C 23
Capitolo
23
Please don'
t stop the rain
If
it's gonna be a rainy day
There's nothing we can do to make it change
We
can pray for sunny weather
But
that won't stop the rain
Feeling
like you got no place to run
I
can be your shelter 'til it's done
We
can make this last forever
So
please don't stop the rain.
Please
don't stop the rain, James Morrison¹
Siamo esseri
umani, meravigliosamente complicati, assurdamente speciali...
Anton Vanlight, Mai
troppo folle
Toc toc.
Qualcuno
bussava alla porta. Fui bruscamente strappata alla lettura di
un lungo e noioso capitolo di storia moderna e sollevai la testa.
«Avanti» borbottai, di malavoglia.
La porta
si aprì e comparve Esme. Mi fece uno dei suoi sorrisi capaci
di
sciogliere un iceberg e mi sentii subito in colpa.
«Tesoro, stai ancora studiando?» disse, guardandomi
con
aria preoccupata. «Perchè non fai una
pausa?»
Le sorrisi, sforzandomi di non lasciar trapelare uno sbuffo di
esasperazione. Era la settima volta che mi poneva quella stessa domanda
nell'arco della giornata ed erano appena le quattro del pomeriggio.
«No, tranquilla. Oggi non ho combinato un
granchè».
«Be', comunque non stancarti troppo. Non è
necessario, vedrai che gli esami andranno benissimo».
Lo stomaco
mi si contrasse. Afferrai convulsamente la matita e quasi mi
aggrappai al bordo del libro come a un'ancora di salvezza. Meglio
riprendere subito a studiare. «Sì...
Grazie» risposi,
ostentando una tranquillità che ero ben lontana dal provare.
«Hai fame?» aggiunse, ancora sulla porta.
«Ho preparato i brownies, vuoi assaggiarli?»
«Magari più tardi. Ora non mi va».
Esme annuì con un piccolo sospiro. Vedermi rifiutare del
cibo la
gettava sempre in un profondo stato di agitazione, come se fossi
un'abitante denutrita del terzo mondo.
«D'accordo. Ti lascio
studiare, allora». E se ne andò con un ultimo
sorriso.
Ricominciai a leggere, prendendo nel frattempo appunti su un quaderno,
e ogni tanto facevo una breve
ricerca al computer per avere qualche informazione in più.
Ma la
mia tranquillità durò solo qualche minuto; il
silenzio
che regnava nell'ampio studio-libreria di Carlisle, dove mi ero
rifugiata nella speranza di sfuggire alla mia famiglia ansiosa e
impicciona, fu rotto da un'improvvisa esclamazione a voce
alta.
«Renesmee!»
Per la sopresa feci un tale salto sulla sedia che la matita mi cadde di
mano e rotolò sul pavimento. Quasi cacciai un urlo.
«Mamma!» esclamai, senza fiato.
Lei e papà erano appena entrati attravero la grande
portafinestra che dava sul retro, tenendosi abbracciati e sfoggiando
due identiche espressioni allegre e soddisfatte.
«Oh scusa, non volevo spaventarti». La mamma
raccolse la matita e me la restituì.
«Be', l'hai fatto, invece» dissi a denti stretti;
ripresi la
matita con un gesto nervoso. «Perchè siete qui?
Non dovevate
essere a caccia?»
«Siamo appena tornati»
rispose papà. «Pensavamo di passare a prenderti,
perchè è un bel po' che non vai a caccia, ma sta
arrivando un temporale e a te non piace correre sotto la
pioggia».
«Davvero?» mugugnai, scocciata. Lanciai un'occhiata
fuori e mi
accorsi che il cielo era stato rapidamente oscurato da nuvoloni grigi,
grossi e minacciosi. Tanto per cambiare. Sebbene fossimo in maggio, non
c'era quasi il minimo segnale dell'arrivo della primavera.
Edward lasciò la mano della mamma, si avvicinò e
mi
accarezzò piano i capelli; percepiva benissimo la mia ansia
e
sapeva che quel gesto aveva sempre un effetto calmante su di me.
«Come prosegue lo studio?»
«Proseguirebbe molto meglio se avessi un po' di
pace».
Lui fece un sorriso divertito.
«Perchè, non ce l'hai?» si
informò la mamma, aggrottando la fronte.
«No che non ce l'ho!» sbottai alzando la voce.
Avevo
scoperto che quando ero sotto pressione mal sopportavo di essere
circondata da persone assolutamente tranquille. Il mio nervosismo
peggiorava. Non riuscivo neanche a stare bene con Alex, che
prendeva la faccenda degli esami come una specie di scherzo, sicuro del
fatto suo. Quasi preferivo la compagnia di Jas, che in quei giorni era
più
isterica di me. «Sono stata costretta e lasciare la stanza di
papà perchè Emmett non la finiva più
di cantare la
sigla di Happy days
nel
corridoio, Alice mi sta letteralmente inseguendo per costringermi a
provare un suo nuovo modello ed Esme è gia venuta tre volte
da
quando sono qui a chiedermi se voglio i suoi brownies!»
«Ah» commentò la mamma. Mi fissava
accigliata, come se non
sapesse bene che cosa dirmi. «Capisco. Allora, uhm... noi ti
lasciamo. E diremo a tutti di non disturbarti più,
okay?»
«Per quello che può servire» borbottai,
sconsolata.
«Tentar non nuoce» rispose allegramente.
Afferrò di nuovo la mano di papà.
Lui mi baciò rapidamente sulla testa. «Chiama se
hai bisogno di una mano».
Uscirono, e finalmente avevo di nuovo la stanza tutta per me. Non ero
più abituata a stare in una casa con tante persone, ecco il
problema. Charlie e Sue trascorrevano buona parte del tempo fuori casa
per lavoro e non erano certo paragonabili ai miei otto vampiri
ficcanaso, sempre svegli, sempre attivi e sempre desiderosi di
utilizzarmi come strumento di intrattenimento. Ero tornata soltanto da
una settimana e alcuni aspetti del periodo passato da Charlie mi
mancavano; sapevo che per riappropriarmi della solita, vecchia routine
sarebbe servito un po' di tempo.
