VENTISEIESIMO
"Oh! Lady Doll, Lady Doll!
Is this the end?
Under blue skies and shining eyes.
When a call changes your life…
And decides your destiny.
Did you even care?”
-
Da dove hai tirato fuori quell’aggeggio? –
Max
stava sulla soglia tra il soggiorno e il bagno. I capelli umidi gli ricadevano
sulle spalle in grossi ciuffi scomposti, il viso era ancora arrosato dal tepore
della doccia, il suo fisico snello era invece fasciato da un accappatoio blu
scuro. Aveva i piedi nudi, ma il pavimento freddo non sembrava dargli fastidio
mentre attraversava la stanza a lunghi passi avvicinandosi sempre più al tavolo
del soggiorno.
Rei
alzò sorpreso lo sguardo oltre lo schermo del portatile. Le sue iridi si
assottigliarono mentre l’amico si avvicinava, tuttavia sfoggiò come suo solito
un sorriso gentile.
-
Era nell’armadio della dispensa. L’ho trovato per puro caso… sono persino
riuscito a rubare la connessione ai vicini! – Un sorriso felino gli incurvò le
labbra esponendo alla vista i suoi canini pronunciati.
Max
si avvicinò con rinnovata curiosità al pc, aggirando il tavolo per mettersi
alle spalle dell’amico. La sorpresa del momento gli fece quasi scordare il
motivo della sua inquietudine, ma, non appena vide la pagina web che Rei stava
visitando, tutta la serietà del caso gli incupì nuovamente il volto.
Cogliendo
il significato dell’improvviso silenzio del biondino, l’altro si affrettò a
spiegare.
-
Volevo farmi un’idea di come stanno le cose. La notizia ormai è di dominio pubblico
e ovviamente è arrivata fino al Giappone. –
L’americano
muoveva su e giù i profondi occhi blu, in maniera quasi frenetica, passando
rapido da una notizia all’altra, scorrendo gli articoli e talvolta
soffermandosi più a lungo su qualche espressione o vocabolo che maggiormente
attiravano la sua attenzione. Era felice di poter finalmente riuscire a leggere,
in una lingua a lui comprensibile, quello che stava accedendo nel mondo, ma,
tristemente, nessuna di quelle notizie sul “caso Hiwatari” lo faceva sentire
meglio.
Nulla
di nuovo, sia chiaro, i fatti ormai li conosceva; accusato, fuggiasco,
ricercato, sospetti su eventuali complici, ricerche ancora in corso… C’era
tuttavia un aspetto totalmente nuovo di quella vicenda a cui finora, si rese
conto, non aveva dato il giusto peso.
Ovviamente
loro, lontani dal comprendere le notizie in cirillico dei quotidiani russi e
interessati principalmente alla parte “concreta” dei fatti, non avevano ancora
avuto occasione di saggiare la vera tragedia che si stava compiendo.
Kei
era semplicemente rovinato.
La
sua immagine, la sua reputazione, tutto il rispetto che aveva accumulato in
quegli anni… distrutti.
I
giornalisti sembravano in competizione fra loro; una macabra concorrenza
impegnata a distorcere e a storpiare le notizie riguardanti il famoso blader.
Lo dipingevano come un ragazzo disturbato, avido, viziato, violento… tutte
quelle occasioni in cui Kei si era inavvertitamente messo in cattiva luce erano
state riproposte attraverso un filtro di scherno e diffamazione. Prima era il
teppista, ex capo di una banda, che si divertiva a distruggere i bey blade dei giovani aspiranti giocatori, poi diventava il
ragazzo bramoso, capace di attentare all’incolumità del suo unico parente per
ottenere l’eredità. Era stato scavato nel suo passato in cerca di ogni suo
possibile sgarro e talvolta ai fatti reali si affiancavano vere e proprie
calunnie. I suoi fan erano abbattuti, delusi, confusi da tutta quella
denigrazione, in pochi mantenevano ancora una certa fiducia. Nondimeno, l’opinione
pubblica, soprattutto di chi, alla fin fine, poco importava se aveva vinto
qualche gara di trottole, era davvero, davvero, impietosa.
-
E’ orribile… -
Fu
solo un sussurro, ma esprimeva tutto ciò che in quel momento Max provava.
Rei
si accigliò comprendendo appieno i sentimenti dell’americano. Scorse con il touch pad fino in fondo la
pagina; in un angolo, un breve trafiletto di poche righe parlava di loro.
“Sono ormai quasi una conferma i
sospetti della polizia riguardo i possibili complici di Hiwatari. Secondo la
dichiarazione di un dipendente della corporazione, il direttore del noto
monastero gestito dall’impresa in Russia, Yuri Ivanov avrebbe aiutato Kei nella
fuga. Per quanto riguarda i componenti della sua squadra, i Blade Breakers,
restano ancora dubbi riguardo il loro ruolo nella vicenda, nonostante le
testimonianze schiaccianti, aggravato sicuramente dalla loro irrintracciabilità. A loro favore si schiera il presidente
della BBA, il sig. Daitenji, assicurando la completa
innocenza dei tre ragazzi. Il magnate del Bay non ha
lasciato alcuna dichiarazione ufficiale riguardo a dove i campioni possano
trovarsi, tuttavia, secondo alcuni che lo hanno udito, sembra convinto che
anche questi siano impegnati nelle ricerche del loro compagno.”
-
Sta guadagnando tempo… -
Max
si sedette sul bordo del tavolo guardando Rei di sottecchi. Sapeva a chi si
riferiva.
-
Daitenji sa che stiamo aiutando Kei. – Continuò il
moretto. – Sono convinto che stia temporeggiando per permetterci di prendere
una decisione. Capisce quanto sia difficile per noi e vuole darci tempo per
fare la scelta giusta. –
-
Pensi che anche lui voglia che lo denunciamo? Denunciare un nostro amico
sarebbe la scelta giusta? Non stai forse presupponendo un po’ troppe cose da un
semplice trafiletto? –
Rei
incrociò lo sguardo con Max, lesse disappunto nei suo occhi, ma anche
comprensione.
-
Perché esporsi in questo modo se non per mandarci un messaggio per spronarci?
Per dimostrare la sua fiducia in noi? –
Max
abbassò il capo sviluppando un improvviso interesse verso le sue dita dei
piedi. Le mosse distrattamente mentre rimuginava tra sé.
