CI SIAMO QUASI...
QUESTO ED IL PROSSIMO CAPITOLO SONO
DEDICATI A CHI ERA LA' QUELLA NOTTE.
LEGGENDO VOI CAPIRETE PERCHE'...
La notte di Parigi
stranamente non era fredda, nonostante il silenzio diffuso
denunciasse l'ora inoltrata.
Viola era circondata da
gruppetti più o meno numerosi di ragazze e ragazzi, i colori
predominanti del loro abbigliamento il rosso , il bianco, il nero.
Lei con il suo cappotto verde acido stonava là in mezzo, e se
ne stava per questo un po' discosta dagli altri, da sola. Lontana dal
tipo di eccitazione che pervadeva gli altri, ma come loro in attesa.
Fumava una sigaretta
appoggiata di spalle ad un'alta e impenetrabile cancellata.
Mentre con il piede
spegneva il mozzicone a terra il grido che si alzò dalla
piccola folla attirò la sua attenzione, tutti si accalcarono
al cancello, lei semplicemente si voltò a guardare al di là
delle inferriate, in prima fila.
E Jared apparve,
completamente (e assurdamente) vestito di un bianco immacolato,
sembrava emanare una luce propria sotto la gialla luce dei lampioni,
era ancora più bello di quanto ricordasse mentre si avvicinava
a passo elegante e sicuro attraverso il piazzale deserto.
Scambiò qualche
parola con le persone lì presenti, firmò qualche
autografo, decine di voci chiamavano il suo nome mentre una cascata
di flash si abbatteva su di lui.
Spostandosi lungo il
cancello si trovò finalmente davanti a lei, che era rimasta
lì, in attesa, incapace anche solo di pronunciare il suo nome.
Finalmente quegli occhi blu si alzarono ad incontrare i suoi ed un
lampo di riconoscimento lì attraversò.
Viola sorrise appena, ma
nessuna espressione lieta apparve sull'altro volto. Jared rimase di
sasso, poi un'espressione di rabbia e odio si impossessò dei
suoi tratti, deformandoli.
- Che cazzo ci fai qui? -
le disse – tornatene a casa. Aggiunse poi voltandosi ed
andandosene.
Viola spalancò gli
occhi nel buio della stanza di hotel, travolta da un'ondata di dolore
così assoluta da togliere il respiro, di quel dolore così
amplificato e senza freni tipico dei sogni.
Senza neanche accendere la
luce si alzò da letto e corse alla finestra, spalancandola. Un
conato di vomito la colse all'improvviso e tossì diverse volte
prima di riuscire a riprendere il controllo del proprio corpo, cercò
freneticamente un po' d'ossigeno,e solo dopo aver preso alcuni
respiri profondi della gelida aria notturna riuscì a calmare
il panico che l'aveva colta, ad allontanare quella sensazione
terribile relegandola solo al ricordo volubile di un sogno. Restò
solo il tremito violento del suo corpo, l'adrenalina che scorreva a
fiumi nelle sue vene.
Spossata come dopo una
lunga corsa riuscì finalmente ad alzare lo sguardo sul pezzo
di città che si stendeva ai suoi piedi. E gli occhi corsero
veloci al grande complesso del locale che si stagliava poco lontano
dalla finestra dell'Holiday Inn dove alloggiava. Domani sera il
gruppo di Jared si sarebbe esibito proprio in quel locale. Il
biglietto giallo e viola giaceva sul tavolino, fermato dal posacenere
stracolmo.
Paure, paure e ancora
paure.
Meg in fondo aveva
ragione.
Il suo orgoglio ed i suoi
meccanismi di difesa l'avevano costretta a negare i suoi sentimenti
ed il suo coinvolgimento in quella storia per non dover affrontare il
suo smarrimento ed il terrore che sotto vi si celavano.
Era cominciata in maniera
naturale, innocente, e lei per prima aveva spinto gli eventi perchè
prendesse quella direzione precisa.
Perchè le
somigliava quella situazione, non alterava quel suo perfetto
equilibrio nel caos.
