fanfic-cap11
Merda.
- Ma tu avevi detto che ti eri convinta che Ranma non c'entrava nulla... -
Merda.
- Perché hai firmato una cosa del genere dopo quello che hai detto stamattina? E dopo quello che ti ho detto ieri sera...?
Cosa ci siamo messi a fare?
- Nabiki, tu non avrai mica
aspirazioni suicide vero? Non è che vuoi morire per qualche
oscura ragione e non ci hai detto nulla?
Le scommesse sui cavalli?
- Perché fare una cosa del genere è suicida. Al 100% kamikaze. Perché l'hai fatto?
Che gli avrà detto la testa a quel pazzo di Tofu?
- Forse sei ancora in tempo
per ritrattare, per andare da Obaba e dirgli che c'è stato un
grosso equivoco, che il dottor Tofu credendo di aiutarti ha fatto una
sciocchezza senza sapere...
Quel Tofu... sta fuori come uno zerbino
- ... per evitare la condanna a morte!
Morte?
- Quale condanna a morte, scusa? Non mi pare che sia stata emessa nessuna sentenza, no?
Finalmente riuscii a sollevare lo sguardo da quel pergamenone infame e
a guardare Akane dritto negli occhi. La sbruffonaggine non mi veniva
proprio spontanea e risultare credibile mi costò uno sforzo
notevole. Ma glielo dovevo. Ammettere di starmela facendo sotto avrebbe
voluto dire avallare la sua assurda teoria dell'unilateralità e
dare un colpo letale alla sua già barcollante autostima.
- Non ti preoccupare, questa dopotutto è opera del dottor Tofu.
E del dottore ci si può fidare... no? - non sapevo bene se stavo
cercando di convincere Akane o di autopersuadermi che fosse davvero
così. Probabilmente entrambe le cose.
- Ma magari l'ha scritto Mousse e Tofu ha dato la sua approvazione mentre Kasumi passava di là e non era in sé! -
- Se Kasumi avesse visto questo coso prima di noi a quest'ora il testo
sarebbe sporco di litri di sangue del caro dottore anziché di qualche
goccia del nostro. E stasera ceneremmo anatra all'arancia alla
giapponese - mormorai quasi tra me e me e nessuno capì il vero
senso delle mie parole perché nessuno aveva ben chiaro cosa
stesse passando per la testa di quella paranoide monomaniacale di
Kasumi, ma io in quel momento stavo più che altro pensando che
sarebbe stato bello, davvero bello, se la sorellona li avesse colti in
fragrante, al dottore e al papero, salvandomi da questo delirio.
Come aveva potuto? Come aveva potuto fare una cosa così avventata una persona seria e sensata come il dottore?
Povera me.
- Ad ogni modo sarà bene che io gli parli, se non
altro per capire cosa ha in mente. Ma non è proprio il caso di
farsi prendere dal panico. Quindi vi pregherei di starvene tranquilli
per un po'. Adesso la zia Saotome ci prepara uno spuntino freddo,
io intanto vado a darmi una rinfrescata. E vedo se riesco a convincere
Kasumi ad uscire da lì e a farmi cambiare la medicazione all'occhio. -
- Se preferisci posso farlo io, cara. -
- Lo so zia Saotome, ma preferisco fare almeno un tentativo. Anche se non in
realtà non ne ho nessuna voglia, credo sia meglio così. -
Alle sette esatte del pomeriggio di quel giorno infausto uscivo dalla
doccia con il morale sotto i piedi e una gran voglia di mettermi a
piangere. Mi diressi verso lo specchio sopra il lavandino per vedere lo
stato in cui versava la mia faccia. Dovetti rimuovere un po' di
condensa con il palmo della mano per riuscire a distinguere qualcosa.
Ebbene sì, quella ero proprio io. Tristemente palliduccia a
causa del poco sole che avevo potuto prendere per colpa dello studio, lo stacco cromatico tra il bianco dell'asciugamano che
tenevo legato sotto le braccia e il mio incarnato era quasi
impercettibile. Faceva ovviamente eccezione il mio bell'occhio nero,
ancora così gonfio da restare praticamente del tutto chiuso.
Quanta miseria. Mi asciugai alla meglio i capelli senza l'uso di
apparecchi elettrici ché non volevo correre rischi - e poi tanto faceva
così caldo che certo non rischiavo un raffreddore, - mi vestii
rapidamente - minigonna di jeans chiara e una canottiera a righe bianche e
rosse - e uscii di lì. Prima di tutto
andai in cucina a spizzicare qualcosa, poi sospirando salii di
malavoglia al piano di sopra decisa ad affrontare le ire di Kasumi.