-
E quel coso da dove salta fuori? -
I
due ragazzi alzarono il capo all’unisono in direzione della cucina. Rei vide il
giapponesino sulla soglia con due tazze fumanti di caffè. Il suo volto era
teso, ma sembrava meno ansioso rispetto a un’ora prima. Si avvicinò un po’ impacciato
verso di loro prestando attenzione a non rovesciare il liquido bollente.
Appoggiò le bevande di fronte ai due amici e con un balzò piombò loro alle
spalle per meglio osservare lo schermo del computer.
-
E’ di Evan… -
Max
stava per aggiungere altro, ma si accorse che il moretto non lo stava più
ascoltando tanto era intento a leggere le notizie dei quotidiani virtuali.
Sul
suo volto Rei vide passare le stesse emozioni che poco prima avevano alterato i
lineamenti del biondino: curiosità, ansia, preoccupazione, orrore, ira.
-
Ma stiamo scherzando?! Sono tutte bugie! -
I
suoi due compagni di squadra sapevano bene che il loro capitano stava
chiaramente riferendosi a Kei, ma prima di parlare attesero che l’altro
leggesse fino in fondo. Takao si impossessò del portatile inserendosi quasi con
prepotenza tra loro, scorrendo le pagine e assimilando tutte quelle nuove
informazioni. Sconsolati, Max e Rei si fecero da parte ben consapevoli
dell’impulsività del loro amico. Il biondino cominciò a sorseggiare il caffè
preparato da Takao, il cinese invece si limitò a scaldarsi le mani con la tazza
ancora calda; quando vide una smorfia di disgusto arricciare il naso
lentigginoso del biondino, capì di aver agito bene scegliendo di non bere la
brodaglia di Takao. L’americano riappoggiò la bevanda sul tavolo e non la toccò
più.
-
Che il presidente Daitenji abbia in mente qualcosa
per aiutarci? –
Max
lo osservò con interesse, non avendo ancora interpretato le azioni dell’uomo
sotto quel punto di vista. Tuttavia Rei lo aveva già fatto e, in ogni possibile
scenario che aveva delineato, l’aiuto del loro presidente sarebbe valso a poco,
se non per garantire la loro buona fede.
-
Non credo Takao. E’ probabile che stia semplicemente guadagnando tempo nella
speranza che riusciamo a risolvere questo problema. -
Ovviamente
sapeva che il signor Daitenji non era uno stupido;
sicuramente aveva già immaginato che il loro primo pensiero sarebbe stato
quello di dare soccorso al loro amico, tuttavia sapeva anche meglio di loro che
di fronte a una simile situazione avrebbero avuto ben poche possibilità di dare
un aiuto concreto. Rei era convinto che Daitenji
confidasse nel loro buon senso, ovvero che fossero in grado di capire quando
era il momento di farsi da parte e tirarsi fuori da quell’impiccio, così da non
restare travolti da quella bufera di diffamazione che aveva già rovinato il
loro amico.
E
quale modo migliore se non denunciarlo direttamente alle autorità?
“Sembra convinto che anche questi siano
impegnati nelle ricerche del loro compagno.” Era questo che diceva
l’articolo.
Perché
cercarlo se non per consegnarlo alle forze dell’ordine?
Sebbene
in maniera non ufficiale, Daitenji cercava di
mostrarli positivamente al pubblico. In fondo era proprio l’opinione “del
popolo” che avrebbe potuto aiutarli in quel momento. Passando per dei bravi
cittadini che volevano solo riconsegnare alla giustizia un loro amico finito
sulla cattiva strada, poco importava se non avevano collaborato con la polizia,
se la sarebbero cavata forse con qualche sanzione minore, ma la loro immagine
sarebbe rimasta immacolata.
Ma
questo poteva accadere solo consegnando effettivamente Kei.
Rei
si passò nervosamente la mano fra i capelli, ormai era diventata un’abitudine,
e i nodi prolificavano.
L’intera
squadra era a rischio. Uno di loro era irrimediabilmente perso, ma il resto
poteva ancora essere recuperato.
Era
una scelta crudele, che andava contro tutti i suoi principi di amicizia, ma Kei
era colpevole. Lo diceva la polizia, lo diceva Yuri, lo diceva persino lo
stesso Kei. Se davvero era così, se davvero aveva compiuto un simile gesto, era
giusto che ne rispondesse.
Tuttavia
Rei aveva un terribile presentimento, quella quasi certezza che vi fosse
qualcosa che doveva essere ancora loro svelata, qualcosa che solo il russo
poteva raccontare, ma, soprattutto, temeva che, una volta venuti a conoscenza di
questo fatto, per loro sarebbe stato impossibile agire secondo logica e
restarne incolumi.
Ne
aveva il terribile sospetto.
Eppure
non voleva dare ascolto a quel presentimento. Forse era meno forte di quel che
credeva; forse era veramente più interessato alla sua incolumità che alla sorte
di un suo amico.
Si
chiese se Takao si rendesse davvero conto di tutto ciò e se la sua ostinazione
fosse un’altra prova della sua prontezza di spirito. Aveva davvero quella forza
che a lui mancava? In fondo, non era un caso se alla fine era lui il loro
capitano. Takao era irruento: agiva, pensava poco e seguiva i suoi principi,
che finora non lo avevano mai tradito. E’ sempre il solito dilemma: genio o
follia?
In
quel momento tuttavia non lo invidiava per nulla, sapeva bene che alla fine
sarebbe stato lui a mettere fine a quel discorso. Si domandò solo se lui stesso
sarebbe stato in grado di seguirlo in caso la sua decisione si fosse rivelata
diversa dalle proprie aspettative.
Max
a un certo punto afferrò il portatile voltandolo verso di sé. Ignorando le
proteste di Takao cominciò a smanettare. Sia il cinese che il nipponico non
avevano una visione diretta dello schermo e non potevano farsi un’idea di ciò
che il loro amico stava combinando.
-
Eccolo! -
Il
biondino sorrise incurvando le labbra in quel suo tipico ghigno felino e, dalla
sua posizione di sbieco, Rei lo vide digitare sulla tastiera la sua mail. Prima
che i due moretti potessero interrogarlo sulle sue intenzioni un suono attirò
la loro attenzione. Era l’effetto acustico che annunciava l’avviarsi di Skype.
Rei
e Takao si accigliarono.
-
E’ online! – Esultò di nuovo fra sé il biondino.
Ecco
che partiva la suoneria di chiamata.
Qualcuno
rispose.
- _ . - ° * ° - . _
. - ° * ° - . _ -
Quando
aveva visto il nome del contatto che lo stava chiamando non credeva ai propri
occhi.