Non avevo ancora ritrovato il punto in cui la mia lettura si era
interrotta, che la porta si spalancò di colpo ed Alice,
Rosalie
e Jasper fecero irruzione in gruppo nella stanza. Saltai di nuovo sulla
sedia per lo spavento, ma stavolta riuscii a tenere stretta la matita.
«Ehi!» protestai, al massimo dell'indignazione.
«Ciao, Raggio di sole!» trillò Alice,
saltellando verso di me. «Sei ancora qui?»
«Alice» intervenne zia Rose con un'occhiata
significativa, «siamo passati solo per un saluto
veloce, ricordalo».
«Ma certo. Per chi mi hai preso? So benissimo che Nessie sta
studiando e non dobbiamo fare confusione».
Jasper si insinuò tra loro guardandomi con aria di scuse.
«Prendo un libro e me ne vado, giuro» disse, e si
diresse
verso
gli scaffali di filosofia.
Io li fissavo in silenzio, troppo sbalordita per parlare. Zia Alice
sedette comodamente sul tavolo, accavallò le gambe,
afferrò il mio quaderno degli appunti e lo
esaminò. «Allora, dicevamo: sei ancora
qui?»
«Sono ancora qui» farfugliai, arrabbiata. Avrei
volentieri
ripreso a leggere, ma lei non aveva alcuna intenzione di tacere.
«Piuttosto noiosa questa roba, non trovi?»
«Già, ma mi tocca saperla, questa roba, se non
voglio essere bocciata».
«Bocciata? Tu? Impossibile» decretò zia
Rose con una
risata. «Tranquilla, tesoro, andrà tutto
benissimo».
Ricambiai il suo sguardo affettuoso cercando di sorriderle. La sua
presenza non mi dava mai davvero fastidio. In quei giorni avevo
scoperto con piacere che il nostro legame sembrava essersi rafforzato
durante la lontananza. Da quando ero tornata non
avevamo parlato molto, ma non ce n'era bisogno. Era stata lei, mandandomi la
lettera della
mamma, a scatenare con forza il desiderio di tornare, ad aprirmi gli
occhi, a farmi sentire che forse sarebbe stato possibile ricominciare
daccapo; anche questa volta, come quando ero venuta al mondo, le
dovevo tutto, ed eravamo più vicine che mai. Questo non era
cambiato affatto.
«Be', comunque, se mai a un certo dovessi stufarti, sappi che
ho un
compito per te ben più interessante della... dinastia
Tudor»
proseguì Alice, imperterrita, sbirciando sul mio quaderno.
«Stare ore ed ore in piedi a farti da manichino secondo te
è
interessante?». Mi allungai per strapparle il quaderno di
mano. «Vai a tormentare qualcun altro».
Lei mi fissò, perplessa, come se non riuscisse a
capire il motivo della mia reazione. «Okay, Raggio di sole.
Capisco lo
stress degli esami, capisco la crisi adolescenziale, ma non starai
diventando un po' troppo acida?»
«D'accordo, è il momento di andare»
intervenne Jazz, stringendo il suo libro tra le mani.
Aveva appena concluso la frase che Emmett entrò nello
studio, unendosi al gruppo. Di bene in meglio.
«Vi stavo cercando» disse con tono annoiato.
Focalizzò
l'attenzione su di me, che lo fissavo truce, e accennò un
sorrisetto. «Ehilà! Ancora qui?»
«Vai a quel paese» sibilai.
Il suo sorriso divenne ancora più ampio mentre aggrottava
le sopracciglia. «Nervosa, eh? Dimmi, sei così
gentile anche
con il tuo bamboccio? Di questo passo non durerà molto, tra
voi».
«Non chiamarlo
bamboccio!»
Afferrai il temperamatite con una mezza idea di lanciarglielo, ma
Rosalie intervenne.
«Emmett» sbottò, rivolgendogli
un'occhiataccia.
«Che c'è?» protestò lui.
«Mi annoio a morte,
devo pur fare qualcosa!». Aveva l'aria di un bambino a cui
era stato
sottratto il suo giocattolo preferito.
«Basta!» esplosi, al massimo dell'irritazione.
«Fuori di qui, tutti
quanti!»
Ci volle ancora del bello e del buono per trascinare Emmett ed Alice
fuori dallo studio, ma a un certo punto, finalmente, ero di nuovo in
tranquilla solitudine, sebbene così nervosa che faticai a
recuperare un briciolo di concentrazione. Forse gli altri non avevano
tutti i torti a ripetermi che me la prendevo troppo per quei dannati
esami. Sarei morta piuttosto che ammetterlo, ma forse Alex non aveva
tutti i torti quando mi chiamava "Miss Perfettina".
Be', magari non erano solo gli esami a preoccuparmi, pensai, mentre
giocherellavo con la matita invece di riprendere la lettura. C'era
dell'altro, qualcosa che mi tormentava da quando ero tornata a casa,
unica ombra su quell'evento che mi aveva reso così felice.
Un
pensiero costante, martellante, che mi teneva sveglia di notte e mi
distraeva di continuo.
Jacob.
Tra noi non c'era ancora stato alcun
contatto. Senz'altro sapeva che ero tornata, vista la
rapidità
con cui circolavano le notizie tra mia madre, Charlie e Billy, ma con
lui era come se non fosse cambiato nulla. Mamma e papà non
avevano mai neanche fatto il suo nome, sebbene probabilmente tra loro
ne parlassero spesso; volevano lasciarmi il tempo per decidere con
calma, senza fretta, senza nessuna pressione. Ma la pressione veniva da
dentro di
me. Ogni giorno mi svegliavo con l'insopportabile desiderio di
alzare il telefono e chiamarlo soltanto per sentire la sua voce. Ma
poi ripensavo alla nostra situazione, a come ci eravamo lasciati, e
cambiavo idea; non avrei saputo che cosa dirgli.
