.:CAPITOLO 3:.
Ogni
anno, nella Terra di Mezzo i vari popoli celebravano varie feste.
Ognuno di essi aveva le sue e vi rendevano onore nei modi
più
classici o stravaganti, con allegri colori o austeri rituali; a volte
venivano svolti solo nei villaggi, altre richiamavano simili anche
dagli altri luoghi sparsi sul territorio, ma ogni 3 anni avveniva un
festeggiamento particolare.
Il
27 settembre, quando ormai l'aria cominciava a rinfrescarsi e il
calore del fuoco diveniva nuovamente piacevole, su gran parte delle
rive dell'Anduin veniva allestita una grande fiera in onore
dell'unica festa che ogni landa si riuniva per celebrare insieme.
Durante
quella giornata i popoli fluivano e si riunivano per festeggiare la
Madre Terra.
Veniva
reso onore ad ogni creatura fosse in grado di generare una vita, in
questo modo tutti i popoli in nome di ciò che rappresentava
la
nascita e con se le vecchie e le nuove esistenze mettevano da parte
l'astio e si trovavano a camminare vicine sulle rive che venivano
addobbate con ogni genere di colore. Non era strano vedere una
bancarella sommersa di calici di birra affiancata a quelle che
vendevano erbe profumate o armature da guerra. Generalmente si
riusciva piuttosto facilmente a distinguere a quale razza
appartenesse il materiale e, nonostante la convivenza giornaliera
difficilmente si sarebbe potuto vedere un elfo fermarsi a comprare i
vistosi gioielli dei nani, come d'altro canto vedere un nano che si
rifocillava agli stand elfici.
Tendenzialmente,
i vari popoli rimanevano a gruppi, mischiandosi quasi a fatica fra
loro, eppure rimanevano vicini in quell'atmosfera gioiosa. La festa
non era esclusiva dell'Anduin: ogni villaggio, secondo il suo stile,
celebrava nelle ore mattutine e pomeridiane la festa della Madre
Terra.
A
Bosco Atro, verso la metà del giorno, tutti sembravano in
tumulto.
Per quanto gli Elfi ostentassero un'austerità abbastanza
marcata,
questo non sembrava diminuire l'entusiasmo per la festività.
Il
tempo sembrava essere in armonia con il felice giorno e, quindi, fece
dono al cielo di uno splendido azzurro con qualche leggera nuvola
bianca che faceva capolino ogni tanto sulle fronde degli alti alberi
mentre, ai loro piedi, Elfi di ogni età si affaccendavano
per
decorare al meglio ogni cosa.
Venivano
appesi nastri e gingilli in ogni dove, se qualcuno fosse capitato per
il bosco in quel momento avrebbe potuto pensare di trovarsi nel bel
mezzo di un bosco incantato: le foglie rosse e gialle tingevano la
luce che filtrava fra di loro di un piacevole color oro, dappertutto
si potevano sentire lievi tintinnii dei segna-vento appesi fra i rami
mentre i nastri vellutati che pendevano dalle cime sembravano
salutare chi passava sotto di loro accarezzandoli lievemente.
Per
il popolo elfico, a causa del loro forte legame con la natura, la
festa della nascita era strettamente legata al vero concetto di
natura: nulla donava vita più di lei; però,
festeggiare con i
fuochi nel mezzo di un bosco non era sembrata a nessuno una buona
idea, così, sin dai tempi antichi, il simbolo della festa
era
divenuta la madre: colei che dava vita con amore e dedizione, colei
che aiutava a crescere e non ti lasciava mai. Per questo motivo i
figli sparsi per il mondo approfittavano della giornata per viziare
un po' le rispettive madri.
La
scuola degli Elfi di bosco Atro, per dare ai giovani
un'opportunità
per mettersi in mostra agli occhi dei propri genitori, aveva
organizzato due piccole gare: composizione floreale per le ragazze e
tiro con l'arco per i ragazzi.
L'iniziativa
aveva reso euforici gli studenti che, se pur in amicizia, non
vedevano l'ora di competere per guadagnarsi attenzioni e rendere
fieri i parenti. Si stavano preparando da tempo e, anche si trattava
di gare, avevano tutti indossato i loro abiti migliori e si erano
sistemati i capelli per apparire al meglio.
Il
primo turno sarebbe stato delle ragazze. Verso le due del pomeriggio
gli abitanti del bosco cominciarono a riunirsi nella piazza dove ad
attenderli c'erano file di sedie sistemate proprio per chi voleva
assistere allo spettacolo. Le prime file erano riservate alle
famiglie mentre le altre erano per i semplici spettatori. Anche la
piazza era stata addobbata a festa, l'aria che si respirava era
satura di allegria, in fondo non c'erano feste migliori di quelle
dedicate alla famiglia.
Ad
ogni angolo si potevano notare madri che sistemavano gli abiti ai
figli e padri che davano pacche di incoraggiamento; nonostante la
competizione l'atmosfera era calda e accogliente.
La
professoressa Kahlan, in tutta la sua eleganza, salì sul
piccolo
palco situato al centro e con un pacato saluto richiamò
l'attenzione
di tutti : “Signori e Signore, felice giorno della
terra!”
esclamò con un sorriso che stonava con il significato stesso
della
fiera “stiamo per dare inizio alla gara femminile, quindi,
per
favore, prendete posto”
detto
questo si allontanò. Appena tutti si furono seduti sul palco
salì
il maestro Alyon che si addiceva decisamente di più al
contesto
“Sono
lieto che in tanti vi siate radunati qui oggi e spero possiate gioire
di questa iniziativa per la quale insegnanti e allievi hanno lavorato
duramente, ma non indugiamo oltre! È tempo di dare il via!
