Cammino, cammino senza sosta attraverso il Distretto 12. Non so dove
stia andando, ma nel momento esatto in cui ho sentito la
necessità di uscire di casa mi sono diretto verso la porta.
Katniss mi ha
guardato preoccupata, e so che teme che abbia un flashback. Proprio per
questo non ha tentato di seguirmi o di farmi restare in casa, anche se
ho visto nei suoi occhi quanto le sia pesato lasciarmi andare. Ma
nessuno di noi metterebbe in pericolo in modo così stupido
nostro figlio, né ora né mai.
È
una delle mie più grandi paure da quando Katniss mi ha detto
che saremmo diventati genitori. Amo già quella minuscola
creatura con un'intensità che mi spaventa, ed il desiderio
fiero e selvaggio che per anni avevo rinchiuso con cura in me si
è ripresentato prepotente, trovandosi di fronte alla presenza concreta
di ciò in cui speravo così tanto. Katniss
è terrorizzata, e ogni giorno cerco di starle vicino ed
infonderle il coraggio di cui sembra aver bisogno. Il punto
è che a volte io stesso non ne ho per me.
Chi mi
dirà che sarò un buon padre per lui? So che lo
amerò, ma cosa penserà di lui l'altra parte di
me? Ho il terrore che gli farò del male, che un giorno non
saprò controllarmi e quando mi risveglierò da un
flashback lo troverò morto tra le mie braccia. Ogni volta
che mi sento più nervoso o più stanco del solito
cerco di stare particolarmente lontano da Katniss, per paura di farle
del male. Il bambino non è nemmeno visibile, ma è
un rischio che non posso correre.
Katniss dice
che non posso continuare a tormentarmi così, che
andrà tutto bene. Mi riesce difficile crederle quando lei
per prima ha un panico animale ed istintivo dipinto negli occhi, ma mi
sforzo comunque di convincermi che ha ragione. Sono passate due
settimane da quando l'abbiamo scoperto, e ho già perso il
conto delle volte in cui siamo crollati l'uno nelle braccia dell'altra,
in cerca di un conforto che non so da dove attingeremo. Io
probabilmente dalla gioia che, nonostante tutto, quasi minaccia di
trascinarmi via come un fiume in piena. E so che anche Katniss
è felice, e che lo è veramente. È
questo il motivo per cui ha paura.
Continuo a
camminare, le mani ficcate a fondo nelle tasche e gli occhi bassi.
Calcio i sassolini che trovo sulla strada polverosa, sperando di
schiarirmi la mente. Se solo sapessi come liberarmi di questa
sensazione di oppressione che mi preme sul petto, potrei tornare da
Katniss e passare un po' di tempo con lei, come una normale coppia di
sposi. Perché non possiamo farlo? Che diritto avevano di
privarci delle nostre vite, della compagnia dei nostri cari?
I miei passi
si fanno più veloci, scandendo il ritmo della rabbia che
sento crescermi dentro. È solo quando inizio a notare un
manto erboso sotto ai miei piedi che comincio a rallentare fino quasi a
fermarmi di colpo. Sono davanti al Prato.
Nessuno lo ha
seminato, ma nel corso degli anni è diventato verde e
lussureggiante. A poco a poco è diventato il simbolo del
Distretto, della vita che rinasce, bella e piena, contro ogni
previsione. La terra che nutre il Prato è fertile e scura, e
noi tutti sappiamo perché. Questo fazzoletto di terra non
è altro che la tomba delle nostre famiglie, la fossa comune
delle ceneri e dei resti di ciò che erano, e anche di
ciò che eravamo noi.
Avanzo piano
sulla terra scura, come se avessi timore di far del male ai morti. Dopo
qualche passo mi fermo e resto qui, a fissare il terreno. E non so se
sia la paura o la rabbia, o se pensare che qua giace tutta la mia
famiglia sia troppo anche per me, ma le gambe mi cedono e mi
accartoccio su me stesso, finendo in ginocchio sul prato verde.
Appoggio le
mani a terra, accarezzando gentilmente i fili d'erba. Ne stringo un
ciuffo nel pugno, stringendo piano. Mi basterebbe serrare un po' di
più la presa, muovere la mano con un po' più di
decisione, e riuscirei a strapparlo.
Dev'essere
così che si è sentito Snow, quando dall'alto
della sua sala presidenziale ha dato l'ordine di distruggere un intero
Distretto, di dare alle fiamme tutti i suoi abitanti. Pericoloso.
Potente. Crudele.
Riconosco gli
spasmi all'altezza del petto, il nodo stretto in cui è
serrata la mia gola. Appoggio entrambi i palmi sul terreno, sforzandomi
di tirare giù il groppo che minaccia di soffocarmi.
Sento le
parole spingere contro le pareti della mia gola per uscire. So che
tentare di trattenerle sarebbe una battaglia persa in partenza, quindi
mi arrendo subito.
«Papà»,
sussurro con voce spezzata, piegata dall'emozione.
«Papà, sono io. Peeta».
So che
è una cosa stupida, che mio padre è morto e non
può sentirmi, che non ho nemmeno una lapide alla quale
rivolgere le mie parole, ma non riesco ad impormi di tacere. Delle
frasi che non sapevo di avere dentro lottano per uscire e sgorgare
dalle mie labbra con la forza di un torrente, e proprio non posso
fermarle.