Una parte di me
desiderava soltanto poterlo riabbracciare, ma l'altra non faceva che
chiedersi a ripetizione che accidenti ne sarebbe stato, di noi, se
avessi provato a riallacciare il rapporto, adesso che sapevo come
stavano le cose, adesso che sapevo dell'imprinting... Non riuscivo a
darmi una risposta e quell'incertezza mi spaventava a morte.
Scrollai la testa con decisione, cercando di allontare quelle scomode
riflessioni, e tornai al mio libro. Ma poco dopo mi resi conto che
avevo riletto la stessa frase per tre volte senza capirci un bel
niente. Fantastico. Di questo passo mi aspettava una bocciatura
assicurata.
A un tratto udii un certo trambusto fuori dalla porta: voci concitate
che salivano e scendevano di tono, esclamazioni improvvise, porte che
sbattevano. Cercai di non prestarvi attenzione, ma ero incuriosita. Poi
dei passi veloci lungo le scale. Che stava succedendo? Un secondo
più tardi la porta si spalancò con veemenza,
senza alcun
preavviso, e la mamma entrò quasi di corsa, seguita a ruota
da
papà. Ancora? Eh, no, quello era troppo.
«Insomma, volete lasciarmi in pace?» esclamai,
esasperata.
«Devo memorizzare una montagna di nomi e date entro stasera e
non
sta andando affatto bene!»
«Renesmee» esordì la mamma nervosamente,
senza
badare a ciò che dicevo, un'espressione allarmata sul volto
perfetto, «che ne diresti di uscire?
Facciamo una passeggiata, ti va?»
La guardai incredula. «Una passeggiata?»
«Sì! Ti accompagnamo a caccia, ti va? Su, andiamo,
prima che cominci a piovere».
Rapida come un fulmine, mi prese per un braccio e mi tirò in
piedi. Riuscii a non farmi trascinare via solo divincolandomi con
decisione.
«Per caso state dando i numeri, tutti quanti?»
sbottai, alzando la voce.
In quel momento Carlisle e Rosalie ci raggiunsero e subito notai che
avevano un'aria strana.
«Ehm... Scusate, ma... sta arrivando» disse il
nonno a mezza voce, come se sperasse di non farsi sentire.
«Chi? Chi sta arrivando?» domandai, stupita. Tutta
quell'agitazione mi spaventava. E se fosse stato...
«Non è lui» rispose subito
papà. Attese un
istante prima di proseguire, esitando. «È
Leah».
«Leah?» sussurrai con un filo di voce, incredula.
«Leah sta venendo qui? Perchè?»
«Vuole parlare con te» aggiunse papà,
osservandomi guardingo.
Ero così sorpresa da non riuscire a spiccicare una parola.
Fissavo Edward e Bella con gli occhi spalancati e, ne ero certa,
un'espressione sconvolta. Qualcuno bussò con
forza alla porta di casa.
«Che facciamo?» chiese Carlisle, e mi
fissò come se si aspettasse una risposta da me. Io aprii la
bocca,
ma non ne uscì alcun suono. Che cosa voleva Leah, adesso?
«Ci penso io» fece zia Rose, e con aria determinata
marciò
fuori dallo studio. Carlisle le andò subito dietro.
«Tesoro, sta' tranquilla, okay? Non sei costretta a parlarle.
Resta qui, tranquilla» disse velocemente la mamma, e
uscì a
sua volta dalla stanza.
Papà mi lanciò un'ultima occhiata preoccupata
prima di
andarsene, chiudendosi la porta alle spalle. Rimasi sola, immobile e
scioccata, senza sapere che cosa fare. Guardai la porta finestra e per
un attimo considerai la possibilità di fuggira da
lì, ma
poi sentii la voce di Leah risuonare in casa, decisa, sicura come
sempre, come la ricordavo, e all'improvviso mi travolse un'onda di
rabbia. Non me l'ero mai presa con lei, in quelle settimane; mi aveva
soltanto detto la verità, e di questo, forse, avrei dovuto
esserle grata. Certo, non era stata molto gentile nell'aprirmi gli
occhi, ma lei era fatta così e non potevo ritenerla
responsabile di quello che la mia famiglia aveva deciso. Ma che si
presentasse di colpo a casa mia, pretendendo di parlarmi, come se fosse
stata la cosa più naturale del mondo... quello era
inaccettabile.
Spalancai la porta dello studio e marciai nell'ingresso. Trovai tutti
schierati davanti alla porta, e Leah mezza nascosta a qualche passo di
distanza.
«Devo parlare con lei, Edward» stava dicendo.
«Sai anche tu che qualcuno deve farlo».
Mi infilai tra gli altri, facendomi strada, e mi ritrovai davanti alla
nostra ospite inattesa. Quando mi vide, stranamente parve sollevata.
«Certo che hai davvero una bella faccia tosta per presentarti
qui» dissi, la voce rotta dalla tensione.
Una mano fredda si chiuse sul mio polso, forse per fermarmi o calmarmi,
ma io la ritrassi con forza, senza capire a chi appartenesse.
«Ce ne vuole anche per continuare ad interpretare la
principessa
offesa dopo tutto questo tempo, come stai facendo tu» rispose
Leah,
diretta e spavalda.
Principessa offesa?
Ma chi
diavolo si credeva di essere, quella lì, per giudicarmi?
Sentii
la rabbia crescere alla velocità della luce e pensai fosse
meglio allontanarmi. «Non voglio parlare con te. Vattene, per
favore» sibilai, e mi avviai vero le scale per
salire di
sopra.