Aveva
passato giorni nel tentativo di rintracciarli e ora riapparivano magicamente
dal nulla.
-
Hiromi! Hiromi! Vieni qui,
presto!! –
La
ragazza alzò incuriosita la testa dal quotidiano e avvertendo il tono di
urgenza dell’amico si precipitò al suo fianco.
Nel
frattempo Kyoju aveva appena accettato la chiamata e
proprio in quell’istante il faccione lentigginoso di Max apparve sullo schermo
della conversazione.
-
Max!! Sei proprio tu! Dove siete finiti?? Dov’è quell’imbecille di Takao!? –
Hilary aveva cominciato a strillare con enfasi contro il portatile scuotendolo
quasi si trattasse dell’americano in persona.
-
Hiromi, datti una calmata, così lo distruggi! -
Il
tecnico della squadra le strappò il proprio pc dalle mani riappoggiandolo con
cura sulle proprie ginocchia, con un gesto che sembrò quasi paterno passò una
mano lungo i bordi dell’aggeggio assicurandosi che non avesse ricevuto botte.
-
Scusami tanto Prof. K, mi sono fatta troppo trasportare dalla sorpresa… – La
ragazza si rese conto di aver agito in maniera troppo impulsiva e per scusarsi
si sedette accanto a lui in un silenzio religioso, poggiando la schiena sul
parapetto della terrazza.
Si
trovavano sul tetto della scuola. Era una giornata splendida; cielo terso di un
celeste splendente, senza una nuvola e con un sole caldo che non faceva troppo
pesare la fresca aria di fine autunno.
-
Max? Mi senti? –
Kyoju
vedeva il biondino parlare, ma non sentiva la sua voce. Abbassando lo sguardo
sulla spia della tastiera si diede da solo dello stupido e con un colpetto del
dito attivò l’audio del pc.
-
…lary? E’ Hilary quella vicino a te? Mi senti? – La
voce suonava un po’ ovattata e il suo accento americano risultava così più
marcato, tuttavia le sue parole erano comprensibili.
-
Si sono io Max! – La ragazza si sporse verso la webcam salutando con la mano il
biondino. Era così entusiasta che sembrava quasi una bambina delle elementari.
-
Ma stai parlando con il Prof. K!? - Dietro l’americano comparvero
improvvisamente due testoline more, che presto si rivelarono essere Takao e
Rei. Sembravano stupiti tanto quanto loro.
-
Siete tutti li! – Il volto del tecnico si rilassò per il sollievo, era felice
di poter finalmente rivedere i suoi amici. – E’ da giorni che proviamo a
contattarvi! Abbiamo visto i notiziari! Dov… - Hiromi lo precedette. – Come sta Kei? E’ lì con voi?! –
-
Lo stavo chiedendo io! –
-
Shh! Non sento quello che dicono! –
Il
ragazzino incrociò infastidito le braccia al petto, esasperato da tutta quella
esuberanza femminile.
-
Kei è qui con noi, ma è malato… - Questo era Rei.
La
qualità della chiamata era relativamente scarsa, così come la risoluzione
video, tuttavia Hiromi e Kyoju
si resero ugualmente conto del livello di stress che stavano affrontando i loro
amici. Tutti e tre avevano l’aria distrutta; il volto sfibrato, gli occhi
cerchiati da ore di sonno mancate e, nonostante non si vedessero da un sacco di
tempo, non sembravano così entusiasti di rincontrarsi come avevano sperato.
Avevano l’aria di aver passato davvero dei brutti momenti.
Qualcosa
di grave stava accadendo e i due giapponesi se ne resero conto quando videro
Takao farsi avanti e, fissandoli con uno sguardo carico d’angoscia, chiese loro
notizie riguardo il presidente Daitenji.
Anche
Hiromi cambiò atteggiamento facendosi improvvisamente
seria. – Se vuoi delle risposte, dovrai prima spiegarmi quello che sta
succedendo Takao. –
Passò
una mezz’ora buona prima che i Blade Breakers ebbero finito di raccontare le
vicende che li avevano tenuti impegnati fino a quel momento. Il Prof. K e
Hilary erano rimasti concentrati sulle voci dei loro amici, in parte perché
l’audio ogni tanto vacillava e in parte perché non riuscivano a credere alle
loro parole. Quell’aria di spensieratezza e di gioia che li aveva visti
rispondere eccitati alla chiamata dei loro amici si era presto dissipata. Anche
loro erano ora appesantiti da quelle nuove rivelazioni; la consapevolezza che
Kei fosse realmente colpevole e non un mero equivoco, come avevano sperato, era
davvero terribile e la prospettiva che si proponeva loro era tutt’altro che di
conforto.
La
cosa tuttavia peggiore era che i due non avevano nessuna alternativa, nessun
consiglio, nessuna idea in grado di aiutare i loro amici. Se ne stavano lì,
tutte e tre in attesa di una loro opinione, ma tutto quello che potevano
offrire era unicamente la loro solidarietà.
Dopo
un breve attimo di silenzio il ragazzino col pc decise di dare voce ai suoi
pensieri.
-
Mi spiace Takao. Non so cosa abbia in mente Daitenji,
ma posso dirti che qui sono tutti preoccupati per voi. Tuo nonno, tuo fratello,
i tuoi compagni di classe, i vostri fan. Sono tutti angosciati da quello che
potrebbe accadervi se si confermassero le accuse contro di voi. – Il Prof. K si
sfilò sconsolato gli occhiali da vista. Soffiò su una lente e li inforcò
nuovamente. – Non credo abbiate molta scelta… -
Era
davvero dispiaciuto per Kei, ma se quello che gli avevano raccontato era vero,
non c’erano molte alternative.
-
Takao, se non lo denunci tu, lo farò io! – Nonostante la ragazza fosse
consapevole della vacuità della sua minaccia, il tono di Hilary era sprezzante,
ma sotto le sue sopracciglia corrucciate i suoi occhi castani erano lucidi. –
Devi farlo per il resto della tua squadra e per tutti quelli che tengono a voi!
–
-
Ti ci metti pure tu, Hilary? – Takao era incredulo. Hiromi
fu turbata dallo sguardo carico di delusione che le rivolse, ma rimase salda
nelle sue convinzioni e continuò con testardaggine a ribattere.
