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Autore: Hagne    21/09/2013    1 recensioni
Tratto dal primo capitolo:
"I fantasmi del passato erano mostri difficili da addomesticare, creature d’ombra che mal tolleravano le catene alle quali venivano costrette, ed i suoi, di fantasmi, non avrebbero potuto essere imbrigliati neanche se avesse avuto le catene più spesse, pesanti e dure con le quali vincolarli"
[ Seguito di " A Demon's Fate"]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything '
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Capitolo 9
“Where is the edge
Of your darkest emotions?
Why does it all survive?
Where is the light
Of your deepest devotions?
I pray that it's still alive”
[…]

Even though you don't know what the price is
It is justified
So much more that you've got left to fight for
But it still doesn't change who you are
There is no fear you'll ever give in to
You're untouchable
'Cause you're losing your mind and you sleep
In the heart of the night”

( Where is the Edge? – Within Temptation)







Non ricordava quanto tempo fosse passato dall’ultima volta in cui  si era sentita tanto stanca, ma ora che si guardava per la prima volta dopo aver passato tanti giorni a mantenere i confini sicuri, Astrid non riusciva più a riconoscersi, perché la donna che ricambiava il suo sguardo era stata prosciugata da ogni cosa.   
Gioia.
Speranza.
Non c’era più niente a muoverla  se non la disperazione.
Ed era la disperazione stessa a convincerla ogni giorno ad aprire gli occhi per scoprire se lo sguardo di Loki risultasse un po’ meno diffidente, un po’ più suo, e se così non fosse stato, se il riconoscimento non l’avesse trovato, avrebbe provato  a sforzarsi ancora un poco con la speranza  che forse, i ricordi che stavano riaffiorando non lo avrebbero fatto impazzire, che non li avrebbe respinti come avrebbe fatto con chiunque, che avrebbe provato anche  lui a combattere per entrambi, a salvare entrambi, ora che di quelle  battaglie Astrid cominciava ad essere stanca mentre la fine di quella guerra non si riusciva a vedere ancora, e non c’era rimasto più tempo.
Lei non ne aveva mai avuto, in verità, un paradosso per un essere  immortale come lei, ma era così,e  né lei, né Loki avrebbero potuto fare nulla contro i rintocchi dell’orologio.
E come se ciò  non bastasse, le rappresaglie di Galactus non avevano fatto altro che aumentare, e aumentare, tanto che le ferite che le segnavano il corpo asciutto non avevano ancora avuto il tempo di rimarginarsi del tutto, non che riposarsi le fosse stato possibile, perché c’erano gli umani da tenere d’occhio, e gli dei da controllare, i non-morti, e i Giganti di Ghiaccio, quella, in verità, era la sua più grande preoccupazione, la prima fonte di angoscia.

Non che quelle creature non le avessero mai dato motivo di preoccuparsi di loro, ma la situazione era degenerata da quando Loki aveva perso ogni memoria del passato, di lei, e del suo ruolo di Re e Tiranno, un posto vacante che Knut avrebbe tentato di fare proprio se non vi fosse stata Sunniva a comandare in sua vece di aspettare il ritorno del loro Re, perché lei lo avrebbe aspettato, anche se fossero stati necessari cento e più anni.
Anche se non c’era tempo, anche se lui non aveva ancora ricordato, anche se continuava ad essere sola in quella lotta contro il mondo e contro chi nel loro amore non aveva mai creduto.
Ma lei ci credeva, ci aveva sempre creduto, e sapeva che anche Loki, in fondo al cuore, aveva cominciato a farlo.
Perché lo aveva sentito quando si erano sfiorati, quando lo aveva toccato e aveva scorto la crepa minuscola dalla quale poco prima aveva solo potuto sbirciare dentro la stanza nella quale Loki si era nascosto, mentre ora, ora poteva allungare la mano e sentire il palmo gelato dall’altra parte sfiorare timidamente le sue dita.
Era ancora spaventato.
Da lei, da quell’amore che gli offriva senza volere nulla in cambio pur sapendo che forse non sarebbe riuscita a fargli recuperare la memoria, da ciò che gli veniva dato perché gli era dovuto.
 Ma se la sua mente ancora faticava ad accettarla, a ricordarla, il suo corpo non aveva dimenticato nulla, non dove chiudere le dita sapendo di generare piacere in entrambi, non dove i suoi baci le avrebbero fatto inumidire le ciglia.
Non aveva dimenticato il suo calore, perché quando l’aveva inghiottito, quando era implosa sotto di lui, non si erano respinti, non si erano allontanati, ma si erano riconosciuti entrambi.

- Non credevo che potessi  riuscire a sorridere ancora per qualcosa.
Fu come se qualcuno le avesse conficcato una lama nel petto,  un mancamento che si costrinse ad inghiottire assieme all’urlo che le aveva gonfiato i polmoni per la stizza e la frustrazione di sapere di chi era quella voce, ma avrebbe attirato l’attenzione, e avrebbe dovuto dare spiegazioni che non aveva, che non poteva giustificare.
Perciò, anche se le  palpebre erano stanche, arrossate  dal sole che ora moriva,  si costrinse a socchiuderle, così da non dargli la soddisfazione di vederla cedere, di godere della desolazione che ancora le incupiva lo sguardo e che la rabbia calpestò quando se lo ritrovò davanti.
Se mai l’anima egoista di Yehouda avesse potuto scegliere un involucro diverso dal suo, Astrid sapeva che sarebbe stato deliziato dal quello che Galactus aveva scelto per sé, perché quell’emanazione racchiudeva in sé l’orrore del mondo divino e umano, un gusto per l’orrido che le ricordava Hell, la piccola e scheletrica divinità alla quale aveva rubato i poteri, della quale aveva deciso il fato, la punizione.
Ma per lui, per la creatura che nel riflesso dorato del sole calante le sorrideva languido con la sua bocca priva di labbra non sarebbe riuscita a trovarne una abbastanza crudele, abbastanza opportuna.
Non avrebbe avuto motivo di colpirlo, perché avrebbe sentito crepitare sotto le sue dita chiuse in pugno solo il rivestimento metallico della colonna nella quale si specchiava, ma la sua mano volò ugualmente sulla sua gola, sgretolando il materiale ferroso che sentì grattarle il polso quando vi affondò il braccio, ma lui continuava a sorridere, e a guardarla con quell’orribile sicurezza di averla in pugno.
- Non sapevo ti fosse mancato così tanto toccarmi – chiocciò irriverente, ondeggiando il busto per mettere in mostra l’arto mancante, quello che non sarebbe ricresciuto più, perché era stata lei, ad amputarglielo, lei che era la vita e che di ridarglielo ne aveva il potere, ma non la volontà.
- Il desiderio di cavarti  il cuore dal petto non ha mai smesso di tormentarmi – fu la sua unica risposta, il tono secco e tagliente ripescato dalle profondità della gola, lì dove l’odio le arrochiva la voce e tingeva di sfumature cupe il suo sguardo di luce.
Galactus liberò una risata bassa, profonda come il ronfare di un gatto che sa di non poter essere afferrato, per quanto in alto si fosse saltato per raggiungerlo, e Astrid non avrebbe potuto toccarlo, per quanto in fondo le sue mani fossero affondate nella colonna, perché avrebbe stretto solo metallo,  non la gola impalpabile del corpo riflesso di fronte al suo.
Il tocco che lui le concesse sul polso non lo percepì veramente, ma potè comunque immaginare la brama con la quale avrebbe voluto sfiorarla, un desiderio di possessione  che non aveva nulla a che vedere con il desiderio sessuale.
Era più simile  alla volontà dell’animale più forte  di sapere di avere la carcassa più grande, succulenta e preziosa tra le sue fauci, e che quella creatura la paragonasse ad un premio, ad un oggetto la indisponeva.

