Premessa: Salve
a tutti! :3
So che a nessuno piace doversi sorbire una premessa chilometrica
più lunga della storia, ma cercate di essere pazienti
perché ci sono un paio di cosine di cui vorrei informarvi^^;
La prima è che questa fanfic è stata scritta
più di un mese fa, ma mi sono decisa soltanto adesso a
pubblicarla qui su EFP (sotto brutale minaccia
accorata incitazione di MiZUUMi
ovvero la
povera santa che sopporta le mie innumerevoli fisime)
Il secondo dettaglio di cui volevo mettervi a conoscenza (giusto per
prepararvi psicologicamente agli orrori che seguono)
questa è la mia prima (e chissà, forse ultima)
OnHo. Non ho molta
familiarità con questa coppia, quindi non oso nemmeno
immaginare come sia riuscita a rovinarla xD
Ma beh…spero che questa flash-fic vi possa comunque piacere^^
Prendetela come un piccolo esperimento, senza pretese.
E siccome
c’ho una tale fantasia che non sto nemmeno a dirvi, ignorate
pure l’originalità del titolo.
O e anche
l’iper accantivante introduzione, eh!
Buona lettura! :3
Il modesto orologio appeso sulla parete dell’ufficio
ticchettò frettoloso fino ad indicare le sette di sera.
Sembrò quasi fare una piccola pausa di sollievo, prima di
ricominciare la sua frenetica corsa contro il tempo.
Lee Jinki non ci avrebbe nemmeno fatto caso, se solo non avesse
sollevato un poco il viso dalle carte a cui stava lavorando per
stropicciarsi gli occhi stanchi.
Trattenersi
oltre l’orario di lavoro era per lui una malsana abitudine a
cui sembrava non riuscire a rinunciare, sebbene il pensiero di
tornarsene a casa e collassare sul letto fosse quanto mai allettante.
Gettò l’ennesima occhiata al gruppo di scartoffie
che affollava la sua scrivania, prima di riaggiustarsi gli spessi
occhiali che si era sfilato poco prima. Infine, prese di nuovo a
fissare l’orologio.
Già le sette
e cinque. Il tempo vola, eh?
Quando le lancette scoccarono ancora un altro minuto, sentì
quella strana e abituale sensazione d’ansia farsi strada nel
suo petto, sotto i soffi affannati del suo respiro.
Sarebbe
stato ancora in tempo per andarsene, ma quella era una battaglia con se
stesso che aveva perso ormai da tempo.
Invece rimase immobile ad osservare un giovane ragazzo fare capolino
dalla porta in mogano dell’ufficio.
-Ancora qui eh, Minho-ah?
L’interpellato sorrise divertito, prima di avvicinarsi alla
grande scrivania e depositare svariati fascicoli sopra la
già ingombrante pila.
-Queste pratiche non si portano da sole, giusto?
Il volto del più grande si contrasse in un sorriso
derisorio, così differente da quello cordiale che riservava
ad ogni collega.
-Sei un impiegato fin troppo solerte, Minho-ah. Il tuo orario di lavoro
è finito da un pezzo – la sua voce
sembrò disperdersi nell’aria e nel semi del
silenzio che seguì poco dopo, uno carico di
un’invisibile delusione.
-Se è così che vuoi, domani non mi
tratterrò.
Forse fu l’indifferenza con cui parlò il
più giovane a ferire Jinki a quel modo, ad addolcire il tono
della sua voce e a far colare una goccia di sudore giù dalla
fronte già imperlata.
Seppur
non disse nulla, il suo pomo d’adamo che oscillava lungo la
sua gola, sembrava quasi chiedere scusa per quelle parole non pensate.
Minho vi lesse anche l’agitazione che gli scuoteva i muscoli
e il rimpianto –forse per aver deciso di restare.
-E’ che non dovremmo – non aveva bisogno di
spiegare per bene a cosa si riferisse – non siamo
più ragazzini.
Se Jinki si aspettava che il compagno imboccasse la porta e sparisse,
rimase sorpreso nel vedere invece un sorriso germogliare sul suo volto.
-Non siamo mai stati tipi da rispettare le regole, io e te –
osservò questi con un palese orgoglio.
-Io le ho sempre rispettate
-No, tu hai sempre fatto finta di rispettarle, hyung.