Agli occhi di tutti andavo a consolarla, a prendermi cura di lei, magari a
chiarire un equivoco e a spiegarmi... in realtà sapevo bene che
l'unica cosa intelligente che potessi fare sarebbe stato farmi nuovamente
coprire da una valanga di insulti, lasciarla sfogare, sforzarmi di non
reagire - sai che sforzo! con la stanchezza che avevo addosso... - e
quindi andarmene quando si fosse sentita soddisfatta, almeno un po'. Il
fatto era che non avevo proprio nessuna voglia. Peccato che questo non
avesse la benché minima importanza.
Mentre salivo le scale strascicando i piedi, Genma mi chiese se fosse
proprio necessario, strappandomi un sorriso amaro. Assurdo che fosse
l'unica persona a preoccuparsi per me con un minimo di cognizione di
causa. Davvero assurdo.
- Kasumi? -
- Vattene - la sua voce più che dura suonava lacrimevole, leggermente tremula.
- Vorrei solo che mi medicassi di nuovo l'occhio, ho fatto la doccia e la benda si è tutta bagnata... -
- Non mi interessa. Non voglio vederti. -
Emisi un sospiro che in effetti assomigliava più ad uno sbuffo
ed entrai. Aveva tirato le tende e la stanza era immersa nella
penombra. Se ne stava stesa sul letto, la faccia sprofondata nel
cuscino, dava l'idea di aver appena spesso di singhiozzare. Che palle.
- Si può sapere che ti ho fatto? - chiesi lasciandomi cadere sulla sedia accanto al suo letto.
- Tutto! -
- Tutto? Come sarebbe tutto? - questa versione di lei in stile bambina
imbronciata quasi mi faceva sorridere, non fosse stata una seccatura
immensa doverci avere a che fare in circostanze simili. -
- Tu! Tu hai fatto quanto di peggio una persona possa fare ad una
sorella! Mi hai usata, raggirata, manipolata, mi hai fatto giurare il
falso col sangue! Col sangue! - che visione melodrammatica della cosa...
- Uhm. Ma lo scopo finale era raggirare Cologne e salvarci la pelle
tutti quanti. Tu mi hai solo involontariamente aiutata, come io ho
involontariamente portato a termine il piano di Tofu. -
- Non raccontare frottole! Quel documento nascosto, quell'accordo con
Joketsuzoku, quella è opera tua. Le tue promesse sono parole al
vento. Parli con lingua biforcuta, donna più o meno
bianca. Cerchi di dirmi quello che voglio sentirmi dire per tenermi
buona, perché pensi che io sia una cretina, un'idiota fuori da
tempo con dei valori inutili, antiquati. Non me ne faccio nulla delle
tue menzogne io. Preferirei che mi dicessi chiaro in faccia che
intenzioni hai, invece di gettarmi fumo negli occhi. Che credi di fare,
Nabiki? Devi dirmelo. Parlo sul serio. -
Per qualche strana ragione in quel preciso istante tutto il mio aplomb
svanì in una nuvoletta d'odio. Tutta la mia stanchezza, il mio
scazzo, la pesantezza che mi sentivo addosso, evaporarono in un batter
d'occhio, spazzate via dal fuoco rovente della mia sacra rabbia. E fu
in un moto di pura stizza che le afferrai il viso con una mano,
stringendoglielo forte, deformandolo in una maschera grottesca. Le sue
guance erano molli sotto le mie dita, opponeva una blandissima
resistenza e mi fissava con gli occhi sgranati. Durò il tempo di
un respiro.
- A te non te frega niente se mi ammazzano, vero? Ti importa
solo che nessuno alteri l'equilibrio del tuo prezioso mondo delle
favole - mi avvicinai di scatto, il mio naso a pochi centimetri dal
suo, in fondo l'intenzione di spaventarla era piuttosto cosciente - Ma
quale equilibrio? - Non
gridai, scandivo le parole a voce bassa, lentamente, con i
denti stretti, sforzandomi di mascherare la mia ira -
Esiste solo nella tua testolina malata. Questa casa ci sta cadendo in
testa, non lo vedi? - Le tende si agitarono nella stanza chiusa, l'anta
dell'armadio cigolò per qualche istante. Aveva i lucciconi agli
occhi, stava per mettersi a
piangere di nuovo. Mollai la presa e mi alzai bruscamente
dandole spalle - Sei diventata una persona spregevole, Kasumi. E
il fatto che tu non ne sia minimamente consapevole non è un
attenuante. Mi fai vomitare. -Avrei davvero voluto sputarle in faccia.
