da lei, da
quell’amore che
gli offriva senza volere nulla in cambio pur sapendo che forse non
sarebbe riuscita a fargli recuperare la memoria, da ciò che
gli
veniva dato perché gli era dovuto.
Ma se la sua
mente ancora
faticava ad accettarla, a ricordarla, il suo corpo non aveva
dimenticato nulla, non dove chiudere le dita sapendo di generare
piacere in entrambi, non dove i suoi baci le avrebbero fatto inumidire
le ciglia.
Non aveva dimenticato il suo calore, perché quando
l’aveva inghiottito, quando era implosa sotto di lui, non si
erano respinti, non si erano allontanati, ma si erano riconosciuti
entrambi.
- Non credevo che
potessi riuscire a sorridere ancora per qualcosa.
Fu come se qualcuno le
avesse
conficcato una lama nel petto, un mancamento che si costrinse
ad
inghiottire assieme all’urlo che le aveva gonfiato i polmoni
per
la stizza e la frustrazione di sapere di chi era quella voce, ma
avrebbe attirato l’attenzione, e avrebbe dovuto dare
spiegazioni
che non aveva, che non poteva giustificare.
Perciò,
anche se le
palpebre erano stanche, arrossate dal sole che ora
moriva,
si costrinse a socchiuderle, così da non dargli la
soddisfazione
di vederla cedere, di godere della desolazione che ancora le incupiva
lo sguardo e che la rabbia calpestò quando se lo
ritrovò
davanti.
Se mai
l’anima egoista di
Yehouda avesse potuto scegliere un involucro diverso dal suo, Astrid
sapeva che sarebbe stato deliziato dal quello che Galactus aveva scelto
per sé, perché quell’emanazione
racchiudeva in
sé l’orrore del mondo divino e umano, un gusto per
l’orrido che le ricordava Hell, la piccola e scheletrica
divinità alla quale aveva rubato i poteri, della quale aveva
deciso il fato, la punizione.
Ma per lui, per la
creatura che nel
riflesso dorato del sole calante le sorrideva languido con la sua bocca
priva di labbra non sarebbe riuscita a trovarne una abbastanza
crudele, abbastanza opportuna.
Non avrebbe avuto
motivo di
colpirlo, perché avrebbe sentito crepitare sotto le sue dita
chiuse in pugno solo il rivestimento metallico della colonna nella
quale si specchiava, ma la sua mano volò ugualmente sulla
sua
gola, sgretolando il materiale ferroso che sentì grattarle
il
polso quando vi affondò il braccio, ma lui continuava a
sorridere, e a guardarla con quell’orribile sicurezza di
averla
in pugno.
- Non sapevo ti fosse
mancato
così tanto toccarmi – chiocciò
irriverente,
ondeggiando il busto per mettere in mostra l’arto mancante,
quello che non sarebbe ricresciuto più, perché
era stata
lei, ad amputarglielo, lei che era la vita e che di ridarglielo ne
aveva il potere, ma non la volontà.
- Il desiderio di
cavarti il
cuore dal petto non ha mai smesso di tormentarmi – fu la sua
unica risposta, il tono secco e tagliente ripescato dalle
profondità della gola, lì dove
l’odio le
arrochiva la voce e tingeva di sfumature cupe il suo sguardo di luce.
Galactus
liberò una risata
bassa, profonda come il ronfare di un gatto che sa di non poter essere
afferrato, per quanto in alto si fosse saltato per raggiungerlo, e
Astrid non avrebbe potuto toccarlo, per quanto in fondo le sue mani
fossero affondate nella colonna, perché avrebbe stretto solo
metallo, non la gola impalpabile del corpo riflesso di fronte
al suo.
Il tocco che lui le
concesse sul
polso non lo percepì veramente, ma potè comunque
immaginare la brama con la quale avrebbe voluto sfiorarla, un desiderio
di possessione che non aveva nulla a che vedere con il
desiderio
sessuale.
Era più simile alla volontà
dell’animale
più forte di sapere di avere la carcassa
più
grande, succulenta e preziosa tra le sue fauci, e che quella creatura
la paragonasse ad un premio, ad un oggetto la indisponeva.
Perché
aveva passato anni,
secoli a sentirsi chiamare con un nome che non era mai stato suo, che
non era stato lei a scegliersi, un titolo che la relegava ad essere
un’arma priva d’anima e cuore, capace di sterminare
intere
razze senza battere ciglio, come se la morte non la toccasse mai, ma
l’aveva toccata.
La morte di sua madre.
La morte
seppur momentanea di Loki.
La sua
morte l'avevano toccata, e avevano scavato un buco che mai,
mai sarebbe riuscita a
colmare, per quanto amore avesse ricevuto, per quanto felice fosse
stata, perché erano ferite che non si sarebbero rimarginate,
che
non si sarebbero riempite come il grembo che sarebbe sempre rimasto
sterile, e muto.
Un silenzio che
l’avrebbe accompagnata in eterno, perché una fine
per lei non ci sarebbe stata.
Lei che non poteva
essere distrutta, ma solo disarmata, indebolita, ma non uccisa, mai
uccisa.
Perché
l’energia non
si può annientare, non si può distruggere, ma si
può vederla languire in eterno, in un ciclo senza fine nel
quale, da sola, non sarebbe riuscita a sopravvivere senza desiderare di
uccidersi.
E aveva provato, una
volta, a farla
finita con le proprie mani, a zittire quel dolore sordo al petto che
non aveva smesso di tormentarla, di ricordarle quanto sbagliata, quanto
inutile e vuota fosse.
Un oggetto danneggiato
che non si può ridare indietro nella speranza di averne uno
migliore, nuovo, funzionante.
Lei era rotta, era
nata così, e nessuno, per quanto avesse provato, sarebbe
riuscito ad aggiustarla.
Una condizione per
quale aveva
pagato, aveva pianto, cadendo in una depressione cupa e profonda che
l’aveva convinta per un attimo, un solo attimo, di non
meritare
di vivere, di non meritare tutto quello.
Un segreto,
il suo segreto,
quello che mai avrebbe rivelato, non a sua madre, non ai suoi due
padri, non a Loki, soprattutto a Loki che dalla sua esistenza era
dipendente, da lei, era dipendente, e non gli avrebbe più
dato
motivo di soffrire nel sapere di poterla perdere.