Ragazze,
salite pure!” una fila di graziose elfe sfilò per
il palco e, in
men che non si dica, venne portato un tavolino per ognuna mentre
veniva scoperto il lungo tavolo alle loro spalle: sopra c'era un
assortimento meraviglioso di fiori di ogni colore.
Il
maestro parlò ancora, spiegando le regole e le
modalità di
svolgimento e di valutazione mentre il popolo lo ascoltava attento.
Fra
la folla radunata in piedi dietro alle sedie vi era anche Legolas,
guardava poco interessato l'inizio della gara, l'ikebana non era mai
rientrato fra i suoi interessi.
Poco
dopo che le ragazze ebbero iniziato a elogiare le proprietà
dei vari
fiori e a spiegare per quale motivo li avessero scelti, il principe
decise che a nessuno sarebbe dispiaciuto se si fosse allontanato per
un po'. Si avviò in silenzio verso il bosco, non voleva
essere
fermato da nessuno, l'unica cosa di cui aveva voglia in quel momento
era arrivare in una zona tranquilla e fare un po' di pratica con
l'arco che portava in spalla.
Non
che non gli piacesse la festa, ma doveva ammettere che l'idea che per
lui fra il pubblico non ci sarebbe stato nessuno gli dispiaceva. Re
Thranduil era troppo impegnato per assistere ad una banale gara
scolastica e sua madre non era ancora tornata. Ogni tanto si chiedeva
se l'avrebbe mai fatto.
Da
quando lei, 3 anni prima, li aveva lasciati per assistere il padre
ferito in guerra durante il suo viaggio verso i grigi porti, la festa
non era più stata la stessa. Avevano ricevuto da poco una
sua
lettera che li rassicurava: con il pensiero era con loro, ma,
parlando chiaro, il pensiero non era sufficiente. Legolas si sforzava
ogni giorno di dimostrare che la cosa non gli importasse, doveva
farlo, se lui non avesse dato l'esempio Estel non avrebbe sicuramente
trovato il modo per accettarlo e il Re avrebbe avuto ancora
più
pensieri; eppure, gli pesava, gli pesava incredibilmente. Avrebbe
voluto anche lui rivedere la Regina, dirle di non sistemargli
continuamente i capelli, rassicurarla sul fatto che in gara avrebbe
dato il meglio di sé e che non se la sarebbe presa troppo
nel caso
avesse perso.
Gli
mancava tutto di lei, nonostante si ripetesse che fosse grande per
sentire la mancanza della mamma, non poteva farne a meno.
Con
decisione estrasse una freccia dalla faretra, tirare con l'arco lo
calmava, gli schiariva i pensieri e calmava i nervi. Tirò la
prima
che centrò perfettamente il centro di uno dei bersagli che
usavano i
soldati per allenarsi, dopo di che, ne seguirono molte altre, tutte
una più precisa dell'altra. Adesso Legolas si sentiva fiero,
avrebbe
sicuramente vinto e anche se nessuno della sua famiglia l'avrebbe
visto, gli restava la consolazione di aver incantato il popolo.
Si
avvicinò al bersaglio e raccolse tutte le frecce riponendole
con
cura al loro posto, non aveva idea di quanto tempo fosse passato da
quando era arrivato lì, ma si sentiva un po' stanco e decise
di
sedersi un attimo ai piedi di un albero.
Il
cuore gli batteva ancora forte per l'eccitazione di aver tirato tanto
bene, ma la sua mente era piatta. Senza quasi rendersene conto
schiuse le labbra e cominciò a canticchiare
“Quando
un bocciolo nasce proteggilo con cura.
Quando
un bocciolo cresce accarezzalo piano.
Porta
via con te le nuvole scure e lascia a lui la soffice luce
Quando
un fiore nasce guidalo con sapienza.
Quando
un fiore sorge guardalo con amore.
Porta
via con te la fredda pietra e lascia a lui la terra calda.
Anche
quando le radici saranno profonde e lontane tu guardalo sempre.
Lasciagli
il tuo canto e lui non sarà mai solo.”
“Cosa
significa?”
Legolas
si riscosse velocemente guardando il suo fratellino che era appena
saltato giù da un albero.
“Da
quanto sei qui?” chiese.
“Da
sempre. Ti ho seguito quando ti sei allontanato” rispose
Estel in
tutta tranquillità.
Legolas
sorrise, “Non ti ricordi quella filastrocca?”
“No,
però, sembrava bella. Chi te l'ha insegnata?”
“La
mamma.”
A
quelle parole Laes si accigliò un po', come se si stesse
sforzando
di afferrare un ricordo lontano
“La
cantava spesso quando era a casa” disse il maggiore per
cercare di
aiutare la sua memoria, ma notando che il fratello non riusciva a
ricordare, pensò che fosse meglio lasciar perdere
“Cosa ricordi di
lei?”
“Ricordo
che aveva un buon profumo e le dita lunghe” disse il minore
convinto
“E'
vero. Ma non c'è bisogno che parli al passato, è
ancora così.”
“Però,
io non la posso vedere.”
“Presto
potrai, lei tornerà.”