-
Dovresti vedere le infamate che sparano qui su Kei! Non li sopporto! Mi mandano
in bestia! Mi fanno stare male da quanto fanno schifo... Vuoi davvero che tutto
il resto della tua squadra subisca un simile trattamento? Vuoi davvero
trascinare con te anche loro? Io non potrei sopportarlo… Svegliati! Voi non
avete nessuna colpa! Non è giusto che veniate accusati anche voi! – Max, Rei e
Takao la ascoltavano con attenzione, vedevano il suo volto afflitto, ma allo
stesso tempo accusatore, e non avevano proprio il coraggio di controbattere
alla sua voce spezzata. – Takao! Sei tu il caposquadra! Il tuo dovere è quello
di badare ai tuoi compagni. Non puoi più aiutare Kei, ma puoi ancora salvare il
resto della tua squadra! Fallo per loro… pensa a quello che passerebbero i tuoi
cari. Pensa a come mi sentirei io… -
Hiromi
fu fortunata perché, nell’istante esatto in cui la prima lacrima cominciava a
rigarle il viso, la conversazione si interruppe.
Kyoju
sfilò un fazzoletto dal suo pacchetto e lo porse gentilmente alla ragazza. –
Sono andati… -
-
Vorrei essere lì con loro… - Si soffiò rumorosamente il naso, passandosi la
manica della camicia sugli occhi. Era frustrata e purtroppo quando si
innervosiva le lacrime si attivavano spontaneamente rendendola ancora più
furiosa. – Takao farà la sua scelta… -
Il
ragazzo fece qualche tentativo per ristabilire la chiamata, ma già si era reso
conto che non sarebbe stato più possibile ripristinarla; chiuse lo schermo del
pc senza nemmeno preoccuparsi di spegnere il sistema. Alzò il viso al cielo
inspirando l’aria fresca del tardo pomeriggio. Improvvisamente, quella serena
giornata d’autunno non gli sembrava più tanto bella.
-
Peccato che purtroppo Kei non ne abbia… -
- _ . - ° * ° - . _
. - ° * ° - . _ -
La
camera era luminosa, inondata dalla luce del sole che filtrava senza
impedimenti attraverso i vetri delle finestre.
La
figura sul letto parlò con voce stanca, quasi seccata.
-
Ho sentito quello di cui stavate discutendo… e sinceramente non mi importa. -
Effettivamente,
tra l’agitazione e i diversi conflitti di opinione susseguitisi quella mattina,
non si erano troppo preoccupati di moderare i toni della discussione.
Kei
tuttavia non sembrava per nulla turbato dalla loro decisione.
Takao
sperava in una sua reazione. Sperava che si alzasse, che cominciasse a urlargli
contro, non certo per implorarlo di non farlo, ma per insultarlo, per
schernirlo, per dargli una qualsiasi ragione per non agire. Ne aveva bisogno.
Voleva sentire da lui quelle parole, “traditore”, “vigliacco”, “egoista”, che
continuavano a ronzargli nella testa da quando aveva accettato il suo destino.
Kei
invece era una maschera di indifferenza, anzi, tutto ciò sembrava quasi
sollevarlo. Non lo guardava nemmeno. Se ne stava seduto sul materasso, con il
respiro pesante, il volto magro, sciupato dalla malattia, ma abbastanza in
forze per fissare ostinatamente un punto fuori dalla finestra e trattarlo con
la sua insopportabile sufficienza.
Aveva
una buona ripresa… ma doveva ringraziare solo le cure di Vilena e la
rivoluzionaria invenzione dell’antibiotico se ora riusciva ad atteggiarsi a
quel modo. Così smagrito e tenace sembrava quasi un animale bastonato che
tuttavia ancora opponeva resistenza ai suoi aguzzini.
Solo
che loro non erano i suoi aguzzini, ma i suoi amici.
Sul
comodino la zuppa che gli aveva preparato Rei si stava raffreddando; ovviamente
il russo ancora non se la sentiva di mangiare, anzi, solo il profumo del pasto
sembrava dargli fastidio.
Takao
aveva insistito per parlargli da solo, per comunicargli la loro decisione, era
il minimo visto che tutto il peso della scelta era ricaduto su di lui. Sperava
che senza un audience Kei si sarebbe sentito più tranquillo e più propenso a
parlare, magari raccontandogli come erano andate le cose fra lui e suo nonno.
Inutile.
Kei
non voleva parlargli e non voleva ascoltarlo.
Cominciava
a sentirsi a disagio in quella stanza. Si sentiva malissimo, non per la notte
insonne, per l’ansia o la tensione provata in quei giorni, ma per la decisione
presa. Quando finalmente aveva acconsentito alla scelta di denunciarlo si era
sentito svuotato, spossato, come se avesse appena concluso un’importante
incontro di Bey, ma ne fosse uscito perdente. Anzi, non era un’emozione
comparabile con una sfida di trottole, era infinitamente peggio. Era andato
contro tutti i suoi principi di amicizia e ora si sentiva unicamente un vigliacco traditore egoista.
La
sua ultima speranza era Kei stesso. Se in quel momento gli avesse chiesto di
non farlo, lui lo avrebbe ascoltato. Avrebbe gettato tutto al vento se solo il
russo glielo avesse domandato… ma lui se ne stava semplicemente lì a fissare
quel dannato punto fuori dalla finestra!
Forse
cogliendo i suoi pensieri o, più facilmente, incuriosito da quel lungo
silenzio, davvero insolito per il nipponico, Kei si voltò a guardarlo. Sul suo
viso pallido ricadevano scompigliati i ciuffi argentei della chioma. I suoi
occhi scarlatti erano calmi, profondi, ma stanchi. Capì che lo stava studiando.
Riusciva a leggerlo in maniera quasi troppo imbarazzante e Takao cominciò a
sentirsi sempre più a disagio. Stava per dirgli qualcosa, ma scorse un
cambiamento nello sguardo dell’amico: compassione? Non importava… era già
sparito.
Forse
si sentì in dovere di dire qualcosa perché il russo cominciò con voce calma e
roca: - Purtroppo, non sono in condizione di scappare e piantarvi in asso. –
Takao si accigliò, ma lo ascoltò in silenzio, quasi con bramosia. Quasi stesse
ascoltando una profezia. – Non ho posti in cui scappare e non ho posti dove
andare. Sono un ricercato e, anche se a malincuore, ho sempre vissuto sotto
l’ala protettiva di mio nonno. Non saprei cosa fare o a chi rivolgermi e il
vostro aiuto è solo un peso che mi costringe a dover pensare all’incolumità di
altri oltre che alla mia... e io non ho più voglia di pensare. Non mi importa
nulla. Non ho più nulla. Fai quella fottuta telefonata e lasciami in pace. –
- _ . - ° * ° - . _
. - ° * ° - . _ -
Tadadadaaaan!