Non avrebbe
più concesso
alla propria disperazione di offuscarle la ragione e renderla cieca al
dolore che dalla sua morte, dalla sua volontà di annientarsi
sarebbe sopraggiunta, un dolore che non sarebbe riuscita a reggere, a
consolare, perché sarebbe stato troppo profondo,
troppo
scuro e troppo frammentato da poterlo rammendare.
Per questo non aveva
permesso a
Galactus di indebolirla con quelle apparizioni, con le sue parole, con
i pensieri che leggeva nella sua testa e che ripeteva di propria bocca
per metterla di fronte alla debolezza che lei tentava di celare, di
nascondere a tutti, anche a se stessa.
- Stai solo
posticipando ciò che deve accadere.
- E cosa dovrebbe
accadere? – lo riprese piccata.
Un guizzo di
eccitazione gli tese il viso e la bocca schiusa in uno di quei sorrisi
che le facevano ribrezzo.
- Ciò che
sarebbe dovuto essere sempre. La tua presenza al mio fianco, come
compagna.
Il raccapriccio le
arricciò
le labbra e appesantì le ciglia mentre l’orrore di
quel
pensiero, il disgusto per ciò che lui credeva giusto,
naturale,
ciò che lui chiamava destino, la faceva trasalire,
come se
lei fosse destinata a unirsi a lui, in quanto sua metà
mancante,
ma non era così.
Perché lei
non era nata per
compiacere lui, non era nata per essere un’arma di
distruzione
nella mani delle masse, no, lei non era nata per tutto quello.
Lei era nata per amare
Loki.
Era nata per lui, era
stata fatta, per lui, solo per lui, e per nessun altro motivo.
Perciò, se
qualcuno poteva
arrogarsi il diritto di sapere a chi fosse votata la sua esistenza, se
davvero c’era qualcuno che poteva rivestirsi di
quel
ruolo, di sua metà, quel qualcuno era Loki.
- Per quante volte io
lo abbia
ripetuto – cominciò a rantolare, distendendo le
dita per
allentare la presa e cominciare a sfilare il braccio dalla colonna che
non si era accorta di essere stata in procinto di dividere a
metà.
- Ciò che
tu credi sia il
mio destino, non è quello che ho scelto per me,
perché
non sei tu il motivo della mia esistenza.
Non gli umani, non gli dei, ma solo lui. Perché io sono nata
per
Loki – e quel nome scivolato dalle sue labbra
sembrò
racchiudere in sé l’amore del mondo, la dolcezza
incontenibile di un cuore che di battere d’emozione per lui
non
avrebbe mai smesso – per lui soltanto.
Quando lo vide tendere
una smorfia
e irrigidirsi, come per sferrarle un pugno, si tese a sua
volta,
avvertendo l’elettricilità statica punzecchiarle
la nuca e
i capelli abbandonati in petto, ma ancor prima di poter rilasciare il
sibilo di minaccia, ancor prima di poter anche solo allungare la mano
per cancellare la sua immagine da quella colonna, vi fu una voce, a
piombare sopra di loro con la tonalità cupa di quelle corde
vocali.
Un suono che molti
avrebbero
ricondotto al sibilo del vento per quanto debole e freddo fu,
ma
fu una voce, quella che Astrid sentì avvicinarsi
assieme
al passo cadenzato ed elegante del dio, ed era il suo nome, quello che
Loki stava chiamando, era lei, chi lui stava cercando.
Sorridere le venne
istintivo.
Ammorbidirsi e sciogliere lo sguardo in un moto di tenerezza fu
naturale, come lo fu voltarsi al suono di quella voce e sentire il
cuore palpitare isterico nel petto, come la prima volta in cui lo aveva
visto.
Ma era sempre quello,
l’effetto che Loki aveva su di lei, un’emozione che
non
voleva tramontare o smorzarsi con l’andare del tempo.
Non lo avrebbe fatto
il sorriso gentile con il quale lo raggiunse a passi veloci, come se
volasse su ali che non aveva.
Non lo avrebbe fatto
l’amore che le riempiva lo sguardo e la rendeva
così bella e felice.
Solo per lui.
Fece scivolare la mano
nel palmo
rigido del dio quando riuscì a raggiungerlo, costringendolo
in
una presa dalla quale, in un primo momento, Loki sembrò
volersi
ritrarre, ma fu questione di un attimo, un battito di ciglia che gli
ripulì lo sguardo dal timore che gli aveva offuscato le
iridi
prima che la calma, la quiete tornasse a gettare qualche luce
in
fondo a tutto quel buio.
La luce di quella
creatura che in
silenzio, a passi quasi volutamente lenti, come a poter saggiare meglio
la dolcezza di quell'attimo, a sottolineare quella che poteva essere
una sua prerogativa, un loro momento speciale, seguitava il suo passo,
fiduciosa e abbandonata al suo tocco che non le avrebbe fatto male, che
al solo pensiero l'avrebbe fatto inorridire.
Perché era
divenuto debole,
di fronte a lei, e vulnerabile, con un fianco scoperto che per quante
volte lei avesse potuto avere davanti non aveva mai neanche
guardato nella speranza di infleggergli il colpo mortale.
Quello che chiunque
gli avrebbe
inferto, una volta riuscito ad abbattere le sue difese, ma lei, lei non
ci aveva neanche provato, e il solo pensiero pareva inorridirla,
ferirla, e se Loki aveva imparato una cosa da quando
l’aveva vista per la prima volta nelle prigioni di Asgard,
era
che sapersi responsabile del suo dolore era qualcosa di così
angosciante da togliergli il respiro e lasciarlo agonizzante.
Ed aveva sognato
più volte,
mentre lei lo teneva stretto, di ferirla, di essere il colpevole del
suo dolore, e ogni volta che la vedeva andare via, ogni volta che si
trovava immobile, senza possibilità di muoversi
né di
urlarle di fermarsi, moriva un po’.
Una morte dalla quale
Loki sapeva
che era stata lei a strapparlo, perché incapace di
vivere
senza di lui, perché lui era il suo punto debole,
ciò che
la teneva ancora in piedi, ciò che Galactus sapeva,
rappresentava l’ostacolo che li divideva, il confine che il
Tesseract avrebbe dovuto oltrepassare per avvicinarsi a lui, per
scegliere lui.