“Me
lo prometti?”
Calò
il silenzio. Come poteva prometterglielo? Il viaggio verso i grigi
porti di solito non aveva ritorno, solo i messaggeri tornavano una
volta ogni tanto.
Cercò
velocemente una scappatoia “Non c'è bisogno che te
lo prometta,
sai già la risposta”, Estel non sembrava convinto,
effettivamente
era stata una risposta davvero poco convincente, ma non se la sentiva
di mentire.
“Mh,
capisco” disse semplicemente il bambino e Legolas ebbe il
timore
che avesse capito veramente.
“Non
essere triste” iniziava a sentirsi un po' in colpa, se avesse
trovato la forza per mentire l'avrebbe tranquillizzato.
“Non
lo sono, non tanto almeno, però, non riesco a ricordare
niente,
raccontami qualcosa!” improvvisamente gli si dipinse sul
volto
un'espressione attenta ed entusiasta come se Legolas stesse per
narrargli le gesta di un grande eroe del passato.
“Uhm...
vediamo... sai, lei era davvero forte! Quando litigava con ada
vinceva sempre! Anche quando lui aveva quell'espressione che fa paura
lei riusciva a tenergli testa e poi era lui che le chiedeva scusa,
infatti, quando eri piccolo e mettevi il broncio lei diceva che vi
somigliavate “tuo
padre ha la stessa espressione quando deve scusarsi”
mi diceva ridendo. Era divertente, quando lei diceva qualcosa lui,
con la sua solita aria serissima ubbidiva. E-”
“Legolas?”
lo interruppe Estel.
“Cosa
c'è?”
“Stai
parlando al passato.” ci fu un altra breve pausa nel quale si
vide
sciogliersi tutto l'entusiasmo di prima, ma poi si schiuse un altro
piccolo sorriso “penso che sia ora della tua gara
sai?”
“Gara?
Ah! Sì, è vero! Sbrighiamoci a
tornare!” detto questo si alzarono
e si incamminarono verso la piazza. Stranamente non c'era stato
bisogno di parlare, Legolas non disse nulla per rimediare all'errore
di prima, qualsiasi cosa avrebbe aggiunto sarebbe sembrata una scusa,
ed Estel non chiese più niente, per adesso poteva bastare
così.
Arrivarono
giusto in tempo per vedere il maestro che annunciava l'entrata degli
arcieri e dopo essersi fatto dare un augurio da Estel, il cui sorriso
era tornato al suo posto, salì convinto.
I
bersagli erano stati messi a ridosso di un muro provvisorio
appoggiato al retro del palco, così che le frecce non
avrebbero
potuto colpire nessuno in caso di errore.
Alla
gara di tiro con l'arco partecipavano alcune classi medie, di cui
faceva parte Legolas e alcune delle superiori. Tutti sembravano
estremamente fieri di trovarsi lì e non facevano altro che
passare
le mani sugli archi per lucidarli più di quanto
già non fossero.
“Perfetto!”
esclamò il maestro Alyon allegro “dopo il
meraviglioso spettacolo
delle ragazze, possiamo dare il via alle prodezze dei ragazzi!
Pronti? Il primo sarà un tiro di riscaldamento, quindi calmi
e
...VIA!”
Venti
frecce scoccarono quasi in contemporanea colpendo i bersagli. Nessuna
aveva mancato l'obiettivo, anche se alcuni avevano preso i cerchi
più
esterni. Sarebbe stata davvero una bella competizione.
Alla
fine del quinto turno erano stati esclusi già 5 Elfi, ce ne
vollero
ben 11 per arrivare alle semi finali. Erano rimasti solamente in 4,
Legolas era l'unico sopravvissuto della classe media, si sentiva
fiero di sé, stava facendo un bel lavoro.
Il
pubblico applaudiva ad ogni colpo che veniva scoccato, quando, ad un
certo punto, calò uno strano silenzio che costrinse anche
gli
arcieri ad alzare lo sguardo. Legolas sgranò gli occhi. Si
stava
avvicinando alla folla Re Thranduil con tutta la calma del mondo,
come se nessuno si fosse accorto di lui, camminava verso il palco ma,
arrivato dietro alle sedie, si fermò a guardare. Solo quando
tutti
si inchinarono capì che effettivamente stavano aspettando il
suo
permesso per ricominciare, e, una volta che l'ebbe dato, la scena
riprese.
Legolas
riprese a sentire l'euforia che aveva abbandonato nel bosco, adesso
non avrebbe davvero potuto fallire, suo padre lo stava guardando.
L'arrivo
del Re però non aveva agitato solo Legolas, anche gli altri
concorrenti sembravano fremere all'idea di poter fare una buona
impressione sul loro signore.
Presero
la mira, ormai nelle loro menti esisteva solo il piccolo cerchio
rosso dipinto esattamente al centro del bersaglio. Tutt'intorno, il
silenzio non osava rompersi. Le corde degli archi erano tese al
massimo e vibravano ad ogni respiro del rispettivo proprietario
finché la voce di Alyon diede il via.
Le
3 frecce volarono ad una velocità impressionante fino a
fermarsi
trafiggendo il bersaglio.
Legolas
esultò mentalmente mentre il maestro annunciava i risultati
“Sono
rimasti in due!” la freccia di uno degli altri due ragazzi
era
arrivata nel secondo cerchio.