«Probabilmente
non mi senti, e io sono solo un povero idiota che sta parlando ad un
prato. Ma anche se non mi senti io devo parlarti, capisci? Devo
parlarti perché sento che potrei impazzire se mi tengo tutto
dentro».
Faccio una
pausa e prendo un respiro profondo. Mi chino ancora di più
sul manto erboso che ricopre la mia famiglia, con le mani affondate
nella terra.
«Katniss
aspetta un bambino», mormoro, e la mia voce s'incrina per la
gioia e il terrore. «Diventerò
papà». Stringo forte l'erba tra le dita, come per
cercare la forza di andare avanti. «Non credevo che sarebbe
mai successo, papà. E invece una sera lei è
venuta da me, e... e era bellissima e terrorizzata e io pensavo che
sarei potuto morire di gioia lì sul posto, papà,
pensavo di morire... Ricordo di averla stretta forte e ho iniziato a
ridere finchè non sono cominciate le lacrime, e allora
abbiamo riso e pianto insieme e sembravamo dei pazzi. Forse lo
siamo...».
La voce mi
muore in gola, soffocata da un peso che non riesco a scrollarmi di
dosso.
«Ho
bisogno di te... dove sei finito, papà?». Le
lacrime vincono la mia resistenza e mi bagnano i pugni sui quali ho
appoggiato il viso. I singhiozzi mi scuotono il petto, mentre mi chino
sul prato come se volessi arrivare a lui, a mio padre, anche se non
è nient'altro che cenere.
Sollevo di
scatto il busto, ancora inginocchiato a terra, e tiro un pugno al
suolo. «Avevo diciassette anni, papà, diciassette!
Avevo bisogno di te, e tu te ne sei andato! Come hai potuto lasciarmi
da solo?». La rabbia ha preso il sopravvento, mi accanisco
sul terreno come se potesse restituirmi la mia famiglia. «Ti
sei portato via tutti! Rye, Chris... anche la mamma, anche lei! Tutti!».
Se prima era
difficile, ora non ho più davvero modo di trattenermi.
«Mi
avete lasciato solo!»,
urlo, e poi seppellisco di nuovo il volto contro il mio braccio, posato
sull'erba. Soffoco le lacrime e le grida nella terra, mentre infiniti
ricordi di mio padre mi scorrono nella mente. Mio padre che mi insegna
a fare i biscotti, che di notte viene a controllare se sto dormendo,
mio padre che mi abbraccia e che mi fa capire che sono amato, che lui
mi ama, che lo farà sempre.
Tra tutte le
menzogne che mi hanno rifilato nella vita, so che una cosa è
sempre stata vera, ed è l'amore che mio padre mi ha donato.
Tra le lacrime, giuro a me stesso che il suo esempio non
andrà perduto. Cercherò di essere tutto
ciò di cui mio figlio avrà bisogno,
sarò una persona migliore per lui. Lo amerò con
tutto il cuore, e lo proteggerò anche da me stesso, fosse
l'ultima cosa che faccio.
Una mano si
posa gentile ed esitante sulla mia schiena. Katniss.
Cerco di
ricompormi, mentre mia moglie si inginocchia sul Prato e si china
accanto a me. Comincia ad accarezzarmi piano i capelli, appoggiando la
guancia sulla mia scapola. Lentamente, l'ultimo dei pesi che mi
rendevano così difficile respirare si scioglie, e so che
venire qua è stato ciò di cui avevo bisogno.
C'erano troppe cose che io stesso dovevo accettare, troppe parole
rimaste in sospeso che dovevano essere pronunciate. Così
come è stato, da padre a padre.
Katniss
aspetta che mi volti verso di lei e mi guarda con i suoi occhi grigi
pieni di lacrime.
Lascio che mi baci e mi sposti i capelli dagli occhi, asciugandomi le
lacrime con un gesto terribilmente materno.
Quando la
abbraccio mi sussurra all'orecchio: «Andrà tutto
bene», ed io, in silenzio, la stringo più forte.
Andrà
tutto bene.
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Salve a tutti!
^^
Questa storia
è nata quando ho letto la shot A cuor leggero di
gabryweasley (tutti di corsa a scoprirla, è stupenda!). La
lettura mi ha lasciata con tantissimi Mr. Mellark!feels, e visto che i
Peeta!feels di solito ce li ho già di mio fare due
più due è stato piuttosto immediato. L'idea di base è nata da un post che ho visto su tumblr una vita fa, e finalmente sono riuscita a svilupparla. Anche il dettaglio del padre di Peeta che va a controllare se sta dormendo è un riferimento ad una storia di Gabry ^^
Che dire, di
solito scrivo le storie e le lascio a stagionare almeno una giornata,
ma oggi la posto subito, e chi se ne frega se è mezzanotte.
Non credo ci
sia molto da dire, i nomi dei fratelli di Peeta li ho presi da una
storia che ho letto su ff.net, e a quanto pare Rye è un nome
che quasi tutti gli autori anglofoni danno al Mellark di mezzo, quindi
tanto vale seguire la corrente, no?
Un abbraccio
forte a tutti, e spero che vi sia piaciuta!
wip
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