E se non era
attraverso i ricordi
dolorosi di lei che l’avrebbe avuta, allora si sarebbe
servito di quel dio, di quell’uomo che amato era da
lei
senza realmente conoscere la profondità di
quell’amore,
senza realmente capire quanto favorito fosse stato dalla sorte per
avere lei al suo fianco.
Ma la fortuna era
bendata, e se
sopra quel capo la sua mano misericordiosa si era posata,
allora
Galactus avrebbe fatto in modo che fosse proprio lui, proprio quel dio
ingrato a farla girare, a portarla su chi avrebbe capito e
realmente apprezzato il dono di quel cuore che lei, tanti anni prima,
non aveva temuto di strapparsi dal petto per deporlo tra le
mani insanguinate del dio con un sorriso.
°°°
Giungere a compromessi
era alla
base dei rapporti civili, rappresentava le fondamenta delle relazioni
che si sarebbero instaurate in futuro, rapporti che si predisponevano a
ciò che richiedeva quell’accorgimento, ma se tra i
propri
simili era difficile riuscire a scendere a patti, pretendere di
costringere quattro razze diverse a coesistere in uno spazio ristretto
senza provare ad uccidersi a vicenda era quanto meno impensabile.
Eppure, il tavolo
attorno al quale
gli esponenti di ogni specie sedevano tremava sotto i pugni
di
chi di agitarsi sulle sedie ne aveva abbastanza, e che fossero umani,
dei immortali o non morti, ciò non importava,
perché
prima o poi le recriminazioni sarebbero giunte da ognuna delle parti,
anche solo per il semplice desiderio di contraddire l’altro.
- Perciò tu
credi che io
mandi mia figlia in prima linea solo perché quel vecchio
crede
che sia la tattica migliore? – tuonò la voce
aggressiva di
Tony Stark, l’unico ad essere scattato in piedi
assieme al
dio dei fulmini che della sua impudenza nei confronti del padre degli
dei ne aveva avuto abbastanza.
- È
l’unico modo per
sfondare le linee nemiche – gli ripose a tono Thor, le gote
arrossate per la stizza che lo portava a digrignare i denti
rumorosamente – ora che anche *Mùspellsheimr si
alleato
con Galactus, non possiamo che agire di conseguenza.
Il vendicatore
soffiò tra i
denti una bestemmia rivolta al dio, a suo padre, ad ogni
divinità presenta nella sala, stringendo le dita
sul
tavolo attorno al quale, alla sua destra, il dottor Barner
fissava in rigido silenzio il confronto tra i due, una tensione che in
lui diveniva visibile solo dalla vena pulsante contro la tempia, un
particolare del quale nessuno, se non Maria e Fury, erano
consci.
Perché era
pericoloso il suo
silenzio, lui, era sempre stato pericoloso, barricato in quel mutismo
che taceva un’ira animale, una volontà di
distruggere,
annientare e calpestare ogni cosa davanti a sé, e Thor
sarebbe
stato tra i primi a saggiare l’odio che tentava di zittire se
non
avesse smesso di pretendere il sacrificio di sua figlia.
Sua figlia, non loro.
Quella che Bruce aveva
trovato per
primo, aveva voluto per primo, la figlia che era stato lui a crescere,
lui ad amare, per la quale aveva compreso di poter ancora
ricevere qualcosa dalle persone, e non solo paura, non solo
timore, e quella stessa figlia ora gli veniva tolta, strappata a quelle
braccia che il dottore non avrebbe mai voluto allontanare da lei.
Perché si
era ripromesso di
proteggerla, di renderla felice, di difenderla da chi avrebbe voluto
ferirla, e tutti in quella stanza, a proprio modo, le stavano facendo
del male.
Un dolore che Astrid
non mostrava
sul viso impassibile, ma un dolore che Bruce notava nelle
mani
raccolte in grembo sbiancate per lo sforzo di non gridare, di non
compiere gesti avventati mentre attorno a lei il mondo tornava a
decidere per lei, ad usarla come arma finale, come il Tesseract.
E Bruce conosceva lo
sguardo spento
con il quale ora sua figlia guardava di fronte a sé, aveva
imparato a temerlo quando lo aveva visto per la prima volta, quando,
stretta in un camice bianco, senza più voce né
lacrime,
gli si era accasciata davanti per la crudeltà
dell’uomo,
una cattiveria dalla quale l’avrebbe difesa con il suo corpo,
se
fosse stato necessario.
- È
l’unica soluzione
possibile – continuava a dire il dio mentre un guizzo
isterico
faceva vibrare le braccia conserte sul petto del dottore –
sembra
quasi che abbiate dimenticato che il Tesseract sia immortale
– e
fu il tono accondiscendente con il quale parlò loro,
l’ovvietà con la quale la chiamò a quel
modo o
forse lo sguardo severo con il quale fissò Astrid a spezzare
qualcosa dentro di lui, ma qualcosa a rompersi ci fu, e non fu solo il
tavolo sul quale Hulk schiantò il proprio piede per balzare
addosso al dio dei fulmini.
Quando i due
rotolarono a terra
sotto le urla sorprese dei presenti, Astrid si sentì
strattonare
indietro con forza mentre un braccio correva protettivo a circondarle
le spalle e il tavolo accoglieva il fisico possente del dio
che
il dottore colpì ferocemente mentre Lady Sif e Pepper
tentavano
di allontanarli l’uno dall’altro, ma
senza successo.
E più i
colpi divenivano
feroci, più Astrid si agitava in preda
all’angoscia di non
riuscire a tollerare anche quello, di non poter accettare che suo padre
si ferisse per colpa sua, ma ancor prima di poter azzardare un passo
che Loki non le avrebbe permesso di compiere, vi fu un’ombra
scura a calare sul dio per strattonarlo lontano.
Zenas fece scrocchiare
la mascella
con rabbia quando Thor provò a divincolarsi dalla sua presa,
ma
era due volte la sua stazza, e tenerlo inchiodato contro una colonna
gli costò poca fatica, perciò lasciò
che la
creatura verde avesse il tempo di rimettersi in piedi prima di
allentare la presa e tornare con lo sguardo sulla donna dai capelli
arcobaleno che, nell’incrociare il suo sguardo vitreo e senza
vita, gli concesse un sorriso grato.
Una riconoscenza che
il non-morto
inghiottì assieme alla strana contrazione nel petto che
percepiva sempre nel guardala, un rimescolio di organi che non
ricordava di avere ancora, perché putrefatti dal tempo e
dalla
sua condizione, ma lei che era divenuta la sua salvatrice, la sua dea,
pareva riaccendere in lui la vita perduta molti anni fa.