Adesso
sarebbe stata una gara fra lui e l'altro ragazzo. Il suo avversario
aveva la fama di essere il migliore arciere del gruppo giovanile, ma
non si era mai scontrato contro Legolas a causa della
diversità di
classi, quindi, sarebbe stato tutto da vedere. Il principe si sentiva
invincibile, la sua concentrazione quel giorno era migliore del
solito e nonostante la grande folla che lo osservava, le sue mani
erano ferme e precise, avrebbe vinto.
“In
posizione!” ordinò Alyon e subito i due si
preparavano,
sistemarono nuovamente l'arco e ad ogni movimento sembravano sfidarsi
a vicenda, entrambi erano decisi a vincere.
“VIA!”
e fu allora che accadde. Quando ormai la mira era presa e la corda
tirata, il terzo ragazzo che prima aveva perso e che adesso cercava
di scendere dal palco, scivolò leggermente e, di riflesso,
per
riprendere l'equilibrio, appoggiò una mano sulla schiena di
Legolas
che inevitabilmente si sbilanciò tanto che la sua freccia si
impiantò nel cerchio bianco esterno.
Rimase
immobile a guardare i due bersagli, il suo concorrente aveva
decisamente fatto centro. Aveva perso.
“La
gara è finita! Complimenti a tutti partecipanti, avete
sostenuto
davvero una bella competizione! Adesso una breve pausa e dopo
avverranno le premiazioni dei primi 3!”
La
gente fra il pubblico prese a parlare tranquillamente mentre i
concorrenti scesero dal palco. Appena Legolas fu arrivato
giù si
sedette sconsolato su un muretto
“Ehm...
mi dispiace, non volevo farti sbagliare” il terzo
classificato si
era presentato davanti a lui con un'aria mortificata dipinta sul
volto, per un secondo Legolas si vide alzarsi, arrabbiarsi con
l'altro e dirgli che delle sue scuse non se ne sarebbe fatto nulla,
ma il buon senso o l'elfico contegno, come dir si voglia, lo
obbligò
a ragionare
“Non
importa, avrò altre occasioni. L'altro ragazzo è
stato bravissimo,
si è meritato di vincere.”
L'altro
sorrise sollevato “Anche tu te lo saresti meritato. Ah! Scusa
mi
chiamano, ci vediamo alle premiazioni!” detto questo
tornò da
dov'era venuto unendosi alla sua famiglia, dai volti sembravano molto
fieri del suo terzo posto.
“Legolas!!”
Estel si stava avvicinando seguito dal Re. In qualche modo gli
sembrò
una scena davvero strana. Un bambinetto saltellava allegro verso di
lui, chiunque gli si trovasse davanti lo faceva passare inchinandosi
poi al cospetto dell'altro elfo serio e imponente che lo seguiva.
Ebbe
un attimo di panico, cosa gli avrebbe detto? Il Re era molto esigente
e lui aveva sbagliato in un modo tanto stupido...
“Sei
stato bravissimo!” disse entusiasta il fratellino che
sembrava non
aver esattamente capito che il fratello maggiore avesse appena perso.
“...grazie”
rispose distrattamente il maggiore continuando a fissare il padre
che, però, non sembrava molto intenzionato a dire nulla.
Dopo
qualche minuto di silenzio, Estel, che li stava guardando come se gli
sfidanti fossero loro due, decise di parlare “Sai, anche ada
prima
ha detto che sei stato bravo!”annunciò felice.
Legolas,
però, non era molto convinto e dopo aver dato una prolungata
occhiata ai suoi stivali alzò lo sguardo un po' titubante
verso il
padre “Davvero?”
Thranduil
lo guardò intensamente, non gli era mai piaciuto fare
complimenti,
secondo lui ognuno doveva giudicarsi da solo e, se non fosse stato
convinto del proprio lavoro, rifarlo, non convincersi che fosse buono
solo per qualche complimento dato gratuitamente. Eppure Legolas quel
complimento, anche se gratuito, avrebbe desiderato sentirlo.
Purtroppo,
però, il tempo finì e Alyon li
riconvocò sul palco.
“Eccoci
qui con i tre vincitori! Complimenti per l'ottimo lavoro!
Però,
prima di proseguire, vorrei chiedere se il nostro sovrano ci farebbe
l'onore di consegnare le medaglie” disse il maestro con un
inchino
rivolto al Re che fece un cenno di assenso.
Non
erano cose che gli piaceva fare, ma non poteva rifiutasi, era un
giorno di festa e non sarebbe stato giusto guastare l'umore della sua
gente.
Salì
sul palco e prese le medaglie, si avvicinò al terzo
classificato e
gliene infilò una rivolgendogli un sorriso di cortesia. Il
popolo
applaudì entusiasta. Mentre il Re si apprestava ad
avvicinarsi a
lui, Legolas notò che lo stava ancora guardando in modo
particolarmente intenso, il che lo faceva sentire stranamente in
imbarazzo: non avrebbe saputo dire se era per la sensazione di non
meritare il premio o se per l'impressione di non aver fatto
abbastanza.
Sire
Thranduil gli fu velocemente davanti, e come aveva fatto
precedentemente gli mise la medaglia, non gli rivolse nessun sorriso
di cortesia, la sua espressione rimase impassibile ma, un attimo
prima di staccare lo sguardo per dirigersi verso il primo
classificato, sussurrò “Sei stato bravo.”