E no, non credo fosse stata una mossa intelligente attaccarla in quel
modo, ma le alternative erano esplodere o sbottare. E poi in fondo era
dalla notte precedente che volevo togliermi quel sassolino dalla scarpa.
Per il momento l'avrei lasciata cuocere nel suo brodo, ma ci sarebbe
stato tempo successivamente per rinnovarle le mie promesse e la mia
lealtà. Ci voleva una saggia e ben bilanciata politica del
bastone e della carota. Anche se una vocina dentro di me aveva iniziato
a ripetermi "ma se lei è una persona spregevole, tu cosa sei
invece, Nabiki?" e un'altra vocina insisteva a rispondere "l'eroina e
la
vittima l'eroina e la vittima l'eroina..."
Sì, si, va bene. Abbiamo capito.
- Non sei
autorizzata ad uscire di qui fino a quando non te lo dirò io -
annunciai cercando di suonare quanto più fredda e distaccata
possibile.
Uscii
rapidamente dalla sua camera richiudendomi la porta alle spalle, quindi
passai per la mia stanza, presi la borsa, indossai un paio di
grossi occhiali scuri a goccia molto vintage che una volta avevo rubato
a un amico e scesi al piano di sotto a telefonare.
- Chiami Tofu? - chiese Akane apprensiva. Mi limitai a scuotere brevemente la testa.
- Pronto Akira? Hai da fare? Che ne dici se faccio un salto da te? -
Anche il mio di equilibrio aveva bisogno di essere salvaguardato.
Diedi rapide disposizioni sul da farsi - Kasumi era in punizione in camera sua,
non sarebbe uscita e nessuno doveva andare da lei, Happosai doveva
liberare la sua stanza e trasferirsi da papà che da lui avremmo
montato il laboratorio, alle nove e mezza Mousse avrebbe portato la
cena - comunicai che non sapevo a che ora sarei rientrata e me ne
andai lasciandoli un po' perplessi, o almeno così mi
sembrò di intuire dalle loro bocche mezze aperte, dalle
espressioni degne di pesci ben lessati e dalla quasi totale assenza di
commenti o reazioni in genere. Solo papà - neanche a dirlo - si
azzardò a chiedere timidamente: - Ma allora non hai fatto pace
con Kasumi...? - Mi faceva proprio cascare le braccia.
- È già tanto se non l'ho presa a schiaffi - risposi
distrattamente dalla porta mentre sceglievo quali sandali mettere.
Quelli rossi con la zeppa, senz'altro, s'intonano alla maglietta e stanno bene con la minigonna.
- Ma non ve ne preoccupate, sarebbe successo comunque, prima o poi. Non
è che una può passare tutta la vita ad incassare e
lasciar correre - aggiunsi quando vidi Akane avvicinarsi con
un'espressione di puro orrore dipinta sul viso. Volevo fosse chiaro che
la questione non aveva nulla a che fare con lei, se non
superficialmente. Ma quando infilata la porta mi voltai per richiudermela
dietro, con la coda dell'occhio la vidi coprirsi la bocca con tutte e
due le mani. Esitai. Mi dispiaceva troppo per lei, avrei voluto
parlarle con calma, ma non era il momento. Ora dovevo pensare un po' a
me.
E non guardarmi con quella faccia da io la so lunga, Minako. Che la zia Nabiki non sia stata una santarellina non è mai un segreto per nessuno, non
è che lo sai tu perché sei più sveglia degli
altri. Era stata una giornata che a definirla pesante si sfiorava il
ridicolo. Avevo in testa pensieri cupi, ero
passata in poche ore dal pensare che forse dovevo saltare gli esami di
ammissione e che magari avrei pure perso la casa, a temere che invece la casa
me la facessero cadere in testa, fino a dubitare di arrivare viva
alla settimana successiva per colpa di quel matto suicida del dottore.
Per scacciare l'angoscia non andavano bene i sistemi ordinari, non
valeva farsi una passeggiata, due chiacchiere con le amiche, attaccarsi
alla cioccolata. C'erano sono due opzioni che potevano funzionare:
affogare i dispiaceri
nell'alcol o andare a trovare Akira. Scelsi la seconda perché
alla salute ci ho sempre tenuto. E pure perché non mi sembrava
una buona idea ubriacarmi da sola con quello stato d'animo.
