Due
Dolce Flirt ~
"Con Permesso..."
Capitolo Due.
Su Misura.
Mi
diedi malata per i due giorni seguenti. Quando Leigh mi chiamò
preoccupato gli risposi che, tornando a casa, avevo preso il forte
acquazzone che aveva investito Parigi, buscandomi un pessimo
raffreddore. Al telefono, poi, fu più facile simulare la voce da
ammalata e la tosse. La sua chiamata mi fece molto piacere ma non sarei
mai riuscita a dirgli che la cotta che mi ero presa per lui aveva fatto
sì che alla presentazione di Rosalya il mio cuore andasse in
mille pezzi. Un giorno, chissà, avrei anche potuto scherzarci
su. Ci rimasi malissimo quando conobbi Rosalya, sai? Sì, ero innamorata di te! Ahahah!
Ma ogni volta che immaginavo conversazioni simili mi chiedevo se
sarebbe potuto esserci un futuro in cui saremmo diventati amici. E
visto a come immaginavo una storia d'amore, chi mi diceva che ora
sarebbe potuto essere diverso?
Abbassai la testa sulle ginocchia, lasciandomi andare all'ennesimo
pianto. Sarei voluta sprofondare nelle coperte per non svegliarmi mai
più.
Ma dovetti reagire, tornare al lavoro.
Il sorriso di Leigh era ancora lì, accogliente, a chiedermi se
mi fossi ripresa del tutto e io, con un sorriso mesto che lui
scambiò per il fanalino di coda della malattia, gli dissi che
non doveva preoccuparsi.
Vidi Rosalya passare al negozio molto più spesso; probabilmente
ciò era dovuto al fatto che ora che sapevo la verità i
dettagli ovvi non mi sfuggivano più di mente. Vedevo come mi salutava
superficialmente per poi andare ad abbracciare Leigh e come
quest'ultimo la trascinasse lontano da sguardi indiscreti. Ogni volta
che entravo nel magazzino sentivo una stretta al cuore immaginando che
cosa avessero potuto fare quei due, insieme, lontano dai miei occhi.
Una sera decisi di chiudere il negozio. Leigh, molto stanco per la
settimana passata a cucire moltissimi abiti per un concerto che si
sarebbe tenuto al liceo della sua fidanzata, aveva accolto la mia
proposta con gioia, lasciandomi le chiavi senza battere ciglio. La
verità era che volevo starmene un po' da sola a pensare e, dopo
aver costretto il ragazzo ad andarsene a casa anticipatamente usando la
scusa del concerto che sarebbe potuto passare a vedere, fu ciò
che feci. L'evento si era diffuso in tutta la città quindi
quella sera non entrarono clienti così decisi di abbassare le
claire. Feci la ronda serale del negozio come mesi prima mi aveva
insegnato a fare il corvino e poi passai al magazzino sul retro. Prima
di andarmene avevo pensato di metterlo un po' a posto. Dopo settimane
di lavoro, infatti, c'era stoffa ovunque e fogli di carta sparsi sui
tavoli e sul pavimento. Sbuffai ma, decisa, presi un sacco
dell'immondizia. Buttai via tutti i ritagli di stoffa e i disegni
accartocciati, suddividendo con cura i materiali per il riciclo.
Impilai i vestiti su di un tavolo e ammucchiai in un unico fascicolo i
disegni, le bozze e le annotazioni che ad essi si riferivano. Messo a
posto la parte superiore, passai al pavimento. Con una scopa passai
tutto, raccogliendo più polvere e pezzetti di stoffa e carta di
quanti avrei mai immaginato, poi, con un mocio, lavai l'intera
superficie. I venti minuti abbondanti che servirono per far asciugare
il pavimento li passai a rassettare il negozio stesso, mettendo in
ordine il bancone e le scartoffie ad esso collegate. Ormai si stava
anche facendo tardi e tra non molto avrei dovuto tornarmene a casa; ma
non mancava molto: dovevo solo appendere gli abiti sulle grucce e
riporli in un sacco di celofan così da non esporli all'aria e
alla troppa luce. I vestiti devono essere trattati con amore.
