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Autore: Dira_    18/11/2013    14 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XXXII





We cling to love like a skidding car clings to a corner
I tried to hold onto what we are
The more I squeeze, the quicker we're over
(The Lovers are Losing, Keane)


21 Luglio 2028
Londra, Victoria Embankment. Casa di Michel Zabini.

Mattina.
 
Michel fu svegliato dall’odore di caffè appena fatto e considerando che la sua camera da letto distava dalla cucina almeno un intero corridoio voleva dire solo una cosa.
“Ci credo che vai al lavoro sempre incazzato. Ci vai in ritardo!”
“Oggi entro un’ora più tardi.” Rispose cercando il pacchetto di sigarette sul comodino a tentoni. Trovatolo se ne accese una e si mise a sedere strofinandosi una mano sul viso per scacciare la sonnolenza. “È in programma una ridicola esercitazione per la sicurezza… La salto sempre.”
Emil posò il vassoio con la loro colazione sulla scrivania dandogli le spalle e Michel notò così che indossava solo i boxer. Sogghignò, buttando fuori il fumo e godendosi lo spettacolo. “Pensandoci, potrei anche darmi malato.”
“Mi piace il tuo modo di pensare.” Replicò l’altro prendendo una delle tazze e sorseggiandola. “Perché lavorare quando si hanno scuse da accampare?”

“Per costruirsi un futuro e una carriera eccellente?”
Venne ricompensato con una smorfia da bambino. “Come sei borghese.”  

“Purosangue, prego.” Ridacchiò, perché quei tempi rilassati cominciavano a piacergli. Un po’ troppo. “Mi passi il caffè?”
Emil era diventato una presenza fissa in casa sua dalla sera dell’Opera; non solo aveva passato la notte con lui, ma anche la mattina dopo. E a quella erano seguite altre mattine, e colazioni preparate a puntino. Emil si era giustificato dicendo che visto che Prince aveva una scorta e uno stuolo di camerieri pronti ad esaudire ogni suo desiderio aveva più tempo libero. Dubitava fosse solo quello. E ne era felice.
“Non hai una bacchetta maghetto? Prenditelo da solo.” Replicò servendogli un sorrisetto beato e prendendo il suo piatto per bilanciarselo sulle ginocchia. “E dovresti davvero comprarti uno di quei vassoi da usare a letto. Sono comodi!”
Michel scrollò le spalle. “Fare colazione a letto non è mai stata mia abitudine.” Esitò poi aggiunse. “Da quando ci sei tu però non mi dispiace.”
Era scoprirsi non sapendo come avrebbe reagito che stava funzionando; era una strategia che prendeva Emil di sorpresa e gli faceva abbassare le difese di rimando. Infatti lo guardò con un mezzo sorriso, prima di fare spallucce.
“Vorrà dire che te ne comprerò uno.”

“Due.”
“Due…” Sbuffò dando una forchettata alla sua pancetta. “Come ti pare.” E gli lanciò un’occhiata di sottecchi a cui rispose con un sorriso.

Aveva cominciato ad interiorizzare Emil; non solo quello che mostrava volontariamente, ma anche le piccole cose che non si rendeva conto di fare, come passarsi le dita dietro una ciocca sfuggente di capelli poco sopra l’orecchio quando si infervorava in un discorso, oppure il fatto che fumasse sigarette tutte schiacciate e a rischio rottura perché si dimenticava i pacchetti nelle tasche posteriori dei pantaloni. E adesso sapeva come gli piacevano le uova: strapazzate e piene di pepe.
Era un buon segno, supponeva.
“Stasera vieni alla festa di addio al celibato di Scorpius?” Chiese finendo le proprie uova. Non aveva invece mai pensato che lo sciroppo d’acero fosse una delle sette meraviglie del Mondo Babbano. “Tu e Prince siete stati invitati, no?”
“Sì, il capo mi ha chiesto di fargli da spalla.” Annuì prendendogli il piatto vuoto e posandolo sul vassoio; non cercava mai di sostituirsi a lui in quei gesti, specie con la bacchetta. Aveva notato che lo infastidiva. “Tu?”

“Penso che se declinassi Scorpius sarebbe capace di venirmi a prendere di peso.” Rispose con un sospiro, ricordando la gioia genuina con cui il vecchio amico gli aveva consegnato personalmente l’invito. ‘E porta chi vuoi!’ aveva aggiunto con fare malizioso, facendogli temere che sapesse qualcosa di lui ed Emil.
Loki potrebbe aver parlato. Anche se dubito si siano visti di recente … È troppo occupato a cercare di non rischiare Azkaban per l’ennesima volta.
La verità era che andare senza compagno era inevitabile, visto che avrebbe sollevato un polverone di spiegazioni e perplessità, ma non gli piaceva.
Certo, ti presenti con Emil e poi? Lo sanno tutti che è un Magonò.
Il problema si era presentato più presto del previsto.
Vuoi nasconderlo? Beh, sicuramente gli farà piacere.
“Allora ci vediamo lì.” Lo riscosse Emil finendo di mettere a posto quello che restava della loro colazione; non sembrava minimamente offeso all’idea che non gli avesse proposto di andarci assieme. Meglio, non sembrava neppure gli fosse passato per la testa.
… se ci pensi è ovvio il perché. Quanti maghi avranno ammesso di frequentarlo? Ci sarà abituato.
“Hai mai avuto un ragazzo mago?” L’espressione perplessa che gli venne restituita gli fece capire quando fosse stato estemporaneo. “È un po’ che me lo chiedo.” Si riparò alla bene e meglio.
“Intendi scopata?”
“No, intendo un rapporto serio.” Come il nostro, gli venne da pensare, prima di realizzare che forse quella classificazione non era corretta.
Cosa siamo noi, alla fine? Ancora non l’abbiamo deciso.
Emil aveva assunto di nuovo quell’aria guardinga che veniva fuori solo quando pensava che gli stessero propinando una fregatura. “No, in quel senso no.” Rispose allungandosi per fregargli la sigaretta. Glielo lasciò fare, anche perché si sedette abbastanza vicino, e il calore di un corpo altrui al mattino era la cosa migliore dopo un caffè ben tostato. Ed Emil era una stufa. “Ho vissuto un sacco di storie assurde, ma non avevo mai tempo per fermarmi e … non lo so, stare.”
“Perché?” Le sue domande lo irritavano quanto intrigavano, si capiva; dovevano essere passati anni da quando qualcuno si era interessato a lui come persona.
“Tu hai mai avuto una storia seria, maghetto?” Ritorse.
“Ho avuto delle storie, ma non ho avuto mai un vero…”
“Amore?” Lo incalzò con un sorrisetto. “Ti facevo romantico, Michel. Non ti sei mai innamorato?”