Akira era un bel tipo, in tutti i sensi. Uno di quei ragazzi
dotati di un fascino naturale, sicuri di sé senza
necessità di ostentarlo. Le buone maniere seducenti, senza
troppe parole, senza melassa. Si, insomma, Akira era un gran figo. Era anche un amico. E un rifugio. La persona a cui rivolgersi
quando era davvero necessario staccare la spina. Akira era la fonte
della discordia. Ex compagno di classe di Kasumi, era un tipo - come
dire - molto chiacchierato. E tutta la scuola aveva saputo quando io
avevo
avuto una tresca con lui. Se ne era parlato parecchio soprattutto
perché Akira non
andava mai con quelle più piccole. E io ero una del primo quando lui era
già in terzo. Kasumi aveva pensato che fosse stato un errore di
gioventù e mi aveva compatita quando le era stato chiaro che non
sarei
mai diventata la sua ragazza. Akira non aveva una ragazza. O
meglio ne
aveva tante, ma non stava con nessuna. Quello che Kasumi non sapeva era
che io ne ero sempre stata perfettamente cosciente e la cosa per
me
non rappresentava nessun problema. Così quando era venuto fuori
chissà
come che mesi dopo io continuavo a frequentare quel poco di buono
saltuariamente, era andata su tutte le furie. O meglio era rimasta
orribilmente delusa. Aiya! Ma che ci potevo fare? Io ero un po' una
versione femminile di Akira, ma di me si rumoreggiava meno perché io
avevo un'altra regola. Non coi i ragazzi della tua scuola. Akira era
stata l'unica eccezione perché mi piaceva parecchio. L'avevo scelto per
essere il primo perché aveva una buona reputazione. E poi era una sorta di sfida, gli avrei fatto
infrangere la sua regola ferrea. Ingannare uno così non era una cosa da
poco. In quanto alla mia di regola, dall'anno successivo sarebbe stata
di nuovo al sicuro perché Akira sarebbe diventato uno studente
universitario. Si poteva anche fare.
Ai tempi della Furia della Casa Stremata frequentava il secondo anno di una facoltà
artistico-tecnologica di qualche tipo alla Todai e viveva da solo in un
appartamento in un bel complesso di palazzine di recente costruzione
poco lontano dal campus. Era di famiglia ricca. Beato
lui. Io, ammesso che fossi riuscita ad entrarci all'università,
ammesso che mio padre non fosse andato in banca rotta e che fossi
sopravvissuta, avrei potuto aspirare al più a una stanza nel
dormitorio femminile. O questo almeno era quello che credevo allora.
Per andare da lui dovevo prendere il treno e attraversare mezza
città. Ci voleva quasi un'ora, per tornare indietro, ovviamente,
idem. Probabilmente non sarei arrivata prima delle otto e non mi sarei potuta trattenere a lungo. Ma non importava.
Prima di intraprendere la via del ritorno, mi feci coraggio e chiamai
il Nekohanten. Per fortuna rispose Mousse. Ordinai la cena per otto
persone, che la portasse il prima possibile e che mi aspettasse
lì. Avrei fatto tardi, io e Kasumi avremmo mangiato il cibo
freddo quella sera, poco male.
Poi chiamai Tofu, gli dissi che non ero arrabbiata, no, ero
semplicemente furiosa. Ma non era il caso di parlarne per telefono. Era
meglio se veniva direttamente a casa nostra verso le dieci con
tutta l'attrezzatura, per quell'ora sarebbe tornata la vicina che gli
prestava la macchina, sì? Ovvio che sì, ma non era
necessario aspettare perché per trasportare tutta quella roba si
era fatto dare un furgone da un amico. Peccato, doveva aspettare lo
stesso.
- E come mai? -
- Fatti un pacco di cavoli tuoi, dottore. -
Ok, era tempo di tornare nella mischia, ma almeno la giornata non poteva più dirsi una schifezza totale. Mi
avviai verso casa con il cuore più leggero. Il sole era appena
tramontato e il cielo si era tinto di mille colori. Se
quelli dovevano proprio essere i miei ultimi giorni, ero decisa a fare in modo che almeno
non fossero un inferno. Sul treno mi sforzai di tenere gli occhi fissi
sul finestrino senza permettere a niente e nessuno di distogliere i
miei pensieri dai piacevoli momenti appena vissuti. Tanto non
avrei avuto bisogno di pianificare nulla, potevo tranquillamente
improvvisare. In ogni caso la situazione sarebbe rimasta sotto
controllo, mi avrebbero dato retta e avrebbero rigato dritto tutti
quanti, altrimenti me ne
sarei andata da Akira per sempre. Più o meno. Invece,
miracolosamente,
andò tutto come avevo sperato. Al mio
rientro trovai ad aspettarmi la bi-famiglia al completo, incluso
Happosai che aveva diligentemente sgomberato la sua stanza
impiantandosi da papà, che già piangeva al solo pensiero
di quella convivenza forzata. Anche Mousse era in diligente
attesa ed aveva perfino messo da parte per me e Kasumi due menù
speciali di pietanze che posso essere consumate fredde senza troppi
inconvenienti. Tofu mi venne in contro all'ingresso con il passo
svelto e l'aria nervosa di chi ha fretta di chiarire o magari scusarsi.