«Sai, poco fa mio fratello era al telefono con
Charlie»
continuò Leah, ignorando completamente le mie parole e
venendomi
dietro, «e lui parlava di te, e non faceva che dire quanto
sei stata
male in questo periodo, e quanto sei stata forte e coraggiosa... Tutte
stronzate! Forte e coraggiosa un cavolo! Sei soltanto una bambina
immatura e viziata che gioca a fare la piccola principessa sdegnata che
si rifugia nel suo castello, ignorando tutto ciò che non le
sta bene e che non va come lei aveva previsto...»
«Insomma, la pianti? Che cosa vuoi da me?» gridai,
voltandomi di
scatto verso di lei, nel mezzo della cucina. Gli altri erano ancora di
sotto e ci ascoltavano, la mamma, papà e Rosalie a
metà
delle scale; sembravano pronti a lanciarsi verso di noi per impedire
che ci
azzuffassimo.
«Voglio che tu cresca
una buona volta! È ora che succeda, sai?»
«Penso che la cosa non ti riguardi affatto!»
«Sì che mi riguarda, ragazzina, perchè
il tuo
comportamento riguarda Jacob, che sta impazzendo, e se uno di noi
impazzisce, il resto del branco lo segue a ruota, compresa me,
capisci?»
Il nome di Jacob fu come uno schiaffo. Trasalii e le parole che stavo
per pronunciare mi morirono in gola. A quel punto zia Rose
partì
all'attacco.
«Va bene, basta così»
ringhiò. Salì i
gradini e si parò davanti a Leah con aria minacciosa.
«Renesmee vuole che tu te ne vada. Se non ci pensi da sola ti
do
una
mano io».
«Rosalie, non ti immischiare» fece papà
a denti stretti, come se avesse ripetuto quella stessa frase almeno
cento volte, ma lei non si mosse.
Leah le lanciò un'occhiata scocciata. «Vuoi fare a
botte?
Nessun problema, ma potremmo rimandare a un altro momento? Non so se
hai notato, ma sto cercando di mettere a posto questo casino».
«Un casino creato da te»
sbottò la zia, velenosa.
Leah fece una smorfia amara. «Non hai pensato che
forse
sono qui ora proprio per questo motivo? Caspita, so che i vampiri non
brillano per intelligenza, ma tu sei di gran lunga la più
sveglia».
Rosalie fece un mezzo passo avanti con l'aria di chi si prepara ad una
rissa epica e istintivamente mi misi in mezzo.
«Si può sapere che sei venuta a fare?»
intervenni,
guardando Leah dritto negli occhi. «Quello che dovevi dirmi
l'hai
già detto l'ultima volta che ci siamo viste, e non mi
interessa
sapere cosa pensi di me e dei miei comportamenti. Se è tutto
qui
puoi anche andartene».
Mi tremavano le mani per l'agitazione, anche se cercavo di mostrarmi
sicura e sprezzante. Le girai di nuovo le spalle e salii in tutta
fretta le scale, ma lei mi seguì, ostinata. Gli altri
rimasero di sotto, parlando animatamente tra loro.
«Non ti interessa neanche Jacob?»
esclamò con tono provocatorio.
«Che cavolo c'entra Jacob, adesso?» sbottai a denti
stretti.
«Lui sta male, Renesmee. E... la bionda psicopatica ha
ragione:
buona parte di questo disastro è colpa mia»
ammise,
visibilmente a disagio. Abbassò lo sguardo. «Devo
rimediare
in qualche modo».
«Trovati una macchina del tempo, allora».
«Non mi pento di quello che ho fatto»
ribattè con
forza. «Ho sempre pensato che questa cosa di nasconderti
l'imprinting fosse
ridicola. Poteva funzionare quando eri piccola, forse, ma... Tutti
aspettavano che tu crescessi prima di parlartene e non si rendevano
conto che finchè avessero continuato a tenerti dentro una
bolla
di sapone non saresti mai cresciuta. Dovevi
sapere. Ma non spettava a me dirtelo, e soprattutto... non in quel
modo». Il suo imbarazzo era evidente, eppure non esitava
neanche un
poco. Doveva credere sul serio in quello che stava dicendo. Ne fui
stupita. «Non ho usato le parole giuste. Sono stata odiosa,
lo
ammetto. Mi dispiace. Ma tu eri lì a parlarmi di quel
ragazzo che ti aveva baciata e che ti piaceva, con le guance rosse e
gli occhi luccicanti, e ho pensato... Non
è così che deve andare. Se lei si innamora di un
altro,
Jacob dovrà ancora una volta essere soltanto un amico,
tirarsi
indietro e stare a guardare. E non è giusto,
non dopo
tutto quello che ha passato. E qui ho commesso un altro errore, lo so:
questi sono affari vostri, non posso pretendere il finale che vorrei.
Ma Jacob è mio amico, mi è stato vicino in un
momento in
cui nessun altro c'era ed io volevo fare qualcosa per lui. Invece
l'unico risultato che ho ottenuto è stato quello di
allontanarvi».
«Non voglio parlare di Jacob» sussurrai. Il
pensiero che l'intera
famiglia fosse in ascolto al piano di sotto era intollerabile.
Ancora una volta Leah proseguì come se non avessi parlato.
«Ma c'è di più. Non mi sono mai
comportata
bene,
con te, lo so» disse tutto d'un fiato. «Non ho
mai sopportato il fatto che tu avessi un esercito di persone impegnate
a proteggerti, mentre nessuno era riuscito a proteggere me».
Tacque
un secondo, serrando le labbra. «Tu rifiuti l'imprinting e
non
vuoi
più saperne di Jacob, ma io... io darei qualunque cosa
perchè una persona tenesse a me in modo così
incondizionato. E tu l'avevi al tuo fianco, quella persona, e non te ne
accorgevi! Ero furiosa e ti ho rovesciato addosso tutta la mia rabbia,
come se fosse colpa tua. Non avrei dovuto farlo. Ti ho
ferita, e per questo ti chiedo scusa. Mi
dispiace».