Perché aveva passato anni, secoli a sentirsi chiamare con un nome che non era mai stato suo, che non era stato lei a scegliersi, un titolo che la relegava ad essere un’arma priva d’anima e cuore, capace di sterminare intere razze senza battere ciglio, come se la morte non la toccasse mai, ma l’aveva toccata.
La morte di sua madre.
La morte  seppur momentanea di Loki.
La sua  morte l'avevano toccata, e  avevano scavato un buco che mai, mai sarebbe riuscita a colmare, per quanto amore avesse ricevuto, per quanto felice fosse stata, perché erano ferite che non si sarebbero rimarginate, che non si sarebbero riempite come il grembo che sarebbe sempre rimasto sterile, e muto.
Un silenzio che l’avrebbe accompagnata in eterno, perché una fine per lei non ci sarebbe stata.
Lei che non poteva essere distrutta, ma solo disarmata, indebolita, ma non uccisa, mai uccisa.
Perché l’energia non si può annientare, non si può distruggere, ma si può vederla languire in eterno, in un ciclo senza fine nel quale, da sola, non sarebbe riuscita a sopravvivere senza desiderare di uccidersi.
E aveva provato, una volta, a farla finita con le proprie mani, a zittire quel dolore sordo al petto che non aveva smesso di tormentarla, di ricordarle quanto sbagliata, quanto inutile e vuota fosse.
Un oggetto danneggiato che non si può ridare indietro nella speranza di averne uno migliore, nuovo, funzionante.
Lei era rotta, era nata così, e nessuno, per quanto avesse provato, sarebbe riuscito ad aggiustarla.
Una condizione per quale aveva pagato, aveva pianto, cadendo in una depressione cupa e profonda che l’aveva convinta per un attimo, un solo attimo, di non meritare di vivere, di non meritare tutto quello.
Un  segreto, il suo segreto, quello che mai avrebbe rivelato, non a sua madre, non ai suoi due padri, non a Loki, soprattutto a Loki che dalla sua esistenza era dipendente, da lei, era dipendente, e non gli avrebbe più dato motivo di soffrire nel sapere di poterla perdere.
Non avrebbe più concesso alla propria disperazione di offuscarle la ragione e renderla cieca al dolore che dalla sua morte, dalla sua volontà di annientarsi sarebbe sopraggiunta, un dolore che non sarebbe riuscita a reggere, a consolare, perché sarebbe stato troppo  profondo, troppo scuro e troppo frammentato da poterlo rammendare.
Per questo non aveva permesso a Galactus di indebolirla con quelle apparizioni, con le sue parole, con i pensieri che leggeva nella sua testa e che ripeteva di propria bocca per metterla di fronte alla debolezza che lei tentava di celare, di nascondere a tutti, anche a se stessa.
 - Stai solo posticipando ciò che deve accadere.
- E cosa dovrebbe accadere? – lo riprese piccata.
Un guizzo di eccitazione gli tese il viso e la bocca schiusa in uno di quei sorrisi che le facevano ribrezzo.
- Ciò che sarebbe dovuto essere sempre. La tua presenza al mio fianco, come compagna.
Il raccapriccio le arricciò le labbra e appesantì le ciglia mentre l’orrore di quel pensiero, il disgusto per ciò che lui credeva giusto, naturale, ciò che lui chiamava destino, la faceva trasalire,  come se lei fosse destinata a unirsi a lui, in quanto sua metà mancante, ma non era così.
Perché lei non era nata per compiacere lui, non era nata per essere un’arma di distruzione nella mani delle masse, no, lei non era nata per tutto quello.
Lei era nata per amare Loki.
Era nata per lui, era stata fatta, per lui, solo per lui, e per nessun altro motivo.
Perciò, se qualcuno poteva arrogarsi il diritto di sapere a chi fosse votata la sua esistenza, se davvero c’era qualcuno che poteva  rivestirsi di quel ruolo, di sua metà, quel qualcuno era Loki.
- Per quante volte io lo abbia ripetuto – cominciò a rantolare, distendendo le dita per allentare la presa e cominciare a sfilare il braccio dalla colonna che non si era accorta di essere stata in procinto di dividere a metà.
- Ciò che tu credi sia il mio destino, non è quello che ho scelto per me, perché non sei tu il motivo della mia esistenza. Non gli umani, non gli dei, ma solo lui. Perché io sono nata per Loki – e quel nome scivolato dalle sue labbra sembrò racchiudere in sé l’amore del mondo, la dolcezza incontenibile di un cuore che di battere d’emozione per lui non avrebbe mai smesso – per lui soltanto.
Quando lo vide tendere una smorfia e irrigidirsi, come per sferrarle un pugno,  si tese a sua volta, avvertendo l’elettricilità statica punzecchiarle la nuca e i capelli abbandonati in petto, ma ancor prima di poter rilasciare il sibilo di minaccia, ancor prima di poter anche solo allungare la mano per cancellare la sua immagine da quella colonna, vi fu una voce, a piombare sopra di loro con la tonalità cupa di quelle corde vocali.
Un suono che molti avrebbero ricondotto al sibilo del vento per quanto debole e freddo fu,  ma fu  una voce, quella che Astrid sentì avvicinarsi assieme al passo cadenzato ed elegante del dio, ed era il suo nome, quello che Loki stava chiamando, era lei, chi lui stava cercando.
Sorridere le venne istintivo. Ammorbidirsi e sciogliere lo sguardo in un moto di tenerezza fu naturale, come lo fu voltarsi al suono di quella voce e sentire il cuore palpitare isterico nel petto, come la prima volta in cui lo aveva visto.
Ma era sempre quello, l’effetto che Loki aveva su di lei, un’emozione che non voleva tramontare o smorzarsi con l’andare del tempo.
Non lo avrebbe fatto il sorriso gentile con il quale lo raggiunse a passi veloci, come se volasse su ali che non aveva.
Non lo avrebbe fatto l’amore che le riempiva lo sguardo e la rendeva così bella e felice.
Solo per lui.
Fece scivolare la mano nel palmo rigido del dio quando riuscì a raggiungerlo, costringendolo in una presa dalla quale, in un primo momento, Loki sembrò volersi ritrarre, ma fu questione di un attimo, un battito di ciglia che gli ripulì lo sguardo dal timore che gli aveva offuscato le iridi prima che la calma, la quiete tornasse  a gettare qualche luce in fondo a tutto quel buio.
La luce di quella creatura che in silenzio, a passi quasi volutamente lenti, come a poter saggiare meglio la dolcezza di quell'attimo, a sottolineare quella che poteva essere una sua prerogativa, un loro momento speciale, seguitava il suo passo, fiduciosa e abbandonata al suo tocco che non le avrebbe fatto male, che al solo pensiero l'avrebbe fatto inorridire.
Perché era divenuto debole, di fronte a lei, e vulnerabile, con un fianco scoperto che per quante volte lei avesse potuto avere davanti non aveva mai neanche guardato  nella speranza di infleggergli il colpo mortale.
Quello che chiunque gli avrebbe inferto, una volta riuscito ad abbattere le sue difese, ma lei, lei non ci aveva neanche provato, e il solo pensiero pareva inorridirla, ferirla, e se Loki aveva imparato una cosa  da quando l’aveva vista per la prima volta nelle prigioni di Asgard, era che sapersi responsabile del suo dolore era qualcosa di così angosciante da togliergli il respiro e lasciarlo agonizzante.
Ed aveva sognato più volte, mentre lei lo teneva stretto, di ferirla, di essere il colpevole del suo dolore, e ogni volta che la vedeva andare via, ogni volta che si trovava immobile, senza possibilità di muoversi né di urlarle di fermarsi, moriva un po’.
Una morte dalla quale Loki sapeva che  era stata lei a strapparlo, perché incapace di vivere senza di lui, perché lui era il suo punto debole, ciò che la teneva ancora in piedi, ciò che Galactus sapeva, rappresentava l’ostacolo che li divideva, il confine che il Tesseract avrebbe dovuto oltrepassare per avvicinarsi a lui, per scegliere lui.
E se non era attraverso i ricordi dolorosi di lei che l’avrebbe avuta, allora si sarebbe servito  di quel dio, di quell’uomo che amato era da lei senza realmente conoscere la profondità di quell’amore, senza realmente capire quanto favorito fosse stato dalla sorte per avere lei  al suo fianco.
Ma la fortuna era bendata, e se sopra quel  capo la sua mano misericordiosa si era posata, allora Galactus avrebbe fatto in modo che fosse proprio lui, proprio quel dio ingrato a farla girare, a portarla su  chi avrebbe capito e realmente apprezzato il dono di quel cuore che lei, tanti anni prima, non aveva temuto di strapparsi dal petto per deporlo tra le  mani insanguinate del dio con un sorriso.




