EPILOGO
“Vorrei
parlarvi. Ho fatto un lungo viaggio per incontrare qualcuno che l’avesse
conosciuto…fratello.”
Lo
straniero aveva capelli lunghi come quelli di una donna, un liuto ad
armacollo
e parlava con un accento forestiero che lui credeva di non aver
mai udito. Veniva, gli disse, dalla terra di Provenza. Che
cosa cercava,
da un vecchio straccione,
lui, un poeta, un
uomo abituato a cantare l’amor
cortese del cavaliere per la sua dama? Ispirazione dalle storie che, da
tanto
tempo, il frate raccontava alle donne, ai viandanti, ai bambini che lo
ascoltavano rapiti? Lasciate che i fanciulli
vengano a me…
“Anche
lui ha cantato l’amore. Per i fratelli, per la Madre Terra e
tutte le creature
viventi. Per la morte corporale che spezza le catene
dell’anima e la innalza al
Paradiso. L’amore per il Signore Nostro Gesù
Cristo il quale, all’eremo della
Verna, pochi anni prima che lasciasse questo mondo, gli concesse il
dono grande
e terribile delle stimmate. Laudato sie
mi Signore cum tucte le tue creature. Indegno parlare il vernacolo dei mercanti
e dei contadini,
per rivolgersi all’Onnipotente. Perché quello,
invece che il latino dei padri,
dei savi e della Chiesa? Non tutti sono santi e sapienti, ma Dio ha
braccia
capaci di accogliere ognuno di noi. Di perdonarci e di salvarci. Disse
così,
ricordo. Mi guardò, con quegli occhi offuscati che si
stavano spegnendo, e mi
sorrise. Ero un peccatore, e Dio mi aveva salvato per suo tramite. Chi
poteva
saperlo meglio di lui?”
“Raccontatemi…del
lupo. Della belva assassina che ha ammansito. E’ una bella
storia.”
“Una
bella storia in cui di vero c’è ben poco, messere.
La Bestia della Pietralunga
non era un mostro e non s’è mai nutrito di carne e
di sangue umani. Era un
povero, vecchio lupo respinto dai suoi simili, su cui
a qualcuno ha fatto comodo riversare le conseguenze
della sua malvagità, come accade dall’alba dei
secoli. Francesco questo lo
aveva compreso. Sia maledetto il vostro
dannato simbolismo, che ha fatto di noi animali l’immagine
dei vizi degli
umani.”
“E
il lupo del male è stato fatto simbolo. Anche nella terra
lontana da cui
provengo. L’ora del lupo, per esempio, da noi è
quando l’alba non ha ancora
sconfitto la notte, quella in cui molte persone muoiono . E’
l’ora in cui il
sonno si fa più profondo e gli incubi diventano reali.
E’ l’ora in cui la
paura tormenta gli
insonni e spettri e demoni
si fanno più potenti. Ma
l’ ora del lupo
è anche quella in cui molti bambini nascono.”
Il
vecchio monaco chiuse gli occhi un istante, accennò
lentamente in assenso.
Francesco, di cui il mondo aveva riconosciuto la santità,
non era vissuto a
lungo, consumato dalle privazioni e dalle penitenze per i peccati che
non aveva
mai commesso. Quando sentì avvicinarsi il passo danzante di
Sorella Morte,
chiese di essere trasportato nel luogo dove il Signore gli aveva
indicato la
via e adagiato in grembo alla Madre Terra.
“Non
rese l’anima nell’ora più cupa della
notte a cui accennavate poc’anzi, messere.
Eppure…”
“Eppure?
”
“Quando
l’anima di un santo ascende al Paradiso, anche ai viventi
è dato di sentir
cantare le voci sublimi degli angeli. Ma, nel momento in cui Francesco
esalò il
suo ultimo respiro, fu l’ululato dei lupi, il canto arcano e
potente della
Terra ad accompagnare il suo spirito alla casa del Padre. A salutare il
fratello che non odorava di ferro e di sangue, ma di paglia, terra
bagnata e lana
sporca.”
Tacque,
il poeta. Anni doveva averne parecchi, il vecchio frate suo
interlocutore, ma
il suo personale segaligno era dritto come un fuso. Era chiaro
d’occhi e di
carnagione: doveva essere stato biondo, un mare di tempo prima.
“Ditemi
il vostro nome, fratello.”
“Lupo.
Frate Lupo da Gubbio.”
Fine
10-10-13
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