Lo accolsi con un'occhiata severa, secondo le mie intenzioni, o
piuttosto assassina a giudicare dalla sua reazione. Una cosa per volta,
prima di tutto mi sarei occupata di Kasumi e avrei cenato che stavo
morendo di fame. Era stato davvero una serata troppo movimentata
perché il misero spuntino del pomeriggio potesse essere anche
lontanamente sufficiente. Non avevo neanche pranzato! Mi girava la
testa.
Appurato che la sorellona non era uscita dalla sua
stanza se non per un brevissima puntatina al bagno di servizio del
piano di sopra e che non era stata informata della mia prolungata
assenza, decisi che era giunto il momento di riprovare a parlarle.
Prima di salire le scale, per darmi coraggio, tentai di imitare le
mosse degli All Black tenendo in equilibrio il vassoio con i viveri per
la reclusa, tra le risate generali. Era davvero indispensabile
alleggerire l'atmosfera.
Entrai senza bussare.
- La cena. È fredda ma commestibile. - Ovviamente non rispose.
Depositai il vassoio sulla scrivania. Gli avrei fatto un breve
discorsetto e me la sarei filata rapidamente, senza darle il tempo di
riattaccare bottone.
- Volevo solo farti sapere
che per quanto mi riguarda la promessa che ti ho fatto è ancora
valida, indipendentemente dall'accordo con Joketsuzoku. Solo prove
chimiche e al più qualche domanda d'ordinanza qua e là
per trovare l'incenso del karma giusto e risolvere il nostro problema.
Il fatto che abbiamo firmato col sangue un documento in cui
ammettiamo... uhm... che la situazione potrebbe essere risolta per
altra via, non implica minimamente che qualcuno si sia impegnato a
percorrerla. Ti dirò di più, non credo affatto che
sarebbe possibile, non nei tempi che la Furia della Casa Stremata ci
impone. E so per certo che Tofu la pensa come me. D'altra parte, la
formula chimica dell'incenso che troveremo fornirà alle vecchie
megere del Consiglio tutte le prove necessarie a scagionarci. Per me
questo è quanto. Tu poi fai un po' come ti pare. - Stavo per
andarmene quando mi ricordai di farle un'ultima raccomandazione: - Cena
pure con calma, c'è il buon dottore di sotto che è venuto
per montare i macchinari, quindi è meglio se resti qui ancora un
po', se non vogliamo che monti i pezzi alla rovescia condannandoci a
morte certa, ok? Vengo a chiamarti io quando se ne sarà andato.
-
Nulla da eccepire, i monologhi mi riescono decisamente meglio dei
dialoghi.
- Nabiki...? - come non detto.
- Sì? -
- Hai un buon profumo. Hai cambiato shampoo? Odori come di... bagnoschiuma da uomo. -
Che attaccabrighe, perdiana!
Me ne tornai di sotto, senza risponderle. Tofu e gli altri avevano
iniziato a costruire tutto quell'ambaradan, ovviamente col mio permesso, e tutto
sembra procedere tranquillamente. La stanza di Happosai era spaziosa,
naturalmente ventilata, ma soprattutto facile da evacuare. Purtroppo
dovettero bucare la parete per rendere operativo il sistema di
aspirazione, ma per il resto era perfetta. Mangiai il mio cibo con
gusto, senza fretta. Dopodiché andai a chiamare Tofu. Non gli
dissi neanche una parola, bastò un quasi impercettibile cenno,
un sopracciglio arcuato in modo eloquente, perché mi seguisse in
giardino.
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N.: Ma si può sapere che ti è saltato in testa?!
T.: Perché?
N.: Perché?? E c'è da chiederlo?! È un azzardo enorme quello che stiamo facendo!
T.: Ti riferisci al fatto del 50%? Ma se anche tu...
N.: Io non ho mai sparato
percentuali! Ma soprattutto non mi sarei mai azzardata a scommetterci la
mia vita! La mia vita, nostra vita, dottore! C'è da essere
completamente fuori di testa... andati.... partiti... suonati del tutto.