A metà del mucchio scorsi un vestito che riconobbi subito. Tra
tante creazioni di Leigh trovai quello che lui aveva deciso di cucire
seguendo un mio modello. Lo presi e lo mossi per la stanza. Sembrava
bellissimo anche se molto lontano dall'idea su carta. Così ebbi
una folle idea: provarlo. Mi dissi che, visto che non c'era nessuno,
non avrei corso rischi né avrebbero potuto dire niente in caso
contrario dal momento che ero la madre di quell'abito. Sfruttai i
camerini del negozio ma nemmeno mi guardai nel piccolo specchio al loro
interno. Visto che ero in ballo, volevo concludere quella folle danza
nata dalla pazzia. Presi i miei vestiti e ritornai nel magazzino, dove
li appoggiai sul primo tavolo che incontrai. Poi mi mossi
meccanicamente con il cuore che mi batteva a mille verso l'enorme
specchiera. Volevo vedermi dall'alto di quel piedistallo, riflessa
all'infinito da uno all'altro sotto diverse prospettive. Volevo vedermi
importante, per una volta. E ci riuscii.
Mi sentii bellissima. Il vestito era perfetto sia per la realizzazione
sia per le misure. Cadeva perfettamente sul mio corpo, come se fosse
stato fatto apposta per me. Ogni piega era al posto giusto, ogni ombra
ricadeva come volevo io e io... Nel riflesso di molteplici specchi
riuscii a vedere una parte di me che non conoscevo. Mi vidi quasi
completamente pur sembrandomi sempre diversa da ogni angolazione. Da
una parte ero esaltata, perché la situazione in cui mi trovavo
era delle migliori, euforica per essere riuscita a mettermi quel
vestito ancora incompleto a cui mancavano i dettagli ma già mi
sembrava perfetto; in un altro riflesso però mi sembravo
abbattuta e triste che nessuno potesse ammirare la mia bellezza e
quella dell'abito cucita da Leigh; nel terzo, quello centrale, potevo
benissimo vedere i miei occhi spavaldi guardare dritti davanti a loro,
consci di una nuova arma al loro arsenale con cui avrei potuto
conquistare il ragazzo delle mie fantasie; nel riflesso di fianco, mi
sentivo quasi una diva, con la luce dei faretti perpendicolare che
avrei potuto scambiare per il flash di una macchina fotografica; e
l'ultimo, il più triste, da cui si capiva il mio grande senso di
vuoto, come lo spacco nella gonna bombata e la parte di schiena
lasciata nuda. Più mi guardavo e più vari sentimenti
contrastanti riuscivano ad impossessarsi del mio cuore. Inutile era
cambiare posizione, portando più avanti una gamba dell'altra,
piegandomi leggermente in avanti per mostrare la scollatura che mi
stringeva il seno rendendolo più visibile e 'compatto',
girandomi per vedere la prospettiva mancante, spostando i capelli dal
grosso buco nel vestito che, secondo l'originale, avrebbe dovuto avere
un nastro nero. Cercai anche di cambiare pettinatura, usando le mani
come dei pettini e delle mollette. Ma non mi soddisfaceva nessuna. Mi
sentivo bella, potente e così forte da riuscire a stendere tutti
gli uomini ai miei piedi, a farli girare al mio passaggio; ma un'altra
parte di me sapeva che tra le schiere di giovani che mi avrebbero
desiderata non ci sarebbe stato lui, l'unico che volevo.
Sorrisi amaramente verso il mio riflesso principale che sembrava
volersi prendere gioco di me. Così bello e seducente,
così diverso dalla me di ogni giorno, ma con lo stesso sguardo
triste di sempre. In fondo, non ero affatto cambiata, dentro: un abito non poteva migliorare la situazione.
«Manca
il nastro» sussurrò una voce dal nulla, mentre una mano mi
sfiorò la schiena. Un brivido di piacere mi percorse il corpo
seguendo il tocco caldo e dolce. Quando mi girai già sapevo di
chi si trattava e il mio volto imporporato di certo non aiutò.
Leigh stava sotto ai miei occhi, una decina di centimetri più
basso di me e, dall'alto di quel piedistallo, sembrava dannatamente
più bello. Il sorriso amaro che avevo visto nello specchio lo
ritrovai sul suo volto. «Mancano ancora tanti dettagli» disse «Non avresti dovuto indossarlo...»