Quando finalmente smise di parlare, rimasi a fissarla per un minuto, le
braccia incrociate. Alcune cose che aveva detto mi avevano colpita, ma
altre mi irritavano ancora di più. Non ero disposta a
dargliela vinta facilmente.
«Hai finito?». Prima che potesse rispondere, la
interruppi.
«Interessante, il monologo, ma ancora mi sfugge il senso di
questa
visita».
«Non è possibile che non te ne importi
nulla»
esclamò, accorata, facendo un passo verso di me.
«Jacob è a pezzi e se davvero gli vuoi bene, se
davvero
è la persona più importante per te, come sostieni
da
sempre, non è possibile che non te ne importi. È
come che
se tu gli stessi facendo del male con le tue stesse mani».
«Ho detto che non
voglio parlare di Jacob!»
«Stai facendo del male anche a te stessa, pensi che non si
veda? Che senso ha? Ha sbagliato a mentirti, d'accordo, ma tu sai
cosa significhi per lui. Non credi che la sua punizione possa
terminare, adesso?»
Non ne potevo più di ascoltare quelle cose. Mi sarei messa a
strillare come una matta pur di coprire la sua voce. «Mi
spiace, ma
ho già sentito questa predica. Tuo fratello è
arrivato
prima di te».
«Seth non c'entra, non sa nemmeno che sono qui...»
«Certo, come no!» esplosi, e al piano di sotto sentii
distintamente qualcuno trattenere il fiato. «Pensi che non
sappia che è stato Jacob a mandarvi, tutti e
due? Mi hai preso per stupida? Sarò anche una ragazzina
immatura
e viziata, ma non sono
una stupida!»
«No, Renesmee...»
«È semplicemente ridicolo! Seth ci
ha già provato una volta e ora tu... ma che diavolo crede di
fare? Pensa di convincermi così? Allora non mi conosce
proprio!»
«Vuoi ascoltarmi, per favore? Non mi ha mandato Jacob, non mi
ha
mandato nessuno, te lo giuro! È stata una mia
iniziativa!»
Scossi la testa, troppo arrabbiata per ragionare. «Sai che
c'è? Forse è il momento che anch'io prenda
un'iniziativa» sbottai, beffarda. La superai rapidamente,
scesi le
scale e mi ritrovai davanti il resto della famiglia. Erano tutti
zitti e immobili e mi fissavano con vari gradi di preoccupazione,
ansia e stupore stampati in viso.
«Dove stai andando?» chiese la mamma con cautela,
come se temesse la risposta.
«Vado da Jacob».
Lei spalancò gli occhi, incredula. «Cosa? Ma...
perchè?»
«Perchè quella sua testaccia dura non recepisce
nessun messaggio se non ci sbatte contro!»
Scesi a precipizio le scale per raggiungere l'ingresso, ma dopo pochi
scalini dovetti fermarmi: la mamma mi aveva superato in un lampo e mi
bloccava il passo; per poco non andai a sbatterle contro.
«Aspetta, aspetta!» esclamò,
concitata e
allarmatissima. «Sei sicura che sia una buona idea? Adesso
sei
arrabbiata, non sei lucida, potresti fare o dire qualcosa di cui poi ti
pentiresti. Non trattarlo male, per favore».
«Che cosa?» strillai. «Che cosa? Stai
dalla sua parte?»
«No! Cioè, non sto dalla parte di nessuno, voglio
solo che
stiate bene entrambi... Renesmee, ti prego, fermati!»
Aggirai l'ostacolo, marciai impettita nell'ingresso, afferrai la mia
giacca dall'appendiabiti e uscii, decisa a non ascoltare nessuno. Alle
mie spalle percepii una certa agitazione, ma feci finta di nulla. Ero
talmente furiosa, con Leah, che pretendeva di dirmi che cosa fare, con
Jacob, che non riuscivo ad eliminare dalla mia vita, con la mamma, che
in un modo o nell'altro pensava sempre a lui, con tutti gli altri,
così insopportabilmente invadenti, con me stessa, per aver
rimuginato su quella faccenda fino ad allora senza prendere nessuna
decisione, che giunsi in vista di
casa Black a tempo di record, senza neanche accorgermi delle nuvole che
si gonfiavano, sempre più scure e minacciose, e del
rumoreggiare
di tuoni in lontananza.
Ritrovarmi in quel posto così familiare e
così importante per il mio passato avrebbe dovuto farmi un
certo
effetto, ma allontanai i ricordi con decisione, sapendo che se mi
avessero sommersa, senz'altro avrei ceduto. E in quel momento non
potevo cedere. Non prima di aver fatto una bella ramanzina a qualcuno.
Bussai alla porta con energia e poco dopo Billy venne ad
aprire. Dalla faccia che fece sembrò avesse davanti un
fantasma
o un alieno verde con tanto di antenne.
«Ehi» mi salutò, dopo un interminabile
minuto di silenzio
di tomba. Il suo sguardo era perfettamente impenetrabile, come lo
ricordavo. E riusciva anche a mettermi a disagio proprio come
ricordavo.
«Ciao, Billy» dissi in tono rigido.
«Jacob è in casa?»
«No. Cioè, sì» rispose
lentamente. «È in garage, sta lavorando».
Annuii con aria sostenuta. «Grazie».
Senza aggiungere altro, mi voltai e mi diressi al garage, certa di
avere i suoi occhi puntati addosso. Mentre mi avvicinavo, sentivo i
familiari rumori metallici tipici di chi sta riparando una macchina.
Quante volte avevo trascorso interi pomeriggi accanto a Jacob,
guardandolo lavorare e chiacchierando di tutto? Impossibile contarle.