La
suoneria del suo cellullare lo fece sobbalzare. Non riceveva spesso delle
e-mail e non si era mai accorto di quanto fosse insopportabile il tono di chiamata
a esse associato. Si ripromise di cambiarla non appena avesse avuto tempo; al
momento era troppo ansioso di aprire il messaggio per occuparsi di simili
inezie.
La
connessione non era delle migliori, il contatore mostrava solo due tacchette
delle quali l’ultima scompariva e riappariva alla minima oscillazione
dell’apparecchio. Aprì la mail, fortunatamente la pagina non ci impiegò troppo
a caricarsi. Il nome del mittente era sugar_star99,
piuttosto insolito e alquanto fuorviante, ma era certo si trattasse di Evan.
D’altronde quella era una casella di posta elettronica che Yuri aveva creato da
poco e che comunque non aveva mai utilizzato, era solo piena di messaggi spam
che finivano direttamente nell’apposito cestino. La bodyguard era l’unica
persona a conoscerla poiché gliel’aveva comunicata via sms un’ora prima.
Mancava
il nome dell’oggetto. Non c’era testo, si aspettava di vedere un allegato, ma
vi trovò solo un link che rimandava a un sito di storage. Il file era in una
cartella di condivisione dati sotto il nome di “my lovely pet <3”.
Evan
aveva un pessimo senso dell’umorismo.
Quando
tentò di scaricare la registrazione un messaggio lo informò che il proprietario
non gli aveva consentito tale privilegio.
Fece
una smorfia e aprì direttamente il file dal web.
Colto
da un improvviso fermento tese l’orecchio in ascolto.
La porta dello studio si aprì lasciando
entrare la figura slanciata del giovane blader.
Quando Kei Hiwatari mise piede nella
stanza aveva un sguardo sospettoso, ma non poteva certo immaginarsi il reale
motivo per cui era stato convocato. Teneva la sua sciarpa immacolata attorno al
collo, ma il suo abbigliamento era sobrio: un semplice maglioncino grigio e un
paio di jeans scuri. Fino a quel momento era stato impegnato ad allenarsi con i
bey, nel campo sul retro della residenza.
La prima cosa che vide fu quel
mostruoso bodyguard che sempre accompagnava suo nonno, Akula.
Quest’ultimo lo osservò con sufficienza, mentre il ragazzo ricambiava con
un’espressione gelida. Se ne stava appollaiato dietro la scrivania, alle spalle
del vecchio.
Hito si mosse sulla poltrona quando ormai
gli era di fronte, fingendo di essersi accorto solo in quel momento dell’arrivo
del nipote. Si sfilò gli occhiali da vista e li gettò con noncuranza sulla
scrivania.
- Eccoti qui ragazzo, ti stavi
allenando? E’ tardi ormai… –
Kei annuì lanciando una rapida
occhiata all’orologio appeso alle sue spalle. In effetti era tardi, quasi le
dieci di sera ormai.
- Direi che è tardi anche per una
riunione di famiglia. Di cosa mi devi parlare di così urgente? –
Il vecchio sorrise. Si alzò dalla
scrivania aggirandola e sfiorando la spalla del nipote gli fece cenno di
accomodarsi insieme a lui sulle poltrone accanto la libreria.
Mentre si spostava Kei vide delle
buste e un tagliacarta sul tavolino li vicino;
evidentemente Hito aveva già fatto sistemare tutto l’occorrente
per quella serata. Si chiese se avesse già pianificato tutto il resto
dell’incontro.
Se davvero le cose stavano così non
significava niente di buono.
Una leggera tensione cominciò a
ronzargli nelle orecchie.
Kei seguì il nonno fino alle
poltrone, ma non si sedette, si appoggiò allo schienale osservando insospettito
il parente.
Akula prese posizione alle spalle del vecchio,
silenzioso, a malapena si accorse di lui.
- Allora? – Kei cominciava a
sviluppare una certa impazienza, ma il vecchio Hiwatari procedeva rilassato,
mettendosi comodo sulla poltrona, osservandosi attorno, pensando con cura alla
parole da utilizzare.
- Siamo in fallimento Kei. –
Quel pensiero non lo sconvolse più di
tanto, ma non riuscì comunque a trattenere un’espressione di sorpresa. Quella
era la conferma che non si sarebbe trattato di un normale incontro di
circostanza. Cominciando a fare mente locale, si passò una mano tra i capelli
argentei.
Suo nonno era avvantaggiato; era
sicuro avesse già preparato ogni singolo particolare di quel discorso e lui era
stanco per l’allenamento e troppo privo di informazioni per riuscire a reggere
il confronto. Inoltre era da un paio di giorni che non si sentiva molto bene:
quasi sicuramente stava covando qualche malanno.
Finalmente si scostò dallo schienale
e si sedette sulla poltrona piegandosi in avanti verso il nonno.
Vedendolo disorientato, Hito continuò compiaciuto: - L’impresa, il monastero, le
scuole e le palestre di Bay, la gestione dei tornei…
abbiamo fallito alcuni investimenti e purtroppo non siamo in grado di mantenere
efficientemente ogni cosa. –
- E’ per questo che hai chiuso le
palestre in Brasile? – Kei aveva letto quella notizia la mattina precedente.
- Era un’attività nata da poco che
doveva ancora dare i suoi frutti. E’ stata una delle scelte più logiche per
ridurre le spese. –
- Peccato che fossero diventate la
casa di un centinaio di orfani, che ora si ritrovano di nuovo sulla strada… –
La voce di Kei era fredda, il suo volto di pietra. Non sopportava il modo in
cui suoi nonno sfruttava i bambini. Si faceva ben volere dal pubblico
dimostrandosi attento ai meno fortunati, facendo vedere di dar loro una casa,
un futuro, ma alla fine era solo un modo per sfruttare le persone.
- Sarebbero trascorsi anni prima di
addestrarli al Bey e altri anni ancora perché le palestre cominciassero a
sfornare campioni degni della nostra società. –
- Non è questo il punto! – Il giovane
aveva alzato la voce di un tono stringendo i pugni sopra i braccioli della
poltrona. Rendendosi conto dell’eccessiva enfasi si rilassò, agitò la mano come
per scacciare un pensiero e sussurrò. – Non importa… i soldi sono tuoi, fai quello
che vuoi. –
Sentiva gli occhi di Akira su sé. Lui
sapeva cosa aveva in mente suo nonno; riusciva a leggerlo nella sua aria
compiaciuta. Ciò significava solamente una cosa: stava cascando nel gioco del
vecchio. Per quanto si sforzasse, Kei stava finendo nella trappola di Hito e la cosa peggiore era che pur rendendosene conto non
riusciva a evitarlo. Cominciò a innervosirsi, ma si sforzò di riacquistare
subito il controllo.