Mi sentii colpevole, sporca, come se avessi tradito la sua fiducia. Il
fatto che fosse saltato fuori dal nulla, in quel momento, non mi
passò nemmeno per la testa. Avrei dovuto essere spaventata e
offesa per il suo arrivo improvviso ma ciò che riuscivo a
pensare era a quanto fossi felice di vedere ancora il suo volto,
nonostante ciò che avesse detto. Lo vidi spostare lo sguardo su
di me, indagandomi a fondo. Portai i miei capelli davanti al corpo,
lunghi abbastanza da riuscire a coprire parte della pelle nuda ma mi
bloccai quando sentii le sue mani appoggiarsi ai miei fianchi nel
tentativo di farmi scendere. Capii al volo le sue intenzioni e mi mossi
senza pensarci due volte: per quanto fosse bello e io innamorata di
lui, non dovevo mai dimenticarmi che lui era il mio capo. Appoggiai i
palmi delle mani sulle sue spalle e, facendo leva su di esse, scendi
con un piccolo balzo dalla piattaforma circolare. Nel fare ciò
la gonna si gonfiò ulteriormente, ricordandomi molto una scena
di Marilyn Monroe.
«Sei
bellissima» mi disse ad un tratto. Le mani ancora appoggiate a me
e un sorriso diverso dal solito sul volto. Mi persi nei suoi bellissimi
occhi neri lasciando che le mie mani andassero a percorrere parte del
suo petto, fermandomi a metà di esso. Era un momento bellissimo
con sensazioni mai provate prima. Il viso avvampava e il cuore batteva
a mille. Cominciai ad avere sempre più caldo. Una sua mano si
staccò da me per andare a spostarmi i capelli dal davanti e,
facendo ciò, non riuscì a nascondere un'occhiata ben
assestata sul mio seno stretto dal vestito. Durò un attimo,
dopodiché mi ritrovai di nuovo a guardarlo. Scrutava il mio
viso, cercando di coglierne i piccoli particolari.
Ma che stava succedendo? Tutto questo mi sembrava tratto da un film
d'amore quando la protagonista corona il suo sogno. Tutto ciò
era così romantico, forse troppo.
«Perché?»
chiesi in un fil di voce. Per la prima volta gli parlai, dicendo forse
la cosa meno appropriata. Il suo volto cambiò espressione: si
era stupido alle mie parole ma subito dopo si riaccese in un nuovo
sorriso, ancora più bello; uno che non avevo mai visto rivolgere
a Rosalya. Mi sentii importante e cominciai ad avere la sensazione che
anche il suo cuore aveva aumentato i battiti. Mi spostò
dolcemente una ciocca di capelli tornando a guardarmi nella mia
interezza. «Perché, dici? Forse perché comincio a non capire più niente quando ci sei tu...» disse, dondolando lentamente la testa da destra a sinistra seguendo il ritmo dolce delle sue parole «Mi
sento così strano» le sue mani cominciarono a risalire
pian piano dai fianchi, assestandosi sotto al seno «Persino
Rosa se n'è accorta» disse la cosa sbagliata. Abbassai lo
sguardo e girai la testa, sperando che non riuscisse a sentire il
dolore che quel nome mi aveva provocato. Non volevo sentirlo, non
adesso. Mi morsi le labbra per trattenere delle lacrime sulle ciglia.
Volevo ricacciarle dentro prima che Leigh potesse vederle ma non mi
lasciò il tempo. Una mano sotto al mento mi riportò il
viso dov'era prima, questa volta troppo vicino a quello del ragazzo.
Chiusi chi occhi, istintivamente, e le lacrime sfuggirono al mio
controllo, fermate però dalle dolci labbra del corvino, posatesi
sui miei occhi, prima sul dentro, poi sul sinistro. Rialzai le palpebre
quando smisi di sentire un contatto. Il suo viso ancora troppo vicino
al mio, tanto che riuscii a vedere un rossore sulle sue gote. «Se
piangi, ci sto male anche io, sai? Sei più bella quando
sorridi» mi sussurrò senza lasciare la sua posizione. Il
mio cuore saltò un battito e, istintivamente, portai una mano
davanti alle labbra. Ero emozionata, come se si stesse avverando un
sogno d'amore. Ma la mano di Leigh, più forte della mia, me la
strappò da davanti e subito le sue labbra si appropriarono
finalmente delle mie. La tensione venutasi a creare si stava finalmente
sciogliendo. La mano ancora stretta al mio corpo scivolò sulla
schiena per avvicinarmi a lui che si appoggiò completamente a
me. Mi baciò con trasporto, più di chiunque altro avessi
mai baciato. Fu bellissimo, perfetto. Le nostre mani che intrecciarono
le dita e le labbra che si cercavano vicendevolmente. Tentai di
mordergli un labbro e lui rispose con un oddio
sbiascicato. Mollò tutto, prendendomi le guance tra le sue mani
per stringermi ancora di più a lui. Ogni suo movimento sembrava
volermi uccidere di piacere; non avevo mai provato sensazioni simili
prima. Ma come tutte le cose belle, dovemmo staccarci per riprendere
fiato. Il suo volto paonazzo e le labbra gonfie, socchiuse per far
uscire il respiro affannato. Le sue mani ancora sulle mie guance per
accarezzarmele e sfiorarmi le labbra con i polpastrelli. E solo allora,
in un attimo di lucidità, ebbi la forza di fargli quella
fatidica domanda.