“Sì.” Ammise piano, perché quel gioco funzionava così. Una confessione per un’altra. “Di un amico.”
“Era etero?” Fece una smorfia esplicativa. “Un classico.”
“No, semplicemente non mi ha mai corrisposto.” Rettificò con un mezzo sorriso; Albus avrebbe avuto sempre posto nel suo cuore, ma non nel ruolo che aveva immaginato negli anni di Hogwarts. Andava bene anche così. “Comunque ti ho fatto una domanda.”
Emil schioccò la lingua, schiacciando la sigaretta nel posacenere sul comodino; così facendo si sporse a sufficienza perché gli potesse passare un braccio attorno alla vita per tirarselo contro. Non protestò, ma quando tentò di baciarlo spostò il viso. “Sei un impiccione.” Borbottò e se voleva apparire astioso suonò più che altro imbronciato.
Michel gli baciò il collo, più accessibile. “Mi piace essere informato. Chiamala pure deformazione professionale.”
“Dai, ci arrivi da solo …” Grugnì accettando la scia di baci come un gatto avrebbe fatto con un grattino sulla pancia. Socchiuse addirittura gli occhi. “Per un mago non sono abbastanza magico, per un Babbano ho troppi segreti strani. E prima che tu me lo chieda, no, non ce l’ho avuto manco Magonò. Siamo già una minoranza di una minoranza … gay dichiarato e Magonò? Una vera rarità.”
Adesso era ovvio perché Emil non avesse mai avuto un ragazzo.

Michel si rendeva conto che per quanto l’altro fosse brillante, intelligente e stupendo, era materiale complesso per una storia d’amore. Ma sopratutto, era chiuso come le sbarre di una prigione.
Non lascia avvicinare nessuno perché pensa che nessuno voglia avvicinarglisi.
Forse era troppo drammatico, ma rimaneva comunque una riflessione che stringeva il cuore. Cercò di non stringerlo in un abbraccio consolatorio – si sarebbe beccato un pugno o una battutaccia – e preferì invece prendergli il viso tra le mani e baciarlo. Baciarlo era il pregio migliore di svegliarsi con lui. “Il mio interesse lo hai suscitato.” Mormorò intendendo anche ad altri tipi di interesse, e dalla vita in giù. Sapeva che l’altro avrebbe colto. Era un maestro nei doppi sensi per quando l’inglese non fosse la sua lingua madre. “Tu che dici?”
Emil sogghignò, rilassandosi. La metteva più a suo agio una frecciatina che la serietà in una conversazione. “Perché sei strano.”
“Lo prendo come un complimento.”
 
****
 
Farringdon, Magazzino Purge&Dowse, ovvero…
Ospedale San Mungo per ferite e malattie magiche. Mattina.
 
Trovare una cura era come cercare un boccino … in un negozio di boccini.
Tanto per dire. Al si rendeva conto di non avere la formazione necessaria di un Guaritore di Infettive, ma era un Guaritore. E la ricerca della cura usando il sangue di Sören non stava portando a niente; i rospi da laboratorio che erano stati usati come cavie erano tutti morti.

In modo orribile tra l’altro.
Il siero ricavato dagli anticorpi di Sören, come aveva paventato Seamus, invece di isolare l’antigene del virus e combatterlo aveva scatenato la reazione opposta, creando una sorta di cortocircuito magico che aveva letteralmente fatto esplodere i rospi.
Letteralmente. Sono esplosi.
Sospirò, chinandosi a compilare la cartella del primo paziente della giornata; non aveva mai trovato tanto frustante fare il proprio lavoro come in quel periodo.
Sto facendo il mio lavoro … eppure no. E il sergente Flannery sta peggiorando.
Avevano infatti dovuto cambiare di nuovo il cocktail di pozioni che usavano per mantenerlo in stasi magica; se fosse uscito da esso la malattia sarebbe progredita fino allo stadio finale.
Riducendolo in polvere.
Non voleva neanche pensarci, ma purtroppo la realtà dei fatti era dura, e solo una; il progetto Demiurgo aveva creato una malattia capace di adattarsi ai pochi palliativi che cercavano di contenerla.
È portata da un virus magico … ovvio che si adatti, la magia è liquida, è sempre in continuo movimento.
“Ehi!”
Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille, perché era stata la colonna sonora – a volte molto sgradevole – della sua infanzia. Suo fratello James gli stava di fronte, in uniforme e a giudicare dall’aria bellicosa non era lì per chiedergli di far colazione assieme.

“Ehi a te.” Replicò asciugando la piuma con cui aveva firmato la cartella e mettendosela nel taschino del camice. “Hai bisogno di qualcosa?”
“Sì, di parlarti.” Replicò brusco, afferrandolo per un braccio senza mezzi termini. “Seguimi.”
“Non sai orientarti in questo ospedale, forse è meglio se sei tu a seguire me.” Rimbeccò liberandosi dalla stretta e mostrando una calma che era ben lungi da provare. James aveva molti difetti, ma quello di non avere senso dell’opportunità sul luogo di lavoro mancava all’appello; se lo veniva a disturbare durante un turno era perché la faccenda era grave.

Ed è arrabbiato con me.
Lo portò in una saletta per le visite, vuota in quel momento, chiudendosi la porta dietro. “Che succede?”
“E me lo chiedi anche?!” Sbottò torreggiandogli sopra come poteva fare da quando lo sviluppo li aveva distanziati di quasi dieci centimetri. “Prince!”
Ah. Ops.
James doveva aver scoperto del suo accordo con Sören e, da come gonfiava i muscoli e buttava in fuori il petto, e la cosa non doveva essergli piaciuta. “Prince? Gli è successo qualcosa?”
“Non fare il furbo, Albie.” Ritorse puntandogli un indice contro e punzecchiandolo sul petto; James sapeva essere un perfetto bullo quando voleva. “Tu ci hai parlato. Me l’hanno detto i ragazzi della sua scorta. L’hai invitato a pranzo a casa tua un paio di giorni fa.”
Al assunse la sua migliore espressione confusa. Non sarebbe servita con la persona che forse lo conosceva meglio al mondo dopo Tom, ma poteva sempre prendere tempo. Il tempo era sempre utile in certe situazioni. “E da quando è reato invitare qualcuno a pranzo?”

“Non quello, serpe, il fatto che tu ci abbia parlato!” Ribadì. “So cosa combini quando parli!”
“E cosa?” Era sinceramente curioso, tuttavia si premurò di scivolare via dall’angolo in cui l’aveva stretto. Era meglio avere una via di fuga in caso le cose si fossero messe male. “Lily l’ha fatta lunga come un’arringa del Wizengamot sul fatto che fosse sconvolto dall’estromissione dal caso. Ero preoccupato per lui, e lo era anche Tom. Gli abbiamo chiesto come stava.”
“Cazzate.” Al intuì che menzionare Tom non aveva perorato la sua causa. In effetti non lo faceva mai. “Lo avete convinto ad indagare sottobanco!”
Ah, però. Il mio fratellino investigatore.