T.: Non credere. Ti parlo da
medico di famiglia che conosce gli abitanti di questa casa da parecchio
tempo, ma anche da uomo che è stato un'adolescente timido ma non
per questo insensibile al fascino femminile.
N. [quasi non si sente]: Perché invece adesso è scafato...
T.: Come?
N.: No, niente.
T.: Dicevo, non hai nulla di cui preoccuparti, vedrai. So quello che dico. Puoi dormire sonni tranquilli.
N.: Beh, insomma...
T.: Già, certo. Piuttosto stai attenta a non esagerare con quelle medicine.
N.: Non sono io quella con le
manie suicide. Io non voglio morire, caro Tofu. Non voglio morire
avvelenata dalle tue droghe, ma neanche schiacciata dalla casa che si
schianta, fulminata dall'asciugacapelli o strangolata dal bollitore, e
neppure giustiziata in un posto dimenticato dalla civiltà tra le
montagne cinesi, e nemmeno strangolata nel sonno da Kasumi.
T. [ridendo]: E perché mai Kasumi dovrebbe soffocarti nel sonno?
N.: Non ne hai idea, dottore, non ne hai davvero idea...
T.: Seriamente, sulle altre possibili cause di morte non mi esprimo, ma
riguardo Joketsuzoku quella che abbiamo fatto è una scommessa
vincente. Le prove le avrai presto, dal laboratorio e per qualche altra
via. Devi stare tranquilla e fidarti di me.
N.: Ci proverò.
T.: Comunque, non è che avessi molta scelta. Se non gli avessi
dato un buon motivo per cui Cologne avrebbe potuto agire in maniera
scorretta, non ci avrebbero mai offerto la loro protezione. E un 50% o
più di responsabilità a carico del futuro marito di sua
nipote è per la vecchia Obaba una ragione assolutamente più che valida per
passare sopra a pressoché qualsiasi norma etica, di
onorabilità o anche di buon senso.
N.: Non ne dubito, ma un 40% lo sarebbe ugualmente...
T.: Non secondo il Consiglio del suo villaggio.
N.: Speriamo solo che...
T.: Tranquilla, davvero. Sono un medico, ricordi?
N.: E questo cosa c'entra?!
T.: Merito fiducia, no? [pausa con sospiro di entrambi] Conosco i miei
polli, Nabiki. Dammi retta e vai serena per la tua strada.
N.: Non credo di avere alternative.
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Così ce ne tornammo dentro. Non che mi sentissi molto
rassicurata, ma diciamo che avevo scelto di non angosciarmi più
dello stretto indispensabile. Chi vivrà vedrà, m'ero
detta. Alla fine, come dice quel vecchio detto messicano, se il tuo
problema ha una soluzione, perché ti preoccupi? Se il tuo
problema non ha una soluzione, che ti preoccupi a fare? E tanto ormai
la frittata era fatta.
Fu allora che mi resi per la prima volta conto di una cosa
meravigliosa. Mentre io e Tofu attraversavamo quello che restava del
salone, dalla stanza di Happosai sentimmo delle grida e dei rumori
strani. Accorremmo sul luogo del misfatto e ci trovammo di fronte uno
spettacolo stravagante, l'ennesimo. I pezzi degli strumenti che i
nostri si accingevano ad assemblare avevano preso a sfrecciare
ovunque, velocissimi, mentre le apparecchiatura già montate
vibravano, sembravano fremere per andare in frantumi, ogni parte dava
l'idea di volersi liberare dalle altre.
- Che accidenti avete combinato?! - non ricevetti risposta. Seguendo
la lezione dell'ultima
volta nessuno stava reagendo, ma anche solo schivare quei proiettili
improvvisati non era impresa facile, ma non era certo questa l'unica
ragione per la quale non potevano fornirmi una spiegazione
soddisfacente sul momento. Ci avrei impiegato due giorni per scoprire
cosa avesse scatenato quel delirio dal nulla. Certo era affascinante.
Come potevano i mutevoli umori umani sprigionare una potenza simile? Davvero incredibile. Non so cosa mi spinse a farlo,
forse la curiosità, probabilmente ero semplicemente sovrappensiero, sta di fatto che entrai nella stanza. Feci
un solo passo, ma tutti lo notarono immediatamente. La velocità
di volo di quei bolidi si era
decisamente ridotta. Azzardai un altro passo. Fissavo gli oggetti in
volo attentamente, sperando di capire cosa stesse accadendo, ma non ci
serviva tutta quella concentrazione per capire che si stavano fermando.