Legolas
sorrise, aveva appena ricevuto un complimento da suo padre. Prese la
medaglia e la sollevò fino a portarla davanti agli occhi e
un senso
di gratificazione lo invase. Adesso non importava più se
c'era un
“2” e non un “1” su quel premio.
Il
maestro Alyon si profuse in un'ultima serie di ringraziamenti verso
il re e di elogi verso i partecipanti delle due gare, poi,
finalmente, li lasciò andare.
Il
sole era sceso notevolmente, ormai dovevano essere le cinque del
pomeriggio. Tutti gli Elfi che si erano riuniti per assistere allo
spettacolo tornarono a casa velocemente ansiosi di sistemarsi per poi
essere pronti per unirsi ai festeggiamenti sull'Anduin.
Anche
il Re e la sua famiglia tornarono al castello con una certa fretta
ma, nonostante questo, il viaggio di ritorno fu piuttosto piacevole.
“Andate
a prepararvi, vi voglio pronti qui fra 30 minuti” aveva
ordinato il
Re appena ebbero varcato la soglia del castello.
“Prepararci
per cosa?” chiese Legolas sorpreso.
“Ci
recheremo alla festa” disse con tono rassegnato il Re.
“Davvero?
Quest'anno venite anche voi?” quel pensiero rese Estel
particolarmente entusiasta.
“Sì”.
“Non
ne sembrate molto contento” osservò Legolas.
“Infatti
non lo sono. L'idea di dover sopportare tutte quelle persone in una
volta sola è estenuante.”
“Allora
perché volete andarci?”
“Non
voglio, devo. Mi è stato fatto notare che, in quanto Re,
dovrei dare
“l'esempio” al mio popolo”
sospirò “comunque, vi rimangono
25 minuti.”
Dopo
quella frase i due fratelli si volatilizzarono nelle loro camere.
Re
Thranduil lanciò uno sguardo verso la porta. Avrebbe davvero
voluto
vederla entrare da li. Aveva sempre considerato sua moglie un punto
fermo, nonostante tutti i problemi che la vita gli aveva riservato
lei c'era sempre stata. Si erano conosciuti da ragazzi e, poi, anni
dopo avevano convolato a nozze. Aveva una personalità tanto
forte da
aver catturato subito le sue attenzioni, sapeva come prenderlo fino a
riuscire a mettere un freno alla sua apparente incapacità di
esprimere ciò che provava, riusciva a metterlo a suo agio e
a fargli
desiderare che gli istanti che gli venivano concessi in sua compagnia
non finissero mai. Dopo la nascita di Legolas era cambiata: era
diventata mamma e il suo comportamento era diventato più
attento e
preciso, mentre i suoi modi si erano addolciti. Solo allora Thranduil
aveva capito che la gioia dell'avere un figlio non era legata
solamente alla nascita del bambino, ma anche a ciò che
comportava,
gli piaceva ancora di più l'essere parte di una famiglia.
Amava
guardarla mentre allattava il loro bambino o mentre cercava di
spiegare ad un neonato come stare fermo durante il bagnetto fosse
utile ad entrambi o, ancora, mentre ripeteva “In
questa casa non si piange perché dove c'è il
sole, la pioggia non
deve mai arrivare!” al
bambino che in risposta la guardava spaesato.
Era
così buffa e, anche quando era arrabbiata, o stanca, il suo
sorriso
era sereno. Lei lo ripeteva sempre: “Non
importa quanto ti devi arrabbiare o quante energie devi spendere se
ne vale la pena”, la
recitava, si sedeva, respirava profondamente e poco dopo era pronta
a ripartire.
Però,
poi, tre anni prima era partita. La testa china e il sorriso sotto
degli occhi tristi, una visione che Thranduil non avrebbe mai voluto
vedere. Aveva salutato i bambini, “la mamma
tornerà presto” gli
aveva detto e dopo avergli rimboccato le coperte gli posò un
leggero
bacio della buona notte sulla fronte e se ne andò in
silenzio.
"Se
ti chiedessi di farlo al posto mio sarebbe inutile, vero?”
chiese
al marito che annuì, si sarebbe preso cura dei loro figli,
si
sarebbe impegnato fino allo stremo ma non avrebbe ripetuto i gesti di
sua moglie. A lei diede la scusa del suo carattere freddo, ma
entrambi sapevano che lui non voleva prendere il suo posto
perché
lei sarebbe tornata.
Entrambi
avevano un estremo bisogno di crederlo.
Davanti
alla porta la Regina aveva posato un bacio anche sulla fronte del
marito che, però, dopo un attimo di confusione la prese
prima che
potesse ufficialmente cominciare il suo viaggio e la baciò
sulle
labbra. Subito dopo, lei non c'era più.
Thranduil
si passò istintivamente un dito sulla guancia, quella sera
era
sicuro di aver sentito una lacrima della moglie rigargli il viso. Era
sempre la solita, lo aiutava a fare ciò che non riusciva.
Si
riscosse dai suoi pensieri appena le dita scivolarono via dal viso,
si scosse leggermente mentre la sua mente gli imponeva di tornare in
lui. In fondo, era quello che ripeteva sempre lei “In
questa casa non si piange”
...e anche se il sole sembrava coperto dalle nuvole lui doveva andare
avanti.
Nel
frattempo, nelle camere nell'ala opposta del castello, Legolas stava
litigando con i suoi capelli nel tentativo di farli stare
giù dopo
la doccia.
