Capitolo XXXII
We
cling to love like a skidding car clings to a corner
I tried to hold onto what we are
The more I squeeze, the quicker we're over
(The
Lovers are Losing, Keane)
21
Luglio 2028
Londra, Victoria Embankment. Casa di
Michel Zabini.
Mattina.
Michel fu svegliato
dall’odore
di caffè appena fatto e considerando che la sua camera da
letto distava dalla
cucina almeno un intero corridoio voleva dire solo una cosa.
“Ci credo che vai al lavoro sempre incazzato. Ci vai in
ritardo!”
“Oggi entro un’ora più tardi.”
Rispose cercando il pacchetto di sigarette sul
comodino a tentoni. Trovatolo se ne accese una e si mise a sedere
strofinandosi
una mano sul viso per scacciare la sonnolenza. “È
in programma una ridicola
esercitazione per la sicurezza… La salto sempre.”
Emil posò il vassoio con la loro colazione sulla scrivania
dandogli le spalle e
Michel notò così che indossava solo i boxer.
Sogghignò, buttando fuori il fumo
e godendosi lo spettacolo. “Pensandoci, potrei anche darmi
malato.”
“Mi piace il tuo modo di pensare.”
Replicò l’altro prendendo una delle tazze e
sorseggiandola. “Perché lavorare quando si hanno
scuse da accampare?”
“Per costruirsi un
futuro e
una carriera eccellente?”
Venne ricompensato con una smorfia da bambino. “Come sei
borghese.”
“Purosangue,
prego.” Ridacchiò,
perché quei tempi rilassati cominciavano a piacergli. Un
po’ troppo. “Mi passi
il caffè?”
Emil era diventato una
presenza fissa in casa sua dalla sera dell’Opera; non solo
aveva passato la
notte con lui, ma anche la mattina dopo. E a quella erano seguite altre
mattine, e colazioni preparate a puntino. Emil si era giustificato
dicendo che
visto che Prince aveva una scorta e uno stuolo di camerieri pronti ad
esaudire
ogni suo desiderio aveva più tempo libero. Dubitava fosse
solo quello. E ne era
felice.
“Non hai una
bacchetta
maghetto? Prenditelo da solo.” Replicò servendogli
un sorrisetto beato e
prendendo il suo piatto per bilanciarselo sulle ginocchia. “E
dovresti davvero
comprarti uno di quei vassoi da usare a letto. Sono comodi!”
Michel scrollò le
spalle.
“Fare colazione a letto non è mai stata mia
abitudine.” Esitò poi aggiunse. “Da
quando ci sei tu però non mi dispiace.”
Era scoprirsi non sapendo come avrebbe reagito che stava funzionando;
era una
strategia che prendeva Emil di sorpresa e gli faceva abbassare le
difese di
rimando. Infatti lo guardò con un mezzo sorriso, prima di
fare spallucce.
“Vorrà dire che te ne comprerò
uno.”
“Due.”
“Due…” Sbuffò dando una
forchettata alla sua pancetta. “Come ti pare.” E
gli
lanciò un’occhiata di sottecchi a cui rispose con
un sorriso.
Aveva cominciato ad
interiorizzare Emil; non solo quello che mostrava volontariamente, ma
anche le
piccole cose che non si rendeva conto di fare, come passarsi le dita
dietro una
ciocca sfuggente di capelli poco sopra l’orecchio quando si
infervorava in un
discorso, oppure il fatto che fumasse sigarette tutte schiacciate e a
rischio
rottura perché si dimenticava i pacchetti nelle tasche
posteriori dei
pantaloni. E adesso sapeva come gli piacevano le uova: strapazzate e
piene di
pepe.
Era un buon segno, supponeva.
“Stasera vieni
alla festa di
addio al celibato di Scorpius?” Chiese finendo le proprie
uova. Non aveva invece
mai pensato che lo sciroppo d’acero fosse una delle sette
meraviglie del Mondo
Babbano. “Tu e Prince siete stati invitati, no?”
“Sì, il capo mi ha chiesto di fargli da
spalla.” Annuì prendendogli il piatto vuoto
e posandolo sul vassoio; non cercava mai di sostituirsi a lui in quei
gesti,
specie con la bacchetta. Aveva notato che lo infastidiva.
“Tu?”
“Penso che se
declinassi
Scorpius sarebbe capace di venirmi a prendere di peso.”
Rispose con un sospiro,
ricordando la gioia genuina con cui il vecchio amico gli aveva
consegnato
personalmente l’invito. ‘E
porta chi
vuoi!’ aveva aggiunto con fare malizioso,
facendogli temere che sapesse
qualcosa di lui ed Emil.
Loki
potrebbe aver parlato. Anche se dubito si siano
visti di recente … È troppo occupato a cercare di
non rischiare Azkaban per
l’ennesima volta.
La verità era che
andare senza
compagno era inevitabile, visto che avrebbe sollevato un polverone di
spiegazioni e perplessità, ma non gli piaceva.
Certo,
ti presenti con Emil e poi? Lo sanno tutti che è
un Magonò.
Il problema si era
presentato
più presto del previsto.
Vuoi
nasconderlo? Beh, sicuramente gli farà piacere.
“Allora ci vediamo
lì.” Lo
riscosse Emil finendo di mettere a posto quello che restava della loro
colazione; non sembrava minimamente offeso all’idea che non
gli avesse proposto
di andarci assieme. Meglio, non sembrava neppure gli fosse passato per
la
testa.
…
se ci pensi è ovvio il perché. Quanti maghi
avranno
ammesso di frequentarlo? Ci sarà abituato.
“Hai mai avuto un
ragazzo
mago?” L’espressione perplessa che gli venne
restituita gli fece capire quando
fosse stato estemporaneo. “È un po’ che
me lo chiedo.” Si riparò alla bene e
meglio.
“Intendi
scopata?”
“No, intendo un
rapporto
serio.” Come il nostro,
gli venne da
pensare, prima di realizzare che forse quella classificazione non era
corretta.
Cosa
siamo noi, alla fine? Ancora non l’abbiamo deciso.
Emil aveva assunto di nuovo
quell’aria guardinga che veniva fuori solo quando pensava che
gli stessero
propinando una fregatura. “No, in quel senso no.”
Rispose allungandosi per
fregargli la sigaretta. Glielo lasciò fare, anche
perché si sedette abbastanza
vicino, e il calore di un corpo altrui al mattino era la cosa migliore
dopo un
caffè ben tostato. Ed Emil era una stufa. “Ho
vissuto un sacco di storie
assurde, ma non avevo mai tempo per fermarmi e … non lo so, stare.”
“Perché?”
Le sue domande lo irritavano
quanto intrigavano, si capiva; dovevano essere passati anni da quando
qualcuno
si era interessato a lui come persona.
“Tu hai mai avuto
una storia
seria, maghetto?” Ritorse.
“Ho avuto delle
storie, ma non
ho avuto mai un vero…”
“Amore?” Lo incalzò con un sorrisetto.
“Ti facevo romantico, Michel. Non ti sei
mai innamorato?”
“Sì.”
Ammise piano, perché
quel gioco funzionava così. Una confessione per
un’altra. “Di un amico.”
“Era
etero?” Fece una smorfia
esplicativa. “Un classico.”
“No, semplicemente non mi ha mai corrisposto.”
Rettificò con un mezzo sorriso;
Albus avrebbe avuto sempre posto nel suo cuore, ma non nel ruolo che
aveva
immaginato negli anni di Hogwarts. Andava bene anche così.
“Comunque ti ho
fatto una domanda.”
Emil schioccò la lingua, schiacciando la sigaretta nel
posacenere sul comodino;
così facendo si sporse a sufficienza perché gli
potesse passare un braccio
attorno alla vita per tirarselo contro. Non protestò, ma
quando tentò di
baciarlo spostò il viso. “Sei un
impiccione.” Borbottò e se voleva apparire astioso
suonò più che altro imbronciato.
Michel gli baciò il collo, più accessibile.
“Mi piace essere informato.
Chiamala pure deformazione professionale.”
“Dai, ci arrivi da solo …”
Grugnì accettando la scia di baci come un gatto
avrebbe fatto con un grattino sulla pancia. Socchiuse addirittura gli
occhi. “Per
un mago non sono abbastanza magico, per un Babbano ho troppi segreti
strani. E
prima che tu me lo chieda, no, non ce l’ho avuto manco
Magonò. Siamo già una
minoranza di una minoranza … gay dichiarato e
Magonò? Una vera rarità.”
Adesso era ovvio perché Emil non avesse mai avuto un ragazzo.
Michel si rendeva conto che
per quanto l’altro fosse brillante, intelligente e stupendo,
era materiale
complesso per una storia d’amore. Ma sopratutto, era chiuso
come le sbarre di
una prigione.
Non
lascia avvicinare nessuno perché pensa che nessuno
voglia avvicinarglisi.
Forse era troppo drammatico,
ma rimaneva comunque una riflessione che stringeva il cuore.
Cercò di non
stringerlo in un abbraccio consolatorio – si sarebbe beccato
un pugno o una
battutaccia – e preferì invece prendergli il viso
tra le mani e baciarlo. Baciarlo
era il pregio migliore di svegliarsi con lui. “Il mio
interesse lo hai
suscitato.” Mormorò intendendo anche ad altri tipi
di interesse, e dalla vita
in giù. Sapeva che l’altro avrebbe colto. Era un
maestro nei doppi sensi per
quando l’inglese non fosse la sua lingua madre. “Tu
che dici?”
Emil sogghignò,
rilassandosi. La
metteva più a suo agio una frecciatina che la
serietà in una conversazione.
“Perché sei strano.”
“Lo prendo come un
complimento.”
****
Farringdon,
Magazzino
Purge&Dowse, ovvero…
Ospedale San Mungo
per ferite e malattie
magiche. Mattina.
Trovare una cura era come
cercare un boccino … in un negozio di boccini.
Tanto per dire. Al si rendeva conto di non avere la formazione
necessaria di un
Guaritore di Infettive, ma era un
Guaritore. E la ricerca della cura usando il sangue di Sören
non stava portando
a niente; i rospi da laboratorio che erano stati usati come cavie erano
tutti
morti.
In
modo orribile tra l’altro.
Il siero ricavato dagli
anticorpi di Sören, come aveva paventato Seamus, invece di
isolare l’antigene
del virus e combatterlo aveva scatenato la reazione opposta, creando
una sorta
di cortocircuito magico che aveva letteralmente fatto esplodere i rospi.
Letteralmente.
Sono
esplosi.
Sospirò,
chinandosi a
compilare la cartella del primo paziente della giornata; non aveva mai
trovato
tanto frustante fare il proprio lavoro come in quel periodo.
Sto
facendo il mio lavoro … eppure no. E il
sergente
Flannery sta peggiorando.