°°°





Giungere a compromessi era alla base dei rapporti civili, rappresentava le fondamenta delle relazioni che si sarebbero instaurate in futuro, rapporti che si predisponevano a ciò che richiedeva quell’accorgimento, ma se tra i propri simili era difficile riuscire a scendere a patti, pretendere di costringere quattro razze diverse a coesistere in uno spazio ristretto senza provare ad uccidersi a vicenda era quanto meno impensabile.
Eppure, il tavolo attorno al quale gli esponenti di ogni specie sedevano  tremava sotto i pugni di chi di agitarsi sulle sedie ne aveva abbastanza, e che fossero umani, dei immortali o non morti, ciò non importava, perché prima o poi le recriminazioni sarebbero giunte da ognuna delle parti, anche solo per il semplice desiderio di contraddire l’altro.
- Perciò tu credi che io mandi mia figlia in prima linea solo perché quel vecchio crede che sia la tattica migliore? – tuonò la voce aggressiva di Tony Stark,  l’unico ad essere scattato in piedi assieme al dio dei fulmini che della sua impudenza nei confronti del padre degli dei ne aveva avuto abbastanza.
- È l’unico modo per sfondare le linee nemiche – gli ripose a tono Thor, le gote arrossate per la stizza che lo portava a digrignare i denti rumorosamente – ora che anche *Mùspellsheimr si alleato con Galactus, non possiamo che agire di conseguenza.
Il vendicatore soffiò tra i denti una bestemmia rivolta al dio, a suo padre, ad ogni divinità presenta nella sala, stringendo le dita sul   tavolo attorno al  quale, alla sua destra, il dottor Barner fissava in rigido silenzio il confronto tra i due, una tensione che in lui diveniva visibile solo dalla vena pulsante contro la tempia, un particolare del quale nessuno, se non Maria e Fury,  erano consci.
Perché era pericoloso il suo silenzio, lui, era sempre stato pericoloso, barricato in quel mutismo che taceva un’ira animale, una volontà di distruggere, annientare e calpestare ogni cosa davanti a sé, e Thor sarebbe stato tra i primi a saggiare l’odio che tentava di zittire se non avesse smesso di pretendere il sacrificio di sua figlia.
Sua figlia, non loro.
Quella che Bruce aveva trovato per primo, aveva voluto per primo, la figlia che era stato lui a crescere, lui ad  amare, per la quale aveva compreso di poter ancora ricevere  qualcosa dalle persone, e non solo paura, non solo timore, e quella stessa figlia ora gli veniva tolta, strappata a quelle braccia che il dottore non avrebbe mai voluto allontanare da lei.
Perché si era ripromesso di proteggerla, di renderla felice, di difenderla da chi avrebbe voluto ferirla, e tutti in quella stanza, a proprio modo, le stavano facendo del male.
Un dolore che Astrid non mostrava sul viso impassibile, ma  un dolore che Bruce notava nelle mani raccolte in grembo sbiancate per lo sforzo di non gridare, di non compiere gesti avventati mentre attorno a lei il mondo tornava a decidere per lei, ad usarla come arma finale, come il Tesseract.
E Bruce conosceva lo sguardo spento con il quale ora sua figlia guardava di fronte a sé, aveva imparato a temerlo quando lo aveva visto per la prima volta, quando, stretta in un camice bianco, senza più voce né lacrime, gli si era accasciata davanti per la crudeltà dell’uomo, una cattiveria dalla quale l’avrebbe difesa con il suo corpo, se fosse stato necessario.
- È l’unica soluzione possibile – continuava a dire il dio mentre un guizzo isterico faceva vibrare le braccia conserte sul petto del dottore – sembra quasi che abbiate dimenticato che il Tesseract sia immortale – e fu il tono accondiscendente con il quale parlò loro, l’ovvietà con la quale la chiamò a quel modo o forse lo sguardo severo con il quale fissò Astrid a spezzare qualcosa dentro di lui, ma qualcosa a rompersi ci fu, e non fu solo il tavolo sul quale Hulk schiantò il proprio piede per balzare addosso al dio dei fulmini.
Quando i due rotolarono a terra sotto le urla sorprese dei presenti, Astrid si sentì strattonare indietro con forza mentre un braccio correva protettivo a circondarle le spalle e  il tavolo accoglieva il fisico possente del dio che il dottore colpì ferocemente mentre Lady Sif e Pepper tentavano di allontanarli l’uno dall’altro, ma  senza successo.
E più i colpi divenivano feroci, più Astrid si agitava in preda all’angoscia di non riuscire a tollerare anche quello, di non poter accettare che suo padre si ferisse per colpa sua, ma ancor prima di poter azzardare un passo che Loki non le avrebbe permesso di compiere, vi fu un’ombra scura a calare sul dio per strattonarlo lontano.
Zenas fece scrocchiare la mascella con rabbia quando Thor provò a divincolarsi dalla sua presa, ma era due volte la sua stazza, e tenerlo inchiodato contro una colonna gli costò poca fatica, perciò lasciò che la creatura verde avesse il tempo di rimettersi in piedi prima di allentare la presa e tornare con lo sguardo sulla donna dai capelli arcobaleno che, nell’incrociare il suo sguardo vitreo e senza vita, gli concesse un sorriso grato.
Una riconoscenza che il non-morto inghiottì assieme alla strana contrazione nel petto che percepiva sempre nel guardala, un rimescolio di organi che non ricordava di avere ancora, perché putrefatti dal tempo e dalla sua condizione, ma lei che era divenuta la sua salvatrice, la sua dea, pareva riaccendere in lui la vita perduta molti anni fa.
Ma ciò che provava, la profonda attrazione che nutriva per ciò che lei rappresentava, per ciò che era diventata per lui, non poteva in alcun modo venire alla luce, perché sarebbe stata fagocitata da quello sguardo che Zenas sapeva di avere sempre addosso.
Occhi per i  quali aveva avvertito un senso di smarrimento mai provato, neanche in vita, neanche di fronte ad intere armate, ma quella creatura, quel dio che tutti in quella stanza sembravano temere, per il quale sembravano provare repulsione e diffidenza nascondeva qualcosa di oscuro, dentro di sé, una fame di morte che persino lui non riusciva a capire,  a comprendere.
Ma una cosa l’aveva capita.
Lei non andava toccata.
Mai.
Quando Astrid vide suo padre cercare il suo sguardo con l’ansia e la preoccupazione a tendergli il viso sfiorò debolmente la mano che le stringeva la spalla, come ad avvisarlo della sua volontà, del bisogno di correre da lui, e quando Loki sciolse la presa, quando lo sentì irrigidire il busto e farsi da parte gli regalò un sorriso prima di correre verso suo padre e affondare nelle braccia che Bruce Burner serrò attorno alla sua schiena, tremando leggermente mentre la sua natura umana tornava a prevalere.
Vi fu un guizzo, improvviso e tanto celere da passare inosservato, fra di loro.
Il frusciare di un’ombra che per un attimo, un solo istante, aveva sfiorato la piccola figura che il dottore dondolava tra le braccia, una sagoma evanescente che Loki e Zenas seguirono con lo sguardo in silenzio, entrambi irrigiditisi per la ciocca rosa che intravidero nelle mani della creatura prima che questa scomparisse dietro l’angolo.

Ma ancor prima che il non-morto potesse anche solo azzardare un passo in quella direzione, lo svolazzare ipnotico del mantello verde lo avvisò dell’impossibilità di procedere oltre, di ergersi a protettore di una creatura che Zenas ricordò a se stesso, non andava toccata.
Non da lui, non da un’ombra che per  aver preso qualcosa di suo, avrebbe pagato con la vita.