Ma ciò che
provava, la
profonda attrazione che nutriva per ciò che lei
rappresentava,
per ciò che era diventata per lui, non poteva in alcun modo
venire alla luce, perché sarebbe stata fagocitata da quello
sguardo che Zenas sapeva di avere sempre addosso.
Occhi per i
quali aveva avvertito
un senso di smarrimento mai provato, neanche in vita, neanche di fronte
ad intere armate, ma quella creatura, quel dio che tutti in quella
stanza sembravano temere, per il quale sembravano provare repulsione e
diffidenza nascondeva qualcosa di oscuro, dentro di sé, una
fame
di morte che persino lui non riusciva a capire, a comprendere.
Ma una cosa
l’aveva capita.
Lei non andava toccata.
Mai.
Quando Astrid vide suo
padre
cercare il suo sguardo con l’ansia e la preoccupazione a
tendergli
il viso sfiorò debolmente la mano che le stringeva la
spalla,
come ad avvisarlo della sua volontà, del bisogno di correre
da
lui, e quando Loki sciolse la presa, quando lo sentì
irrigidire
il busto e farsi da parte gli regalò un sorriso prima di
correre
verso suo padre e affondare nelle braccia che Bruce Burner
serrò
attorno alla sua schiena, tremando leggermente mentre la sua natura
umana tornava a prevalere.
Vi fu un guizzo,
improvviso e tanto celere da passare inosservato, fra di loro.
Il frusciare di un’ombra che per un attimo, un solo istante,
aveva sfiorato la piccola figura che il dottore dondolava tra le
braccia, una sagoma evanescente che Loki e Zenas seguirono con lo
sguardo in silenzio, entrambi irrigiditisi per la ciocca rosa che
intravidero nelle mani della creatura prima che questa scomparisse
dietro l’angolo.
Ma ancor prima che il
non-morto
potesse anche solo azzardare un passo in quella direzione, lo
svolazzare ipnotico del mantello verde lo avvisò
dell’impossibilità di procedere oltre, di ergersi
a
protettore di una creatura che Zenas ricordò a se stesso,
non
andava toccata.
Non da lui, non da
un’ombra che per aver preso qualcosa di suo, avrebbe pagato
con la vita.
°°°
Procedeva spedito, il
passo
appesantito dalla rabbia che gli gonfiava il petto di un calore che gli
si condensava nello sguardo duro come una coltre di nuvole in procinto
di fagocitare nella sua ombra un povero villaggio.
Ma ciò che
il dio fissava
incolore era l’ombra scura che sibilava nel vuoto passando di
corridoio in corridoio senza mai fermarsi o voltarsi indietro, come a
confonderlo, ma lui quei corridoi li conosceva fin troppo bene, li
aveva odiati e poi amati per le nicchie sicure che gli avevano donato
quando lo sguardo di suo padre diveniva troppo amareggiato da poterlo
reggere.
E fu proprio in uno
dei suoi nascondigli, poco lontano dall’uscita alla parte
alta del palazzo, che lo trovò.
Una figura slanciata,
nascosta da
una mantella che delineava un profilo aguzzo e inghiottito dal buio del
cappuccio, ma benchè non gli vedesse il volto, Loki
capì
che c’era qualcosa di pericoloso negli occhi che non
vedeva
ma che sapeva, lo stavano fissando.
La sua attenzione e il
suo sguardo
erano però catalizzati sulla ciocca che nel buio della
mantella
pulsava di luce propria, come a sottolineare che non era il suo posto,
quello in cui si trovava, che quelle mani, non avrebbero dovuto neanche
toccarla.
- Stupefacente, non
trovi anche tu?
– lo sorprese la voce bassa e arrochita che sibilò
fuori
dal cappuccio mentre la sagoma, quasi come se avesse notato il suo
sguardo insistente, alzava il braccio per riportare alla luce la ciocca
abbandonata tra le sue dita rosse venate di nero.
Aveva
artigli oblunghi,
spessi come se fossero fatti d’ossa umane, di un nero pece
che
rivaleggiava le tonalità scure delle venature che si
ramificavano per la sua mano e sembravano voler rubare il colore caldo
della ciocca di capelli di Astrid.
- Ho avuto ogni genere
di oggetto
nelle mie mani, e ognuno di loro è appassito tra le mie dita
non
appena ne ho sfiorata la superficie, ma questa – e la voce
divenne graffiante mentre la mano si serrava con foga sulla ciocca che
Loki avrebbe voluto strappargli dalle mani per non sentire quella fitta
al petto nel pensare ad Astrid richiusa tra quelle grinfie assieme a
quei capelli - questa
è l’unica cosa che non è morta a
contatto con la mia pelle. Non lo trovi stupefacente Loki?
Sentirsi chiamare per
nome da
quella cosa non gli piacque, come non gli piacque la
possessività con cui quelle dita tornarono a nascondere la
mano
e ciò che stringeva all’interno della mantella,
come se
volesse portargliela via dagli occhi, come se volesse mostrargli la
facilità con la quale avrebbe potuto portargli via lei, e
capì Loki, chi avesse davanti.
Lo comprese con un
moto
d’isteria quando riconobbe l’odore di zolfo e
catrame che
appestava l’aria circostante, una cappa di terra putrida e
morta
di cui quella creatura, Galactus sembrava essere formato.
E il pensiero di avere
davanti il
loro nemico, di trovarsi faccia a faccia con il mostro di cui Odino
temeva la sola presenza, la consapevolezza di trovarsi di fronte il
responsabile dell’angoscia e delle ferite di
Astrid, chi
terrorizzava sua moglie, lo rese cieco di rabbia, tanto che quando il
suo braccio gli trapassò il petto, affondando nella parete
alle
sue spalle, pensò di averlo solo immaginato.
Ma ora che lo aveva ad
un
centimetro da sé, ora che poteva annusare la puzza che
più di una volta aveva trovato tra i capelli di Astrid e i
vestiti che aveva bruciato per cancellare ogni traccia di lui
su
di lei, l’impotenza di non poterlo toccare, di stare
attraversando solo aria e null’altro lo uccise nel profondo.