Incrociò le braccia al petto, perché in una gara di muscoli avrebbe perso miseramente, ma non di ingegno. Mai di ingegno. “E le prove di quanto dici?”
James lo guardò come se volesse lanciargli una fattura, ma dovette fermarlo il camice, o forse il fatto che non erano più due bambini della stessa altezza e capacità magiche. Un auror non poteva attaccar briga con un civile per il puro gusto di farlo, primo per le regole…
… secondo perché mi rivolterebbe come un calzino. Ed è in servizio, non può farlo. Ah!
“Le prove…” Iniziò schioccando la lingua e contraendo i pugni. “Le prove è il fatto che quel cretino di Malfoy ha trafugato le cartelle del caso per portargliele!”
“E pensi che gliel’abbia suggerito io?”
Ero certo che avrebbe funzionato, Scorpius ha un debole per Sören.
“Prince non è in grado di pensare a roba così Serpeverde!”
“È bello vedere che dividi ancora il mondo in dicotomie.”
“Sei stato tu.”

Non c’era molto che potesse fare a quel punto per convincerlo del contrario; James era un mastino quando si convinceva della colpevolezza di qualcuno.
In questo è identico a papà. E non che abbia torto, tra l’altro.
“E se fosse?” Si strinse nelle spalle. “Non l’ho convinto, gli ho suggerito una strategia. Vuole riprendersi il caso, ed è una decisione che ha preso da solo.” Fece una pausa guardando il volto acceso di rabbia dell’altro, preso di colpo da un dubbio. “Non dirmi che hai intenzione di denunciare Malfoy e Prince.”
“Certo che no!” Sbottò guardandolo male anche solo per averlo pensato. “Non sono una schifosa spia!”
Al non poté fare a meno di sorridere, nonostante avesse l’impressione di non essere ancora fuori pericolo. “Certo che no.” Fece una pausa. “Per questo ero sicuro che non avrebbero rischiato niente.”
James fece una smorfia. “Che ti è saltato in mente? Perché ti vuoi impicciare? Prima qui in ospedale, poi…”
“Non mi sto impicciando, sto aiutando.”
“È questo che pensi?” Fece un suono sarcastico che fece vacillare appena la sua convinzione. Solo appena. “Pensi davvero di star aiutando Sören? Perché cazzo credi che l’ufficio gli abbia assegnato una scorta? Perché smaniamo per fargli da babysitter?” Non gli diede il tempo di rispondere. “Perché è in pericolo.”
“Sì, mi rendo conto…”
“No invece!” Sbottò tirandogli una spinta, come quando erano bambini e il loro unico modo di litigare era prendersi a pugni. “Non te ne frega niente della sicurezza di Prince, ti importa solo di aver tutto sotto controllo!”

“Questo non è vero!” Ribatté con la sensazione che suo fratello avesse capito più di quanto volesse ammettere a se stesso. 
“Ah no?”

Dimenticava troppo spesso quanto fosse in grado di investigare e trarre conclusioni. Su un caso … o su qualcuno.
Dopotutto ha capito che Teddy era gay prima di Teddy stesso.
“Ti conosco come l’impugnatura della mia bacchetta.” Scrollò la testa, guardandolo in un misto di rabbia, esasperazione e qualcosa che pareva proprio preoccupazione. “Vai in paranoia se succede qualcosa di cui non hai il controllo.” Lo guardò confuso. “Perché non riesci a farti i fatti tuoi, eh?”
Al inspirò, appoggiandosi allo stipite della porta. “Perché ho paura.” Mormorò piano. Tanto era stato smascherato bellamente: sia lui che Tom erano gli unici a riuscire a vedergli dentro e buttarglielo addosso. Lily era sempre stata così carina da evitare. “Ho paura del contagio, ho paura che vengano di nuovo a cercare Tom … ho paura.” Si passò una mano trai capelli. “Non riusciamo a trovare una cura, il sangue di Sören non funziona. Ed è al momento l’unica pista che abbiamo. Una pista che non porta a niente.”
L’altro aggrottò le sopracciglia, quasi non trovasse senso alle sue parole. “Sì, ma questo cosa c’entra con te? È un intero ospedale che ci lavora!”

“Lo so, ma non mi sembra di fare abbastanza.” Si sfogò. “Il virus sta mutando e stiamo facendo i salti mortali per tenere i pazienti in stasi, per non far progredire la malattia … per non farli morire.” Sentì la bocca secca. “Potrebbero morirci davanti agli occhi … Liam e gli altri. Mi sembra di non stare facendo niente. Lasciami … lasciami almeno fare questo.”
“Impicciarti?”
“Jamie…”
James si strofinò una mano sul viso. “La cosa divertente…” Mormorò con l’aria di non trovarla divertente affatto. “… è che in questo momento altrettanti topi da laboratorio stanno lavorando per rendere innocuo il siero. Forse dovremo chiedere a loro.” Ironizzò. “Peccato che non riusciamo a trovarli.” Poi tornò serio. “State facendo tutto il possibile, Albie. Se qualcuno …” Esitò, ed era evidente stesse pensando al sergente. “Se qualcuno non dovessero farcela … almeno siete riusciti ad isolare il contagio. Avete salvato un intero Ministero evitando una fottuta pandemia.”
Stava cercando di consolarlo, ma non stava funzionando granché. “Delle persone moriranno comunque. E non è detto che non ne escano fuori altre … Hanno delle cavie, vero? Sono riusciti a rapirli. Se facessero dei passi avanti, o se credessero di fare dei passi avanti, potrebbero tentare di nuovo di provare il siero su quelle persone … o su altre. Chiunque.
“Okay.” Lo fermò. “Basta. È roba a cui abbiamo già pensato. Non dovresti essere tu a fartici il sangue amaro!”
“Lo so.” Mormorò. “È solo che … io non sconfiggo i cattivi, Jamie. Non sono bravo in questo.” E la cosa non l’aveva mai turbato più di tanto. Non fino a quel momento. “Però posso usare il cervello. In questo sono bravo.”

“Anche troppo.” Grugnì. “E quindi aiutare Prince a rimanere è usare il cervello?” Non sembrava molto convinto, ma non aveva più voglia di picchiarlo. Era un progresso.
“Te ne rendi conto anche tu o avresti fermato Scorpius.”
James sbuffò, infilandosi le mani in tasca, come quando non voleva dargli ragione per partito preso. “Niente più ficcanasare nel Demiurgo, okay?” Squadernò un dito e glielo picchiettò sulla fronte. “Occupati dei pazienti. Lasciaci fare il nostro lavoro. Siamo bravi.”
“So che lo siete.” Sorrise appena. “Scusami Jamie, non volevo causare fastidi a nessuno.”
“Quanto sei stronzo.” Sogghignò con aria vinta. “Non te ne frega niente dei nostri fastidi … Se vuoi dare un consiglio al pipistrello, fa’ pure. Ma smettila di suggerirgli di infrangere le regole!”