Avevano infatti dovuto
cambiare di nuovo il cocktail di pozioni che usavano per mantenerlo in
stasi
magica; se fosse uscito da esso la malattia sarebbe progredita fino
allo stadio
finale.
Riducendolo
in polvere.
Non voleva neanche pensarci,
ma purtroppo la realtà dei fatti era dura, e solo una; il
progetto Demiurgo
aveva creato una malattia capace di adattarsi ai pochi palliativi che
cercavano
di contenerla.
È
portata da un virus magico … ovvio che si adatti, la
magia è liquida, è sempre in continuo movimento.
“Ehi!”
Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille, perché era stata
la colonna sonora
– a volte molto sgradevole – della sua infanzia.
Suo fratello James gli stava
di fronte, in uniforme e a giudicare dall’aria bellicosa non
era lì per
chiedergli di far colazione assieme.
“Ehi a
te.” Replicò asciugando
la piuma con cui aveva firmato la cartella e mettendosela nel taschino
del
camice. “Hai bisogno di qualcosa?”
“Sì, di
parlarti.” Replicò
brusco, afferrandolo per un braccio senza mezzi termini.
“Seguimi.”
“Non sai orientarti in questo ospedale, forse è
meglio se sei tu a seguire me.”
Rimbeccò liberandosi dalla stretta e mostrando una calma che
era ben lungi da
provare. James aveva molti difetti, ma quello di non avere senso
dell’opportunità sul luogo di lavoro mancava
all’appello; se lo veniva a
disturbare durante un turno era perché la faccenda era grave.
Ed
è arrabbiato con me.
Lo portò in una
saletta per le
visite, vuota in quel momento, chiudendosi la porta dietro.
“Che succede?”
“E me lo chiedi
anche?!”
Sbottò torreggiandogli sopra come poteva fare da quando lo
sviluppo li aveva
distanziati di quasi dieci centimetri. “Prince!”
Ah.
Ops.
James doveva aver scoperto
del
suo accordo con Sören e, da come gonfiava i muscoli e buttava
in fuori il petto,
e la cosa non doveva essergli piaciuta. “Prince? Gli
è successo qualcosa?”
“Non fare il
furbo, Albie.”
Ritorse puntandogli un indice contro e punzecchiandolo sul petto; James
sapeva
essere un perfetto bullo quando voleva. “Tu ci hai parlato. Me l’hanno detto i
ragazzi della sua scorta. L’hai
invitato a pranzo a casa tua un paio di giorni fa.”
Al assunse la sua migliore espressione confusa. Non sarebbe servita con
la
persona che forse lo conosceva meglio al mondo dopo Tom, ma poteva
sempre
prendere tempo. Il tempo era sempre utile in certe situazioni.
“E da quando è reato
invitare qualcuno a pranzo?”
“Non quello,
serpe, il fatto
che tu ci abbia parlato!” Ribadì. “So
cosa combini quando parli!”
“E cosa?” Era sinceramente curioso, tuttavia si
premurò di scivolare via
dall’angolo in cui l’aveva stretto. Era meglio
avere una via di fuga in caso le
cose si fossero messe male. “Lily l’ha fatta lunga
come un’arringa del Wizengamot
sul fatto che fosse sconvolto dall’estromissione dal caso.
Ero preoccupato per
lui, e lo era anche Tom. Gli abbiamo chiesto come stava.”
“Cazzate.” Al intuì che menzionare Tom
non aveva perorato la sua causa. In effetti
non lo faceva mai. “Lo avete convinto ad indagare
sottobanco!”
Ah, però. Il mio fratellino
investigatore.
Incrociò le
braccia al petto,
perché in una gara di muscoli avrebbe perso miseramente, ma
non di ingegno. Mai di ingegno.
“E le prove di quanto
dici?”
James lo guardò
come se volesse
lanciargli una fattura, ma dovette fermarlo il camice, o forse il fatto
che non
erano più due bambini della stessa altezza e
capacità magiche. Un auror non
poteva attaccar briga con un civile per il puro gusto di farlo, primo
per le
regole…
…
secondo perché mi rivolterebbe come un calzino. Ed
è
in servizio, non può farlo. Ah!
“Le
prove…” Iniziò schioccando
la lingua e contraendo i pugni. “Le prove è il
fatto che quel cretino di Malfoy
ha trafugato le cartelle del caso per portargliele!”
“E pensi che
gliel’abbia
suggerito io?”
Ero
certo che avrebbe funzionato, Scorpius ha un debole
per Sören.
“Prince non
è in grado di
pensare a roba così Serpeverde!”
“È bello vedere che dividi ancora il mondo in
dicotomie.”
“Sei stato tu.”
Non c’era molto
che potesse
fare a quel punto per convincerlo del contrario; James era un mastino
quando si
convinceva della colpevolezza di qualcuno.
In
questo è identico a papà. E non che abbia torto,
tra
l’altro.
“E se
fosse?” Si strinse nelle
spalle. “Non l’ho convinto, gli ho suggerito
una strategia. Vuole riprendersi il caso, ed è una decisione
che ha preso da
solo.” Fece una pausa guardando il volto acceso di rabbia
dell’altro, preso di
colpo da un dubbio. “Non dirmi che hai intenzione di
denunciare Malfoy e
Prince.”
“Certo che
no!” Sbottò
guardandolo male anche solo per averlo pensato. “Non sono una
schifosa spia!”
Al non poté fare a meno di sorridere, nonostante avesse
l’impressione di non
essere ancora fuori pericolo. “Certo che no.” Fece
una pausa. “Per questo ero sicuro
che non avrebbero rischiato niente.”
James fece una smorfia. “Che ti è saltato in
mente? Perché ti vuoi impicciare?
Prima qui in ospedale, poi…”
“Non mi sto impicciando, sto aiutando.”
“È questo che pensi?” Fece un suono
sarcastico che fece vacillare appena la sua
convinzione. Solo appena. “Pensi davvero di star aiutando
Sören? Perché cazzo
credi che l’ufficio gli abbia assegnato una scorta?
Perché smaniamo per fargli
da babysitter?” Non gli diede il tempo di rispondere.
“Perché è in
pericolo.”
“Sì, mi rendo conto…”
“No invece!” Sbottò tirandogli una
spinta, come quando erano bambini e il loro
unico modo di litigare era prendersi a pugni. “Non te ne
frega niente della
sicurezza di Prince, ti importa solo di aver tutto sotto
controllo!”
“Questo non
è vero!” Ribatté
con la sensazione che suo fratello avesse capito più di
quanto volesse
ammettere a se stesso.
“Ah no?”
Dimenticava troppo spesso
quanto fosse in grado di investigare e trarre conclusioni. Su un caso
… o su
qualcuno.
Dopotutto
ha capito che Teddy era gay prima di Teddy
stesso.
“Ti conosco come
l’impugnatura
della mia bacchetta.” Scrollò la testa,
guardandolo in un misto di rabbia,
esasperazione e qualcosa che pareva proprio preoccupazione.
“Vai in paranoia se
succede qualcosa di cui non hai il controllo.” Lo
guardò confuso. “Perché non
riesci a farti i fatti tuoi, eh?”
Al inspirò,
appoggiandosi allo
stipite della porta. “Perché ho paura.”
Mormorò piano. Tanto era stato
smascherato bellamente: sia lui che Tom erano gli unici a riuscire a
vedergli
dentro e buttarglielo addosso. Lily era sempre stata così
carina da evitare. “Ho
paura del contagio, ho
paura che vengano di nuovo a cercare Tom … ho
paura.” Si passò una mano trai
capelli. “Non riusciamo a trovare una cura, il sangue di
Sören non funziona. Ed
è al momento l’unica pista che abbiamo. Una pista
che non porta a niente.”
L’altro aggrottò le sopracciglia, quasi non
trovasse senso alle sue parole. “Sì,
ma questo cosa c’entra con te? È un intero
ospedale che ci lavora!”
“Lo so, ma non mi
sembra di
fare abbastanza.” Si sfogò. “Il virus
sta mutando e stiamo facendo i salti
mortali per tenere i pazienti in stasi, per non far progredire la
malattia …
per non farli morire.” Sentì la bocca secca.
“Potrebbero morirci davanti agli
occhi … Liam e gli altri. Mi sembra di non stare facendo niente. Lasciami … lasciami
almeno fare questo.”
“Impicciarti?”
“Jamie…”
James si strofinò
una mano sul
viso. “La cosa divertente…”
Mormorò con l’aria di non trovarla divertente
affatto. “… è che in questo momento
altrettanti topi da laboratorio stanno
lavorando per rendere innocuo il siero. Forse dovremo chiedere a
loro.”
Ironizzò. “Peccato che non riusciamo a
trovarli.” Poi tornò serio. “State
facendo tutto il possibile, Albie. Se qualcuno …”
Esitò, ed era evidente stesse
pensando al sergente. “Se qualcuno non dovessero farcela
… almeno siete
riusciti ad isolare il contagio. Avete salvato un intero Ministero
evitando una
fottuta pandemia.”
Stava cercando di
consolarlo,
ma non stava funzionando granché. “Delle persone
moriranno comunque. E non è
detto che non ne escano fuori altre … Hanno delle cavie,
vero? Sono riusciti a
rapirli. Se facessero dei passi avanti, o se credessero di fare dei
passi
avanti, potrebbero tentare di nuovo di provare il siero su quelle
persone … o
su altre. Chiunque.”
“Okay.”
Lo fermò. “Basta. È
roba a cui abbiamo già pensato. Non dovresti essere tu a
fartici il sangue
amaro!”
“Lo so.” Mormorò.
“È solo che … io non sconfiggo i
cattivi, Jamie. Non sono
bravo in questo.” E la cosa non l’aveva mai turbato
più di tanto. Non fino a
quel momento. “Però posso usare il cervello. In
questo sono bravo.”
“Anche
troppo.” Grugnì. “E
quindi aiutare Prince a rimanere è usare
il cervello?” Non sembrava molto convinto, ma non
aveva più voglia di
picchiarlo. Era un progresso.
“Te ne rendi conto
anche tu o
avresti fermato Scorpius.”
James sbuffò,
infilandosi le
mani in tasca, come quando non voleva dargli ragione per partito preso.
“Niente
più ficcanasare nel Demiurgo, okay?”
Squadernò un dito e glielo picchiettò sulla
fronte. “Occupati dei pazienti. Lasciaci fare il nostro
lavoro. Siamo bravi.”
“So che lo
siete.” Sorrise
appena. “Scusami Jamie, non volevo causare fastidi a
nessuno.”
“Quanto sei stronzo.” Sogghignò con aria
vinta. “Non te ne frega niente dei
nostri fastidi … Se vuoi dare un consiglio al pipistrello,
fa’ pure. Ma
smettila di suggerirgli di infrangere le regole!”