- Credevi davvero che
fosse tutto
così semplice? – lo rimproverò amabile
Galactus
quando, nel vederlo ritrarsi da sé, raggrumò la
misera
quantità d’energia che riusciva a filtrare la
barriera e
che lo rendeva innocuo a bloccare il braccio che il dio avrebbe voluto
sfilare.
- Credevi davvero che
uccidermi
fosse possibile per te? Che lei avrebbe permesso che tu fossi alla mia
mercè con tanta facilità?
Loki
strattonò il braccio
con un ringhio frustrato, ma più provava a dimenarsi per
allontanarlo da sé, più gli si
ritrovava vicino,
come se fosse stato inghiottito dalle sabbie mobili che lentamente, un
po’ per volta, ingoiavano una parte di lui.
- Tu non sai quanto
potente lei sia
– e c’era rancore, nella voce di Galactus, come se
lo
stesse incolpando di essere così ignorante dei poteri di
Astrid,
di quanto pericolosa potesse diventare - non hai la minima
idea
di cosa significhi essere voluti da lei, essere protetti, da lei,
perché è lei a proteggere te, non il contrario.
Avrebbe voluto
gridargli di fare
silenzio, di non provare neanche a giocare con la sua mente,
perché era lui il dio degli inganni, era lui che si
dilettava a
rendere folli le masse attraverso l’inganno, la menzogna, le
illusioni, e più di tutti Loki avrebbe dovuto capire che
Galactus voleva solo instillare il dubbio in lui, che lui voleva solo
trovare
il suo punto debole per colpirlo.
Quel fianco che aveva
imparato a
scoprire per lei ma che ora cercava di coprire con entrambe le mani,
come a tamponare una ferita che ora cominciava a scavargli la pelle, ad
incidergli nel corpo la paura che sebbene fosse riuscito a smorzare
continuava a frenarlo, ad impedirgli di abbandonarsi completamente ad
Astrid.
Ed era su quella paura
che quel
mostro tentava di fare leva, lo sapeva, ne era cosciente, ma
ciò
non significava che fosse immune da quei pensieri, pensieri che lui per
primo aveva avuto, che gli avevano fatto chiedere più
volte perché lei l’avesse scelto,
perché
continuasse a seguirlo.
Perché aveva voluto lui.
- Tu non sei degno di
lei.
- Fa silenzio!
- Non hai avuto il
coraggio di
accettarla, perché non ne sei in grado, perché tu
stesso
sai che non la meriti, che non meriti neanche una stilla
dell’amore che lei riversa ogni giorno in te mentre tu,
ingrato,
continui a nasconderti. Perché sei un vigliacco, figlio di
Laufey, un codardo che non riesce neanche a vedere che
è
solo la pietà quella che la spinge a
volerti.
- Taci ! –
e quella volta lo
ruggì, lo urlò tanto forte da sentire i polmoni
bruciare
per l’odio, la disperazione che aveva cominciato a
graffiargli lo
sguardo e a fargli tremare il cuore d’angoscia, di
consapevolezza.
Di riconoscimento.
Perché
erano i suoi stessi
pensieri, quelli che Galactus gli stava sibilando
nell’orecchio
mentre il fiato spezzato gli usciva in rantoli sommessi dalle labbra
secche e spaccate per il freddo, il gelo che lentamente lo
stava
prosciugando da ogni stilla di calore presente in corpo.
Erano le sue paure,
quelle che
sentiva sibilare da una voce che non era sua. I suoi dubbi, le sue
incertezze, le spiegazioni che aveva provato a dare a ciò
che
stava vivendo, alla felicità che sentiva, al motivo della
presenza di quella creatura al suo fianco.
Ed era proprio il
perché
della sua vicinanza a frenare il suo bisogno di amore, il suo
desiderio di cedere e lasciare che lei lo amasse, che potesse
raggiungere il suo cuore e toccarlo, e prenderlo, se lo
avesse voluto.
Ma aveva paura,
ed era un
terrore ancestrale quello che ora tornava a rinvigorirsi dentro di lui,
il timore di sapere che lei, che Astrid era divenuta sua moglie
perché spinta dal bisogno di sdebitarsi per ciò
che lui
aveva fatto.
Salvarle la vita.
Sapeva di averlo
fatto, lo aveva
ricordato, lo aveva sentito dalla bocca degli Avengers, e quando lo
aveva saputo, la speranza di essere davvero voluto da lei aveva
cominciato a vacillare.
Spirito di sacrificio.
Loki sapeva che Astrid
ne era
capace. Immolarsi per lei era naturale, e farlo per lui sarebbe stato
semplice, giusto, ovvio dal momento che lui l’aveva salvata,
lui
che doveva essere ripagato per ciò che aveva
fatto,
per l’attimo di bontà, di
umanità nel quale
aveva
deciso di ridarle il suo cuore.
Un gesto
d’amore il suo, lo
era stato, lo sapeva, lo credeva, ma un dono che ora dava nuove
sfumature, nuovi significati a tutto.
Al perché
lei fosse lì, con lui.
Al perché
continuasse a rimanergli accanto.
Al perché,
semplicemente, non potesse lasciarlo solo.
Pietà e
senso di gratitudine.
Non amore.
Non affetto.
Ma ciò che
Loki aveva temuto
di ricevere dagli altri, per il quale aveva lottato, nella speranza di
sapersi comunque odiato, temuto, qualunque cosa, ma non commiserato.
Eppure quello era
tutto ciò che aveva ricevuto, che ora, riceveva da lei.
Galactus si
lasciò scappare
un sorriso quando udì i passi veloci poco lontano da loro,
una
corsa che avrebbe portato lì chi voleva, chi finalmente
avrebbe
capito quanto sbagliato fosse tutto quello.
E sarebbe stato
proprio lui,
proprio l’uomo che stava crollando di fronte a lui, divorato
dai
dubbi e dalla paura che stava avendo la meglio sul suo raziocinio, su
ciò che in fondo al cuore sapeva, erano solo
bugie, menzogne, a
darle l'ultimo colpo.
Perchè
Loki era nato da una bugia, e ingannare se stesso e gli altri era
naturale, per lui.
Credere di non essere
amato era più semplice, per lui.
Perciò
accettò
ciò che gli veniva offerto, la scappatoia ad un dolore che
non
era in grado di tollerare, una via di fuga da una felicità
che
Galactus, con voce suadente e vibrante astio, gli offrì.