“Pensavo avresti apprezzato, da bravo Grifondoro.”
“Sta’ zitto serpe.” Lo guardò da sotto in su, poi gli rifilò una pacca sulla spalla piuttosto dolorosa. Strinse i denti perché non gliel’avrebbe data vinta facendosi dare della femminuccia. “Ce la caveremo, Albie. Risolveremo questo casino e ne arriverà un altro… Come al solito. Ma è quello per cui siamo tagliati, e lo sai perché?”

Sorrise appena di rimando. Conosceva la risposta, gli scorreva nelle vene.
“Perché siamo Potter.”
 
****
 
Somerset, Contea di Bath.
Lucknam Park Hotel & Spa. Mattina.
 
Alla fine avevano deciso per un resort a poche miglia da Bath e solo due ore di macchina da Londra; persino Violet si era fatta convincere dai duecento acri di parco, dalla piscina coperta a temperatura ambiente e dalle varie amenità tipiche di una Spa di lusso.
Lily si lasciò cadere sul letto della suite che avrebbe diviso con Roxanne, lasciando che la cugina scrutasse con occhio clinico l’intera stanza, puntigliosa com’era e formasse un giudizio.

“Mi piace.” Approvò infine distendendo i lineamenti e palesando quanto avesse bisogno di quello stacco, forse più di tutte loro messe assieme.
Beh, un neonato è impegnativo…
“Certo che ti piace, questo posto costa un occhio della testa a sentire le lamentele di quella spilorcia di Rosie…” Sbadigliò, calciando via i tacchi e spedendoli sulla moquette color crema. “… e dire che siamo le sue damigelle, dovrebbe esserci grata in eterno!”
“Per non aver invitato spogliarellisti?”
“Esatto!”
Roxanne ridacchiò, tirando fuori la bacchetta – precedentemente occultata in presenza dei Babbani della reception – per sfare le valige. “La minaccia è servita però.”
“Prospettargli un addio al nubilato fuori di testa per ottenerne uno da favola. Sono una ragazza intelligente, mi conosci.” Si stiracchiò, guardando affascinata l’enorme giardino all’inglese che si emergeva oltre le finestre: aveva sempre amato la campagna inglese, essendoci nata e vissuta, ma i parchi ben ordinati di proprietà così lussuose avevano un posto speciale nel suo cuore: la facevano sentire coccolata. “Comunque stasera club a Bath. Tassativo. Ne ho trovati un paio che non dovrebbero farle avere un tracollo nervoso. E poi forse ci raggiunge Domi … Non possiamo mica farla stare a mollo nei fanghi di bellezza! Vorrebbe ingaggiare una gara di palle di fango o qualcosa di simile.”

 “No, direi di no. E Rosie avrà comunque un tracollo. Lo sai che sta ad un club e ad un dancefloor come tu stai al ricamo.” Replicò Roxanne sedendosi sul ciglio del letto: delle sue cugine era forse la più bella, rifletté, persino più di Victoire, e proprio perché non lo ostentava. Capiva perché Dionis se ne fosse innamorato all’istante.
Non c’è bellezza più bella di quella inconsapevole, è proprio vero.
… beh, poi c’è quella come la mia, che impegna due ore ogni mattina per rilucere al meglio. Ma ehi.  
“Beh, se ne farà una ragione. E poi alla fine si diverte sempre.” Rotolò per abbracciarle la vita, in un impeto di affetto per quella sua cugina austera e saggia. “Dion è un mago proprio fortunato. La maternità ti ha reso figa!” Aggiunse estemporanea.
Roxanne le diede un buffetto divertito, come faceva sempre da che erano bambine. Adesso c’era però una connotazione molto più … da mamma, ed era bello quanto naturale. “La pensate allo stesso modo, ma a me sembra di essere un’orca spiaggiata.”