“Pensavo avresti
apprezzato,
da bravo Grifondoro.”
“Sta’ zitto serpe.” Lo guardò
da sotto in su, poi gli rifilò una pacca sulla
spalla piuttosto dolorosa. Strinse i denti perché non
gliel’avrebbe data vinta
facendosi dare della femminuccia. “Ce la caveremo, Albie.
Risolveremo questo
casino e ne arriverà un altro… Come al solito. Ma
è quello per cui siamo
tagliati, e lo sai perché?”
Sorrise appena di rimando.
Conosceva la risposta, gli scorreva nelle vene.
“Perché
siamo Potter.”
****
Somerset,
Contea di Bath.
Lucknam Park
Hotel & Spa.
Mattina.
Alla fine avevano deciso per
un resort a poche miglia da Bath e
solo due ore di macchina da Londra; persino Violet si era fatta
convincere dai
duecento acri di parco, dalla piscina coperta a temperatura ambiente e
dalle
varie amenità tipiche di una Spa di lusso.
Lily si lasciò cadere sul letto della suite che avrebbe
diviso con Roxanne,
lasciando che la cugina scrutasse con occhio clinico l’intera
stanza,
puntigliosa com’era e formasse un giudizio.
“Mi
piace.” Approvò infine
distendendo i lineamenti e palesando quanto avesse bisogno di quello
stacco,
forse più di tutte loro messe assieme.
Beh,
un neonato è impegnativo…
“Certo che ti
piace, questo
posto costa un occhio della testa a sentire le lamentele di quella
spilorcia di
Rosie…” Sbadigliò, calciando via i
tacchi e spedendoli sulla moquette color
crema. “… e dire che siamo le sue damigelle,
dovrebbe esserci grata in eterno!”
“Per non aver invitato spogliarellisti?”
“Esatto!”
Roxanne ridacchiò, tirando fuori la bacchetta –
precedentemente occultata in
presenza dei Babbani della reception – per sfare le valige.
“La minaccia è
servita però.”
“Prospettargli un addio al nubilato fuori di testa per
ottenerne uno da favola.
Sono una ragazza intelligente, mi conosci.” Si
stiracchiò, guardando
affascinata l’enorme giardino all’inglese che si
emergeva oltre le finestre:
aveva sempre amato la campagna inglese, essendoci nata e vissuta, ma i
parchi
ben ordinati di proprietà così lussuose avevano
un posto speciale nel suo
cuore: la facevano sentire coccolata. “Comunque stasera club
a Bath. Tassativo.
Ne ho trovati un paio che non dovrebbero farle avere un tracollo
nervoso. E poi
forse ci raggiunge Domi … Non possiamo mica farla stare a
mollo nei fanghi di
bellezza! Vorrebbe ingaggiare una gara di palle di fango o qualcosa di
simile.”
“No,
direi di no. E Rosie avrà comunque
un tracollo. Lo sai che sta ad
un club e ad un dancefloor come tu stai al ricamo.”
Replicò Roxanne sedendosi
sul ciglio del letto: delle sue cugine era forse la più
bella, rifletté, persino
più di Victoire, e proprio perché non lo
ostentava. Capiva perché Dionis se ne
fosse innamorato all’istante.
Non
c’è bellezza più bella di quella
inconsapevole, è
proprio vero.
…
beh, poi c’è quella come la mia, che impegna due
ore
ogni mattina per rilucere al meglio. Ma ehi.
“Beh, se ne
farà una ragione.
E poi alla fine si diverte sempre.” Rotolò per
abbracciarle la vita, in un
impeto di affetto per quella sua cugina austera e saggia.
“Dion è un mago
proprio fortunato. La maternità ti ha reso figa!”
Aggiunse estemporanea.
Roxanne le diede un buffetto divertito, come faceva sempre da che erano
bambine. Adesso c’era però una connotazione molto
più … da mamma, ed era bello
quanto naturale. “La pensate allo stesso modo, ma a me sembra
di essere un’orca
spiaggiata.”
“Sciocchezze! Sei
longilinea
come una silfide!”
“Non so neanche
cosa sia.” Sbuffò.
“Non è che mi hai dato della balena?”
“Assolutamente no!
È uno
spirito dei boschi tedesco … Sono stupende, agili e
aggraziate e sono delle
divinità dell’aria, quindi ci prende con il tuo
bel mestiere da folli.”
La cugina le
rifilò una
cuscinata sulla testa; mai offendere la sacra disciplina del Quidditch
in sua
presenza. Deflesse il colpo appoggiando poi il mento ad una mano per
guardarla
da sotto in su. “Sono anche pallide ed esangui
però, da come me le ha descritte
Ren, quindi forse non ci siamo.”
Roxanne alzò gli
occhi al
cielo, come sempre faceva quando la riteneva portatrice sana di
cavolate.
“Visto che ti ho sfatto la valigia, Rossa, che ne dici di
smetterla di oziare e
raggiungere le altre?”
“Guarda che il
punto di tutta
la faccenda è proprio questo.”
Puntualizzò. “Però okay,
piscina!” Si diresse
così in bagno, dove trovò un paio di soffici
accappatoi bianchi. Già solo
indossarne uno le spazzò via una buona dose di brutti
pensieri dalla testa.
Questo
addio al nubilato non poteva essere più
azzeccato.
Mentre aspettava che la
cugina
si cambiasse controllò il cellulare: aveva detto a tutti che
l’avrebbe spento
così da non avere seccature, né sul lavoro
… né da altro.
Tanto
è solo una giornata, Scotty se la saprà cavare
anche senza di me. E anche Ren.
Notò un messaggio
e lo aprì.
Era di Sören, e le augurava un felice soggiorno.
Lanciò un’occhiata alla porta
del bagno ancora chiusa, e digitò velocemente. ‘Puoi contarci, ho intenzione di
soffocare nell’inedia!’
La risposta non
tardò ad
arrivare. ‘Scommetto ti
verrà naturale’
Ridacchiò,
perché la
stuzzicava da morire quel lato ironico dell’amico, in
apparenza sempre attento
ad osservare cortesie con chiunque. ‘Stai
dicendo che sono pigra?’
‘Non
sto dicendo che morderai il freno.’
‘Simpatico!
Stasera grande festa alla corte di re
Scorpius … Pronto?’
‘Assolutamente
no. Qualche consiglio su come affrontare
il bagno di socialità?’
‘Sembro
tanto sconveniente se ti consiglio la filosofia
del drink sempre in mano?’
‘È
la stessa conclusione a cui sono giunto io.’
‘Non
bere troppo però … Non farmi
preoccupare!’
‘Mai
Lilian.’
Ci fu una pausa in cui Lily guardò preoccupatissima verso il
bagno e si diede
dell’idiota perché Roxanne non poteva leggere
attraverso le porte e gli schermi
dei cellulari. E comunque non stava facendo niente di male …
anche se aveva
detto che avrebbe spento il cellulare.
‘Ti
devo credere?’
‘Sarò
ineccepibile. E poi, temo che dovrò occuparmi di
portare a casa Milo sulle sue gambe.’
Mascherò
prontamente una
risatina quando la cugina uscì dotata di accappatoio e
capelli raccolti. Lo
sguardo le andò subito al cellulare. “Con chi ti
stai sentendo?” Non fece in
tempo ad inventarsi una scusa che l’altra sbuffò.
“No, non serve che mi rifili
una palla. Come sta Sören?”
“Bene!”
Replicò sullo stesso
tono. Quando lesse il messaggio successivo però dovette
nascondere una smorfia.
‘Stasera
esco con il sergente Gillespie. Consigli?’
Manco
morta!
“Stiamo
parlando del suo appuntamento
con una collega.” Replicò, avendo la magra
soddisfazione di vedere l’altra
perdere interesse. ‘Prima di tutto
chiamala
Ama. E secondo, sii te stesso … o è troppo
scontato?’
‘Abbastanza.’
‘Ma
è così che funziona! Se non le piace chi sei,
allora non vale la pena. Se le piace, giochi in casa!’
‘Lily,
sei una delle poche persone a cui piaccio quando
sono me stesso.’
Quello era un colpo basso,
sleale … e tremendamente tenero. Seguì la cugina
fuori dalla stanza, sperando
di non inciampare dato che aveva il cellulare davanti al naso.
‘Ma
io sono di gusti difficili. Quindi vai tranquillo,
le piaci adesso e le piacerai dopo. E niente gel sui capelli!’
‘Sarà
fatto. Grazie.’
‘Figurati.
Dacci dentro, tigre!’
Certo
che le piacerai, scemo. Perché se non ti amerà
come ti amo io giuro che verrò a Boston a cavarle il cuore.
Personalmente.
Stavolta lo spense sul
serio,
infilandolo nella borsetta di tela con il logo dell’albergo.
Sua cugina non
aprì bocca finché non furono in ascensore, forse
per distrarsi dalla lieve
claustrofobia che si portava dietro sin dall’infanzia.
“Quindi è tutto risolto?
Se lui esce con un’altra ragazza e tu te ne vai in Australia
con Scott…”
Lily si guardo allo
specchio,
che le riflesse l’immagine di una ragazza con troppe occhiaie
e persino qualche
irritante lentiggine. Chissà perché, le venivano
fuori in corrispondenza di
periodi di forte stress. Era la magia? “Sì, tutto
a posto.” Mentì con
disinvoltura. “Crisi rientrata.”
Roxanne era più
occupata ad
aggiustarsi le forcine che non riuscivano a contenere la sua
capigliatura
leonina per guardarla, ed annuì. “Bene
allora.”
“Benissimo!”
Questa sera mi sbronzo.
****
Londra,
Hyde Park.
Pomeriggio.
L’appuntamento non
stava
andando male come aveva preventivato.
Sören era arrivato
davanti
alla statua di un certo Peter Pan, il posto
dell’appuntamento, con largo
anticipo. Era il metodo migliore che conosceva per evitare lo stress,
quello di
arrivare prima e studiare il luogo di incontro da ogni angolazione
possibile.
Anche
se di solito usi questa tecnica con gli
informatori.
Si era comunque informato
con
i passanti che il luogo fosse quello e poi si era seduto su una
panchina ad
osservare un quadrato d’erba in maniera ossessiva
finché non aveva visto
arrivare Ama. Non era la prima volta che gli capitava di vederla senza
uniforme, ma quel pomeriggio era particolarmente bella, con i capelli
freschi
di acconciatura e i vestiti colorati, ben diversi
dall’uniforme monocroma con
cui la vedeva ogni giorno.
Dopo doverosi convenevoli
avevano
passeggiato lungo i vialetti del parco, ed era stata una fortuna che
Lily ce
l’avesse portato qualche settimana prima riempendolo di
aneddoti sul posto: li
aveva ripetuti diligentemente facendo ridere la sua compagna. Da quel
punto in
poi la conversazione si era fatta scorrevole e Sören si era
sentito fiero di
sé.