Stava cercando di metterlo a disagio,
ma non glielo avrebbe permesso.
Il vecchio alzò un sopracciglio per
nulla turbato dal tono impertinente del ragazzo. Scosse la testa osservandolo
con quello sguardo di severità che sapeva tanto infastidire Kei.
Il giovane sospirò pesantemente e
fece per alzarsi. Forse poteva guadagnare tempo...
- Grazie per avermi reso partecipe
della tua sfortuna e del tuo caratteristico animo nero. Se non ti spiace, ora torno
ai miei impegni. –
Non aveva ancora finito la frase che
il bestione in completo nero si era parato al suo fianco impedendogli di
andarsene.
Kei lo fissò con astio lanciando poi
uno sguardo di seccata curiosità al parente. Tuttavia rimase in piedi, fiancheggiato
dallo squalo.
- Non abbiamo ancora concluso. Kei,
mi serve il tuo aiuto per risolvere questa crisi. –
Non aveva via di scampo.
Sospirò.
Si sentiva accaldato. Che fosse per
la tensione? Si stava ammalando? O era forse spaventato?
- Non vedo in che modo io possa
aiutarti, ma visto che non mi lasci altra scelta… parla. -
- Cominciamo dall’inizio. – Gli occhi
grigi del nonno si piantarono in quelli scarlatti del nipote. – Come hai appena
saputo, non sono in grado di portare avanti ancora a lungo l’azienda. Da come
stanno le cose, per restare a galla devo sacrificare le parti… per così dire...
accessorie. L’industria di Bey rimane sempre una delle nostre priorità e il
livello eccellente dei nostri prodotti è ancora in grado di salvarci. Tuttavia
per farla funzionare servono soldi. Per ottenere soldi dobbiamo vendere o almeno
chiudere. Prima è toccato alle nuove palestre, ora toccherà a quelle più
vecchie. –
Kei aveva già capito dove voleva
andare a parare. – Vuoi chiudere il monastero. – Il suo tono era privo di
emozioni.
Un sorriso grinzoso increspò le
labbra del vecchio. – Esatto. I monaci vivranno più sereni senza doversi occupare
di tutti quei orfanelli. Rinunceremo ai nostri campioni fino a quando la nostra
industria non si risolleverà e ci permetterà di nuovo di poter investire su
queste inezie. –
Il ragazzo si accigliò. “Inezie”. Era
di persone che stava parlando. Di ragazzi senza famiglia che avevano incanalato
tutte le loro aspettative e il loro futuro nella speranza di risollevarsi
grazie ai campionati di Bey. Sopportavano tutto quello che di più orribile
avveniva in quel monastero pur di sopravvivere, farsi un nome e poter essere
indipendenti. Lui stesso vi aveva vissuto qualche anno per allenarsi. Lui
conosceva quei ragazzi. Aveva degli amici fra loro.
Il volto arrogante di Yuri gli balenò
per un istante nella mente.
Cercò di scacciarlo scuotendo il
capo.
Era chiaramente una minaccia. Quel
vigliacco di suo nonno lo stava ricattando colpendolo su quelle poche cose che
gli stavano a cuore. Prima la sua empatia verso gli orfani e ora più
direttamente i suoi amici. Eppure non riusciva ancora a capire cosa esattamente
volesse da lui.
- Cosa posso fare? Non ho denaro per
aiutarti, tutti i premi che ho vinto ai tornei sono finiti alla tua società…
Inoltre mi hai proibito di partecipare al torneo di quest’anno in Russia. Non
puoi trarre nessun guadagno da me. –
Il vecchio colse al volo l’occasione
e gettò altra carne al fuoco. – Non sei stato iscritto al torneo per
salvaguardare alla tua incolumità... - Soppesando per un istante il volto
interrogativo del nipote, Hito aggiunse. - Sono io
che finanzio il campionato quest’anno. Non si può mai sapere con tutti questi
dimostranti che inneggiano contro la mia società… potrebbe accadere qualcosa. -
Un lampo di incredulità accese lo
sguardo del giovane. Qualcosa nel tono del parente lo mise in guardia. – Cosa
intendi dire con “potrebbe accadere qualcosa?”. C’è il resto della mia squadra
che vi partecipa! – Il ragazzo ormai era evidentemente adirato e il sorriso
eloquente che gli rivolse suo nonno non fece che peggiorare il suo umore.
Un'improvvisa consapevolezza gli alterò i lineamenti; il volto si distese in
una fredda maschera di disprezzo. Scandì le parole con una furia gelida: – Che
cosa vuoi? –
Il vecchio divenne improvvisamente
serio. Con un gesto che non ammetteva repliche invitò Kei a sedere e questi non
poté far altro che obbedire, in attesa di risposte.
Alle sue spalle la bodyguard appariva
seriamente colpita dalla magistrale abilità con cui Hiwatari stava scaldando il
ragazzo. Toccava i punti più deboli e poi lo lasciava navigare nel dubbio. Lo
riempiva di informazioni incomplete lasciandolo meditare su una matassa di fili
spezzati e aggrovigliati fra loro. Il moccioso non poteva che costringersi ad
ascoltarlo per collegare tutti i punti e venire a capo del problema. Il fatto
era che una volta che fosse arrivato a una conclusione il giovane non avrebbe
avuto altra scelta che accettare le sue condizioni.
Era come una bambola. Non poteva
agire liberamente, poteva solo sottostare al gioco che gli era stato imposto.
Hiwatari aveva messo abbastanza carne
al fuoco. Ci stava andando giù veramente pesante. Kei non riusciva a credere a ciò
cui stava assistendo. Era a dir poco sconcertato. Suo nonno aveva appena
candidamente minacciato lui e soprattutto l'incolumità dei suoi amici. E la
parte peggiore era che lo sapeva benissimo capace di mantenere quelle sinistre
promesse. D'altronde non era la prima volta che capitava un’evenienza simile,
sebbene all'epoca non si fosse trattato di un’offesa nei suoi confronti.