“Posso
entrare?” chiese una vocina.
“Vieni,
Estel.”
Laes
entrò e si sedette sul letto, le mani in grembo e gli occhi
puntati
su di loro.
“Qualcosa
non va?” chiese Legolas gentile.
“Ada
mi sembra strano, ogni tanto si spegne” rispose il bambino
con aria
preoccupata.
“Ma
cosa dici? Non si spegne, è solo sovrappensiero”
disse il maggiore
con un sorriso.
“Però,
quando fa così sembra tanto triste.”
“Temo
lo sia.”
“Perché
ada dovrebbe essere triste?” chiese parlando lentamente, come
se
dovesse capire cosa effettivamente stesse dicendo.
“Perché
gli manca la mamma, senza di lei si sente solo.”
“Ma
non lo è! Ci siamo noi!”
“Noi
non possiamo dargli tutto quello che gli darebbe lei.”
Legolas
lo guardò con la coda dell'occhio, non era facile spiegargli
che, a
volte, la loro presenza non era sufficiente. Dopotutto era quello che
avevano sempre detto a lui quando ancora cercava la madre e, adesso,
non sembrava saggio smentirlo.
“Ad
esempio?”
“Ecco...”
Legolas era stato preso in contropiede “lei è
un'adulta, noi no,
quindi non possiamo capire tutto quello che dice, e poi lei
è una
donna.” altra risposta insensata, era già la
seconda quel giorno e
aveva sempre la forte sensazione che Estel non stesse credendo a
nulla.
“Capisco,
non possiamo fare nulla per quello” concluse mestamente.
“No,
ma non ti preoccupare, domani tornerà come sempre.”
“A
fare finta che non gli manchi la mamma?”
Legolas
si chiese perché i bambini dovevano essere così
svegli, non potevi
dirgli la verità senza ferirli eppure era la cosa che
più di tutte
cercavano.
Non
sapendo come evitare quella domanda sviò il discorso
fingendo di
arrabbiarsi con una ciocca che non voleva stare al suo posto,
tentando di farlo ridere.
Quando
uscirono dal castello, la luce era già diminuita e l'aria
era
divenuta frizzante, le foglie avevano cominciato a produrre un forte
fruscio mentre i canti degli uccelli posati sui loro rami risuonavano
in tutto il bosco.
La
festa, come ogni anno, era strabiliante. Nonostante quell'anno il
freddo avesse già iniziato a serpeggiare portando venti
fastidiosi,
la gente sembrava non farci neanche caso.
C'era
una tale varietà di colori e lingue che l'atmosfera sembrava
satura
e vivida. Tutti si muovevano continuamente, salutavano, ridevano, si
stringevano le mani o si davano pacche sulla spalla mentre
passeggiavano fra le bancarelle che avevano riempito ogni spazio
delle rive del fiume, non si poteva davvero vedere dove finissero.
Il
Re camminava piano fra la gente in festa. Chi lo avesse visto passare
avrebbe solamente pensato di trovarsi davanti agli occhi il Re di
Bosco Atro accompagnato dalla sua solita aria seria e poco incline
alle perdite di tempo ma, chi invece lo conosceva meglio, non avrebbe
indugiato minimamente nel riconoscere nella sua espressione fiera una
nota di malinconia. Essere lì significava doversi ricordare
ad ogni
passo che sua moglie non era accanto a lui.
Dietro,
Legolas stava cercando si riuscire a capire cosa il fratello gli
stesse indicando, anche se cominciava a sospettare che puntasse il
dito contro ogni cosa luccicasse o avesse un'aria vagamente
inquietante.
Man
mano che si allontanavano dalla parte più vicina al loro
bosco le
bancarelle cominciavano ad esporre merci appartenenti agli altri
popoli. Estel si stava esaltando, quel posto era pieno di gente tanto
diversa da quella che era abituato a vedere in giro per il bosco!
Tuttavia, tanto era felice il bambino tanto il padre sembrava
irrigidirsi.
Da
qualche metro ormai non si vedevano altro che nani, erano entrati in
una delle aree riservate alle loro merci, al massimo si vedeva
qualche umano di passaggio. Era ben lontano dalla mente del Re degli
Elfi passare da lì, ma era quello che poteva definirsi
“percorso
obbligato” per arrivare alla piazza dove tutti si sarebbero
aspettati di vederlo.
Aveva
sempre avuto un certo astio col popolo dei nani, quella sera
nonostante tutto doveva cercare di non darlo a vedere.
Salutò
garbatamente un nano dall'aria importante che sembrava si stesse
sforzando tanto quanto lui di non dare a vedere quanto avrebbe fatto
a meno di quell'incontro e poi ricominciò il suo giro
intimando ai
figli di non perdere tempo a fissare i “ninnoli
nanici”, cosa che
non fece piacere ad Estel, che continuava ad ammirare tutte quelle
cose colorate e scintillanti che pendevano da ogni dove.
Appena
usciti dall'area il Re si fermò nuovamente a parlare con un
uomo
alto e imponente che sembrava avere un sacco di cose da raccontare,
mentre Thranduil ascoltava attentamente annuendo leggermente con il
capo ogni tanto; poi, finalmente, dopo aver attraversato altre 7
aree, fra cui due elfiche, arrivarono alla grande piazza.