Un'improvvisa folata di vento freddo mi portò il suo odore,
un
profumo che non sentivo da settimane, ma inciso a fuoco nella mia
memoria;
avrei potuto riconoscerlo ovunque. Mi sembrava di essere tornata
indietro nel tempo. Sulla soglia del garage mi fermai, un po' esitante.
Non ero più certa che fosse una buona idea, ma ormai ero
lì.
Tra me e Jacob c'era una macchina con il cofano aperto e sollevato, ma
non era sufficiente a nascondermi. Gli bastò alzare gli
occhi e
mi vide. Nell'istante in cui ci guardammo, fu come se qualcuno mi
facesse lo sgambetto.
«Renesmee» mormorò. Il suo tono mi fece
pensare a un uomo
che sta morendo di sete nel deserto e finalmente riceve una goccia
d'acqua fresca sulle labbra.
A un tratto dimenticai tutto, perchè ero lì, cosa
stavo
per dire, e provai l'assurdo impulso di fare un passo verso di
lui, un altro, e un altro ancora... Poi il violento rombo di un
tuono, seguito dallo scrosciare della pioggia che iniziava a cadere, mi
riscosse di colpo. Con uno sforzo immenso,
riuscii a raccattare da qualche parte i miei pensieri e un briciolo di
determinazione.
«Smettila immediatamente di fare quello che stai
facendo!» dissi tutto d'un fiato, ansimante.
Con aria molto confusa, Jacob abbassò per un attimo lo
sguardo sull'aggeggio metallico che aveva in mano, poi tornò
a
fissarmi. «Cosa sto facendo?» domandò,
con calma.
«Lo sai benissimo! Prima Seth, poi Leah... Chi
sarà il
prossimo? Smettila di spedire da me tutte le persone
che conosciamo per convincermi a parlarti di nuovo, va bene? Basta,
altrimenti scateno Rosalie contro il prossimo che si
presenterà
a farmi la predica, è chiaro?». Dovetti
interrompere la
tirata per prendere fiato, e stavo per ricominciare, quando lui
parlò.
«Ehi, ehi, aspetta. So che Seth è venuto a parlare
con te, un paio di settimane fa. Ma cosa c'entra Leah?»
Sbuffai. «È appena piombata in casa mia per farmi
un discorso
assurdo e... lei voleva... voleva che io... Oh, insomma! Non fingere
di non saperlo!»
Jacob annuì lentamente, l'espressione grave.
«Porca
miseria» borbottò sotto voce. Fece un sospiro.
«Renesmee, io davvero
non
lo sapevo. Leah non si trasforma da ieri, deve averlo deciso
all'improvviso. Mi dispiace, è colpa mia. Dopo quello che ha
fatto Seth avrei dovuto imporre al branco di lasciarti in pace, ma
speravo di non essere costretto a farlo. E non avrei mai pensato di
dovermi preoccupare proprio di lei, fra tutti». Scosse il
capo,
meravigliato e contrariato al tempo stesso. «Ma ora lo
farò.
Nessuno verrà più a disturbarti, te lo
prometto».
La sua voce morbida e carezzevole, calda e decisa, mi aveva quasi
ipnotizzata. Dio, quanto mi era mancato. Vederlo lì davanti
a me
sembrava quasi un sogno. «Davvero non gliel'hai chiesto
tu?»
chiesi in un sussurro.
Lui scosse di nuovo la testa, fissandomi con aria seria, e in quel
momento mi resi conto di due cose. Primo, gli credevo. Secondo, avevo
sempre saputo, dentro di me, che lui non c'entrava. Gli avevo chiesto
del tempo, gli avevo chiesto una pausa, e il mio Jacob non mi avrebbe
mai detto di no, non avrebbe mai potuto forzarmi a fare niente. Anche
questa volta lui aveva capito. Ed io, invece... io non avevo capito un
accidenti.
Mi girai piano e mi diressi verso l'uscita, ma a un tratto
sentii le ginocchia cedere. Barcollando, mi appoggiai al muro e
scoppiai a piangere, senza poter fare nulla per impedirlo. Mi sembrava
di soffocare, mentre mi coprivo il viso con le mani, infastidita e
arrabbiata. Mi vergognavo da morire al pensiero che Jacob assistesse a
quello sfogo così violento e infantile.
«Renesmee!» gridò, angosciato, e corse
da me. Pensai
che
volesse abbracciarmi, ma si fermò appena in tempo,
titubante.
«Che ti succede? È per qualcosa che ha detto
Leah?»
Cercai di frenare le lacrime per riuscire a parlare. «Non...
non
è per Leah. Mi ha solo detto la verità.
E anche stavolta io non sono stata in grado di accettarla.
Perchè non riesco ad affrontare le cose? Che c'è
di
sbagliato in me?» singhiozzai, disperata.
Jacob esitò a lungo prima di rispondere. Forse voleva che mi
sfogassi un po', o forse stava cercando di decidere che cosa dirmi.
Non doveva essere semplice neanche per lui.
«Non hai niente di sbagliato» mormorò a
un tratto,
lentamente. «Questa è una cosa grossa e tu sei...
molto giovane. Non è semplice».
Feci diversi respiri profondi per calmarmi e con le mani mi asciugai le
guance bagnate. «Parli come se tu fossi vecchio»
borbottai. Avevo
paura di sollevare gli occhi e incontrare i suoi, così li
tenevo
ben fissi a terra.
Lo sentii sorridere. «Non sarò vecchio, ma ho
qualche anno più di te».
Bambina immatura e
viziata. Ero proprio così, accidenti.
Perchè quella ragazza aveva sempre ragione? Perchè?
Mentre mi scostavo i capelli dal viso con un gesto automatico, guardai
Jacob. Mi stava fissando con un'espressione così dolce e
preoccupata che avrebbe potuto sciogliere un iceberg. Provai la
fortissima tentazione di chinare la testa sul suo petto e lasciarmi
stringere dalle sue braccia forti... Sarebbe stato così
bello...