È
il tuo primo appuntamento e non sta andando male.
Inaspettato.
Adesso erano dalle parti del
Marble Arch e Ama gli stava spiegando come le ricordasse un monumento
che aveva
visto a New York. Sören avvistò un chiosco di
gelati e vista la bella giornata
lo indicò. “Facciamo una pausa? Abbiamo camminato
molto.”
Ama sorrise, con un’inspiegabile sollievo, che gli diede
ansia finché non si
indicò i piedi. “Questi tacchi mi stanno
uccidendo. È un ottima idea.”
“Perché
li hai messi se ti
fanno male?” Chiese e intuì l’idiozia
della sua domanda dall’occhiata
dell’altra. “È strano.” Si
giustificò. “Io non indosserei mai scarpe
scomode.”
“Perché sei un ragazzo.”
Sospirò divertita, scrutando la lista di gelati.
“Voi
ragazzi non avete il dovere sociale di indossare queste trappole per
piedi.” Alla
sua espressione confusa scrollò le spalle. “Le
donne sono considerate più belle
ed eleganti con i tacchi. E non dirmi che non lo pensi anche tu,
Prince.
Saresti un bugiardo.”
“Non faccio caso a queste cose.” Replicò
sentendosi punto sul vivo. “Non guardo
i piedi di una donna, che interesse potrei avere?”
“Si vede che non
sei mai
uscito con una ragazza.”
Sören aprì la bocca per protestare, salvo rendersi
conto che l’altra aveva
ragione.
Avrebbe
anche potuto evitare di farmelo notare.
Non disse niente
però, perché
era chiaro, dal tono leggero con cui l’aveva detto, che non
intendesse
offenderlo. Pagò i gelati senza una parola e poi si
spostarono verso una vicina
panchina. Ama dovette percepire il suo malumore.
“Scusa.” E sembrava
imbarazzata. “Ti sei offeso?”
“No.”
“Invece sì!” Replicò
arrabbiata. Poi si morse un labbro. “È che
… non sono
brava nei primi appuntamenti. Gioco sempre in difesa, se capisci cosa
intendo.”
Stava cercando di far pace, quindi le sorrise. “Mai quanto
me.” Diede un morso
al suo cono e fece finta di non sentire il dolore del freddo. Era un
imbranato.
“E poi … non hai torto. Questo è il mio
primo appuntamento.”
“Da quando?”
“Da sempre.
È la prima volta
che esco con una ragazza.”
Se
si esclude Lily. Ma Lily non conta.
Ama
lo guardò sbalordita. “Stai
scherzando, vero? Io prima dicevo per dire!”
Ah,
per dire. Quindi non pensava … Fantastico. Adesso
lo sa.
Verginello.
La definizione se la sentiva
marchiata a fuoco sulla fronte.
“Sì,
insomma, è vero che voi
ragazzi non fate caso a queste cose, che a volte è tutto
nella testa di noi
donne, ma …” Rimase in silenzio, mangiando un
po’ del suo gelato. “… come
mai?”
Ignorò la cocente
scritta
sulla sua fronte. “Come mai cosa?”
“Come mai non sei
mai uscito
con una ragazza.” Sembrava incredula e Sören non
seppe se sentirsi lusingato o
in imbarazzo. Nel dubbio, optò per entrambe. “Sei
un bel ragazzo, sei gentile e
… beh, le ragazze del Dipartimento ti mangiano con gli
occhi!”
Sören
optò per la bruta
verità. Anche perché non sapeva cosa rispondere
se non quella. “Nessuna me l’ha
mai chiesto.”
“Incredibile. E tu?”
Adesso era più
lusingato che
in imbarazzo: davvero pensava fosse così assurdo che nessuna
gli avesse chiesto
un appuntamento? Era una cosa buona, supponeva.
“Per quanto mi riguarda … fino a
cinque anni fa credevo che non ci
sarebbe stato posto per una donna nella mia vita. Ho semplicemente
continuato a
crederlo.”
“Sei un
idiota.” Disse senza
giri di parole ma non era una vera offesa. Era un po’ come
quando Lilian gli
dava della testa di legno o Milo gli diceva che era uno spocchioso
bastardo.
Sembravano quasi complimenti contorti. “Sören,
potresti avere tutte le ragazze
che vuoi!” Fece una smorfia. “Certo, non tiro acqua
al mio mulino dicendolo,
però è vero … Sei un bel ragazzo
… no.” Si corresse. “Sei una bella
persona.”
Le sorrise di rimando.
“Ci sto
arrivando adesso.”
Ama parve capire,
perché
annuì. “Sì … immagino. Spero
solo che questa tua improvvisa realizzazione non
mi faccia avere delle rivali.” Fece un sorrisetto imbarazzato
ed era davvero
bella. Se n’era accorto dalla prima volta che erano stati
presentati,
ovviamente, ma adesso aveva un’aria più genuina
… e più raggiungibile.
“No.”
Replicò, e il gelato gli
si stava sciogliendo in mano a giudicare dalla roba che si sentiva
colare sulla
mano. “Non sono il genere di persona che divide la sua
attenzione su più
soggetti.” Era un po’ freddino. Doveva aggiungere
qualcosa. Non ci rifletté
molto. Lily diceva sempre che in certe cose non bisognava proprio
pensare. “A
me interessi tu.”
Ed era vero: Ama era la
prima,
dopo Lily, che si fosse mai presa la briga di interessarsi a lui come
persona
che aveva dei sentimenti. Era bello sentirsi desiderato, specie da una
ragazza
intelligente e bella.
Anche stavolta fu Ama a
baciarlo per prima, ma a differenza del post-serata a Boston, le
passò un
braccio attorno alla vita e rispose. Era bello baciare qualcuno; le
poche
avventure che aveva avuto grazie all’alcool e alla mediazione
di Milo avevano
avuto dei baci, ma erano stati più che altro
un’espressione di un bisogno
sessuale, dati in prossimità di un letto, maldestri ed
eccitati. Quello era
completamente diverso.
Quando si staccarono le
sorrise. Gli pareva la cosa migliore da fare dato che non sapeva cosa
dire. Non
si era aspettato quella svolta così repentina. Ama invece
sembrava
perfettamente a suo agio, perché lanciò uno
sguardo alla mano e sbuffò. “Da non
credersi … persino a Londra i gelati si sciolgono. Con
questa falsa estate…”
Sören fece un leggero incantesimo di gratta-e-netta su
entrambe le loro mani –
la sua non vessava in condizioni migliori, scomodamente appiccicosa.
Ama batté
le palpebre sorpresa. “Avere una bacchetta che non si vede
è comodo!” Commentò.
“Già. Ama, io …”
Esitò, perché forse dovevano parlare del bacio o
forse no. Se
solo ci fosse stata Lily …
…
a far cosa, assistere alla scena e consigliarti? Ma
che problema hai?
Era una fortuna che Ama,
trai
suoi molti talenti, non avesse quello della Legimanzia,
perché era abbastanza
sicuro che non avrebbe gradito quella deriva di pensieri.
“Non mi aspetto
niente da un semplice bacio.” Rispose tranquilla, divertita
dal tono. Sperava
disperatamente di non essere arrossito. “Ci stiamo conoscendo
come persone e non come agenti,
okay? Per ora
basta questo.”
Era sensato, ma non poteva
limitarsi ad annuire come una marionetta. “Tu mi
piaci.” Le disse, e sperò di
suonare sincero. “È solo … che
… non sono facile.” Concluse con la sensazione
di non aver spiegato granché.
Dovette bastare,
perché Ama
gli passò una mano sulla guancia. Fu così
inaspettato che dovette evitare di
ritrarsi. Cinque anni e ancora faceva fatica a distinguere una carezza
da un
tentativo di aggressione. Era ancora materiale per Psicomaghi. Per
fortuna Ama
non parve accorgersene.
“Le persone facili
non sono il
mio genere.” Gli sorrise. “E mi piaci anche
tu.”
Si alzarono e Sören
le porse
il braccio. Gli parve sorpresa, ma lo accettò con un sorriso
timido che gli
diede una buona sensazione. “Sei proprio un cavaliere,
eh?” Scherzò.
Sören si strinse
nelle spalle,
ignorando la fitta di senso di colpa; era la prima volta che offriva il
braccio
a una ragazza che non fosse Lily. Certo, era un gesto da nulla,
eppure…
Non
è lei.
Era solo questione di
abituarsi.
****
Scozia,
Hogsmeade.
Casa
di Ted Lupin e James Potter.
“Sei sicuro di non
voler
venire?”
Ted guardò il
profilo di James
allo specchio, mentre si sistemava una camicia che da sola,
fasciandogli i
fianchi alla perfezione, riusciva a distrarlo dal compito che si era
prefissato, ovvero non togliere gli occhi di dosso da Benedetta, che
giocava
sul tappeto della loro camera. “Sì.”
Confermò per l’ennesima volta. “Non me
la
sento di lasciarla.”
“Nev e Hannah non
avrebbero
problemi, e la nanetta potrebbe giocare con Frankie.” Gli
fece notare e una
parte di lui era quasi pronta a considerare l’offerta, prima
di guardare verso
il visetto concentrato della bambina e capire quali erano le sue
priorità.
“Lo so, ma
… preferisco così.
E poi stasera sono un po’ stanco, non sarei di compagnia per
una serata à la Scorpius.”
Replicò con un sorriso
quando lo vide lottare con un ciuffo di capelli particolarmente
ribelle. “Serve
una mano?”
“Se perdo altri
cinque secondi
sui miei capelli giuro che mi raso a zero.”
Borbottò.
“Preferisco i tuoi
riccioli.”
Replicò prendendo il pettine, utensile sconosciuto al
compagno. “Sta’ fermo.”
James sbuffò,
mettendogli le
mani sui fianchi e giocherellando con l’orlo slabbrato del
suo miglior maglione
da casa. “Non mi diverto se non ci sei
tu…”
“Ti diverti soprattutto
se non ci
sono io.” Corresse gentilmente, lanciando
un’occhiata a Benedetta, presa a
costruire una torre con le costruzioni. Non sembrava particolarmente
curiosa
riguardo alle loro manifestazioni d’affetto: quella mattina
li aveva quasi
sorpresi a baciarsi e l’unica reazione percepita era stata
chiedere una seconda
tazza di cioccolato.
Avrà
già visto altre coppie gay? Dovremo parlargliele o
è troppo piccola?
I
libri che aveva comprato sulla
materia – era sceso fino a Londra per prenderli
- suggerivano di affrontare il problema solo se fosse
stata la bambina a
sollevarlo e di comportarsi nel modo più naturale possibile,
senza nasconderle
niente.