Anche gli strumenti sul tavolo da lavoro. Avevano smesso di vibrare.
No, non ci serviva molta concentrazione per capirlo, ma forse... forse
la concentrazione era servita a placare quel trambusto? Ero stata io a
riportare la calma? Tofu era rimasto fuori, quindi lui non c'entrava.
Che avessi dei super poteri? Quando la risata stridula di Happosai
arrivò ai miei timpani, quasi perforandomeli, capii che doveva
esserci una spiegazione più triviale.
- E brava Nabiki-san! Se non ci pensi tu a riportare un po' di energia positiva qui dentro, chi vuoi che lo faccia? -
- E già! - aggiunse Tofu con un sorriso a trentadue denti - Sei
la persona giusta per venirne a capo. Vedrai, ne uscirai vittoriosa. -
C'era un pezzo di tubo che ancora galleggiava in un angolo vicino al
soffitto. Gli puntai un dito contro e poi, accompagnando il gesto del
braccio con lo sguardo, lo feci muovere, fino a posarlo sul tavolo da
lavoro. Fantastico. Semplicemente strabiliante. Doveva essere merito del karma
positivo acquisito quel pomeriggio e non un potere intrinseco mio, ma era
ugualmente elettrizzante.
- Wow! Sono forte! - esclamai euforica. Erano rimasti tutti basiti.
- Perché saresti forte? - domandò perplessa la voce di
Kasumi alle mie spalle. Kasumi?! - Ho sentito delle grida e sono scesa
a vedere... -
- Ka... Ka.. Kasumi.... - blaterò un Tofu color pomodoro maturo,
il cui ki
in stato confusionale lottò tenacemente contro il
super equilibrio zen del mio rischiando di creare un nuovo macello. Lo
spinsi fuori - Vattene a casa, doc, che si è fatto davvero tardi
e qua adesso non ci sei di nessun aiuto. - Tentò di protestare -
Ka... Ka... Kasumi... - ma gli assicurai che avremmo finito il lavoro
senza
di lui, tanto c'erano le istruzioni.
Di individui più emotivamente inetti probabilmente non ce n'è su tutto il pianeta.
- Ma che è successo? -
- Pensa per te, Kasumi - ci mancava solo - Hai finito di cenare? Bene,
allora ti preparo un bagno così te ne vai a letto tranquilla. -
- Un bagno? Ma se l'acqua fa tutte quelle cose strane... -
- Non ti preoccupare, non c'è problema. -
- Eh..? -
- Beh, ti ricordi l'odore che hai sentito prima? - le chiesi circondandole le spalle con un braccio con fare complice
obbligandola a chinarsi un po' mentre ci avviavamo verso la sala da
bagno - Lo senti ancora, no? Non è bagnoschiuma. È un
incenso speciale che mi ha dato il dottor Tofu, mi sono rotolata un per
un po' trai suoi fumi. Mi ha conferito un potere speciale che mi
permette di stabilizzare piccole zone della casa. -
- Veramente? Dicevo io che non poteva essere bagnoschiuma da uomo! -
- Ah ah. -
- Stupendo! Ma allora usiamolo tutti, no? Saremmo molto più al sicuro! -
- Ehm... non si può. -
- E come mai? -
- Beh, ecco, è compatibile solo con il mio ki. -
- Ah, che peccato... Quindi questo potere speciale puoi averlo solo tu? -
- Più o meno. -
- Comunque meglio di niente, sarà senz'altro di grande aiuto. -
- Certamente. -
- E così sei diventata una specie di super eroe... E non hai pensato a dargli un nome a questo tuo super potere? -
Che ne diresti di Akira Power?
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Che zia degenerata che sono. Ho steso la nipotina con una birra prima
ancora di farla cenare. Se lo sapesse sua madre... se sapesse cosa le
sto raccontando, tutte le cattiverie che vado dicendo... Che poi
è tutto verissimo, ci mancherebbe! Ma certo che la impacchettavo
in milioni di frottole. A mia discolpa posso dire che ne andava della
mia sopravvivenza. Kasumi era così pesante, così
asfissiante... così mal fidata! Invece di me c'è
sempre stato da fidarsi. Per esempio adesso. È vero che l'ho
fatta bere, la ragazzina qui, ma solo un pochino. Che ci posso fare io
se certa gente figlia di genitori astemi non regge mezza lattina di
birra a quindici anni. Quindici anni non son mica così pochi,
no? Con quello che combinavo io alla sua età. È
anche vero che le sto raccontando una storia delicata, ma applicando
una censura rigidissima. Ci ha provato a chiedermi qualche particolare
in più sulla mia capatina a casa di Akira, ma io niente.