Finalmente mi sarei sentita di nuovo al sicuro... O forse no? Mi tirai
bruscamente indietro.
«È insopportabile!» sussurrai, senza
fiato.
Feci per uscire, ma qualcosa mi bloccò il passaggio: Jacob
aveva
allungato il braccio sinistro, quasi intrappolandomi contro la parete.
Stupita, indietreggiai subito più che potevo, cercando di
mettere un po' di spazio fra noi, e lo guardai con occhi spalancati. E
adesso?
«Aspetta, ti prego. Aspetta un istante» disse, e il
suo tono
tormentato mi ferì al cuole come una stilettata.
Perchè, perchè
ero andata da lui, dannazione? Già inizavo ad intuire come
sarebbe finita. Era inevitabile, e io ero stata una stupida. Avrei
dovuto sapere che non potevo rivederlo senza arrendermi.
«Ascoltami. Se vuoi che me ne vada, che sparisca dalla tua
vita e ti lasci in pace
per sempre, lo farò. Devi soltanto chiedermelo».
«Ma io non voglio questo» balbettai, arrossendo,
spaventata
dalla serietà con cui aveva parlato. Faceva sul serio?
«E allora che cosa vuoi? Te lo sei mai chiesto? Non pensare
al
passato, non pensare a quello che dicono gli altri, a quello che
pensano, dimentica l'imprinting, cancella tutto: tu che cosa
vuoi?»
Te.
Quel pensiero affiorò spontaneo da chissà dove,
lasciandomi senza fiato, ma riuscii a trattenerlo prima che mi
scivolasse
tra le labbra. Mi ci volle un
minuto per riprendermi.
«Vorrei poter riavere tutto indietro» risposi in un
sussurro spaventato.
«Se potessi ridartelo, lo farei, credimi» disse
Jacob
lentamente, lo sguardo fisso che incatenava il mio. «Ma non
è possibile. Non si torna indietro. E
allora... credo che tu abbia due opzioni: puoi decidere di cancellare
dalla tua vita quello che non ti va bene, far finta che non esista,
oppure puoi decidere di accettarlo. La scelta sta a te».
«E tu?». Lo guardai senza capire. Lui cosa voleva?
«Non ha importanza. Io voglio quello che vuoi tu».
«Sì che ne ha! Ne ha per me! Jake, io ti voglio
bene!» esclamai tutto d'un fiato. All'improvviso mi importava
solo che lui capisse cosa provavo, e al diavolo la prudenza, al diavolo
l'indecisione, al diavolo la paura, al diavolo tutto il resto.
«Ti voglio bene, e mi sei mancato da morire, e... non ce l'ho
con
te, non più. All'inizio era furiosa, ma mi è
passata,
ormai, da tanto tempo. Non voglio, non posso cancellarti dalla mia
vita. Sei troppo importante. Ma...»
«Ma cosa?» mi incalzò, teso.
«E se scoprissimo che tra noi è cambiato tutto?
Che non
riusciamo più a stare bene insieme, che non riusciamo
più
ad essere amici?» domandai con aria di sfida, la voce che a
poco
a poco si tingeva di panico nel prospettare quelle orribili
possibilità. «Ricordi quello che mi hai detto
l'ultima
volta che ci siamo parlati, dopo la scuola? Anche tu avevi paura che
dirmi dell'imprinting e farlo diventare reale potesse cambiare le cose,
alterare il nostro rapporto... Che cosa faremmo se accadesse
davvero?»
«Non è detto che vada così. Potremmo
provarci. Insieme».
«E se non funzionasse?»
Jacob tacque per qualche secondo. A un tratto sembrava spaventato
quanto me.
«Qual è l'alternativa?» disse, la voce
impregnata di
tristezza. «Ci separiamo adesso e non ci vediamo
più? Devi soltanto chiederlo».
Sembrava talmente determinato a farmi del male con quell'assurda
proposta che per un attimo ebbi paura. Non c'era alcun bisogno di
pensarci per dargli una risposta. Sei settimane di separazione erano
state intollerabili: avevo sentito la sua mancanza in ogni momento di
ogni stupido giorno passato lontano da lui. E da quando ero tornata a
casa, una settimana prima, sebbene non avessi fatto il suo nome neanche
una volta, Jacob era diventato la mia ossessione: avevo trascorso notti
su notti sveglia a tormentarmi, divisa tra il desiderio di rivederlo e
la paura che il nostro legame fosse andato distrutto. Rinunciare a lui
per sempre era impensabile.
«Non te lo chiederò mai» mormorai con
voce rotta.
«Non posso stare lontano da te. Sarebbe come... voler fermare
la
pioggia che cade. Non c'è altra scelta». Scossi la
testa.
Sentivo le guance umide e mi resi conto che le lacrime avevano ripreso
a scorrere, come la pioggia fuori dal garage. «Io non ho altra
scelta e la cosa peggiore è che non riesco ad accettarlo.
Non ci riesco».
Fui costretta a smettere di parlare, sopraffatta dalle lacrime. Chinai
il viso, così disperatamente triste da non riuscire
più a
provare imbarazzo. Jacob taceva, ma a un tratto sentii la sua mano
sfiorarmi delicatamente la guancia, accarezzarla con estrema lentezza,
asciugando le lacrime con il pollice. Il suo tocco era una sensazione
familiare e tremendamente piacevole. Scatenò una
marea di ricordi, talmente reali e vividi che mi parve di essere
tornata indietro davvero, a quando niente avrebbe mai potuto mettersi
tra di noi. E all'improvviso mi colpì una consapevolezza
fulminea. Non c'era niente di diverso, in quello. Lui era accanto a me,
mi accarezzava, mi rassicurava e mi face sentire
bene. Protetta. Come sempre. E se quello non era cambiato, allora
forse...