“Sciocchezze! Sei longilinea come una silfide!”
“Non so neanche cosa sia.” Sbuffò. “Non è che mi hai dato della balena?”
“Assolutamente no! È uno spirito dei boschi tedesco … Sono stupende, agili e aggraziate e sono delle divinità dell’aria, quindi ci prende con il tuo bel mestiere da folli.”
La cugina le rifilò una cuscinata sulla testa; mai offendere la sacra disciplina del Quidditch in sua presenza. Deflesse il colpo appoggiando poi il mento ad una mano per guardarla da sotto in su. “Sono anche pallide ed esangui però, da come me le ha descritte Ren, quindi forse non ci siamo.”
Roxanne alzò gli occhi al cielo, come sempre faceva quando la riteneva portatrice sana di cavolate. “Visto che ti ho sfatto la valigia, Rossa, che ne dici di smetterla di oziare e raggiungere le altre?”
“Guarda che il punto di tutta la faccenda è proprio questo.” Puntualizzò. “Però okay, piscina!” Si diresse così in bagno, dove trovò un paio di soffici accappatoi bianchi. Già solo indossarne uno le spazzò via una buona dose di brutti pensieri dalla testa.
Questo addio al nubilato non poteva essere più azzeccato.
Mentre aspettava che la cugina si cambiasse controllò il cellulare: aveva detto a tutti che l’avrebbe spento così da non avere seccature, né sul lavoro … né da altro.
Tanto è solo una giornata, Scotty se la saprà cavare anche senza di me. E anche Ren.
Notò un messaggio e lo aprì. Era di Sören, e le augurava un felice soggiorno. Lanciò un’occhiata alla porta del bagno ancora chiusa, e digitò velocemente. ‘Puoi contarci, ho intenzione di soffocare nell’inedia!’
La risposta non tardò ad arrivare. ‘Scommetto ti verrà naturale’
Ridacchiò, perché la stuzzicava da morire quel lato ironico dell’amico, in apparenza sempre attento ad osservare cortesie con chiunque. ‘Stai dicendo che sono pigra?’
‘Non sto dicendo che morderai il freno.’
‘Simpatico! Stasera grande festa alla corte di re Scorpius … Pronto?’
‘Assolutamente no. Qualche consiglio su come affrontare il bagno di socialità?’
‘Sembro tanto sconveniente se ti consiglio la filosofia del drink sempre in mano?’
‘È la stessa conclusione a cui sono giunto io.’
‘Non bere troppo però … Non farmi preoccupare!’
‘Mai Lilian.’ Ci fu una pausa in cui Lily guardò preoccupatissima verso il bagno e si diede dell’idiota perché Roxanne non poteva leggere attraverso le porte e gli schermi dei cellulari. E comunque non stava facendo niente di male … anche se aveva detto che avrebbe spento il cellulare.
‘Ti devo credere?’
‘Sarò ineccepibile. E poi, temo che dovrò occuparmi di portare a casa Milo sulle sue gambe.’
Mascherò prontamente una risatina quando la cugina uscì dotata di accappatoio e capelli raccolti. Lo sguardo le andò subito al cellulare. “Con chi ti stai sentendo?” Non fece in tempo ad inventarsi una scusa che l’altra sbuffò. “No, non serve che mi rifili una palla. Come sta Sören?”
“Bene!” Replicò sullo stesso tono. Quando lesse il messaggio successivo però dovette nascondere una smorfia.
‘Stasera esco con il sergente Gillespie. Consigli?’
Manco morta!
“Stiamo parlando del suo appuntamento con una collega.” Replicò, avendo la magra soddisfazione di vedere l’altra perdere interesse. ‘Prima di tutto chiamala Ama. E secondo, sii te stesso … o è troppo scontato?’
‘Abbastanza.’
‘Ma è così che funziona! Se non le piace chi sei, allora non vale la pena. Se le piace, giochi in casa!’
‘Lily, sei una delle poche persone a cui piaccio quando sono me stesso.’
Quello era un colpo basso, sleale … e tremendamente tenero. Seguì la cugina fuori dalla stanza, sperando di non inciampare dato che aveva il cellulare davanti al naso.
‘Ma io sono di gusti difficili. Quindi vai tranquillo, le piaci adesso e le piacerai dopo. E niente gel sui capelli!’
‘Sarà fatto. Grazie.’
‘Figurati. Dacci dentro, tigre!’
Certo che le piacerai, scemo. Perché se non ti amerà come ti amo io giuro che verrò a Boston a cavarle il cuore. Personalmente.
Stavolta lo spense sul serio, infilandolo nella borsetta di tela con il logo dell’albergo. Sua cugina non aprì bocca finché non furono in ascensore, forse per distrarsi dalla lieve claustrofobia che si portava dietro sin dall’infanzia. “Quindi è tutto risolto? Se lui esce con un’altra ragazza e tu te ne vai in Australia con Scott…”
Lily si guardo allo specchio, che le riflesse l’immagine di una ragazza con troppe occhiaie e persino qualche irritante lentiggine. Chissà perché, le venivano fuori in corrispondenza di periodi di forte stress. Era la magia? “Sì, tutto a posto.” Mentì con disinvoltura. “Crisi rientrata.”
Roxanne era più occupata ad aggiustarsi le forcine che non riuscivano a contenere la sua capigliatura leonina per guardarla, ed annuì. “Bene allora.”
“Benissimo!”
Questa sera mi sbronzo.

 
****

Londra, Hyde Park.
Pomeriggio.

 
L’appuntamento non stava andando male come aveva preventivato.
Sören era arrivato davanti alla statua di un certo Peter Pan, il posto dell’appuntamento, con largo anticipo. Era il metodo migliore che conosceva per evitare lo stress, quello di arrivare prima e studiare il luogo di incontro da ogni angolazione possibile.
Anche se di solito usi questa tecnica con gli informatori.
Si era comunque informato con i passanti che il luogo fosse quello e poi si era seduto su una panchina ad osservare un quadrato d’erba in maniera ossessiva finché non aveva visto arrivare Ama. Non era la prima volta che gli capitava di vederla senza uniforme, ma quel pomeriggio era particolarmente bella, con i capelli freschi di acconciatura e i vestiti colorati, ben diversi dall’uniforme monocroma con cui la vedeva ogni giorno.
Dopo doverosi convenevoli avevano passeggiato lungo i vialetti del parco, ed era stata una fortuna che Lily ce l’avesse portato qualche settimana prima riempendolo di aneddoti sul posto: li aveva ripetuti diligentemente facendo ridere la sua compagna. Da quel punto in poi la conversazione si era fatta scorrevole e Sören si era sentito fiero di sé.
È il tuo primo appuntamento e non sta andando male. Inaspettato.
Adesso erano dalle parti del Marble Arch e Ama gli stava spiegando come le ricordasse un monumento che aveva visto a New York. Sören avvistò un chiosco di gelati e vista la bella giornata lo indicò. “Facciamo una pausa? Abbiamo camminato molto.”
Ama sorrise, con un’inspiegabile sollievo, che gli diede ansia finché non si indicò i piedi. “Questi tacchi mi stanno uccidendo. È un ottima idea.”

“Perché li hai messi se ti fanno male?” Chiese e intuì l’idiozia della sua domanda dall’occhiata dell’altra. “È strano.” Si giustificò. “Io non indosserei mai scarpe scomode.”
“Perché sei un ragazzo.” Sospirò divertita, scrutando la lista di gelati. “Voi ragazzi non avete il dovere sociale di indossare queste trappole per piedi.” Alla sua espressione confusa scrollò le spalle. “Le donne sono considerate più belle ed eleganti con i tacchi. E non dirmi che non lo pensi anche tu, Prince. Saresti un bugiardo.”
“Non faccio caso a queste cose.” Replicò sentendosi punto sul vivo. “Non guardo i piedi di una donna, che interesse potrei avere?”

“Si vede che non sei mai uscito con una ragazza.”
Sören aprì la bocca per protestare, salvo rendersi conto che l’altra aveva ragione.

Avrebbe anche potuto evitare di farmelo notare.
Non disse niente però, perché era chiaro, dal tono leggero con cui l’aveva detto, che non intendesse offenderlo. Pagò i gelati senza una parola e poi si spostarono verso una vicina panchina. Ama dovette percepire il suo malumore. “Scusa.” E sembrava imbarazzata. “Ti sei offeso?”
“No.”
“Invece sì!” Replicò arrabbiata. Poi si morse un labbro. “È che … non sono brava nei primi appuntamenti. Gioco sempre in difesa, se capisci cosa intendo.”
Stava cercando di far pace, quindi le sorrise. “Mai quanto me.” Diede un morso al suo cono e fece finta di non sentire il dolore del freddo. Era un imbranato. “E poi … non hai torto. Questo è il mio primo appuntamento.”
“Da quando?”