Ma
se non ce lo chiede? Qualcuno prima o poi glielo
farà notare…
Al di là dei suoi
galoppanti
dubbi, in quei due giorni le cose erano comunque andate bene; Ben era
una
bambina vivace e un po’ viziata, non apprezzava che le
venissero date delle
regole o le venisse chiesto di tener in ordine la propria camera, ma
era anche
incuriosita dalla foresta come dalle montagne e dal paese e la sua
natura
allegra riusciva a bilanciare i momenti di buio, in cui ricordava il
padre.
Erano riusciti comunque a controllare la situazione con un paio di giri
da
Mielandia e James sempre pronto a distrarla con racconti o scherzi.
Non
dimenticherà mai quello che ha passato con suo
padre. Però possiamo fare in modo che non le faccia
così male.
“Come
sto?” Lo distrasse il
compagno dandogli un colpetto sulla spalla. “Teddy, torna
sulla terra e
considerami.”
“Eccomi.” Gli sorrise perché bruciava
dalla voglia di baciarlo. “Stai
benissimo.”
James parve leggergli
l’intenzione negli occhi perché si sporse verso di
lui con un sogghigno che
parlava di carognata. “Sicuro
che non
vuoi che resti?”
“…
sicuro.” Mormorò piano:
forse non era stata un’idea così brillante tenere
Ben a portata d’occhio. “Benedetta,
che ne pensi?” La chiamò ad aiuto, visto che non
poteva far altro. “James come
sta?”
La bambina alzò
lo sguardo e arricciò
il naso. “Sta in camera.”
Proclamò in
italiano, fraintendendo. “Dove vuoi
che
sta?”
James si
inginocchiò squadernando
il suo sorriso più affascinante. “Sì,
ci sto, ma ora vado ad una festa. Sono
bello?”
Ben gli lanciò
un’occhiata di
palese sufficienza. “Devi pettinarti
meglio i capelli.” Dichiarò facendolo
ridere, mentre James tentava di
nascondere una smorfia offesa. Quelle conversazioni in italo-inglese si
facevano sempre più miste, ed era una buona cosa: era certo
che nel giro di
poco tempo Benedetta sarebbe stata in grado di sostenere una
conversazione
senza che l’interlocutore dovesse lanciarsi addosso un
Incanto Traduttore.
Almeno
potrà giocare con gli altri bambini.
James si tirò in
piedi e gli
scoccò un sorriso tutto denti mentre gli occhi gli
brillavano di voglia di far
festa. Lo amava anche per non essere un pantofolaio come lui.
“Bene! Vado a
prelevare il festeggiato.”
Annuì.
“Fa’ attenzione e non
…” Si fermò. “Qualsiasi
raccomandazione non avrebbe senso, vero?”
“Esatto!”
Ghignò. “Ehi pulce, io
vado … fa’ la brava okay?”
Ted a posteriori non
capì se
fu l’italiano usato, o proprio quel che gli disse James a
farla scattare, fatto
sta che Benedetta lo guardò con due occhi enormi, congelata
come un cerbiatto
di fronte ai fari di una macchina. Poi gli si gettò addosso,
placcandogli la
vita e abbracciandolo talmente stretto che James, per quanto piazzato,
fece un passo
indietro per bilanciarsi.
“Non
andare!” Strillò con il tono che
precedeva una crisi acuta di
pianto. “Non andare via!”
“Ma che…” James lo guardò con
l’aria di non sapere che pesci prendere.
Erano in due.
“Ben…” Si chinò
per accarezzarle la schiena, cercando di non suonare spaventato, anche
se lo
era. “Cosa c’è?
Perché non vuoi che James
vada via?”
“Fino a due secondi fa era tutta
tranquilla…” Sussurrò
l’altro, dandogli delle
pacchette sulla testa con l’aria di voler scomparire.
Okay.
Che è successo? Cos’è che
l’ha spaventa?
Ben stava tremando e di
colpo
Ted ricordo la caverna .
Dev’essere
la stessa cosa che Lunastorta le ha detto
prima di andarsene.
Dalla faccia che aveva
James, seppe
che doveva intervenire prima che il suo ragazzo fosse annientato dai
sensi di
colpa.
“James
sta andando ad una festa.” Continuò ad
accarezzarle la
schiena: era una cosa che pareva calmarla. “Ehi, guardami un
po’.” Il visetto
pallido e in lacrime di Ben era in
effetti un buon motivo per chiedere all’altro di
restare, ma non era
giusto.
Sono
io lo zio. Non posso sobbarcare tutto a Jamie.
“Jamie
torna. Molto tardi, quando sarai già a letto a dormire, ma
torna.
Controllerò io, va bene? E se non lo vedo tornare,
andrò a prenderlo.”
L’idea parve piacerle perché le lacrime smisero in
favore di qualche singhiozzo
isolato.
“Resto?”
Mormorò James prevedibilmente.
“No.”
Gli sorrise, prendendo
in braccio Ben, che gli si accoccolò addosso dandogli la
forza di continuare. Poteva gestire
la cosa anche senza
l’aiuto dell’altro. Doveva. “Organizzi
questa festa da mesi … Si è solo
spaventata un po’.”
“Ma le ho
ricordato…” James
era pronto a sbattere una testata contro lo spigolo, come un Elfo
indisciplinato, glielo leggeva nell’espressione affranta.
“… cazzo, Teddy,
pensa che sparirò come suo padre!”
“È
normale che lo pensi,
credo. Lo farà ancora per un
po’…” Traumi del genere non sparivano
per una
bella casa e due sconosciuti che si occupavano di te. Ted aveva avuto
una nonna
e una famiglia adottiva piena d’amore, eppure
c’erano state notti in cui si era
svegliato chiamando genitori che non aveva mai conosciuto. Poteva solo
cominciare ad immaginare cosa stava passando Benedetta.
‘Ma
non è sola al mondo. Ha voi.’
Le
parole di Lily gli davano la forza
di spedire James a divertirsi. “Deve abituarsi a non averci
sempre a portata di
mano. E poi ci sono io, sta’ tranquillo.”
L’altro era poco
convinto, si
vedeva, ma sospirò. “Se succede
qualcosa…”
“… ti chiamo.” Mentì,
perché il compagno aveva bisogno di quella serata, forse
più di quanto non realizzasse. “Vai, o farai tardi
e Scorpius andrà da solo.”
“Ci mancherebbe, quello non sa trovarsi il sedere con le
mani.” Sbuffò per poi
dare un colpetto alla spalla di Ben. La bambina si voltò
appena, più occupata a
nascondergli il viso contro la spalla. Lo faceva anche Al da piccolo,
quando qualcosa
lo spaventava.
Niente
di nuovo. Coraggio.
“Ehi, pulce, torno
presto … Ma
tu fa’ la guardia alla casa e a Teddy in mia assenza. Non
è che sia tanto bravo
a star da solo. Gli fai compagnia?” Ad un piccolo cenno
d’assenso le tese la
mano. “Dammi il cinque, coraggio.” La bambina
obbedì, con un sorriso
finalmente. James le arruffò i capelli e poi gli
lanciò un’occhiata determinata
delle sue. “Qualsiasi cazzata. Chiami e torno.”
“Vai.” Ripeté. “Ce la
caveremo.”
Quando l’altro gli
ebbe
finalmente obbedito sospirò, cullando Ben che non sembrava
intenzionata a
scendere. Per essere già grandicella era incredibilmente
pronta ad accoccolarsi
addosso. A volte era difficile distinguere se fosse un lato del suo
carattere o
un’insicurezza dovuta all’esperienza nella foresta.
Due
Lupin lasciati a se stessi.
Poteva essere una
catastrofe,
tuttavia non doveva. “Sai cosa mi piace fare quando sono
preoccupato? Leggermi
una bella storia.” Scese le scale con tutta la calma del
mondo perché il
respiro tiepido di Ben sul collo faceva sembrare tutto più
fragile e incerto.
“Se mi concentro posso immaginare di essere nel libro, e mi
dimentico di quello
che mi fa paura.” Si sedette sul divano del salotto, dove per
fortuna aveva
lasciato il fuoco acceso. Appellò un libro e lo
aprì. Ben non aveva dato segno
di gradire l’idea, ma neppure l’aveva respinta da
come gli si era raggomitolata
in grembo.
Non
mi ricordavo che i bambini fossero tanto minuscoli.
Non aveva importanza. Con un
libro in mano, anche due Lupin potevano cavarsela.
****
Londra, Diagon Alley.
Finnigan’s Wake. Sera.
Il Finnigan’s Wake
aveva
ospitato molti lieti eventi: la propria inaugurazione coincidente con i
festeggiamenti del diploma dei proprietari, svariati compleanni, un
paio di
matrimoni e per fortuna nessun funerale. Che fosse il luogo scelto per
l’addio
al celibato era quindi quasi ovvio.
“A Malfoy, e alla
sua
sciagurata decisione di sposarsi con quello Kneazle pazzo di mia
cugina!”
Berciò James, portando in bilico una serie di boccali,
cocktail e un giro
intero di shots creati dalle estrose mani di Gus. Presi da mani allegre
furono distribuiti,
alzati e trangugiati.
“A
Scorpius!”
Albus prese il proprio drink, un Platano Picchiatore, che la maggior
parte dei
ragazzi evitava ad inizio serata. Era divertente vedere come tutti, ad
eccezione di Tom e Mike, aspettavano di vederlo stramazzare al suolo
ubriaco
dopo il secondo giro.
Spiacente,
ho imparato a bere.
Sorseggiò il suo
drink,
accarezzando distratto la gamba di Tom che era schiacciato tra lui e il
muro ed
era quindi già nervosetto. “Fa’ il
bravo. Stasera ci tocca.” Gli mormorò
all’orecchio, mentre la musica delle potenti casse Babbane
risuonava per tutto
il locale, pieno da scoppiare tranne per la sezione che Gus aveva
chiuso loro.
No
there ain't no rest for the wicked
Until we close our eyes for good
“Ricordami
perché dobbiamo…”
Replicò l’altro sollevando svogliato il boccale
all’ennesima sparata di suo
fratello, salvo però trangugiare con gusto metà
del suo drink.
Speriamo
che si ubriachi. Diventa più silenzioso e
tenta di spogliarmi davanti a tutti, ma almeno smette di fare il
broncio.
“Perché
Jamie ha scoperto che
abbiamo parlato con Sören.” Pescò un
cubetto dal suo drink e lo succhiò
godendosi la frescura. “Mi ha fatto la ramanzina e mi ha
detto che devo stare
alle regole.”
“Come se potesse permetterselo … Ha piagnucolato
da vostro padre finché non gli
è stato assegnato il caso.”
“Tom…”
Gli diede una pacca
sulla gamba. “… non aveva tutti i torti.”
“Quindi siamo
fuori dai
giochi?”