°°°





Procedeva spedito, il passo appesantito dalla rabbia che gli gonfiava il petto di un calore che gli si condensava nello sguardo duro come una coltre di nuvole in procinto di fagocitare nella sua ombra un povero villaggio.
Ma ciò che il dio fissava incolore era l’ombra scura che sibilava nel vuoto passando di corridoio in corridoio senza mai fermarsi o voltarsi indietro, come a confonderlo, ma lui quei corridoi li conosceva fin troppo bene, li aveva odiati e poi amati per le nicchie sicure che gli avevano donato quando lo sguardo di suo padre diveniva troppo amareggiato da poterlo reggere.
E fu proprio in uno dei suoi nascondigli, poco lontano dall’uscita alla parte alta del palazzo, che lo trovò.
Una figura slanciata, nascosta da una mantella che delineava un profilo aguzzo e inghiottito dal buio del cappuccio, ma benchè non gli vedesse il volto, Loki capì che c’era qualcosa di pericoloso negli occhi che non vedeva  ma che sapeva, lo stavano fissando.
La sua attenzione e il suo sguardo erano però catalizzati sulla ciocca che nel buio della mantella pulsava di luce propria, come a sottolineare che non era il suo posto, quello in cui si trovava, che quelle mani, non avrebbero dovuto neanche toccarla.
- Stupefacente, non trovi anche tu? – lo sorprese la voce bassa e arrochita che sibilò fuori dal cappuccio mentre la sagoma, quasi come se avesse notato il suo sguardo insistente, alzava il braccio per riportare alla luce la ciocca abbandonata tra le sue dita rosse venate di nero.
Aveva  artigli oblunghi, spessi come se fossero fatti d’ossa umane, di un nero pece che rivaleggiava le tonalità scure delle venature che si ramificavano per la sua mano e sembravano voler rubare il colore caldo della ciocca di capelli di Astrid.
- Ho avuto ogni genere di oggetto nelle mie mani, e ognuno di loro è appassito tra le mie dita non appena ne ho sfiorata la superficie, ma questa – e la voce divenne graffiante mentre la mano si serrava con foga sulla ciocca che Loki avrebbe voluto strappargli dalle mani per non sentire quella fitta al petto nel pensare ad Astrid richiusa tra quelle grinfie assieme a quei capelli  - questa è l’unica cosa che non è morta a contatto con la mia pelle. Non lo trovi stupefacente Loki?
Sentirsi chiamare per nome da quella cosa non gli piacque, come non gli piacque la possessività con cui quelle dita tornarono a nascondere la mano e ciò che stringeva all’interno della mantella, come se volesse portargliela via dagli occhi, come se volesse mostrargli la facilità con la quale avrebbe potuto portargli via lei, e capì Loki, chi avesse davanti.
Lo comprese con un moto d’isteria quando riconobbe l’odore di zolfo e catrame che appestava l’aria circostante, una cappa di terra putrida e morta di cui quella creatura, Galactus sembrava essere formato.
E il pensiero di avere davanti il loro nemico, di trovarsi faccia a faccia con il mostro di cui Odino temeva la sola presenza, la consapevolezza di trovarsi di fronte il responsabile dell’angoscia e delle ferite di Astrid,  chi terrorizzava sua moglie, lo rese cieco di rabbia, tanto che quando il suo braccio gli trapassò il petto, affondando nella parete alle sue spalle,  pensò di averlo solo immaginato.
Ma ora che lo aveva ad un centimetro da sé, ora che poteva annusare la puzza che più di una volta aveva trovato tra i capelli di Astrid e i vestiti che  aveva bruciato per cancellare ogni traccia di lui su di lei, l’impotenza di non poterlo toccare, di stare attraversando solo aria e null’altro lo uccise nel profondo.
- Credevi davvero che fosse tutto così semplice? – lo rimproverò amabile Galactus quando, nel vederlo ritrarsi da sé, raggrumò la misera quantità d’energia che riusciva a filtrare la barriera e che lo rendeva innocuo a bloccare il braccio che il dio avrebbe voluto sfilare.
- Credevi davvero che uccidermi fosse possibile per te? Che lei avrebbe permesso che tu fossi alla mia mercè con tanta facilità?
Loki strattonò il braccio con un ringhio frustrato, ma più provava a dimenarsi per allontanarlo da sé, più gli  si ritrovava vicino, come se fosse stato inghiottito dalle sabbie mobili che lentamente, un po’ per volta, ingoiavano una parte di lui.
- Tu non sai quanto potente lei sia – e c’era rancore, nella voce di Galactus, come se lo stesse incolpando di essere così ignorante dei poteri di Astrid, di quanto pericolosa potesse diventare  - non hai la minima idea di cosa significhi essere voluti da lei, essere protetti, da lei, perché è lei a proteggere te, non il contrario.  
Avrebbe voluto gridargli di fare silenzio, di non provare neanche a giocare con la sua mente, perché era lui il dio degli inganni, era lui che si dilettava a rendere folli le masse attraverso l’inganno, la menzogna, le illusioni, e più di tutti Loki avrebbe dovuto capire che Galactus voleva solo instillare il dubbio in lui, che lui voleva solo trovare il suo punto debole per colpirlo.
Quel fianco che aveva imparato a scoprire per lei ma che ora cercava di coprire con entrambe le mani, come a tamponare una ferita che ora cominciava a scavargli la pelle, ad incidergli nel corpo la paura che sebbene fosse riuscito a smorzare continuava a frenarlo, ad impedirgli di abbandonarsi completamente ad Astrid.
Ed era su quella paura che quel mostro tentava di fare leva, lo sapeva, ne era cosciente, ma ciò non significava che fosse immune da quei pensieri, pensieri che lui per primo aveva avuto, che gli avevano fatto chiedere più volte  perché lei l’avesse scelto, perché continuasse a seguirlo.
Perché aveva voluto lui.