Il
sole si era definitivamente nascosto dietro l'orizzonte, la luce
veniva emanata dai focolari e dalle candele sparse per tutta la zona
mentre un piccolo gruppo di musicisti stava suonando una leggera
musica d'accompagnamento.
Il
Re si sistemò agli estremi della piazza, abbastanza in
disparte,
mentre Legolas si era messo a chiacchierare con uno dei suoi
compagni. Estel si guardava in giro: c'era tantissima gente e
sopratutto c'erano tanti bambini che giocavano con le madri, li
invidiava. Suo fratello per tutto il giorno aveva cercato di non
farlo soffrire, ma lui non era stupido, aveva capito che non credeva
neanche lui a quello che diceva eppure l'aveva accettato di buon
grado perché, nonostante tutto, si voleva fidare delle
parole di
Legolas, in fondo aveva solo quelle. Improvvisamente il suo sguardo
cadde su quello che presuppose essere un nano che stringeva un
bambino.
“Ada!”
disse tirando la tunica di Thranduil il quale abbassò lo
sguardo
“Anche quel bambino non ha la mamma?” chiese
indicando la coppia.
Il Re guardò nella direzione indicata da Estel e
sospirò.
“No,
lui c'è l'ha.”
“E
allora dov'è?” chiese ancora Laes cercando di
guardare meglio in
quella direzione.
“Esattamente
lì.”
“Ma
ci sono solo loro!” Estel aveva cominciato a cercare di fare
leva
sul padre per saltare e guardare più in alto, Thranduil gli
posò
una mano sulla testa per farlo stare fermo.
“Estel,
quella che lo sta abbracciando è sua madre”
spiegò.
“Ada,
ma ci vedete bene? Ha tutti quei peli sulla faccia, non può
essere
una femmina” osservò il bambino guardando
preoccupato il padre,
come se avesse paura che non ci vedesse più.
Il
Re sospirò nuovamente.
“Loro
hanno la barba, non importa che siano nani o nane... nane femmina...
o come si chiamano! Santo cielo, che motivo c'è di chiamarli
in modo
diverso se sono uguali?” sbraitò per un attimo per
poi ricomporsi
velocemente “Vai a giocare” ordinò
desideroso di poter rimanere
un po' solo coi suoi pensieri.
Estel
lo guardò sconsolato, quel giorno sembrava essere
così pesante.
Nel
raggiungere l'area dove avevano allestito un piccolo parco giochi, il
bambino passò vicino ai due che stava guardando fino ad un
attimo
prima. Vista da vicino la nana non era brutta, aveva un bel viso e,
soprattutto, si vedeva che era una femmina, sorrise di riflesso al
sorriso che lei stava rivolgendo al figlio, si era sentito stupido ma
stranamente più tranquillo: quello sguardo non era per lui
ma aveva
risvegliato nella sua memoria un lontano ricordo di sua madre, anche
lei l'aveva guardato nello stesso modo innumerevoli volte. Distolse
lo sguardo e proseguì verso i giochi dove si perse per
qualche
tempo.
I
musicisti presero a suonare più forte mentre una voce
riempì l'aria
“Signori e signore, siamo giunti alla fine delle
attività
organizzate! Come ultimo saluto la nostra orchestra suonerà
una
dolce musica dedicata alle dolci coppie!” detto questo, i
bambini
si spostarono dalla piazza mentre i loro genitori si stringevano per
ballare.
Legolas
ed Estel tornarono dal padre che aveva un'aria talmente assorta che
anche al più grande passò per la mente che si
fosse spento. Estel
lo scosse nuovamente “Ada?”
Thranduil
lo guardò senza parlare.
“Sono
stanco, potete prendermi in braccio?” disse con l'espressione
più
tenera che gli riuscisse mentre allungava le braccia verso di lui.
Tranquillamente il Re lo tirò su.
I
due fratelli si guardarono preoccupati, normalmente loro padre non
avrebbe assecondato i capricci di Estel.
Quando
le note si affievolirono, le coppie cominciarono a sciogliere
lentamente gli abbracci e il momento peggiore sembrava passato. La
voce tornò prepotente “Davvero uno spettacolo
incantevole! E
adesso il momento che tutti stavate aspettando! Il bacio della buona
notte!”
Tutte
le coppie si riunirono baciandosi lievemente a fior di labbra.
Legolas
faticava a tenere alto lo sguardo, non riusciva a sostenere la
profondità che avevano raggiunto gli occhi di suo padre,
erano così
intensi. Invece, dalle sue braccia, Estel sembrò aver avuto
una
brillante idea, così alzando di scatto la testa
baciò suo padre
come si stavano baciando le coppiette di innamorati ma, decisamente,
senza la loro grazia dato che la testa di Thranduil venne
improvvisamente spinta all'indietro. Quando si staccò aveva
un gran
sorriso mentre Legolas quasi scoppiava a ridere, il Re lo guardava ad
occhi spalancati “Cosa ti è saltato in
mente?” il suo tono non
era arrabbiato, più semplicemente, estremamente sorpreso.
“Legolas
ha detto che voi sentite la mancanza della mamma anche
perché noi
non possiamo darvi quello che vi darebbe lei” si
spiegò “quindi
volevo rimediare! Ho fatto come facevano le altre persone!”
Per
un attimo Legolas ebbe paura che il padre potesse reagire male e
invece nascondendo un lieve sorriso disse solo “Torniamo a
casa”.