- Se così
non fosse, se non
fosse stata davvero la pietà a convincerla a rimanere al tuo
fianco, a sacrificare per te la vita che le hai donato, non credi che
dopo tutto il tempo passato insieme, non avesse voluto avere un figlio
da te?
Il dolore sordo che lo
colpì
al petto gli appesantì lo sguardo di lacrime che
ingoiò a
fatica, il respiro affannato che si faceva flebile e stanco, come il
braccio che abbandonò inerte nel corpo di Galactus,
sconfitto da
ciò che sapeva, lo avrebbe ucciso.
- Non credi che
avrebbe voluto dare
vita al frutto del vostro amore? O non sei consapevole
dell’orrore e del ribrezzo che le avrà fatto il
pensiero
di avere un figlio da te, un mostro, uguale a te?
Quando finalmente lo
lasciò andare, quando Astrid lo raggiunse, fu troppo tardi,
per entrambi.
E inorridire di fronte
alla
presenza oscura accostata a Loki non servì a nulla,
chiamarlo e
chiedergli se stava bene, non servì a nulla.
Perché Loki
non sentiva più niente, se non il vuoto, e stanchezza.
Un’annichilente
e antica
debolezza che gli fece sentire tutto il peso dei suoi anni, secoli
passati a lottare per trovare un posto nel mondo, un posto che
però, dopo tutto quel tempo, aveva compreso di non poter
avere.
Neanche con lei.
Mai con lei.
Il lampo di luce
colpì
Galactus al fianco, ma era tornato ad essere inconsistente e
impalpabile come l’aria, ma Loki non si muoveva, continuava a
darle le spalle, ed o Astrid cominciava ad avere paura.
Paura di non poter
controllare il
tremore della propria voce, né il dolore e
l’angoscia che
doveva averle sformato il viso in una maschera di disperazione,
perché sentiva, che c’era qualcosa di sbagliato,
nella
schiena rigida di Loki.
Che doveva essere
successo
qualcosa, mentre lei non c’era, qualcosa di così
orribile
da impedirle persino di attirare l’attenzione del dio.
Il dio che non la
guardava, né la sentiva.
Un dio che pareva
essere diventato ignorante della sua esistenza e del singhiozzio
isterico del suo cuore.
- Tesoro-
- Allontanati da lui!
–
strillò isterica quando vide Galactus ridere sotto il
cappuccio,
come se vederla cedere, finalmente, lo divertisse, ma lei voleva solo
che si allontanasse da Loki, che lo lasciasse in pace, che li
lasciasse
in pace ora che lui cominciava a credere, ora che finalmente, era
riuscita a farsi accettare.
Pepper
tentò nuovamente di
bloccarla per un braccio, ma Astrid fuggì dalla sua presa
per
compiere un paio di passi in avanti, allontanando la folla che ora
cominciava a riempire l’androne, gli spettatori di una
tragedia
che lei non era disposta ad accettare.
E fu con paura che
provò a
toccargli la spalla, la mano tremante per l’angoscia mentre
la
bocca secca tentava di schiudersi per pronunciare il suo nome.
- Loki?
Fece male.
Vederlo voltarsi, fece
male.
Riconoscere il vuoto
di quello sguardo spento, fece male.
Capire di stare per
perdere tutto, ancora,
fece male.
Ma respinse la paura e
il dolore, perché doveva essere forte entrambi. Doveva
esserlo.
- Stai bene?
– si
costrinse allora a sussurrare, la voce resa sottile dalla
preoccupazione mentre la mano continuava a rimanere sulla sua spalla e
l’immobilità di quelle pupille
cominciava a
spaventarla, lui, cominciava a spaventarla.
- Cosa è
successo? Ti ha
fatto del male? – e la paura quella volta trasparì
dalla
sua voce – cosa è successo Loki? Ti prego, parla
con me.
Cosa-
- È
così orribile?
La confusone di
sentirlo parlare
così piano la fece trasalire, e se non gli fosse stata
così vicina, Astrid non lo avrebbe sentito, ma lo aveva
sentito.
Aveva avvertito il
dolore cocente
che pareva bruciargli la lingua e la voce e vedeva che era distrutto,
annientato da qualcosa che lei non capiva, da qualcosa che lei sapeva,
in cuor suo, di non poter combattere, non quella volta.
- Cosa è
orribile Loki?
- Il pensiero di poter
avere un figlio da me.
Il silenzio che cadde
poco dopo il
suo sibilo disperato fu smorzato dal gemito che Pepper aveva coperto
con la mano mentre gli occhi le si inumidivano nel vedere la schiena
di sua figlia tendersi come se l’avessero appena sparata.
- Deve averti fatto
ribrezzo, non
è così? Pensare di aver in grembo un figlio mio
– e
la sua voce sembrò riprendere forza, gonfiarsi della
disperazione che ora rendeva il suo sguardo lucido e che aveva portato
la sua mano a serrarsi attorno al polso gracile di Astrid mentre la
vedeva chinare il capo, come ad ammettere la sua colpa.
E fu nel vederla
nascondersi sotto
i propri capelli che Loki si sentì morire, odiandosi per
averle
creduto, per aver davvero pensato di poter essere amato da lei, di
poter essere stato desiderato così tanto da averla spinta ad
aspettarlo in eterno, a concedersi senza remore alcuna.
Perché era
tutta una bugia.
L’amore che
lei aveva professato per lui.
La devozione con la
quale lo aveva seguito e aspettato, accostato nonostante i suoi
tentativi di respingerla.
Tutto. Era stata tutta
una bugia.
Lui, era una bugia.
- Perché
sono un mostro
vero? – continuò a rantolare con la voce ingolfata
dal
dolore mentre qualcuno da qualche parte attorno a lui gli chiedeva di
smetterla, di non continuare, di non andare oltre, ma lei avrebbe
pagato, come tutti, per quell’amore che gli aveva teso e poi
sottratto con tanto crudeltà.
Avrebbe pagato per
averlo illuso, per avergli fatto credere di meritarla davvero, di aver
trovato in lei il suo posto nel mondo.
- Allora? Il senso di
colpa è tanto profondo da averti zittito?
- Ti prego, ora basta
– lo
implorò Pepper con disperazione, la voce rotta dal pianto
che le
soffocò la voce quando vide il dolore sommergere sua figlia,
mangiarla da dentro.
- Cosa hai-
- Mi hai mentito.