“Certo che
no.” Sorrise a
Sören, entrato in quel momento in compagnia del suo biondo e
muscoloso amico,
Milo. Al si raddrizzò: voleva proprio vedere che combinava
Michel, che era era
appoggiato alla ringhiera che
separava i loro tavoli dal resto della sala. Quella sera
l’amico indossava la
sua migliore aria di eleganza aristocratica, con quella punta di
sussiego che
sembrava prerogativa del suo ambiente, come i completi chiari di alta
sartoria
e i biglietti da visita. Prima di un paio di bicchieri non
c’era mai verso di
togliergliela di dosso. Stavolta non servì: quando il
tedesco gli passò accanto
si lanciarono un’occhiata che avrebbe potuto far prendere
fuoco un tavolo.
…
apperò!
Stava venendo caldo a lui.
Diede
una gomitata a Tom, che stava chiacchierando con Loki,
l’unico che avesse avuto
voglia di sedersi nel suo raggio di malumore.
“Ehi!” Sussurrò. “Ti ricordi
che
ti ho detto che Mike sta dietro ad un ragazzo? È lui il ragazzo.” Lo
indicò con un cenno della testa.
Tom sembrò
inquadrare la
situazione, ma si limitò ad una smorfia non impegnativa.
“Ah,
sì, Emil.” Gli diede
invece soddisfazione Loki, entrano nella conversazione e fregando un
sorso dal
bicchiere di Tom. l’altro lo fissò malissimo, ma
prevedibilmente venne
ignorato.
“Emil? Non si
chiama Milo?”
“Il nostro buon
Mike lo chiama
così …” Si strinse nelle spalle.
“Magari sono già alla fase dei
nomignoli.”
Sogghignò. “Non li avete anche voi?”
“Il mio nome
è già
imbarazzante da sé, grazie tante.”
Replicò per poi tornare a guardare il biondo
teutone che rifilava una pacca allegra a Scorpius come se fossero
cresciuti
assieme. Aveva la stessa socialità fluida e sorridente.
Prince trai due
scompariva come una figura di sfondo.
Un
ragazzo da parete.
Comunque il pettegolezzo era
troppo succoso. “Tu sai in che rapporti sono esattamente?
Mike mi pare
piuttosto preso.”
Loki si accese la pipa, dando una vigorosa boccata, ma fu abbastanza
furbo da
non soffiare il fumo in faccia a Tom, che aveva il bicchiere in mano.
Era già
successo che glielo versasse addosso. “Più che
preso direi ancorato …
Caro il mio pulcino, il nostro Mike è innamorato
cotto!”
Al, ora che era di fronte ad entrambi, e poteva vederli assieme
… era
perplesso. Non che Milo fosse un brutto ragazzo, tutt’altro.
Solo che con i
capelli che sembravano appena usciti da una sveltina e quello che
sembrava uno
spinello tra le labbra…
…
non è proprio il classico tipo di Mike. Pensavo gli
piacessero più alla Mael … e alla me?
Loki parve capire cosa gli
passava per la testa perché si avvicinò col tono
di una confessione. “Se chiedi
a me … quello finge solo di aver passato la vita nel fango
di Diagon Alley.”
“Cioè?”
“Cioè
è un ex Purosangue.”
Tom si stava annoiando a
morte
a sentir spettegolare Al e Loki e conoscendo i due la cosa sarebbe
andata per
le lunghe. Poteva solo sperare che la partita di poker iniziasse
presto, ma a
giudicare da come Malfoy svolazzava di invitato in invitato –
molti dovevano
ancora arrivare – avrebbe comunque dovuto aspettare. A quel
punto, irritato e
già leggermente ubriaco si alzò e si diresse
verso il cugino.
Almeno
non si mette a ciarlare di Zabini.
“Sören.”
Lo salutò e questo
quasi sobbalzò, guardandolo sorpreso. Possibile che non
riuscisse mai a
rilassarsi? “Vieni a sederti.” Concluse con tono
spiccio.
“Sì.”
Replicò obbediente, ma
forse era sollievo quello che sentiva? Fino a poco prima stava
guardando in
direzione di Scott Ross con una faccia strana. “Non pensavo
di trovarti qui.” Aggiunse
quando si furono accomodati nel paio di sedie più lontane
dalla ressa.
“Perché?”
Sören si
guardò le mani,
strofinandosi l’anello che aveva al dito. Continuava a
lanciare occhiate in
direzione del ragazzo di Lily, ma non pareva aver voglia di andare a
salutarlo.
Bizzarro. “Mi è stato detto che non sei persona
che apprezza questo genere di
eventi.”
“Malfoy non capisce i no. Gli unici a cui si sottomette sono
quelli della sua
fidanzata.” Replicò facendogli spuntare
un sorriso. “Immagino tu abbia avuto lo stesso
problema.”
“Già.” Convenne tirando fuori una
sigaretta dal pacchetto. “Ti dà
fastidio?”
“Con la cappa che
aleggia qua
attorno non fa differenza.” Rispose facendogli cenno di
accendersela. Sören
soffiò via il fumo mentre ascoltava i ringraziamenti di
Scorpius, appena
omaggiato di una maglietta con scritte e disegni al limite
dell’osceno. Stavolta
sorrise.
“Gli ho detto che
non sono un
tipo da compagnia, ma non gli importa.” Spiegò.
“Gli piace avere persone
attorno, anche se non sono sulla sua lunghezza
d’onda…” Aggrottò le
sopracciglia. “… qualsiasi cosa voglia
dire.”
Tom era stupito dalla
facilità
con cui l’altro aveva aperto la conversazione, e in maniera
neppure stupida. Non
era … male. Perlomeno con lui per interagire non doveva
trangugiare shots e
intonare canzonette da taverna.
“Malfoy non ha mai
avuto un
pensiero cattivo in vita sua.” Rispose vuotando il bicchiere.
“E trova
divertenti anche persone che non sono considerate l’anima
della festa.”
“È una
fortuna allora.” Fece
un sorrisetto ironico. “O quelli come me non verrebbero
invitati da nessuna
parte.”
Non
preoccuparti, con quell’aria da passerotto ferito
ti troveresti comunque attorno un paio di crocerossine del calibro di
Al e
Lily.
Ma non lo disse,
perché aveva
bevuto.
A
questo proposito.
“Malfoy!”
Quando alzava la
voce era automatico che venisse ascoltato. Non farlo mai portava dei
vantaggi
indiscutibili. “Prince non ha niente da bere. E neppure
io.”
Questo squadernò
un gran
sorriso. “Rimedio subito! Whiskey incendiario e un
Mangiamorte in arrivo!” E si
allontanò verso il bancone trascinandosi dietro la sua ombra
a forma di James
Potter.
Da lontano vide Al guardarlo
con compiaciuto divertimento. Lo ignorò. Si rivolse invece a
Sören, che non
ghignava e stava ad ascoltarlo. Dopotutto, era un tipo simpatico.
“Spero tu
sappia giocare a poker.”
L’altro aggrottò le sopracciglia.
“Conosco i rudimenti di quello magico, me li
ha insegnati un collega. C’è differenza?”
Fece un sorrisetto,
pregustandosi l’idea di spennare James o qualche Grifondoro a
scelta. Dopotutto
era il motivo per cui era lì e non a casa con un nuovo
compendio sui legni di
bacchetta.
“Solo in termini
di perdite.”
La serata si stava svolgendo
esattamente come Scorpius aveva desiderato, ovvero in più
giri di birra e
cocktail, condita da battutacce, gioco pesante e la messa in palio di
cravatte,
qualche orologio e soprattutto della collettiva dignità.
Michel supervisionava
abbastanza
sobrio il gioco – non era suo costume ubriacarsi
indecorosamente come Potter,
che aveva perso la camicia ad inizio serata e stava intonando per
l’ennesima
volta, stonato, un Auld Lang Syne
fuori stagione. Il miglior giocatore, quello più lucido e
letale, era
prevedibilmente Loki, che ne aveva fatto quasi una professione, anche
se in
termini di vincite era seguito a stretta misura da Emil.
Che
sta barando magnificamente.
Il tedesco prese infatti le
sue ultime vincite, godendosi i mugugni scornati dei propri compagni di
gioco.
“E con questo, signori, io mi ritiro. Un buon giocatore deve
evitare di far
perdere la pazienza alla dea bendata!” Schiacciò
la sigaretta ad uno dei posacenere
stracolmi e si alzò in piedi. “Il prossimo giro lo
offro io!”
“Sarà
meglio.” Soffiò Dursley
passandosi una mano sul viso, ubriaco e di cattivo umore per le
continue
perdite. Fu per fortuna distratto da un bacio di Al, che sapeva perdere
con più
classe di tutti loro messi assieme.
Anche
perché è lo scommettitore più
parsimonioso.
Era infatti
l’unico con ancora
tutti i vestiti addosso.
C’è
anche da dire che le sue camice non sono una posta
appetibile.
Prince che in compenso si
era
giocato la giacca di pelle americana con cui era arrivato e buona parte
del
contenuto del suo portafoglio aggrottò le sopracciglia come
se stesse
riflettendo su qualcosa di molto importante. “Io …
credo che sia opportuno …
che ti dia una mano Milo.” Disse staccando con cura le
parole. Visto quanti
whisky si era scolato e quanti shots di Tequila aveva accettato quello
che
aveva detto aveva un che di eroico.
Siamo
nel vivo della festa…
L’alcool scorreva
liquido
nelle gole e la musica da taverna faceva da sottofondo a brindisi e
canzoni
intonate a squarciagola. Persino persone normalmente ingessate come
Dursley si
lasciavano andare, arrivando a posare la testa sul tavolo per farsela
accarezzare dal compagno che, seppur premurosamente, se la rideva come
non mai.
Vide Emil sorridere quasi
affettuoso a Prince. “Resta dove sei principino …
Non vorrei che mi crollassi
culo a terra. Dionis, me lo guardi?”
Il rumeno, senza scarpe e
con
la fede attaccata saldamente al collo con una catenella – per
non indursi in
tentazione dato che aveva cattivi geni, aveva spiegato ad inizio serata
–
borbottò qualcosa di altrettanto rumeno, ma fece anche un
cenno d’assenso.
“Fantastico!” Poi Emil si voltò verso di
lui. “Zabini, ci pensi tu a darmi una
mano?” Gli chiese stupendolo: a parte guardarlo non aveva
fatto altro per tutta
la serata.
Non
che dovesse far altro, ma comunque…
“Certo.”
Rispose, notando come
tutti erano troppo presi dal gioco, dal proprio bicchiere o dalla
canzone che
stava passando per notarli. Scesero così in mezzo alla calca
ben pressata.
“Questo posto
è pieno da
scoppiare … ma voi maghi venite tutti
qui?”
Osservò Emil passandogli una mano sul fianco per dirglielo
all’orecchio.