- Tu non sei degno di lei.
- Fa silenzio!
- Non hai avuto il coraggio di accettarla, perché non ne sei in grado, perché tu stesso sai che non la meriti, che non meriti neanche una stilla dell’amore che lei riversa ogni giorno in te mentre tu, ingrato, continui a nasconderti. Perché sei un vigliacco, figlio di Laufey, un codardo che non riesce neanche a  vedere che è solo la pietà  quella  che la spinge a volerti.
- Taci ! – e quella volta lo ruggì, lo urlò tanto forte da sentire i polmoni bruciare per l’odio, la disperazione che aveva cominciato a graffiargli lo sguardo e a fargli tremare il cuore d’angoscia, di consapevolezza.
Di riconoscimento.
Perché erano i suoi stessi pensieri, quelli che Galactus gli stava sibilando nell’orecchio mentre il fiato spezzato gli usciva in rantoli sommessi dalle labbra secche e spaccate per il freddo, il gelo che lentamente  lo stava prosciugando da ogni stilla di calore presente in corpo.
Erano le sue paure, quelle che sentiva sibilare da una voce che non era sua. I suoi dubbi, le sue incertezze, le spiegazioni che aveva provato a dare a ciò che stava vivendo, alla felicità che sentiva, al motivo della presenza di quella creatura al suo fianco.
Ed era proprio il perché della sua vicinanza  a frenare il suo bisogno di amore, il suo desiderio di cedere e lasciare che lei lo amasse, che potesse raggiungere il suo cuore e toccarlo,  e prenderlo, se lo avesse voluto.
Ma aveva paura, ed era un terrore ancestrale quello che ora tornava a rinvigorirsi dentro di lui, il timore di sapere che lei, che Astrid era divenuta sua moglie perché spinta dal bisogno di sdebitarsi per ciò che lui aveva fatto.
Salvarle la vita.
Sapeva di averlo fatto, lo aveva ricordato, lo aveva sentito dalla bocca degli Avengers, e quando lo aveva saputo, la speranza di essere davvero voluto da lei aveva cominciato a vacillare.
Spirito di sacrificio.
Loki sapeva che Astrid ne era capace. Immolarsi per lei era naturale, e farlo per lui sarebbe stato semplice, giusto, ovvio dal momento che lui l’aveva salvata, lui che  doveva essere ripagato per ciò che aveva fatto, per l’attimo di bontà, di umanità nel quale aveva deciso di ridarle il suo cuore.
Un gesto d’amore il suo, lo era stato, lo sapeva, lo credeva, ma un dono che ora dava nuove sfumature, nuovi significati a tutto.
Al perché lei fosse lì, con lui.
Al perché continuasse a rimanergli accanto.
Al perché, semplicemente, non potesse lasciarlo solo.
Pietà e senso di gratitudine.
Non amore.
Non affetto.
Ma ciò che Loki aveva temuto di ricevere dagli altri, per il quale aveva lottato, nella speranza di sapersi comunque odiato, temuto, qualunque cosa, ma non commiserato.
Eppure quello era tutto ciò che aveva ricevuto, che ora, riceveva da lei.
Galactus si lasciò scappare un sorriso quando udì i passi veloci poco lontano da loro, una corsa che avrebbe portato lì chi voleva, chi finalmente avrebbe capito quanto sbagliato fosse tutto quello.
E sarebbe stato proprio lui, proprio l’uomo che stava crollando di fronte a lui, divorato dai dubbi e dalla paura che stava avendo la meglio sul suo raziocinio, su ciò che in fondo al cuore sapeva, erano solo bugie,  menzogne, a darle l'ultimo colpo.
Perchè  Loki era nato da una bugia, e ingannare se stesso e gli altri era naturale, per lui.
Credere di non essere amato era più semplice, per lui.
Perciò accettò ciò che gli veniva offerto, la scappatoia ad un dolore che non era in grado di tollerare, una via di fuga da una felicità che Galactus, con voce suadente e vibrante astio, gli offrì.
- Se così non fosse, se non fosse stata davvero la pietà a convincerla a rimanere al tuo fianco, a sacrificare per te la vita che le hai donato, non credi che dopo tutto il tempo passato insieme, non avesse voluto avere un figlio da te?
Il dolore sordo che lo colpì al petto gli appesantì lo sguardo di lacrime che ingoiò a fatica, il respiro affannato che si faceva flebile e stanco, come il braccio che abbandonò inerte nel corpo di Galactus, sconfitto da ciò che sapeva, lo avrebbe ucciso.
- Non credi che avrebbe voluto dare vita al frutto del vostro amore? O non sei consapevole dell’orrore e del ribrezzo che le avrà fatto il pensiero di avere un figlio da te, un mostro, uguale a te?
Quando finalmente lo lasciò andare, quando Astrid lo raggiunse, fu troppo tardi, per entrambi.
E inorridire di fronte alla presenza oscura accostata a Loki non servì a nulla, chiamarlo e chiedergli se stava bene, non servì a nulla.
Perché Loki non sentiva più niente, se non il vuoto, e stanchezza.
Un’annichilente e antica debolezza che gli fece sentire tutto il peso dei suoi anni, secoli passati a lottare per trovare un posto nel mondo, un posto che però, dopo tutto quel tempo, aveva compreso di non poter avere.
Neanche con lei.
Mai con lei.
Il lampo di luce colpì Galactus al fianco, ma era tornato ad essere inconsistente e impalpabile come l’aria, ma Loki non si muoveva, continuava a darle le spalle, ed o Astrid cominciava ad avere paura.
Paura di non poter controllare il tremore della propria voce, né il dolore e l’angoscia che doveva averle sformato il viso in una maschera di disperazione, perché sentiva, che c’era qualcosa di sbagliato, nella schiena rigida di Loki.