Il suono di quella
voce
spaventò tutti, lui per primo, persino Galactus non
potè
impedirsi di trasalire quando la voce del Tesseract sembrò
superare la barriera del suono per quanto acuta fu, come lo
strimpellare stonato di un violino scordato.
- Mi hai mentito.
- Tesoro-
- Mi hai mentito
– e la sua
voce si gonfiò di un umore nero, di
un’ilarità
grottesca che spinse Loki ad abbandonare la presa e indietreggiare di
un passo, disorientato da come le spalle della donna presero a tremare
sotto la profondità della risata.
Ma quando Astrid
alzò il
viso non ci fu alcun sorriso a piegarle la bocca, nessun divertimento
ad accenderle lo sguardo, solo il tremore convulso di chi sembrava
indeciso se scoppiare a ridere o a piangere.
E avrebbe fatto
entrambe, se avesse
potuto, perché la disperazione era strana, e lei
trovò
una via di mezzo, in tutta quella follia.
La mano corse ad
intrecciarsi ad
alcuni ciuffi mentre la sinistra correva a premere il proprio stomaco,
come a frenare una risata che non si decideva ad uscire mentre la bocca
era piegata in un sorriso triste e guizzava isterica verso il basso per
impedirle di rimettere, di vomitare il dolore che la faceva tremare.
Perché non
era il riso, a
scuoterla, non era la forza della risata trattenuta a gonfiarle il
petto e la voce, ma il pianto disperato che Astrid tentava di arginare,
ripetendosi che Loki non pensava davvero quelle cose, che lui non
poteva sapere, che non ricordava quanto avesse sofferto, quante volte
le avesse ripetuto che non gli importava dei figli, che non gli
importava di nulla se non di lei.
Bugie
le sussurrò la voce isterica del suo cuore, bugie per
tenerla
calma, per non farle compiere gesti avventati, ma lei lo aveva fatto,
ci aveva provato, e lui non lo sapeva.
Lui non sapeva niente.
Niente.
Quando le gambe le
cedettero non ci
furono mani a reggerla, ma qualunque mano sarebbe rimasta ustionata se
avesse tentato di bloccare il suo collasso, una crisi nervosa che
esplose assieme all’urlo con il quale si accasciò
in
ginocchio, le mani corse a serrarsi con forza attorno al capo mentre
bruciava e il mondo si sformava sotto la forza del suo dolore.
Ci furono urla di
orrore per gli
squarci apertisi d’improvviso nel soffitto, come una lama che
affonda crudelmente in un lenzuolo sdrucito, stralci di mondi che sulle
loro teste parvero essere sul punto cadere, di schiantarsi
come
stelle impazzite che avevano perduto la direzione, la via di casa, ma
era lei ad aver perduto la via, mentre il mondo attorno si spaccava a
metà assieme al suo cuore.
Il panico costrinse
molti a
riparare sotto le colonne e fissare con orrore gli umani, i non-morti e
i Giganti che dalle loro porte sul loro mondo li fissavano con uguale
paura, uguale confusione, uguale timore mentre le sue urla aumentavano
e sgretolavano, un poco alla volta, ciò che rimaneva di lei,
una
figura piangente che di dolore bruciava senza avere nessuno a cui
reggersi mentre la disperazione e le lacrime la affogavano.
Qualcuno
però tentò
di raggiungerla, qualcuno ad avvicinarla ci fu davvero, ci
provò, ma quando la mano venne respinta, quando la pelle
pallida
si arrossò per le fiamme che gli venarono il palmo di piaghe
e
sangue, Loki sentì un grido acuto spaccarlo a
metà da
dentro.
E quando
tornò a tendere una
mano, quando provò a raggiungerla, a toccarla, il dolore lo
accecò per un istante prima che qualcuno lo afferrasse per
le
spalle e gli impedisse di perdere un braccio, nel tentativo di
afferrarla.
Ma la voce nella sua
testa
continuava ad urlare, ed urlare senza dargli modo di pensare ad altro
se non al dolore che lo squarciava, alla disperazione di sapere che
tutto quello non sarebbe dovuto accadere, che la sua mano non si
sarebbe dovuta bruciare, che lui non poteva essersi bruciato.
Perché
sapeva, sapeva che non sarebbe dovuto accadere, mai ,
perché bruciare significava essere respinti da lei, dalla
sua
essenza, dalla sua anima, dal suo cuore, e lui non voleva, lui non
poteva essere respinto da lei, non
l’avrebbe sopportato.
Eppure era stato lui, era stato lui a costringerla
a farlo gli sibilò la voce amara che aveva
smesso di urlare,
perché voce non aveva trovato più, una voce
uguale alla
sua, ma diversa, arrochita dal pianto che gli aveva
gonfiato i polmoni e gli impediva di respirare.
Perché era
colpa sua, se ora lei piangeva.
Era colpa sua se la
sua mano era ustionata.
Era colpa sua e di
quella patetica
paura che gli aveva fatto dire cose che non pensava, parole risentite
di chi di nascondersi non riusciva a smettere, ma ora voleva che lei lo
guardasse, voleva solo che lei alzasse il viso e vedesse il suo dolore,
il suo pentimento, la
sua disperazione.
Ma anche se lei lo
avesse fatto,
anche se davvero Astrid avesse sentito la sua voce che la
chiamava e implorava il fratello di lasciarlo andare da lei, non
sarebbe servito a nulla, perché c’era lui, ora, a
dividerli.
Il mostro che nel
delirio aveva
ripreso forza da quel dolore, rimpolpando l’essenza che lo
aveva
reso evanescente ma che ora gli permetteva di riempire la
mano del viso che Loki sapeva era suo compito
abbracciare nel proprio palmo.
Quando il cappuccio
calò
sulle spalle, ogni creatura presente si cristallizzò in
un’espressione di paura per la quale Galactus tese un sorriso
deliziato prima che le sue orbite vuote tornassero a guardare lei e
quei
suoi occhi liquidi che il colore acceso delle fiamme rendeva tanto
lucide da potersi specchiare attraverso.
Uno sguardo spento che
Astrid non
mosse da lui mentre un pollice di quella mano le accarezzava
delicatamente la gota, scatenando un coro di urla isteriche che non la
raggiunsero.
- Povera piccola
creatura innocente
– la consolò delicato, piegandosi sulle ginocchia
per
essere lei di fronte e lasciare che il dio degli inganni vedesse
ciò che aveva fatto, ciò che aveva distrutto con
le
proprie mani – non dovresti reagire così mia cara,
lui non
poteva sapere che tu non puoi concepire.