“Da sempre. È la prima volta che esco con una ragazza.”
Se si esclude Lily. Ma Lily non conta.
Ama lo guardò sbalordita. “Stai scherzando, vero? Io prima dicevo per dire!”
Ah, per dire. Quindi non pensava … Fantastico. Adesso lo sa.
Verginello.
La definizione se la sentiva marchiata a fuoco sulla fronte.
“Sì, insomma, è vero che voi ragazzi non fate caso a queste cose, che a volte è tutto nella testa di noi donne, ma …” Rimase in silenzio, mangiando un po’ del suo gelato. “… come mai?”
Ignorò la cocente scritta sulla sua fronte. “Come mai cosa?”
“Come mai non sei mai uscito con una ragazza.” Sembrava incredula e Sören non seppe se sentirsi lusingato o in imbarazzo. Nel dubbio, optò per entrambe. “Sei un bel ragazzo, sei gentile e … beh, le ragazze del Dipartimento ti mangiano con gli occhi!”
Sören optò per la bruta verità. Anche perché non sapeva cosa rispondere se non quella. “Nessuna me l’ha mai chiesto.”
“Incredibile. E tu?”

Adesso era più lusingato che in imbarazzo: davvero pensava fosse così assurdo che nessuna gli avesse chiesto un appuntamento? Era una cosa buona, supponeva.  “Per quanto mi riguarda … fino a cinque anni fa credevo che non ci sarebbe stato posto per una donna nella mia vita. Ho semplicemente continuato a crederlo.”
“Sei un idiota.” Disse senza giri di parole ma non era una vera offesa. Era un po’ come quando Lilian gli dava della testa di legno o Milo gli diceva che era uno spocchioso bastardo. Sembravano quasi complimenti contorti. “Sören, potresti avere tutte le ragazze che vuoi!” Fece una smorfia. “Certo, non tiro acqua al mio mulino dicendolo, però è vero … Sei un bel ragazzo … no.” Si corresse. “Sei una bella persona.”
Le sorrise di rimando. “Ci sto arrivando adesso.”
Ama parve capire, perché annuì. “Sì … immagino. Spero solo che questa tua improvvisa realizzazione non mi faccia avere delle rivali.” Fece un sorrisetto imbarazzato ed era davvero bella. Se n’era accorto dalla prima volta che erano stati presentati, ovviamente, ma adesso aveva un’aria più genuina … e più raggiungibile.
“No.” Replicò, e il gelato gli si stava sciogliendo in mano a giudicare dalla roba che si sentiva colare sulla mano. “Non sono il genere di persona che divide la sua attenzione su più soggetti.” Era un po’ freddino. Doveva aggiungere qualcosa. Non ci rifletté molto. Lily diceva sempre che in certe cose non bisognava proprio pensare. “A me interessi tu.”
Ed era vero: Ama era la prima, dopo Lily, che si fosse mai presa la briga di interessarsi a lui come persona che aveva dei sentimenti. Era bello sentirsi desiderato, specie da una ragazza intelligente e bella.
Anche stavolta fu Ama a baciarlo per prima, ma a differenza del post-serata a Boston, le passò un braccio attorno alla vita e rispose. Era bello baciare qualcuno; le poche avventure che aveva avuto grazie all’alcool e alla mediazione di Milo avevano avuto dei baci, ma erano stati più che altro un’espressione di un bisogno sessuale, dati in prossimità di un letto, maldestri ed eccitati. Quello era completamente diverso.
Quando si staccarono le sorrise. Gli pareva la cosa migliore da fare dato che non sapeva cosa dire. Non si era aspettato quella svolta così repentina. Ama invece sembrava perfettamente a suo agio, perché lanciò uno sguardo alla mano e sbuffò. “Da non credersi … persino a Londra i gelati si sciolgono. Con questa falsa estate…”
Sören fece un leggero incantesimo di gratta-e-netta su entrambe le loro mani – la sua non vessava in condizioni migliori, scomodamente appiccicosa. Ama batté le palpebre sorpresa. “Avere una bacchetta che non si vede è comodo!” Commentò.
“Già. Ama, io …” Esitò, perché forse dovevano parlare del bacio o forse no. Se solo ci fosse stata Lily …

… a far cosa, assistere alla scena e consigliarti? Ma che problema hai?
Era una fortuna che Ama, trai suoi molti talenti, non avesse quello della Legimanzia, perché era abbastanza sicuro che non avrebbe gradito quella deriva di pensieri. “Non mi aspetto niente da un semplice bacio.” Rispose tranquilla, divertita dal tono. Sperava disperatamente di non essere arrossito. “Ci stiamo conoscendo come persone e non come agenti, okay? Per ora basta questo.”
Era sensato, ma non poteva limitarsi ad annuire come una marionetta. “Tu mi piaci.” Le disse, e sperò di suonare sincero. “È solo … che … non sono facile.” Concluse con la sensazione di non aver spiegato granché.
Dovette bastare, perché Ama gli passò una mano sulla guancia. Fu così inaspettato che dovette evitare di ritrarsi. Cinque anni e ancora faceva fatica a distinguere una carezza da un tentativo di aggressione. Era ancora materiale per Psicomaghi. Per fortuna Ama non parve accorgersene.
“Le persone facili non sono il mio genere.” Gli sorrise. “E mi piaci anche tu.”
Si alzarono e Sören le porse il braccio. Gli parve sorpresa, ma lo accettò con un sorriso timido che gli diede una buona sensazione. “Sei proprio un cavaliere, eh?” Scherzò.
Sören si strinse nelle spalle, ignorando la fitta di senso di colpa; era la prima volta che offriva il braccio a una ragazza che non fosse Lily. Certo, era un gesto da nulla, eppure…
Non è lei.
Era solo questione di abituarsi.
 
****
 
Scozia, Hogsmeade.
Casa di Ted Lupin e James Potter.
 
“Sei sicuro di non voler venire?”
Ted guardò il profilo di James allo specchio, mentre si sistemava una camicia che da sola, fasciandogli i fianchi alla perfezione, riusciva a distrarlo dal compito che si era prefissato, ovvero non togliere gli occhi di dosso da Benedetta, che giocava sul tappeto della loro camera. “Sì.” Confermò per l’ennesima volta. “Non me la sento di lasciarla.”
“Nev e Hannah non avrebbero problemi, e la nanetta potrebbe giocare con Frankie.” Gli fece notare e una parte di lui era quasi pronta a considerare l’offerta, prima di guardare verso il visetto concentrato della bambina e capire quali erano le sue priorità.
“Lo so, ma … preferisco così. E poi stasera sono un po’ stanco, non sarei di compagnia per una serata à la Scorpius.” Replicò con un sorriso quando lo vide lottare con un ciuffo di capelli particolarmente ribelle. “Serve una mano?”
“Se perdo altri cinque secondi sui miei capelli giuro che mi raso a zero.” Borbottò.  
“Preferisco i tuoi riccioli.” Replicò prendendo il pettine, utensile sconosciuto al compagno. “Sta’ fermo.”
James sbuffò, mettendogli le mani sui fianchi e giocherellando con l’orlo slabbrato del suo miglior maglione da casa. “Non mi diverto se non ci sei tu…”
“Ti diverti soprattutto se non ci sono io.” Corresse gentilmente, lanciando un’occhiata a Benedetta, presa a costruire una torre con le costruzioni. Non sembrava particolarmente curiosa riguardo alle loro manifestazioni d’affetto: quella mattina li aveva quasi sorpresi a baciarsi e l’unica reazione percepita era stata chiedere una seconda tazza di cioccolato.