Che doveva essere successo qualcosa, mentre lei non c’era, qualcosa di così orribile da impedirle persino di attirare l’attenzione del dio.
Il dio che non la guardava, né la sentiva.
Un dio che pareva essere diventato ignorante della sua esistenza e del singhiozzio isterico del suo cuore.
- Tesoro-
- Allontanati da lui! – strillò isterica quando vide Galactus ridere sotto il cappuccio, come se vederla cedere, finalmente, lo divertisse, ma lei voleva solo che si allontanasse da Loki, che lo lasciasse in pace, che li  lasciasse in pace ora che lui cominciava a credere, ora che finalmente, era riuscita a farsi accettare.
Pepper tentò nuovamente di bloccarla per un braccio, ma Astrid fuggì dalla sua presa per compiere un paio di passi in avanti, allontanando la folla che ora cominciava a riempire l’androne, gli spettatori di una tragedia che lei non era disposta ad accettare.
E fu con paura che provò a toccargli la spalla, la mano tremante per l’angoscia mentre la bocca secca tentava di schiudersi per pronunciare il suo nome.
- Loki?
Fece male.
Vederlo voltarsi, fece male.
Riconoscere il vuoto di quello sguardo spento,  fece male.
Capire di stare per perdere tutto, ancora,  fece male.
Ma respinse la paura e il dolore, perché doveva essere forte entrambi. Doveva esserlo.
-  Stai bene? – si costrinse allora a sussurrare, la voce resa sottile dalla preoccupazione mentre la mano continuava a rimanere sulla sua spalla e l’immobilità di quelle  pupille cominciava a spaventarla, lui, cominciava a spaventarla.
- Cosa è successo? Ti ha fatto del male? – e la paura quella volta trasparì dalla sua voce – cosa è successo Loki? Ti prego, parla con me. Cosa-
- È così orribile?
La confusone di sentirlo parlare così piano la fece trasalire, e se non gli fosse stata così vicina, Astrid non lo avrebbe sentito, ma lo aveva sentito.
Aveva avvertito il dolore cocente che pareva bruciargli la lingua e la voce e vedeva che era distrutto, annientato da qualcosa che lei non capiva, da qualcosa che lei sapeva, in cuor suo, di non poter combattere, non quella volta.
- Cosa è orribile Loki?
- Il pensiero di poter avere un figlio da me.
Il silenzio che cadde poco dopo il suo sibilo disperato fu smorzato dal gemito che Pepper aveva coperto con la mano mentre gli occhi le si inumidivano nel vedere la schiena di sua figlia tendersi come se l’avessero appena sparata.
- Deve averti fatto ribrezzo, non è così? Pensare di aver in grembo un figlio mio – e la sua voce sembrò riprendere forza, gonfiarsi della disperazione che ora rendeva il suo sguardo lucido e che aveva portato la sua mano a serrarsi attorno al polso gracile di Astrid mentre la vedeva chinare il capo, come ad ammettere la sua colpa.
E fu nel vederla nascondersi sotto i propri capelli che Loki si sentì morire, odiandosi per averle creduto, per aver davvero pensato di poter essere amato da lei, di poter essere stato desiderato così tanto da averla spinta ad aspettarlo in eterno, a concedersi senza remore alcuna.
Perché era tutta una bugia.
L’amore che lei aveva professato per lui.
La devozione con la quale lo aveva seguito e aspettato, accostato nonostante i suoi tentativi di respingerla.
Tutto. Era stata tutta una bugia.
Lui, era una bugia.
- Perché sono un mostro vero? – continuò a rantolare con la voce ingolfata dal dolore mentre qualcuno da qualche parte attorno a lui gli chiedeva di smetterla, di non continuare, di non andare oltre, ma lei avrebbe pagato, come tutti, per quell’amore che gli aveva teso e poi sottratto con tanto crudeltà.
Avrebbe pagato per averlo illuso, per avergli fatto credere di meritarla davvero, di aver trovato in lei il suo posto nel mondo.
- Allora? Il senso di colpa è tanto profondo da averti zittito?
- Ti prego, ora basta – lo implorò Pepper con disperazione, la voce rotta dal pianto che le soffocò la voce quando vide il dolore sommergere sua figlia, mangiarla da dentro.
- Cosa hai-
- Mi hai mentito.
Il suono di quella voce spaventò tutti, lui per primo, persino Galactus non potè impedirsi di trasalire quando la voce del Tesseract sembrò superare la barriera del suono per quanto acuta fu, come lo strimpellare stonato di un violino scordato.
- Mi hai mentito.
- Tesoro-
- Mi hai mentito – e la sua voce si gonfiò di un umore nero, di un’ilarità grottesca che spinse Loki ad abbandonare la presa e indietreggiare di un passo, disorientato da come le spalle della donna presero a tremare sotto la profondità della risata.
Ma quando Astrid alzò il viso non ci fu alcun sorriso a piegarle la bocca, nessun divertimento ad accenderle lo sguardo, solo il tremore convulso di chi sembrava indeciso se scoppiare a ridere o a piangere.
E avrebbe fatto entrambe, se avesse potuto, perché la disperazione era strana, e lei trovò una via di mezzo, in tutta quella follia.
La mano corse ad intrecciarsi ad alcuni ciuffi mentre la sinistra correva a premere il proprio stomaco, come a frenare una risata che non si decideva ad uscire mentre la bocca era piegata in un sorriso triste e guizzava isterica verso il basso per impedirle di rimettere, di vomitare il dolore che la faceva tremare.