Thor sentì
il corpo che
tentava di trattenere divenire un blocco di ghiaccio sotto le proprie
dita, un irrigidimento dal quale Loki stentò a liberarsi
mentre
l’orrore gli gonfiava la gola di un urlo che avrebbe voluto
sfogare, di un perdono che avrebbe voluto implorare, e la
consapevolezza di non poter provare altro dolore, di non poter reggere
altro veniva frantumata da una verità nascosta che Astrid
non
ebbe la forza di tacere, perduta in se stessa e in
quell’universo
parallelo nel quale Galactus si specchiava compiaciuto.
- Come nessuno di loro
sa che hai
tentato di ucciderti buttandoti giù dalle alte montagne di
Jotunheim, quando il dolore era diventato troppo da sopportare.
E fu il turno degli
umani, di
irrigidirsi e trasalire per l’angoscia, per
l’orrore che
colorò i loro sguardi di disperazione quando una lacrima
rigò il viso blu di Astrid nel sentire il suo nome
bisbigliato
dalle labbra tremanti dei suoi genitori, come a cancellare quanto
detto, a diluire un dolore che Loki non riuscì
più a
reggere, finendo con il lasciare che fosse suo fratello a reggere
entrambi, perché lui non ne aveva più la forza,
né
la volontà.
Perché
aveva sbagliato, aveva sbagliato tutto quanto.
Ed era stato lui a
mentire per
tutto il tempo, era stato lui il bugiardo, non lei, non chi
davanti
alla verità lo aveva spinto, spostato di peso per fargli
comprendere la profondità di quanto vissuto assieme, di
quanto
lei lo avesse amato mentre lui, lui non aveva fatto altro che ferirla.
Perché
ancora non la
ricordava, perché non avrebbe potuto chiedere di dargli
l’anello che lei gli aveva raccontato, le aveva donato per
renderli l’uno il compagno eterno dell’altro,
l’anello che lei aveva promesso di riconsegnargli una volta
che
avesse ripreso possesso della vita che aveva avuto, per continuare a
costruire quella che sarebbe venuta.
Una vita che lui aveva
spezzato per egoismo, per paura, per codardia.
- Ed ora guardati,
guarda dove ti
ha portato il tuo vero amore – e sembrava prenderla in giro,
con
quel tono lamentoso volto a mostrarle quanto ingenua e stupida fosse
stata - a morire di dolore per uno come lui.
E quel lui la
fissò, la
guardò fino a consumarsi gli occhi, fino ad attirare la sua
attenzione e il suo sguardo con la forza della sua disperazione, del
suo bisogno di essere guardato, di essere ascoltato, di essere visto da
lei.
E quando lei lo
guardò,
quando quelle pupille che Astrid aveva tenuto mute per tutto il tempo
si mossero nella sua direzione, ci fu un guizzo, in quegli occhi, un
lampo di qualcosa che Loki non riuscì a comprendere mentre
il
Tesseract alzava una mano per toccare quella che le reggeva il mento,
come in una carezza gentile.
Un tocco leggero, come
il battito
d’ali di una farfalla, per il quale Galactus sorrise
vittorioso,
rinvigorito dal sapore della conquista, del trionfo che finalmente, con
quel gesto, lei gli aveva riconosciuto.
Un trionfo che
però, quel giorno, non fu di chi ci si sarebbe aspettato.
Lo schizzo di sangue
che le
frustò il viso fu copioso, e rancido, ma Astrid rimase
indifferente all’urlo di dolore con il quale Galactus si
ritrasse
mentre lei buttava in terra il braccio che gli aveva
strappato e si
fletteva sulle ginocchia con un ringhio animale che spinse molti ad
arretrare con terrore.
E quando la videro
caricare, quando
la videro spostare di peso la creatura per rigettarla nello squarcio di
neve e ghiaccio ci furono urla, a richiamarla a gran voce mentre
Jotunheim gridava d’orrore per quella presenza straniera sul
suo suolo, un ruggito che Astrid cavò nel colpire Galctusa,
una,
due, tre volte, fino a quando non lo vide evaporare dal terreno sul
quale era accovacciata e che improvvisamente vide tremare.
Il rimarginarsi degli
squarci
avvenne senza rumore alcuno, ma c’era il grido del vento
gelato a
graffiarle nell’orecchie, e il passo pesante di chi le stava
andando in contro per accogliere lo straniero che nella terra del
Giganti aveva osato metter piede, e quando Knut osservò la
piccola figura dalle mani e dal viso imbrattate di sangue abbandonata
sulla neve ringhiò minaccioso, attirando lo sguardo di chi
correndo lo aveva raggiunto.
Sunniva era ferita,
Astrid lo
notò con ciò che rimaneva della sua
lucidità che
andava spegnendosi mentre nel tornare in piedi stirava le dita chiuse
in artigli per ripulirsi dal sangue che la sporcava, ma si
ritrovò ancor più lercia di prima, senza
però
curarsene veramente.
Perchè chi
l’aveva ferita, chi
aveva segnato il viso dell' unica presenza amica in quella terra ostile
doveva essere lui, il Re che dal proprio trono era stato
spodestato da
un suo simile con arti minuscoli e sottili, un trono che Knut sembrava
volersi riprendere ora che a sfidarlo per aggiudicarsi il
comando non c’era più una divinità
lontana, un re
caduto, ma era rimasta la sua regina.
Era rimasta lei.
- Sfida me.
Il sibilo del vento si
caricò delle sue parole come l’incoccare di una
freccia
pronta a colpire il grosso bersaglio rosso che le si stagliava davanti,
e il suo, di bersaglio, era altrettanto grosso, e pallido, dalla pelle
livida e il viso sfregiato ora arricciatosi in una smorfia divertita,
canzonatoria.
Un divertimento che
Astrid gli
tirò via dal viso con la forza che adoperò per
colpirlo
al ginocchio e afferrargli il collo, così da averlo ad una
spanna dal viso e mostrargli che c’era ancora lei,
da
battere, che qualcuno da sconfiggere era ancora rimasto.
- Sfida me.
Continua…
* Muspellsheimr: è il regno del fuoco nella
mitologia norrena, qui vivono i Giganti di Fuoco;
Grazie per la lettura,
Gold Eyes
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