«E Rosalya?».
Il suo sguardo vacillò per un istante. Abbassò il capo ma
lo riportò subito come prima. Uno sguardo diverso, deciso ma
anche freddo si posò sul mio volto ma ebbi come l'impressione
che non mi stesse guardando. «Lei
sta diventando insopportabile. Ha cominciato a dire che dovevi
andartene e, più lei parlava, più mi rendevo conto di
essermi innamorato. E aveva ragione, tu sei una minaccia per
lei». Sentii il cuore chiudersi a riccio dentro al mio petto e
venire ricoperto da uno strato di ghiaccio.
«Quindi non vi siete lasciati?»
le lacrime ricominciarono a inondare gli occhi e sentivo che questa
volta non sarei riuscita a trattenerle. Mi morsi il labbro inferiore,
cercando un minimo di contegno, ma il viso di Leigh si addolcì
per poi stringermi in un dolce abbraccio. Potei inspirare il suo
profumo. E mi strinsi forte a lui quando disse che la sua attuale
storia sarebbe finita presto. Ma io non volevo essere la terza
incomoda: non avrei permesso alla sua ragazza di attribuirmi tutta la
colpa. Feci leva sul suo corpo per allontanarmi da lui. Mi asciugai le
lacrime e lo guardai fissa negli occhi, respingendo ogni altro suo
contatto.
«Non
si può fare, così. Non voglio essere nascosta all'ombra
di lei» cercai di mantenere un tono duro e convinto nonostante il
mio cuore gridasse altri baci, altre carezze. Non potevo, non volevo cedere.
Leigh abbassò il capo e, dandomi le spalle, se ne uscì dal magazzino senza dire niente.
Il giorno successivo, quando arrivai al negozio, trovai solo un
biglietto. Tutto il coraggio raccolto la mattina si sciolse nell'aria
insieme ad un insostenibile peso sul petto. L'idea di vederlo, quel
giorno, non mi andava di certo, soprattutto per quanto ancora mi
bruciassero le sue mani su di me. Ero sicura che, rivedendolo, avrei
ceduto ai miei istinti, saltandogli addosso senza pensarci due volte,
ma il destino aveva deciso di darmi una mano, ancora una volta. E
così fu anche per il giorno successivo. Di Leigh e Rosalya non
si ebbero notizie e io continuai a lavorare come se nulla fosse.
Servii, se possibile, più clienti di quanto non abbia mai fatto
ma riuscii a trovare anche il tempo per prendermi un gelato. Alla
chiusura del locale pulii tutto. Vidi il mio abito nero, appeso al
muro. Il giorno precedente non c'era, ne ero sicura! E non solo, aveva
tutti i dettagli del disegno. Mi avvicinai, incantata, per ammirarlo
meglio. Con indosso quello avevo ricevuto il primo bacio dalla persona
di cui ero innamorata. Sfiorai la stoffa con le dita e un brivido mi
percorse la schiena. Risentii le mani calde e possessive di Leigh
sfiorarmi nel profondo e le sue labbra sulla mia pelle. Fu bellissimo,
fino a che non riaprii gli occhi e mi accorsi che niente era reale.
Ebbi un attimo di sconforto ma poi decisi di non pensarci. Era ora di
chiudere il negozio e di lasciarmi dietro alle spalle i pensieri e i
ricordi legati a quel posto. Mi sentivo pian piano schiacciarmi dal
peso delle mie azioni e l'idea di licenziarmi stava prendendo piede
nella mia mente.