Perché non era il riso, a scuoterla, non era la forza della risata trattenuta a gonfiarle il petto e la voce, ma il pianto disperato che Astrid tentava di arginare, ripetendosi che Loki non pensava davvero quelle cose, che lui non poteva sapere, che non ricordava quanto avesse sofferto, quante volte le avesse ripetuto che non gli importava dei figli, che non gli importava di nulla se non di lei.
Bugie le sussurrò la voce isterica del suo cuore, bugie per tenerla calma, per non farle compiere gesti avventati, ma lei lo aveva fatto, ci aveva provato, e lui non lo sapeva.
Lui non sapeva niente.
Niente.
Quando le gambe le cedettero non ci furono mani a reggerla, ma qualunque mano sarebbe rimasta ustionata se avesse tentato di bloccare il suo collasso, una crisi nervosa che esplose assieme all’urlo con il quale si accasciò in ginocchio, le mani corse a serrarsi con forza attorno al capo mentre bruciava e il mondo si sformava sotto la forza del suo dolore.
Ci furono urla di orrore per gli squarci apertisi d’improvviso nel soffitto, come una lama che affonda crudelmente in un lenzuolo sdrucito, stralci di mondi che sulle loro teste parvero  essere sul punto cadere, di schiantarsi come stelle impazzite che avevano perduto la direzione, la via di casa, ma era lei ad aver perduto la via, mentre il mondo attorno si spaccava a metà assieme al suo cuore.
Il panico costrinse molti a riparare sotto le colonne e fissare con orrore gli umani, i non-morti e i Giganti che dalle loro porte sul loro mondo li fissavano con uguale paura, uguale confusione, uguale timore mentre le sue urla aumentavano e sgretolavano, un poco alla volta, ciò che rimaneva di lei, una figura piangente che di dolore bruciava senza avere nessuno a cui reggersi mentre la disperazione e le lacrime la affogavano.
Qualcuno però tentò di raggiungerla, qualcuno ad avvicinarla ci fu davvero, ci provò, ma quando la mano venne respinta, quando la pelle pallida si arrossò per le fiamme che gli venarono il palmo di piaghe e sangue, Loki sentì un grido acuto spaccarlo a metà da dentro.
E quando tornò a tendere una mano, quando provò a raggiungerla, a toccarla, il dolore lo accecò per un istante prima che qualcuno lo afferrasse per le spalle e gli impedisse di perdere un braccio, nel tentativo di afferrarla.
Ma la voce nella sua testa continuava ad urlare, ed urlare senza dargli modo di pensare ad altro se non al dolore che lo squarciava, alla disperazione di sapere che tutto quello non sarebbe dovuto accadere, che la sua mano non si sarebbe dovuta bruciare, che lui non poteva essersi bruciato.
Perché sapeva, sapeva che non sarebbe dovuto accadere, mai , perché bruciare significava essere respinti da lei, dalla sua essenza, dalla sua anima, dal suo cuore, e lui non voleva, lui non poteva essere respinto da lei, non l’avrebbe sopportato.
Eppure era stato lui, era stato lui a costringerla a farlo gli sibilò la voce amara che aveva smesso di urlare, perché voce non aveva trovato più, una voce uguale alla sua,  ma diversa, arrochita dal pianto che gli aveva gonfiato i polmoni e gli impediva di respirare.
Perché era colpa sua, se ora lei piangeva.
Era colpa sua se la sua mano era ustionata.
Era colpa sua e di quella patetica paura che gli aveva fatto dire cose che non pensava, parole risentite di chi di nascondersi non riusciva a smettere, ma ora voleva che lei lo guardasse, voleva solo che lei alzasse il viso e vedesse il suo dolore, il suo pentimento, la sua disperazione.
Ma anche se lei lo avesse fatto, anche se davvero Astrid avesse sentito la sua voce  che la chiamava e implorava il fratello di lasciarlo andare da lei, non sarebbe servito a nulla, perché c’era lui, ora, a dividerli.
Il mostro che nel delirio aveva ripreso forza da quel dolore, rimpolpando l’essenza che lo aveva reso evanescente ma che ora gli permetteva di riempire la mano  del viso che Loki sapeva era suo compito abbracciare nel  proprio palmo.
Quando il cappuccio calò sulle spalle, ogni creatura presente si cristallizzò in un’espressione di paura per la quale Galactus tese un sorriso deliziato prima che le sue orbite vuote tornassero a guardare lei e quei suoi occhi liquidi che il colore acceso delle fiamme rendeva tanto lucide da potersi specchiare attraverso.
Uno sguardo spento che Astrid non mosse da lui mentre un pollice di quella mano le accarezzava delicatamente la gota, scatenando un coro di urla isteriche che non la raggiunsero.
- Povera piccola creatura innocente – la consolò delicato, piegandosi sulle ginocchia per essere lei di fronte e lasciare che il dio degli inganni vedesse ciò che aveva fatto, ciò che aveva distrutto con le proprie mani – non dovresti reagire così mia cara, lui non poteva sapere che tu non puoi concepire.
Thor sentì il corpo che tentava di trattenere divenire un blocco di ghiaccio sotto le proprie dita, un irrigidimento dal quale Loki stentò a liberarsi mentre l’orrore gli gonfiava la gola di un urlo che avrebbe voluto sfogare, di un perdono che avrebbe voluto implorare, e la consapevolezza di non poter provare altro dolore, di non poter reggere altro veniva frantumata da una verità nascosta che Astrid non ebbe la forza di tacere, perduta in se stessa e in quell’universo parallelo nel quale Galactus si specchiava compiaciuto.