Ricordava quello che era accaduto ad
Ada Andrew, la gemella di Evan. A quel tempo svolgeva la mansione di domestica
in casa Hiwatari mentre il fratello si allenava al monastero. Lei e Kei erano
in buoni rapporti, sempre nei limiti in cui possono esserlo dipendente e
padrone, ma la sua era sempre stata una compagnia piacevole. Purtroppo venne
coinvolta in una sparatoria che aveva come obbiettivo lo stesso Hito; lei si trovava solo nel posto sbagliato al momento
sbagliato. Tuttavia il vecchio ne uscì incolume grazie al sacrificio della vera
vittima: la precedente guardia del corpo del vecchio, Shun
Aizawa, che morì proprio il giorno del suo matrimonio
colpito da un proiettile che sembrava destinato ad altri, senza essere neppure
in servizio. Ada, invece, colpita anche lei, rimase paralizzata. Poco tempo
dopo, Kei venne casualmente a sapere che, in realtà, il tutto era stato
organizzato da suo nonno per eliminare Aizawa. Hito era infatti venuto a conoscenza del fatto che la
bodyguard complottava contro la sua società e stava per rovinarlo. Furibondo e
disgustato dalla meschinità del suo stesso parente, Kei era stato forzato al
silenzio, ma aveva insistito affinché il vecchio si degnasse almeno di
prendersi carico delle spese per le cure della sua amica. Tutta la faccenda fu
ovviamente fatta passare come un gesto compiuto da dimostranti che vessavano la
società Hiwatari e Hito ne uscì pulito, se non anche
benefattore della ragazza. Kei non aveva mai avuto il coraggio di parlarne con
Evan, ma in quel momento, si rese conto, si pentì di non averlo fatto.
Ora era il suo turno.
Più o meno era quello che Hito aveva intenzione di fare al torneo di Bey Blade, solo
che le vittime sarebbero stati tre ignari campioni colpevoli unicamente di
essere amici del nipote.
Doveva scegliere se farsi carico
dell’incolumità della sua squadra o…
“O
cosa?”
Cosa voleva da lui quel vecchio da
dover ricorrere a simili sotterfugi pur di ottenerlo?
Ormai era sconvolto e non riusciva
più a nasconderlo. A quel punto, difficilmente avrebbe potuto negare al nonno
qualsiasi sua richiesta.
- Vai al sodo… - Il ragazzo appariva nauseato
da tutto ciò, ma restò calmo.
- C’è effettivamente un modo per
evitare questo sgretolarsi delle nostre risorse. – Kei lo fissò con sguardo
glaciale. – C’è un fondo, che sarà attivo non appena raggiungerai la maggiore
età. E’ un patrimonio consistente, intoccabile fino ad allora. –
Di fronte alla sua incredulità, il
vecchio fece un cenno alla bodyguard. Questi afferrò i fogli sul tavolino e li
porse a Kei.
Preso da una strana enfasi, cominciò
a scartare la prima busta. I suo occhi scorsero prima le lettere e poi le
pagine. Non riusciva a credere a quel che aveva di fronte. Quando ebbe
terminato i primi fogli rialzò lo sguardo sul parente alquanto scioccato.
- Questa è una trattativa… -
Hiwatari fece spallucce con
noncuranza. – Praticamente lo è… Quella è la tangente che ho versato a tuo
padre per acquistarti. Una mazzetta molto cara… -
Kei avvertì il sangue defluire dal
suo viso, si rese conto di essere impallidito quando vide il suo riflesso sulla
vetrata del tavolino.
“Ha
detto acquistato?”
- Senza dilungarci troppo sui
particolari posso dire che, quando tuo padre se ne andò, rifiutando qualsiasi
coinvolgimento con la mia società, squattrinato com’era, accettò di buon’ora i
soldi che gli offrii per tenerti sotto la mia potestà. Parte dei soldi che gli
cedetti decise tuttavia di depositarli in un fondo a tuo nome, in modo che, se
un giorno ti fossi ritrovato nelle sue stesse condizioni, avresti avuto modo di
farti una vita nuova. Questa è l’unica cosa buona che probabilmente quel
fannullone di mio figlio fece per te… -
Non riuscendo a evitare che la
frustrazione gli contorcesse i lineamenti alzò una mano a coprirsi il viso.
Tuttavia anche questa lo tradì quando venne percossa da un tremito.
Non aveva mai chiesto nulla riguardo
suo padre. Aveva qualche lontano ricordo di lui, sapeva che era ancora vivo da
qualche parte e per un certo periodo della sua vita aveva anche avuto una certa
curiosità a riguardo, ma da tempo si era deciso: non voleva saperne
assolutamente nulla.
Era stato uno stupido a sperare che
suo nonno rispettasse quella sua decisione.
No… lui doveva gettarglielo in faccia
nel momento meno appropriato di tutta la sua vita. E soprattutto distruggendo
quel briciolo di speranza che lui gli aveva lasciato.
Odiava quel vecchio.
Lo odiava con tutto se stesso.
Voleva solo i suoi soldi, quell’unico
dono lasciatogli da un padre, a cui, come aveva appena amaramente scoperto, non
importava nulla del figlio, ma che comunque gli aveva lasciato una via di fuga.
Ecco… ora quella via di fuga non
c’era più. Grazie a un padre che non si era mai degnato di conoscere il proprio
figlio e grazie a un nonno che, evidentemente, aveva interesse per il nipote
tanto quanto ne aveva avuto il genitore.
Si sentiva tradito, ingannato, usato…
Per tutto quel tempo era solo stato
usato. Usato per arricchirsi prima da suo padre e poi da suo nonno.
Quei pochi legami di amicizia che
aveva creato si erano trasformati in un’arma a doppio taglio.
Mentre pensava a tutto ciò, aveva
cominciato con aria assente ad aprire la seconda busta. Per questa fu
necessario utilizzare il tagliacarte d’argento, che si trovava sempre sul
tavolino accanto ai fogli. Dentro vi trovò i documenti per investite tutta la
sua nuova fortuna nell’azienda. Mentre vedeva i propri occhi scarlatti, carichi
di furore, riflessi nella lama pensò che si trattasse dell’arma del delitto per
antonomasia.
Dopo che il ragazzo lesse i fogli
capì di non avere altra scelta. Se accettava, avrebbe salvato i suoi amici, ma
non avrebbe avuto più nulla.
Amici. Da quanto tempo ormai li
considerava tali? Non importava, in ogni caso non avrebbe mai vissuto con il
peso di tre vite sulla coscienza.