Quei suoi occhioni si illuminarono di rinvigorita protervia quando vide
il suo superiore annuire distrattamente.
-Ricordi quando mi tenevi i pacchetti di sigarette? Ero io a fumare,
certo, ma tu non eri molto meglio di me. Non è forse
così?
Jinki non trovò necessario rispondere, ma si concesse di
ridacchiare al pensiero e di increspare le labbra in un modesto ma
raggiante sorriso.
Era strano parlare del loro passato in quel modo.
I
momenti che avevano trascorso insieme erano sempre stati un silenzioso
sottofondo alle parole che si scambiavano tutti i giorni, per questo
sembrava quasi irreale rivangarli così apertamente.
Scatenò in Jinki delle emozioni che non avrebbe voluto
provare, tinse i rintocchi dell’orologio di una malinconica
fretta, quella del tempo che fugge senza che lo si possa fermare.
-Non abbiamo più diciassette anni, però. Tu hai
smesso di fumare anni fa e io ho un’azienda di famiglia da
portare avanti .
Era una dolorosa sveglia, quella. Un grido, un battito di mani a pochi
centimetri dal viso nella speranza che Minho si ridestasse, la
smettesse di vivere in quel mondo tutto suo dove loro non erano mai
cresciuti e non si erano mai scontrati con la verità della
vita.
Eppure questi non lasciò la stanza come Jinki si sarebbe
aspettato, né un filo di rancore attraversò anche
solo per un istante il suo sguardo.
Al
contrario gli sorrise – ed era un sorriso caloroso, ma forse
amaro, come tenesse a stento racchiusi segreti che lui non avrebbe mai
potuto svelare.
-E invece non è proprio cambiato nulla, sai? Io ti amo
ancora e tu ami ancora me. Io odio ancora tua moglie e tu
anche– osservò tranquillo, mentre infilava una
mano nella tasca – io trasgredisco ancora le regole e tu fai
ancora finta di rispettarle, hyung.
-Non è forse così? – aggiunse poco
dopo, gettando un’occhiata eloquente all’orologio.
Il tempo teneva il conto di tutti i loro incontri, di tutte le volte
che si erano trattenuti oltre la chiusura per svolgere del lavoro che
avrebbero benissimo potuto fare il giorno dopo.
Jinki attese qualche attimo, prima di sorridere – gli occhi
assottigliati in due lunette perché d’un tratto la
gioia era troppa e no, non aveva senso, ma poco importava.
-Un giorno mi stancherò anche di fare finta –
mormorò sereno, osservando Minho tirare finalmente fuori il
pacchetto di sigarette che teneva nella tasca.
Non
aspettò nemmeno che gliela offrisse, bastò uno
sguardo complice per sigillare il significato di quelle parole.
Per Minho non era un problema, non lo era mai stato.
Nell’attesa-una che durava da dieci anni- accese la sigaretta
del suo amante , mentre l’orologio scoccava ormai la
mezzanotte.
Note finali: Eccoci qui al termine!
Come vi avevo detto, non una gran storia xD E già che ci
sono, vi chiedo anche scusa per eventuali orrori grammaticali e
ripetizioni^^;
Spero che questa flash-fic non fosse troppo...piatta :/ Ho la netta
impressione che sia una di quelle storie che non trasmettono
assolutamente nulla. Voi cosa ne pensate?
Se aveste voglia di lasciarmi un commentino e farmi sapere, ve ne sarei
immensamente grata! Anche nel caso non vi fosse piaciuta, non fatevi
scrupoli a comunicarmelo e dirmi perché! Un po' di critica
costruttiva è sempre la benvenuta! (anche se lo so che
spesso è una scocciatura recensire)
Detto questo, da brava buzzurra quale sono, ne approfitto per farmi un
po' di vergonosa autopromozione: ultimamente è raro che
pubblichi niente su efp, siccome non mi sento abbastanza soddisfatta
dalle mie storie da intasarvi il fandom con le schifezze che tiro fuori
xD Ma, se doveste annoiarvi e voleste leggere qualcosa di mio (lo ammetto, io ci
spero), potete trovare tutte le mie fic sul mio wordpress
e sul mio journal.
Dateci un'occhiata! :P
Bene, adesso la smetto di ammorbarvi xD Vi ringrazio infinitamente per
esservi fermati a leggere!
Alla prossima! :3
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