Avrà già visto altre coppie gay? Dovremo parlargliele o è troppo piccola?
I libri che aveva comprato sulla materia – era sceso fino a Londra per prenderli  - suggerivano di affrontare il problema solo se fosse stata la bambina a sollevarlo e di comportarsi nel modo più naturale possibile, senza nasconderle niente.
Ma se non ce lo chiede? Qualcuno prima o poi glielo farà notare…
Al di là dei suoi galoppanti dubbi, in quei due giorni le cose erano comunque andate bene; Ben era una bambina vivace e un po’ viziata, non apprezzava che le venissero date delle regole o le venisse chiesto di tener in ordine la propria camera, ma era anche incuriosita dalla foresta come dalle montagne e dal paese e la sua natura allegra riusciva a bilanciare i momenti di buio, in cui ricordava il padre. Erano riusciti comunque a controllare la situazione con un paio di giri da Mielandia e James sempre pronto a distrarla con racconti o scherzi.
Non dimenticherà mai quello che ha passato con suo padre. Però possiamo fare in modo che non le faccia così male.
“Come sto?” Lo distrasse il compagno dandogli un colpetto sulla spalla. “Teddy, torna sulla terra e considerami.”
“Eccomi.” Gli sorrise perché bruciava dalla voglia di baciarlo. “Stai benissimo.”

James parve leggergli l’intenzione negli occhi perché si sporse verso di lui con un sogghigno che parlava di carognata. “Sicuro che non vuoi che resti?”
“… sicuro.” Mormorò piano: forse non era stata un’idea così brillante tenere Ben a portata d’occhio. “Benedetta, che ne pensi?” La chiamò ad aiuto, visto che non poteva far altro. “James come sta?”
La bambina alzò lo sguardo e arricciò il naso. “Sta in camera.” Proclamò in italiano, fraintendendo. “Dove vuoi che sta?
James si inginocchiò squadernando il suo sorriso più affascinante. “Sì, ci sto, ma ora vado ad una festa. Sono bello?”
Ben gli lanciò un’occhiata di palese sufficienza. “Devi pettinarti meglio i capelli.” Dichiarò facendolo ridere, mentre James tentava di nascondere una smorfia offesa. Quelle conversazioni in italo-inglese si facevano sempre più miste, ed era una buona cosa: era certo che nel giro di poco tempo Benedetta sarebbe stata in grado di sostenere una conversazione senza che l’interlocutore dovesse lanciarsi addosso un Incanto Traduttore.
Almeno potrà giocare con gli altri bambini.
James si tirò in piedi e gli scoccò un sorriso tutto denti mentre gli occhi gli brillavano di voglia di far festa. Lo amava anche per non essere un pantofolaio come lui. “Bene! Vado a prelevare il festeggiato.”
Annuì. “Fa’ attenzione e non …” Si fermò. “Qualsiasi raccomandazione non avrebbe senso, vero?”
“Esatto!” Ghignò. “Ehi pulce, io vado … fa’ la brava okay?
Ted a posteriori non capì se fu l’italiano usato, o proprio quel che gli disse James a farla scattare, fatto sta che Benedetta lo guardò con due occhi enormi, congelata come un cerbiatto di fronte ai fari di una macchina. Poi gli si gettò addosso, placcandogli la vita e abbracciandolo talmente stretto che James, per quanto piazzato, fece un passo indietro per bilanciarsi.
Non andare!” Strillò con il tono che precedeva una crisi acuta di pianto. “Non andare via!
“Ma che…” James lo guardò con l’aria di non sapere che pesci prendere.

Erano in due. “Ben…” Si chinò per accarezzarle la schiena, cercando di non suonare spaventato, anche se lo era. “Cosa c’è? Perché non vuoi che James vada via?
“Fino a due secondi fa era tutta tranquilla…” Sussurrò l’altro, dandogli delle pacchette sulla testa con l’aria di voler scomparire.  

Okay. Che è successo? Cos’è che l’ha spaventa?
Ben stava tremando e di colpo Ted ricordo la caverna . 
Dev’essere la stessa cosa che Lunastorta le ha detto prima di andarsene.
Dalla faccia che aveva James, seppe che doveva intervenire prima che il suo ragazzo fosse annientato dai sensi di colpa.
James sta andando ad una festa.” Continuò ad accarezzarle la schiena: era una cosa che pareva calmarla. “Ehi, guardami un po’.” Il visetto pallido e in lacrime di Ben era in effetti un buon motivo per chiedere all’altro di restare, ma non era giusto.
Sono io lo zio. Non posso sobbarcare tutto a Jamie.
Jamie torna. Molto tardi, quando sarai già a letto a dormire, ma torna. Controllerò io, va bene? E se non lo vedo tornare, andrò a prenderlo.” L’idea parve piacerle perché le lacrime smisero in favore di qualche singhiozzo isolato.
“Resto?” Mormorò James prevedibilmente.
“No.” Gli sorrise, prendendo in braccio Ben, che gli si accoccolò addosso dandogli la forza di continuare. Poteva gestire la cosa anche senza l’aiuto dell’altro. Doveva. “Organizzi questa festa da mesi … Si è solo spaventata un po’.”
“Ma le ho ricordato…” James era pronto a sbattere una testata contro lo spigolo, come un Elfo indisciplinato, glielo leggeva nell’espressione affranta. “… cazzo, Teddy, pensa che sparirò come suo padre!”
“È normale che lo pensi, credo. Lo farà ancora per un po’…” Traumi del genere non sparivano per una bella casa e due sconosciuti che si occupavano di te. Ted aveva avuto una nonna e una famiglia adottiva piena d’amore, eppure c’erano state notti in cui si era svegliato chiamando genitori che non aveva mai conosciuto. Poteva solo cominciare ad immaginare cosa stava passando Benedetta.
‘Ma non è sola al mondo. Ha voi.’
Le parole di Lily gli davano la forza di spedire James a divertirsi. “Deve abituarsi a non averci sempre a portata di mano. E poi ci sono io, sta’ tranquillo.”
L’altro era poco convinto, si vedeva, ma sospirò. “Se succede qualcosa…”
“… ti chiamo.” Mentì, perché il compagno aveva bisogno di quella serata, forse più di quanto non realizzasse. “Vai, o farai tardi e Scorpius andrà da solo.”
“Ci mancherebbe, quello non sa trovarsi il sedere con le mani.” Sbuffò per poi dare un colpetto alla spalla di Ben. La bambina si voltò appena, più occupata a nascondergli il viso contro la spalla. Lo faceva anche Al da piccolo, quando qualcosa lo spaventava.