Ed invece adesso tutto era
miseramente crollato su se stesso. Travolgendola. Era inesorabilmente
caduta vittima del suo fascino edera stata risucchiata da quel buco
nero che era Jared Leto.
Per lei era una cosa
difficile da accettare, ci mancava solo quel sogno che le spediva
davanti agli occhi una paura che neanche sapeva di avere.
Quella di essere rifiutata
da lui.
Perchè davvero
Jared aveva fatto molti passi verso di lei. In qualche modo era
riuscito ad essere presente nella sua vita nonostante il tempo, la
distanza e tutti i casini e gli impegni del suo lavoro. Lei ne era
cosciente e anche se aveva sempre cercato di svicolare e di non
fargli notare di aver capito, aveva colto dal primo momento quella
muta richiesta nelle sue telefonate, quel suo discreto e intelligente
modo di forzare le cose, di tirarla sempre più verso di sé,
verso qualcosa di più stabile, di una qualche sorta d'impegno.
Aveva cercato di sottrarsi
ma non era riuscita a troncare del tutto. Non ne aveva avuto la
forza, e dopo un po' aveva avuto come la sensazione che se anche ci
fosse riuscita in qualche modo lui non glielo avrebbe permesso.
Credeva, Viola, di avere
il controllo di tutto quello che la circondava, di tutto ciò
che era quella vita che si era scelta e costruita, ed ora in qualche
modo lui riusciva a ribaltare tutto: con pazienza e talento aveva
lavorato lentamente ma inesorabilmente tessendo la sua tela intorno a
lei.
Ed evidentemente essere a
Parigi, presentarsi da lui, equivaleva chiaramente per lei all'essere
caduta infine i quella tela, e in qualche modo sentiva che anche
Jared l'avrebbe pensata così...
- se vuoi una cosa la
ottieni, vero Mr Leto? Testardo e determinato fino all'inverosimile.
Sono stata un'ingenua e ti ho sottovalutato. Dannati siano il tuo
ego, il tuo fascino e la tua intelligenza.
Mormorò piano più
a se stessa che ad un immaginario lui.
La verità era che
le faceva male pensare che il suo equilibrio si sarebbe spezzato, che
la sua vita a New York non sarebbe stata più la stessa. Ma
d'altra parte per una misteriosa legge cosmica quando il meccanismo
dei cambiamenti si mette in moto gli eventi si susseguono ad una
velocità sempre maggiore fino a mettere la parola fine. E
pareva proprio che l'entropia avesse preso di mira il suo angolino di
Village in quei mesi che lei lo volesse o no. Lui aveva deciso di
entrare in un bar una sera ed in pochi mesi tutto era cambiato: a Meg
era stata proposta una cattedra in un college in Luisiana ed aveva
accettato. Martin sarebbe diventato padre, Bob aveva deciso lasciare
il Moby's e cominciare un lungo viaggio intorno al mondo...
ma in fondo non poteva
certo dare la colpa a Jared di tutto questo, a meno che non fosse
stato un oscuro demone del caos...e doveva ammettere che in qualche
occasione lo aveva pensato...no, in fondo lui era solamente qualcosa
che era capitato, così come l'inatteso successo, era il modo
del destino per dirle che era ora di schiodare le tende e vedere cosa
le offrisse la vita, che era ora di andare avanti e dire addio a
quella parentesi così dolce e necessaria nella sua formazione
che era stata il Village per lei, ed attaccarcisi con le unghie e con
i denti come aveva fatto in quei mesi non sarebbe servito a fermare
il tempo o a far retrocedere gli eventi, sarebbe servito solo a
perdere un'occasione di felicità e a portare rimpianti.
In fondo Meg era sempre
stata così saggia...e la pervicacia e la scaltrezza di Jared
non erano stati una cosa così negativa per lei...
ok, ok...avevano vinto
loro: avevano vinto Jared, il tempo, il caos, il destino o chi per
loro!
Al suo orgoglio bruciava
ancora ma avrebbe cercato, per una volta, di lasciarlo dove si
trovava adesso: imbronciato e offeso rintanato in un angolo.
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