Quando
rientrarono nel bosco la calma sembrò innaturale, tutti
erano ancora
alla festa per fare gli ultimi acquisti alle bancarelle,
così, lì
non era rimasto quasi nessuno.
Thranduil
camminava tranquillamente tenendo ancora in braccio un insonnolito
Estel.
“Legolas?”
chiese il fratellino.
“Sì?”
“Mi
canti ancora la filastrocca della mamma?”
Intonare
quelle parole proprio lì fu strano, la natura sembrava
ascoltarle
con loro mentre frusciava tranquilla cullata dal vento.
“Manca
una strofa” notò Thranduil quando il figlio
maggiore annunciò che
era finita.
“Ne
siete sicuro?” chiese Legolas.
“Perché
recitare una filastrocca tanto sciatta se almeno non portasse con se
un messaggio che valesse la pena di ascoltare?”
“Io
non lo ricordo però, forse a me non l'ha mai raccontata
completa”
disse il ragazzo un po' offeso.
“Lo
ha fatto. La completò quel giorno, mentre ti metteva a
letto.”
Legolas
sussultò, allora Thranduil prese a recitare:
“Quando
un bocciolo nasce proteggilo con cura.
Quando
un bocciolo cresce accarezzalo piano.
Porta
via con te le nuvole scure e lascia a lui la soffice luce
Quando
un fiore nasce guidalo con sapienza.
Quando
un fiore sorge guardalo con amore.
Porta
via con te la fredda pietra e lascia a lui la terra calda.
Anche
quando le radici saranno profonde e lontane tu guardalo sempre.
Lasciagli
il tuo canto e lui non sarà mai solo.
Dimostragli
il tuo amore e saprà che ci sarai sempre.
Cantagli
le tue parole e saprà che sempre da lui tornerai.”
Seguì
un attimo di pausa mentre la voce del Re si dissolveva nell'aria.
“Cosa
significa?” domandò Legolas. “Io lo
so!” rispose Estel felice,
come se quello che fosse logico, ma notando che il fratello non
capiva si spiegò parlando lentamente come se l'altro non
fosse in
grado di capire le cose più semplici “Vuol dire
che tornerà! Che
dobbiamo solo aspettarla, lei tornerà!”
improvvisamente era
sveglio più che mai.
“Non
mi sembra una gran interpretazione” commentò il
fratello.
“Non
deve esserlo, vostra madre non è mai stata particolarmente
dotata
per la scrittura dei canti, per cui, quando scrisse questa
pensò
proprio a qualcosa di semplice, qualcosa che i bambini potevano
capire senza l'uso di gradi parole.”
Durante
l'altra lunga pausa che seguì, Estel riprese sonno sulla
spalla del
padre con un'aria assurdamente serena.
“Ada,
voi pensate che sia davvero così?” chiese Legolas
incerto.
“Non
posso esserne sicuro, ma penso proprio di si. Lei non voleva
andarsene, l'ha fatto perché era suo dovere. Ancora prima di
partire
desiderava essere di ritorno. Tonerà.” concluse il
Re convinto.
“Tornerà”
gli fece eco il figlio.
Tornati
al castello Thranduil mise a letto Estel mentre Legolas raggiunse la
sua stanza.
La
notte ormai aveva preso il sopravvento e dal paese giungevano le voci
del popolo che rincasava dopo la festa. Il Re chiuse la finestra
sulla quale era rimasto un po' a pensare, anche per lui era ora di
abbandonarsi al sonno. Nel tragitto aprì la porta della
camera di
Legolas per accertarsi che fosse andato a dormire ma non lo
trovò,
con tranquillità procedette verso quella di Estel dove
trovò i due
profondamente addormentati. Era buffo constatare che chi riusciva ad
affrontare la situazione con più coraggio fosse il
più giovane fra
loro. Un pensiero lo rabbuiò, forse era così
perché era l'unico
che non ricordava cosa volesse dire averla accanto. Non vi era il
bisogno che sapesse, qualunque esso fosse non ci sarebbe stato modo
di porvi rimedio per cui era meglio che le cose restassero
così,
andava bene se il peso maggiore toccava a lui. Li guardò
nuovamente
per poi raggiungere la sua camera dove si lasciò cadere sul
letto.
Infine, si addormentò con una sola certezza: lei sarebbe
tornata,
non avrebbe mai potuto abbandonarli.
***FINE***
Eccoci
al terzo capitolo! Chiedo scusa per il ritardo ma l'accademia (alias:
la scuola) non mi ha lasciato molto tempo e quel poco che avevo l'ho
utilizzato per scrivere altre piccole fanfiction (perdonatemi YAY).
Qui incontriamo il ricordo della madre, l'ho creata da un commento di
G_Elizabeth: “se è la moglie di Thranduil deve
avere le palle!”,
infatti la vedo come una donna estremamente forte^^”.
La festa è
un'invenzione, non esiste nel libro ne da nessun'altra parte ma
corrisponderebbe alla nostra “festa della mamma”.
Ad
ogni modo, ringrazio GRG!! e Luna per avermi aiutata con l'idea e per
sopportarmi ogni santissimo giorno (si, lo ammetto) -
sottolineo il fatto di aver ringraziato prima GRG!! (che mi tocca
fare per il quieto vivere-.
Inoltre
ringrazio come sempre
G_elizabeth per il suo controllo della punteggiatura (senza di te le
virgole sarebbero solo un'utopia) e FiammaNera per aver recensito!
A presto!
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