- Come nessuno di loro sa che hai tentato di ucciderti buttandoti giù dalle alte montagne di Jotunheim, quando il dolore era diventato troppo da sopportare.
E fu il turno degli umani, di irrigidirsi e trasalire per l’angoscia, per l’orrore che colorò i loro sguardi di disperazione quando una lacrima rigò il viso blu di Astrid nel sentire il suo nome bisbigliato dalle labbra tremanti dei suoi genitori, come a cancellare quanto detto, a diluire un dolore che Loki non riuscì più a reggere, finendo con il lasciare che fosse suo fratello a reggere entrambi, perché lui non ne aveva più la forza, né la volontà.
Perché aveva sbagliato, aveva sbagliato tutto quanto.
Ed era stato lui a mentire per tutto il  tempo, era stato lui il bugiardo, non lei, non chi davanti alla verità lo aveva spinto, spostato di peso per fargli comprendere la profondità di quanto vissuto assieme, di quanto lei lo avesse amato mentre lui, lui non aveva fatto altro che ferirla.
Perché ancora non la ricordava, perché non avrebbe potuto chiedere di dargli l’anello che lei gli aveva raccontato, le aveva donato per renderli l’uno il compagno eterno dell’altro, l’anello che lei aveva promesso di riconsegnargli una volta che avesse ripreso possesso della vita che aveva avuto, per continuare a costruire quella che sarebbe venuta.
Una vita che lui aveva spezzato per egoismo, per paura, per codardia.
- Ed ora guardati, guarda dove ti ha portato il tuo vero amore – e sembrava prenderla in giro, con quel tono lamentoso volto a mostrarle quanto ingenua e stupida fosse stata - a morire di dolore per uno come lui.
E quel lui la fissò, la guardò fino a consumarsi gli occhi, fino ad attirare la sua attenzione e il suo sguardo con la forza della sua disperazione, del suo bisogno di essere guardato, di essere ascoltato, di essere visto da lei.
E quando lei lo guardò, quando quelle pupille che Astrid aveva tenuto mute per tutto il tempo si mossero nella sua direzione, ci fu un guizzo, in quegli occhi, un lampo di qualcosa che Loki non riuscì a comprendere mentre il Tesseract alzava una mano per toccare quella che le reggeva il mento, come in una carezza gentile.
Un tocco leggero, come il battito d’ali di una farfalla, per il quale Galactus sorrise vittorioso, rinvigorito dal sapore della conquista, del trionfo che finalmente, con quel gesto, lei gli aveva riconosciuto.
Un trionfo che però, quel giorno, non fu di chi ci si sarebbe aspettato.
Lo schizzo di sangue che le frustò il viso fu copioso, e rancido, ma Astrid rimase indifferente all’urlo di dolore con il quale Galactus si ritrasse mentre lei buttava in terra il braccio che gli aveva strappato  e si fletteva sulle ginocchia con un ringhio animale che spinse molti ad arretrare con terrore.
E quando la videro caricare, quando la videro spostare di peso la creatura per rigettarla nello squarcio di neve e ghiaccio ci furono urla, a richiamarla a gran voce mentre Jotunheim gridava d’orrore per quella presenza straniera sul suo suolo, un ruggito che Astrid cavò nel colpire Galctusa, una, due, tre volte, fino a quando non lo vide evaporare dal terreno sul quale era accovacciata e che improvvisamente vide tremare.
Il rimarginarsi degli squarci avvenne senza rumore alcuno, ma c’era il grido del vento gelato a graffiarle nell’orecchie, e il passo pesante di chi le stava andando in contro per accogliere lo straniero che nella terra del Giganti aveva osato metter piede, e quando Knut osservò la piccola figura dalle mani e dal viso imbrattate di sangue abbandonata sulla neve ringhiò minaccioso, attirando lo sguardo di chi correndo  lo aveva raggiunto.
Sunniva era ferita, Astrid lo notò con ciò che rimaneva della sua lucidità che andava spegnendosi mentre nel tornare in piedi stirava le dita chiuse in artigli per ripulirsi dal sangue che la sporcava, ma si ritrovò ancor più lercia di prima, senza però curarsene veramente.
Perchè chi l’aveva ferita, chi aveva segnato il viso dell' unica presenza amica in quella terra ostile doveva essere lui, il Re che dal proprio trono era stato spodestato  da un suo simile con arti minuscoli e sottili, un trono che Knut sembrava volersi riprendere ora che a sfidarlo per aggiudicarsi il comando non c’era più una divinità lontana, un re caduto, ma era rimasta la sua regina.
Era rimasta lei.
- Sfida me.
Il sibilo del vento si caricò delle sue parole come l’incoccare di una freccia pronta a colpire il grosso bersaglio rosso che le si stagliava davanti, e il suo, di bersaglio, era altrettanto grosso, e pallido, dalla pelle livida e il viso sfregiato ora arricciatosi in una smorfia divertita, canzonatoria.
Un divertimento che Astrid gli tirò via dal viso con la forza che adoperò per colpirlo al ginocchio e afferrargli il collo, così da averlo ad una spanna dal  viso e mostrargli che c’era ancora lei, da battere, che qualcuno da sconfiggere era ancora rimasto.
- Sfida me.




Continua…

 

* Muspellsheimr:  è il regno del fuoco nella mitologia norrena, qui vivono i Giganti di Fuoco;

Grazie per la lettura,
Gold Eyes
  
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