Non aveva avuto nemmeno la
possibilità di vivere la fugace illusione di essere libero, neppure per un solo
secondo. Quell’eredità inaspettata era già destinata a svanire.
Kei guardò il nonno con un misto di disprezzo
e impotenza. Era devastato da tutte quelle nuove rivelazioni, ma l’odio che
provava verso quell’uomo sopraffava qualsiasi altra
emozione.
Era cascato nella rete. Era stato
ingannato. Era stato venduto dal suo stesso padre. Non era una menzogna. Quelle
carte dicevano il vero.
Il vecchio appoggiò la mano sul mento
volgendo un rugoso sorriso compiaciuto verso Kei. Il suo tono suonò innocente e
velato da un finto tono speranzoso.
- Firmerai? –
Quale domanda più retorica.
Quale uomo più ripugnante.
Kei lo fulminò con lo sguardo,
pervaso dall’ira. Nella mano stringeva ancora il tagliacarte.
Gli uscì solo un mugugno affermativo
a testa bassa. Mentre con un cenno del capo ribadiva la sua decisione.
In quel momento lo colpì forte
l’istinto di scappare. Di correre via da quell’essere obbrobrioso.
Il vecchio accennò con assenso, come
se fosse fiero della decisione presa dal nipote, o come se si congratulasse con
se stesso.
- Ovviamente, sono consapevole come
questo incontro abbia incrinato per sempre i nostri rapporti, anche se non
erano propriamente affettivi. Per questo motivo penso che sia meglio se tu
conduca il resto dei tuoi studi lontano da qui, mi occuperò che tu trascorra
molto tempo in una struttura adeguata. Magari evitando di continuare a giocare
con le trottole. Ormai hai fatto il tuo tempo… -
Più che per ciò che quelle parole
implicavano, fu quando vide il sorriso vittorioso che sconvolse la rete di
rughe sul viso del vecchio che fu colto da una fitta al petto tale da provocargli
un mix micidiale di emozioni. Sentì il suo orgoglio urlargli attraverso un
fischio nelle orecchie. Provò ira, ribrezzo, tristezza, panico, odio...
Quando si mosse di scatto con ancora
il tagliaccarte in pugno più con l’intenzione di
andarsene, forse interpretando male le sue intenzioni, Akula
lo afferrò per la sciarpa costringendolo a fronteggiarlo. Il ragazzo sorpreso
si divincolò dalla stretta e sotto gli occhi increduli del parente inciampò sui
suoi stessi piedi. Rovinò a terra proprio di fronte a suo nonno.
Nel frattempo il vecchio si era
alzato rassicurando la bodyguard sulle intenzioni del giovane. Come se fino a
quel momento avessero semplicemente parlato del più e del meno, Hito allungò la mano verso di lui per aiutarlo ad alzarsi.
- Su dai… quando imparerai a stare
fermo sui tuoi piedi, piccolo Kei? -
L’ironia e il tono di scherno
contenute in quella sentenza lo mandarono fuori di testa. Accettò la mano di
suo nonno, ma aveva ancora il tagliacare in mano
quando, sfruttando la stessa forza che il vecchio impiegò per alzarlo, usò lo
slancio per colpire.
Yuri
spense il viva voce del suo telefono e con un gesto di puro odio lo sbatté sul
tavolo di fronte a Takao.
Era
tornato nell’appartamento di Evan.
Troppo
tardi tuttavia.
Lo
aveva insultato…
… traditore vigliacco egoista…
…
gli aveva urlato contro ogni ingiuria che conosceva in un russo gutturale e
pungente, lo avrebbe anche picchiato se il cinese e Max non lo avessero
trattenuto.
Aveva
insultato anche loro.
Ormai
la chiamata era stata fatta e la polizia stava arrivando.
Disprezzava
Takao e quello che aveva appena fatto.
Lo
odiava con ogni fibra del suo corpo.
Non
riusciva a sopportare che Kei definisse suo amico quell’idiota.
Non
capiva perchè non lo avessero aspettato. Con quale
diritto aveva agito in quel modo senza neppure consultarlo? Non pensavano alle
persone che avrebbero coinvolto? La casa in cui lo avrebbero presto prelevato
era di Evan. Lui stesso era ormai considerato a tutti gli effetti un complice.
“Garantiremo noi per te, dimostreremo
che sei sempre stato con noi ad aiutarci…” Questo era quello
che credevano.
Erano
davvero così stupidi? Così egoisti?
Sentiva
un bisogno urgente di urlare, di ricominciare di nuovo a insultarli.
Tuttavia,
mentre li aveva osservati ascoltare con angoscia quella registrazione, mentre
vedeva i loro volti venire sopraffatti dal rimorso, aveva provato pena per
loro.
Max
fissava il vuoto seduto sul divano del soggiorno, mordendosi il labbro, con le
nocche sbiancate dalla stretta nervosa sulle sue ginocchia e Rei continuava a passarsi le mani fra
i capelli, camminando su e giù per la stanza come una tigre in gabbia.
Takao
si era dovuto sedere sulla sedia accanto al tavolo; teneva il viso basso
nascosto dietro le mani tremanti.
-
Che effetto ti fa ora sapere? - Le parole del rosso erano aspre e cariche di
odio, con una forte cadenza russa.
Quando
il moretto si sforzò di guardarlo, Yuri poté vedere un volto devastato e due profondi
occhi neri, lucidi e arrossati.
La
cosa peggiore era che, vederlo così divorato dal rimorso, non lo fece sentire
affatto meglio.
…
Ce
l’ho fatta. Questo capitolo non finiva più. Forse perchè
lo scrivevo appena riuscivo a trovare un po’ di tempo e ispirazione, forse perchè non volendo troncare le cose a metà ho preferito
farlo più lungo… era troppo lungo? Lo avete trovato pesante? Non credo comunque
che la cosa si ripeterà! xD Spero che vi sia piaciuta
e che le situazioni vi siano risultate chiare e non troppo assurde! Lo spero
davvero… anche perchè la parte della registrazione,
che alla fine era un flashback, l’ho riscritta non so quante volte, avevo anche
provato a scriverla dal punto di vista di Akula, ma
non mi convinceva. Detto questo, spero di avere un vostro parere. Grazie di
nuovo per i vostri commenti! Sono felice di ritrovarvi ogni volta! Mi da
proprio la carica! Spero di non aver deluso le vostre aspettative… e scusate di
nuovo l’attesa! Ci vediamo con il prossimo capitolo!