On the
train feel insane.
What the fuck? Just bad luck
“È
l’unico pub decente di
tutta Diagon Alley…” Rispose facendo scivolare la
mano su quella dell’altro,
dato che stava infilandosi tra la seta della camicia e la pelle nuda.
Represse
un brivido. “… e questo la dice lunga.”
“A me
piace.” Lo pilotò contro
il bancone, spingendo i fianchi contro i suoi. Da quella posizione
poteva
sentire che era eccitato. Inspirò: non era il solo.
“Malfoy mi
perdonerà se mollo
la sua festa etero, ma ho una gran voglia di scoparti.” Gli
sussurrò con tono
discorsivo. Michel dovette trattenere di nuovo il respiro: erano in
mezzo alla
ressa del bancone e nessuno badava a loro.
La sua
razionalità gli stava
facendo notare che non era il luogo adatto per dare sfogo ai loro
ormoni…
… la sua
razionalità poteva
andare all’inferno.
“È
tutta la sera che faccio il
virtuoso a beneficio di nessuno …”
Continuò l’altro. “Credo di meritare un
premio per non averti strappato la camicia di dosso.” Gli
morse leggero la base
del collo e si godette il suo imbarazzante mezzo gemito per poi
attirare l’attenzione
di una delle bariste per chiedere l’ennesimo giro di Tequila,
il liquore
prediletto dal loro comune amico biondo.
“Vuoi davvero
offrirgli il
giro?” Tentò di ricomporsi, anche se era un
po’ difficile farlo con il calore
dell’altro addosso. “Perché avrei idee
migliori.”
“Pazienza maghetto …”
Replicò, staccandosi per raggiungere il vassoio che la
ragazza aveva preparato sul bancone. Nel farlo si scontrò
con le mano di un
altro, miranti allo stesso bottino.
“Ehi bello,
l’ordine è mio!”
Michel si irrigidì quando riconobbe la voce: il pesante
accento scozzese gli
ricordava quello di Terrance Montague. Voltandosi ne ebbe la conferma.
Oh,
meraviglioso
Avendo condiviso per sette
anni la stessa uniforme sapeva che razza di seccatura ambulante fosse
il mago
di fronte a loro e negli anni in cui si erano persi di vista
– per fortuna –
non era cambiato di una virgola: alto, allampanato e con un gran
bisogno di un
parrucchiere.
E
in generale, di una faccia nuova.
“No bello,
l’ordine è nostro.”
Rispose a tono Emil. Doveva aver notato anche lui che Montague era
ubriaco fradicio
e in compagnia di due tizi in condizioni non dissimili, ma non poteva
conoscere
la facilità con cui il suddetto attaccava briga quando aveva
bevuto un
bicchiere di troppo.
“Stai dicendo che
sto
aspettando da mezz’ora il mio giro di Whisky per farmi
passare davanti?” Grugnì
questo con fare sgarbato.
E
pensare che appartiene ad una delle più antiche
famiglie della nobiltà magica scozzese …
…
che vergogna.
Milo ad onor del vero non
perse il sorriso. “Questa è Tequila.”
“È la stessa cosa con ‘sti liquori
Babbani!”
Michel a quel punto si
sentì
in dovere di intervenire. “Terrance, quanto tempo.”
Lo apostrofò. L’altro
aggrottò le sopracciglia con l’aria di un Troll
confuso, poi lo riconobbe.
“Zabini!”
Ghignò rifilandogli
una pacca assolutamente non necessaria. “Cazzo ci fai in
questo posto da
Sanguesporco?”
Perché,
tu? Fammi indovinare, poco presentabile per i
circoli Purosangue? Temo di sì.
Ma non lo disse, limitandosi
ad un sorriso tirato. Accanto a lui vedeva Emil cominciare ad
incastrare i
pezzi e farsi un’idea del loro interlocutore.
Fa’
che non capisca quanto è razzista e non ci attacchi
briga …
“È
l’addio al celibato di
Malfoy.” Spiegò con la cautela con cui avrebbe
parlato ad un pezzo grosso. O ad
un ubriaco instabile. “A settembre si sposa con Rose Weasley,
ne avrai sentito
parlare.”
“Come no! Il matrimonio del secolo!”
Annuì con l’aria di non pensarlo affatto.
“Certo che va’ a capirlo Malfoy… con
tutte le belle fighe della nostra Casa si
va a prendere quella morta di fame.” Si voltò
verso i due amici che Michel non
riconobbe come ex-compagni. Sembravano parecchio più vecchi.
“È sempre stato un
tipo strano … Uno che va’ a finire in mezzo a
Sanguesporco e Babbanofili non è
che ci sta tanto con la testa, no?”
Evitare la lite era la sua
priorità. Dovette ricordarselo. “È
meglio se portiamo questi agli altri.” Prese
il vassoio, facendo cenno ad Emil di seguirlo. Non gli piaceva affatto
il modo
in cui si era rabbuiato. “È stato un piacere
Terrance, buona serata.”
Non fece in tempo a fare un
passo che l’altro gli sbarrò la strada: i due
amici ridacchiavano senza
intervenire, evidentemente divertiti dalla situazione. “Ehi,
ehi…” Sbuffò
questo. “Dai, ci rivediamo dopo secoli e mi molli
così? Un brindisi ai vecchi
tempi Zabini! C’è in giro anche Nott? Fallo venire
qui!”
Stava cominciando a perdere
la
pazienza. “Magari dopo, ho un vassoio pieno, preferirei prima
posarlo.”
Terrance non diede il minimo
segno di aver capito l’antifona perché
afferrò uno dei bicchierini. “E allora
alleggeriamolo, no? Chiama Nott, cazzo! Mica mi vorrai mollare per un
gruppo di
pezze…” Non poté finire la frase
perché Emil gli bloccò la mano.
“Scusa stronzo, questi sono per i
pezzenti.” Disse con una pacatezza che stonava
con la sua espressione.
Per un attimo rimasero tutti
come Impastoiati, poi Montague si riscosse, scrollando via la mano.
“E tu chi cazzo
sei?” Chiese con l’aria di essersi ricordato della
sua presenza solo in quel
momento. “Nessuno t’ha chiesto niente!”
“Emil, lascia perdere, me la sbrigo io…”
Lo pregò a bassa voce, ma quello parve
non averlo neanche sentito.
“Questi drink li
ho pagati io,
e non mi capita mai di voler offrire a degli stronzi. Quindi
giù le zampe.” E
sottolineò il concetto con una manata sul petto
dell’altro.
Dannazione.
Successe tutto in una
frazione
di secondo, perché ci voleva davvero poco ad estrarre una
bacchetta. Montague
la puntò sotto il naso di Emil. “Queste
zampe? Tira fuori il legno, ti sfido!” Esclamò
ringalluzzito. La folla si doveva
esser resa conto del degenerare della discussione perché si
nel giro di pochi
attimi si creò il vuoto attorno a loro e la barista che li
aveva serviti sparì dietro
il bancone, forse a cercare l’aiuto del proprietario.
Spero
sia più sveglia e vada a chiamare l’assemblea di
Auror oltre la pista da ballo.
“Terrance, abbassa
la
bacchetta, non renderti ridicolo.” Gli sibilò e
per un attimo pensò di aver
catturato la sua attenzione da come il vecchio compagno lo
guardò incerto. Era
un idiota, ma aveva un cognome a cui rendere conto e un padre forse
persino più
intransigente del suo.
Notando però come
Emil non reagiva
– e come poteva? – decise che umiliarlo e uscirne
bene con gli amici era più
importante. “Stanne fuori Zabini, non ce l’ho con
te!” Si rivolse all’altro.
“Tira fuori il legno ho detto!”
Emil serrò le
labbra.
“Vaffanculo.” Fu l’unica, idiotica
risposta.
Non
ci posso credere!
“Non
può! È un Magonò, va
bene? Lascialo stare.” Sbottò, ben attento
però a non intervenire fisicamente:
Terrance era famoso per non avere il minimo controllo sul suo legno. Un
sacco
di duelli erano finiti con un viaggio urgente in infermeria
perché l’idiota non
era riuscito a controllarsi.
Montague batté le
palpebre
come un grosso cane stupido. “… E che ci fai tu
con un Magonò?”
Non seppe mai se fu peggio
vedere la faccia che fece Emil alla frase o la frase in sé.
O la sua totale
mancanza di risposta.
Fu salvato
dall’entrata in
scena di un’ombra nera che piombò su Montague, gli
torse il polso, gli fece
cadere la bacchetta e lo sbatté faccia contro il bancone.
“Ohi Prince, vacci
piano!”
Esclamò la voce di Potter, in canottiera e con la cravatta
annodata in testa. Nonostante
questo riusciva comunque ad incutere un certo timore. “Rovini
il bancone a Gus
e Gail.”
“Montague, sempre
un
dispiacere!” Esclamò Scorpius con le mani in tasca
e l’aria di aspettare solo
l’imbeccata per tirarle fuori ed usarle. Accanto a lui
c’era anche Bobby
Jordan, l’unico che poteva passare davvero per un agente
delle forze di
polizia. Non che fosse quello il punto.
Scorpius si voltò
poi verso i
due ceffi: avevano le bacchette in mano ma la faccia era quella di chi
stava
calcolando se una prova d’amicizia era doverosa o superflua.
“Ciao, mi chiamo
Scorpius e siamo tutti auror.” Gli sorrise smagliante.
“E il tizio che sta
soffocando il vostro amico ha avuto una brutta settimana, vero
Sören?”
“Bruttissima.”
Ringhiò Prince
stringendo la presa su Montague che emise un lamento da animale
schiacciato da
una pressa.
Scorpius tirò
fuori il suo
sorriso più folle. “Vi prego, quindi, rimanete.”
Non rimasero.
Michel si permise un sospiro
di sollievo, mentre Jordan gli toglieva il dannato vassoio di mano e
Potter lo
scortava con il prezioso carico oltre la pista da ballo. Scorpius a
quel punto
gli passò un braccio sulle spalle. Era sudaticcio e
caldissimo ma il contatto
solido non gli spiacque. “Loki e mini-Potter hanno visto il
trambusto e ci
hanno spediti a far servizio d’ordine.”
Spiegò. “Cos’è
successo?”
“È
successo Montague. Te lo
ricordi com’era a scuola… Non è
cambiato.” Sbuffò cercando Emil con lo sguardo
per controllare che fosse tutto a posto.
Non lo era,
perché Emil era
sparito. “Dov’è Em …
Milo?” Chiese stupidamente.
“Se
n’è andato non appena
siamo arrivati.” Fu Prince a rispondergli, continuando a
tenere stretto Montague
che doveva aver perso i sensi. Nessuno sentì il bisogno di
farglielo notare.
“Io…”
Esordì cercando di pensare
rapidamente ad una scusa. Fu ancora Prince a parlare:
l’alcool lo rendeva
loquace.