Inflessibile. Ovviamente. Mica vado a sbandierare i fatti miei, con
tanto di dettagli, ai quattro venti. Anche se sono cose vecchie di
quasi vent'anni. Io sono sempre io. Ed Akira è sempre Akira.
Credevo saremmo rimasti amici per sempre, invece poco dopo si è
trovato una fidanzata gelosa che l'ha obbligato a tagliare i ponti con
tutte le sue vecchie amiche. Non posso dire che non la capisca,
ma aveva promesso di venirmi a trovare a New York. Li avevo
invitati entrambi, lui e la sua nuova tipa. Invece niente. Questi
bellocci che se la tirano tanto che loro non si legano, che sono liberi
e indipendenti, poi alla fine si fanno mettere i piedi in testa da
femmine tiranne, se li accattano sempre quelle più streghe. Ai
tempi però non c'era ancora nessuna fidanzata in vista e ce la
potevamo spassare tranquillamente. C'era dell'ottima chimica tra noi.
Ahi, Akira...
Quando arrivai al cancello del cortile mi rispose prima ancora che citofonassi.
- Ti ho vista arrivare, ti vengo incontro, - la sua voce allegra
attraverso il microfono riuscì subito a scacciare un po' del mio
malumore. O forse dovrei dire terrore, perché sotto casa sua ci
arrivai con un nodo in gola e tremando di paura. Avevo solo diciotto
anni e di riflettere seriamente sull'idea di poter morire non mi era
mai capitato. Sulla morte sì, era da quando avevo perso mia
madre che mi capitava di pensarci. Ma in termini così concreti,
l'eventualità che qualcuno mi tagliasse la testa, ecco, quella
non l'avevo proprio mai contemplata prima. Quello che avevo dentro era
un turbinio di emozioni, paura, rabbia, frustrazione, ma anche tanta
incredulità. Ce l'avevo con tutti e con nessuno. Mentre
percorrevo il tragitto che mi aveva portata lì, la mia corazza
era andata disgregandosi. Distrutta, in frantumi. Così mi ero
presentata al mio amico come mai avrei voluto. Non solo avevo un occhio
nero, ma stavo piangendo e tremavo.
- Nabiki Tendo
in tenuta estiva! Wow! Era un secolo che non ti facevi viva... ma
che t'è successo? - Quel poveretto doveva aver pensato che mi
avessero aggredita o robe del genere.
- Niente! - sbottai io tra le lacrime - C'è solo un branco di
vecchie cinesi psicopatiche che mi vuole giustiziare, il nostro medico
che vuole che ci suicidiamo insieme, mia sorella Kasumi che non vede
l'ora di vedermi morta, mio padre che non capisce niente, Akane e il
suo fidanzato che sono due ritardati mentali e casa nostra che ha
deciso di seppellirci vivi! - sputai fuori tutto, senza prendere fiato - E no, non sono pazza, se è questo che stai pensando - ruggi un po' fuori di me. Ma appena
aprì il cancello e fu
a portata di mano gli gettai le braccia al collo intimandogli, ma era
quasi più una supplica, di non fare domande, soprattutto sul mio
occhio e di non chiedermi indietro gli occhiali per il momento che ne
avevo troppo bisogno. Devo dire che non ci fu bisogno di insistere.
Spiccai un debole salto e col suo aiuto gli allacciai le gambe attorno
la vita e mi feci portare dentro l'edificio, verso l'ascensore.
- Devo avere un aspetto orribile... - brontolai mentre l'ascensore
saliva lentamente gli interminabili ventitré piani che ci
separavano dal suo appartamento e io scendevo da quella posizione
abbarbicata su di lui.
- Solo la tua faccia, Tendo. Il resto è perfetto come sempre. -
La risposta arrivò insieme a un buon pizzicotto sul sedere.
Aveva humour il
bell'Akira, mi piaceva anche per questo. Di fatti, mi
strappò un sorriso, e risvegliò la civetta mai del tutto
sopita che albergava - e forse alberga tutt'ora - in me. Gli strofinai
il naso sul collo, poi avvicinai le labbra al suo orecchio: - Allora
vorrà dire che per oggi dovrai guardare altrove... - sussurrai.
Il campanello che segnalava l'arrivo al piano ci sorprese avvinghiati.
Raggiungemmo la porta senza separarci, Akira prese le chiavi dalla
tasca dei pantaloni ed entrammo.
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