Dio, che confusione! Dovevo andarmene da lì se volevo
provare a
ragionare con lucidità. Mi sottrassi alla sua mano, passai
sotto
il suo braccio teso, uscii dal garage e mi allontanai di qualche passo,
incurante degli enormi e gelidi goccioloni di pioggia che mi
bersagliavano. Lui non mi seguì. Chissà come
avrebbero
reagito, a casa, vedendomi tornare in quello stato. Chissà
cosa avrebbe detto la mamma. Senz'altro si sarebbe preoccupata per
Jacob e i suoi sentimenti... La mamma. All'improvviso mi
sembrò
di sentire la sua voce sussurrare qualcosa dentro di me, e
istintivamente mi fermai per ascoltare.
Le
paure vanno affrontate, Renesmee. Nascondersi non serve, ci
rende soltanto più deboli; e prima o poi arriva il giorno in
cui
ci rendiamo conto che abbiamo permesso alla paura di dominare la nostra
vita, di toglierci il libero arbitrio, di portarci via
chissà
quante cose, belle e brutte.
Per
non so quanto tempo rimasi perfettamente immobile, come paralizzata, ad
inzupparmi. Perchè quelle parole mi tornavano in mente
proprio
adesso? Era solo un caso, una coincidenza, o era un segno? Ma che
importanza aveva, in fondo? Era proprio quello che stavo facendo.
Scappavo e mi nascondevo, ancora una volta, come quando mi ero
trasferita da Charlie, come in quei sei anni, quando avevo ignorato
tanti piccoli dettagli che forse avrebbero potuto mostrarmi la
verità. Come Jacob, come i miei genitori, che avevano
costruito
una vita di menzogne per proteggermi e avevano finito con il farmi
ancora più male. Loro avevano sbagliato, io avevo sbagliato,
e
adesso stavo sbagliando di nuovo. Era ora che qualcuno rompesse
quell'infinita catena di errori, uno dietro l'altro. Che qualcuno
provasse a fare la cosa giusta. Non sapevo se sarei stata abbastanza
forte, però dovevo provarci, perchè l'alternativa
era dire addio alla persona più importante della mia
esistenza.
Lentamente, abbandonandomi all'impulso interiore che mi supplicava di
tornare indietro, mi voltai. Feci un mezzo passo avanti, insicura sulle
gambe come se dubitassi di riuscire a stare in piedi, e un attimo dopo
mi ritrovai a correre verso Jacob.
Lui mi venne incontro sotto il temporale. Le sue braccia mi accolsero,
mi strinsero, e finalmente, finalmente
mi sentii di nuovo completa. Di nuovo me stessa. Mi fece volteggiare
nell'aria, come quando ero bambina, ed io risi di gioia, tra le
lacrime, pensando a quanto il cuore umano sappia essere pazzo e
stupido, a volte. Perchè, semplicemente, la pioggia non si
può fermare.
Note.
1. Qui
la
canzone. La adoro, sembra scritta apposta per questo momento. Sapevo
fin dall'inizio che avrebbe accompagnato l'ultimo capitolo.
Spazio autrice.
E siamo arrivati alla fine. Spero con tutto il cuore di non aver deluso
nessuno. Quest'ultimo capitolo è forse quello al quale ho
lavorato di più e anche se la conclusione, tutto sommato,
era
prevedibile, mi auguro di non essere stata troppo scontata. Come avrete
già notato, la vicenda principale della fanfiction si
è
chiusa: Renesmee è tornata a casa, ha ritrovato Jacob, ha
ritrovato se stessa ed è cresciuta attraverso le esperienze
che
ha vissuto. Ma ci sono anche domande rimaste in sospeso. Come andranno
le cose tra Alex e Renesmee? Resteranno insieme? Jacob sarà
sempre e soltanto un amico o avrà la sua occasione? Renesmee
riuscirà a continuare la sua vita "normale" da ragazza umana
o
un giorno questo fragile equilibrio rischierà di spezzarsi?
Le
risposte a queste domande, e molto altro ancora, nel sequel ;-).
Sì, lo so, sono ruffiana, ahahahahah!
Una parte di me è felice di aver raggiunto questo piccolo
traguardo. L'altra è tristissima, perchè
già sento
che arriva la nostalgia. È stato molto bello vivere questa
avventura ed è merito vostro, perchè siete state
voi a
renderla speciale. Un enorme grazie ad Aniasolary e Bianca Lyra
Petrova, le mie adorabili "sorelline", per il loro sostegno e i loro
preziosissimi pareri. Grazie anche ad Astrid Romanova, AlbionMay,
Ariadnae, marta_cr_cullen92, blonde985, BabyMe, thatsfrancy,
StarryEyed, NikyStellina, bluerose95, Lollola, IRE86, Mary_Withlock.
Spero di non aver dimenticato nessuna, siete più numerose di
quanto mi sarei mai aspettata xd. Grazie infinitamente per aver seguito
la storia e per i vostri commenti sempre gentili, interessanti e
strapieni di complimenti ^^.
Per quanto riguarda il sequel, vi ho già accennato
qualcosina.
Il lavoro praticamente è quasi concluso, ma ha bisogno di
parecchie revisioni e correzioni. Inoltre, a giorni
riprenderò
l'università e almeno per qualche
settimana sarò costretta a dare
meno spazio alla scrittura. Ma non preoccupatevi, la storia
è
già scritta ed io sono impaziente di condividerla con voi.
Non
faccio promesse sui tempi di pubblicazione, perchè
rischierei di
non mantenerle, ma farò di tutto per iniziare il prima
possibile. Se vi va di tenervi aggiornate, date un'occhiata ogni tanto
alla mia pagina Facebook (Aurore Cathy Efp) e appena potrò
vi
farò sapere come procedono le cose.
Be', penso sia tutto. Vi ho annoiate abbastanza xd. Grazie ancora, e a
presto! |