Uscita dal locale m'imbattei in una coppietta felice che passeggiava
per la via. Lui, con un'insolita capigliatura azzurra, e lei, con dei
lunghi capelli rossi, entrambi con un sorriso sincero sul volto. Lei si
teneva al suo braccio, parlando animatamente di qualcosa che lui stava
ad ascoltare divertito. Li invidiai, pensando a me e al mio capo in
quella situazione. Avrei dato qualunque cosa per essere al loro posto,
per poter ridere gioiosamente degli aneddoti quotidiani di Leigh.
Scappai più velocemente che potei da quella visione così
serafica e, prima di rendermene conto, avevo aperto la porta del mio
appartamento per buttarmi sul letto e addormentarmi in lacrime.
Quando aprii gli occhi, era mattina inoltrata, troppo tardi per
l'apertura del negozio. Il cellulare squillava incessantemente e il
nome di Leigh lampeggiava sullo schermo. Cos'avrei dovuto fare?
Rispondere? Presi il cellulare ma mentre ancora decidevo che fare, la
chiamata si chiuse da sola, mostrandomi un quantitativo esorbitante di
altri contatti, sempre da parte della stessa persona. Ventisette
chiamate e cinque messaggi.
"Dove sei? Va tutto bene?"
"Spero sia tutto a posto. Io ti aspetto qui..."
"Ora comincio a preoccuparmi. Rispondi, ti prego!"
"Ok, che succede? Rispondi, per favore"
"Se non ti sbrighi vengo a casa tua"
Sorrisi nel leggere ogni messaggio, fino all'ultimo quando mi prese un
colpo. Avrei dovuto richiamarlo subito ma fui fermata dall'ennesima sua
mossa. Un altro messaggio. "Sto arrivando. Sono sotto casa tua". Cosa?!
Inizialmente pensai di scappare, di buttarmi dalla finestra quasi
dimenticandomi di essere al secondo piano. Poi cominciai a realizzare
di non avergli mai detto dove abitassi né lo avevo mai portato
al mio appartamento. Come faceva, dunque, a sapere del mio
appartamento? In effetti, anche il mio numero di cellulare non
gliel'avevo mai dato ma, quando mesi prima ricevetti una sua
telefonata, ero così felice da non averci mai fatto caso.
Mi vestii in tutta fretta, rendendomi un minimo presentabile. Avevo
intenzione di fiondarmi in strada per andargli incontro prima che
potesse arrivare al mio unico nascondiglio, il mio rifugio segreto.
Indossai di fretta e furia il primo paio di scarpe che mi ritrovai
davanti e, aprendo la porta, mi tuffai sul pianerottolo. Almeno, quello
era il mio intento, ma finii addosso a qualcosa; anzi, qualcuno. Ancora
prima che parlasse, il mio cuore già urlava il suo nome. Ancora
prima che io potessi alzare lo sguardo, il suo dolce profumo mi stava
dicendo chi era. Non volli alzare la testa, sommergendo il viso tra i
suoi vestiti mentre portavo le mani ai lati del mio volto.
«Perché sei qui?»
chiesi ancor prima di guardarlo. Prima della sua risposta, le sue
braccia mi cinsero il corpo e le sue mani presero ad accarezzarmi la
schiena. Alzai
finalmente il capo. I miei occhi incrociarono i suoi, neri e profondi.
«Ero preoccupato che ti fosse successo qualcosa» disse. A
stento riuscii a trattenere le lacrime. Il suo tono, i suoi modi, tutto
di lui era perfetto. Avrei voluto che mi stringesse a sé per
l'eternità, baciarlo fino alla fine dei miei giorni. Ma sapevo
fin troppo bene che non sarebbe stato possibile.
«Sto bene» gli dissi, reprimendo qualunque emozione. Ma lui mi strinse ancora a se. «Meno
male» sospirò all'altezza del mio orecchio. Una sua mano
tra i miei capelli e il suo respiro calmo sul mio collo.
Poi mi staccò da sé. «Stasera... Aspettami!».
Non capii cosa volesse dire ma non mi diede il tempo per fargli alcuna
domanda. Appoggiò le sue labbra sulle mie e poi scomparve,
giù per le scale.
Quel piccolo bacio riaccese il mio cuore. Sì, avrei aspettato per sempre.
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