“Va’ a
cercarlo.”
Non apprezzava che gli
venissero dati ordini, ma in quel caso fu disposto a fare
un’eccezione.
****
Era ormai notte inoltrata e
il
volume di persone non accennava a diminuire; sembrava che trascorrere
l’intera
notte al Finnigan’s Wake fosse un must
do
di tutti i giovani maghi e streghe inglesi.
Sören chiese due
carte al
mazziere della mano, Albus, che giocava da ore con un sorriso
imperscrutabile che
gli aveva fatto meritare il soprannome di Monna
Lisa. Aveva da sorridere, visto che era uno dei pochi che non
si era
giocato l’intero contenuto del borsello più un
paio di oggetti personali, finiti
nelle mani di Loki Nott e di Milo, prima che questo sparisse inseguito
da
Zabini.
A
quanto pare tiene a lui. Abbastanza da seguirlo fuori
e farci capire tutto.
Era il primo mago che
conosceva che fosse così apertamente preso dal suo
inquilino-barra-babysitter.
Ne era felice.
Almeno
qualcuno ha avuto un bel fine serata.
Non che non si stesse
divertendo: giocare a carte era un’attività di
strategia, quindi lo rilassava,
e poter stare in compagnia di altre persone senza aver voglia di
accampare una
scusa ed andarsene non era cosa che gli capitava tutti i giorni.
Solo
Scott Ross.
Che era ancora
lì, a lato
della sua visuale, anche se non stava giocando.
In verità non
erano rimasti
molti al tavolo, solo quelli che non riuscivano a fermarsi, come
Scorpius –
avevano dovuto impedirgli di giocarsi le mutande e
il maniero di famiglia – o quelli che continuavano a vincere
quasi tutte le mani, come Nott.
Guardando le sue carte gli
sembrò una buona idea puntare. “Vedo.”
Nel frattempo Scott, che era appoggiato con
Bobby e Dionis alla balaustra che divideva il loro
“privè” dal resto del locale,
continuava a dar aria alla bocca. Altro non si poteva definire dato che
aveva
quella che Milo chiamava ‘una sbronza divulgativa’.
L’argomento principale era
l’Australia.
“E mi manca
… dico sul serio,
quei paesaggi, quei colori, la gente! Non avete idea del numero di
maghi che
c’è laggiù!”
Alto. Le colonie hanno sempre attirato la
nostra gente. Un mondo nuovo, terreno a perdita d’occhio in
cui costruire una
casa lontano dai Babbani…
“Non
fraintendetemi, amo la
Gran Bretagna, e rimarrò sempre uno scozzese fino alla punta
dei capelli, ma
parte del mio cuore è là … Per questo
penso che alla fine ci tornerò.”
Come?
Perse completamente
interesse
nel gioco, e finse di lasciare il giro per poter ascoltare meglio.
Sta
parlando di andarsene?
Jordan, uno degli
interlocutori,
dovette pensare la stessa cosa. “Ma andartene … andartene? Trasferirti?”
“Sì,
perché … beh, là ho certe
opportunità lavorative che … Ce l’ho
anche qui, ma fare l’archivista … Cioè,
la
paga è buona, ma il lavoro è monotono.”
“Già, vorresti fare il cronista sportivo
no?” Gli fece eco Jordan. “Ma non puoi
farlo qui?”
Scott scosse la testa, e al
di
là delle birre che si era scolato, non stava straparlando.
Si ingarbugliava
come un ubriaco, ma il ragionamento che c’era dietro era
stato fatto da sobrio.
“Non c’è lavoro … Come potrei
competere con piume del calibro di Ginny Weasley
Potter? Invece in Australia … beh, mio zio gestisce il
quotidiano sportivo
magico di Sidney. Una testata tutta
sportiva! Mi ha già detto che sarebbe disposto ad ospitare
una rubrica sugli sport
Babbani ed io…” Si strinse nelle spalle.
“ … Non è che parto domani, ma
è
qualcosa … qualcosa di grosso
per me,
capite?”
“E come intendi
fare con
Lily?” Dionis era suo amico, e per questo faceva le domande
giuste. Le stesse
domande che avrebbe dovuto farsi quel dannato scozzese.
Lily.
La tua ragazza, la donna che ami e che ama te. Te
ne vai? La lasci?
Strinse i denti quando vide
un
paio di scintille balenare dalle parti della sua tasca.
Scott perlomeno
sembrò
considerare seriamente la domanda, dall’esitazione che gli
vide sui lineamenti.
“Vorrei che Lily venisse con me.”
Cosa?
Quello era forse peggio che
lasciarla. Fu Jordan a tornare alla carica: doveva essere grato a quei
due
ragazzi, stavano facendo tutte domande che avrebbe voluto fargli lui.
Dopo
avergli lanciato qualche maledizione. “Gliene hai
parlato?”
“No, non ancora
… Abbiamo
organizzato una vacanza di due settimane laggiù, contavo
prima di farle vedere
il posto, farle conoscere i miei amici, farla … okay, suona
brutto,
acclimatare?”
Suona
orrendo.
“Sentite, la
conosco, se ne
innamorerà … E il genere di ambiente giovane,
aperto e stimolante che
adorerebbe!” Scott sembrava cercare appoggio dai due e
Sören fu felice di constatare
che non ne trovò granché “…
e poi ci sono delle ottime scuole post-diploma,
quella di Medimagia è conosciuta in tutto il mondo, ed ha un
corso di
Psicomagia sperimentale, perciò…”
“Penso che dovresti parlargliene già da
adesso.” Osservò Dionis. “Non avete
litigato proprio perché le hai progettato la vacanza senza
avvertirla?”
Scott sospirò,
grattandosi la
nuca. “Voglio proporglielo … non obbligarla.
Insomma, io voglio tornare
laggiù e penso che le farebbe bene cambiare aria.
Non penso di sbagliare a proporglielo, no?”
Se
te ne vai e la metti di fronte ad una scelta non
glielo proponi. La obblighi.
Persino lui riusciva a
capirlo.
“Stai facendo sul
serio, eh?”
Interloquì Jordan perplesso. “Attento che questa
roba per le ragazze prelude al
Grande Passo, quello che sta per fare il nostro amico biondo e seminudo
laggiù.” Indicò con il bicchiere
Scorpius che stava cercando di trascinare
Potter sulla pista da ballo.
Scott doveva essere molto
ubriaco da come fece fatica a raddrizzarsi sulla sedia.
“Ehi…” Disse con tono
cospiratorio. “… io la amo e farei tutti i grandi
passi necessari.” Buttò giù
quello che restava della sua birra e continuò.
“L’Inghilterra le succhia via
l’energia, e non ditemi che è vero. La sua
famiglia, i casini che succedono in
continuazione in cui viene sempre tirata dentro … Le fanno
male. E cambiare
aria, andarsene … non è fuggire, okay?
È … cambiare aria, ecco tutto. E la
renderebbe più serena.”
La sbronza adesso era virata
sul sentimentale, ma Sören non aveva più voglia di
prenderlo a pugni.
Ha
ragione. Può sbagliare a metterle ansia, ma vuole
renderla felice. Come vuoi tu.
L’unica
differenza è che lui può riuscirci.
Aveva bisogno di prendere
aria. “Lascio la mano.” Comunicò agli
altri giocatori, alzandosi in piedi.
“Ehi Prince, non
ti
allontanare!” Gli fece eco uno dei due auror della scorta,
che Scorpius aveva
magnanimamente invitato a festeggiare con loro.
“Vado a fumarmi
una sigaretta
fuori dalla porta.” Sbottò, scappando come il
carcerato che in fondo ancora era.
Uscì fuori e
ispirò l’aria
umidiccia e ancora calda della sera. Ne prese ampie boccate, senza
riuscire a
smettere di aver voglia di prendere a pugni qualcuno, qualcosa,
qualsiasi cosa.
Il bersaglio fu il muro fuori dall’entrata, una,
più volte, finché non sentì
male e non si accorse di aver sbriciolato parte dei mattoni. Li aveva
colpiti
con quella mano.
Sei
un idiota.
Inspirò,
osservando con
sconforto le nocche abrase e il sangue.
Può
riuscirci, e sai perché? Perché non è
un ex
tirapiedi di uno stregone, perché non è un
galeotto fuori per via della pietà
di una strega … Avrà dei difetti, ma è
comunque migliore di te.
Se Ross avesse avuto
abbastanza
accortezza e cervello dal proporglielo nel mondo giusto Lily avrebbe
potuto
accettare.
L’Inghilterra
le sta stretta e ama la sua famiglia ma
non sopporta di averla come biglietto da visita.
E
poi ci sono gli incubi.
È
abbastanza per farti venir voglia di andare via.
Se lo scozzese giocava bene
le
sue carte avrebbe potuto avere l’Australia, il suo bel lavoro
… e Lily.
Perché ai bravi
ragazzi come
Scott le cose andavano sempre bene.
Appoggiò la nuca
contro il
muro e si accese la sigaretta per cui ero uscito, realizzando che la
cosa
peggiore di quella notizia era stata capire cosa davvero significava
per lui.
Non
è l'Australia il problema …
Dopotutto poteva scrivere a
Lily comunque: gli uffici postali magici c'erano anche là.
…
Il problema è che non vuoi che stia con lui. Qui o in
Australia.
Vuoi
che stia con te.
Aveva bisogno di camminare,
muoversi. Non si allontanò molto, giusto una decina di passi nell’ancora
abbastanza trafficata via
centrale: c’erano soprattutto capannelli di ragazzi o
nottambuli che si stavano
facendo passare la sbronza. Passò accanto ad una coppia che
passeggiava
abbracciata, si ricordò il pomeriggio con Ama ed ebbe voglia
di trovare un nuovo muro su cui sfogare la frustrazione.
“Ehi, principino,
qualche
spicciolo?” Chiese un mendicante su cui quasi
inciampò, troppo preso ad
invidiare la coppia di fronte a sé.
Gliene gettò un paio, tirando dritto. Fu solo venti metri
dopo che realizzò.
Venti metri dopo e si rese conto cdi come lo aveva chiamato il
mendicante. Tranne Milo c'era un unica persona che lo chiamava
così.
Quando si
voltò, Johannes già correva.
Fu un sollievo poterlo
inseguire.
****
Note:
Capitolo medio-lungo per farmi perdonare e il prossimo, che
è il seguito diretto di questo, sarà pieno
d’azione! ;D Diamo un senso alla tag 'avventura'! Per quanto riguarda le recensioni sono la solita imbarazzante pigrona, arriveranno le risposte e GRAZIE. Come sempre, gente, siete il carburante e motore di questa storia!
Questa
la
canzone del capitolo. Le altre due utilizzate sono rispettivamente
questa
e questa.
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