Niente di nuovo. Coraggio.
“Ehi, pulce, torno presto … Ma tu fa’ la guardia alla casa e a Teddy in mia assenza. Non è che sia tanto bravo a star da solo. Gli fai compagnia?” Ad un piccolo cenno d’assenso le tese la mano. “Dammi il cinque, coraggio.” La bambina obbedì, con un sorriso finalmente. James le arruffò i capelli e poi gli lanciò un’occhiata determinata delle sue. “Qualsiasi cazzata. Chiami e torno.”
“Vai.” Ripeté. “Ce la caveremo.”

Quando l’altro gli ebbe finalmente obbedito sospirò, cullando Ben che non sembrava intenzionata a scendere. Per essere già grandicella era incredibilmente pronta ad accoccolarsi addosso. A volte era difficile distinguere se fosse un lato del suo carattere o un’insicurezza dovuta all’esperienza nella foresta.
Due Lupin lasciati a se stessi.
Poteva essere una catastrofe, tuttavia non doveva. “Sai cosa mi piace fare quando sono preoccupato? Leggermi una bella storia.” Scese le scale con tutta la calma del mondo perché il respiro tiepido di Ben sul collo faceva sembrare tutto più fragile e incerto. “Se mi concentro posso immaginare di essere nel libro, e mi dimentico di quello che mi fa paura.” Si sedette sul divano del salotto, dove per fortuna aveva lasciato il fuoco acceso. Appellò un libro e lo aprì. Ben non aveva dato segno di gradire l’idea, ma neppure l’aveva respinta da come gli si era raggomitolata in grembo.
Non mi ricordavo che i bambini fossero tanto minuscoli.
Non aveva importanza. Con un libro in mano, anche due Lupin potevano cavarsela.
 
****
 
Londra, Diagon Alley.
Finnigan’s Wake. Sera.
 
Il Finnigan’s Wake aveva ospitato molti lieti eventi: la propria inaugurazione coincidente con i festeggiamenti del diploma dei proprietari, svariati compleanni, un paio di matrimoni e per fortuna nessun funerale. Che fosse il luogo scelto per l’addio al celibato era quindi quasi ovvio.
“A Malfoy, e alla sua sciagurata decisione di sposarsi con quello Kneazle pazzo di mia cugina!” Berciò James, portando in bilico una serie di boccali, cocktail e un giro intero di shots creati dalle estrose mani di Gus. Presi da mani allegre furono distribuiti, alzati e trangugiati.
“A Scorpius!”
Albus prese il proprio drink, un Platano Picchiatore, che la maggior parte dei ragazzi evitava ad inizio serata. Era divertente vedere come tutti, ad eccezione di Tom e Mike, aspettavano di vederlo stramazzare al suolo ubriaco dopo il secondo giro.

Spiacente, ho imparato a bere.
Sorseggiò il suo drink, accarezzando distratto la gamba di Tom che era schiacciato tra lui e il muro ed era quindi già nervosetto. “Fa’ il bravo. Stasera ci tocca.” Gli mormorò all’orecchio, mentre la musica delle potenti casse Babbane risuonava per tutto il locale, pieno da scoppiare tranne per la sezione che Gus aveva chiuso loro.
 
No there ain't no rest for the wicked
Until we close our eyes for good

 
“Ricordami perché dobbiamo…” Replicò l’altro sollevando svogliato il boccale all’ennesima sparata di suo fratello, salvo però trangugiare con gusto metà del suo drink.
Speriamo che si ubriachi. Diventa più silenzioso e tenta di spogliarmi davanti a tutti, ma almeno smette di fare il broncio.
“Perché Jamie ha scoperto che abbiamo parlato con Sören.” Pescò un cubetto dal suo drink e lo succhiò godendosi la frescura. “Mi ha fatto la ramanzina e mi ha detto che devo stare alle regole.”
“Come se potesse permetterselo … Ha piagnucolato da vostro padre finché non gli è stato assegnato il caso.”

“Tom…” Gli diede una pacca sulla gamba. “… non aveva tutti i torti.”
“Quindi siamo fuori dai giochi?”
“Certo che no.” Sorrise a Sören, entrato in quel momento in compagnia del suo biondo e muscoloso amico, Milo. Al si raddrizzò: voleva proprio vedere che combinava Michel,  che era era appoggiato alla ringhiera che separava i loro tavoli dal resto della sala. Quella sera l’amico indossava la sua migliore aria di eleganza aristocratica, con quella punta di sussiego che sembrava prerogativa del suo ambiente, come i completi chiari di alta sartoria e i biglietti da visita. Prima di un paio di bicchieri non c’era mai verso di togliergliela di dosso. Stavolta non servì: quando il tedesco gli passò accanto si lanciarono un’occhiata che avrebbe potuto far prendere fuoco un tavolo.  
… apperò!
Stava venendo caldo a lui. Diede una gomitata a Tom, che stava chiacchierando con Loki, l’unico che avesse avuto voglia di sedersi nel suo raggio di malumore. “Ehi!” Sussurrò. “Ti ricordi che ti ho detto che Mike sta dietro ad un ragazzo? È lui il ragazzo.” Lo indicò con un cenno della testa.
Tom sembrò inquadrare la situazione, ma si limitò ad una smorfia non impegnativa.
“Ah, sì, Emil.” Gli diede invece soddisfazione Loki, entrano nella conversazione e fregando un sorso dal bicchiere di Tom. l’altro lo fissò malissimo, ma prevedibilmente venne ignorato.
“Emil? Non si chiama Milo?”
“Il nostro buon Mike lo chiama così …” Si strinse nelle spalle. “Magari sono già alla fase dei nomignoli.” Sogghignò. “Non li avete anche voi?”
“Il mio nome è già imbarazzante da sé, grazie tante.” Replicò per poi tornare a guardare il biondo teutone che rifilava una pacca allegra a Scorpius come se fossero cresciuti assieme. Aveva la stessa socialità fluida e sorridente. Prince trai due scompariva come una figura di sfondo.
Un ragazzo da parete.
Comunque il pettegolezzo era troppo succoso. “Tu sai in che rapporti sono esattamente? Mike mi pare piuttosto preso.”
Loki si accese la pipa, dando una vigorosa boccata, ma fu abbastanza furbo da non soffiare il fumo in faccia a Tom, che aveva il bicchiere in mano. Era già successo che glielo versasse addosso. “Più che preso direi ancorato … Caro il mio pulcino, il nostro Mike è innamorato cotto!”
Al, ora che era di fronte ad entrambi, e poteva vederli assieme … era perplesso. Non che Milo fosse un brutto ragazzo, tutt’altro. Solo che con i capelli che sembravano appena usciti da una sveltina e quello che sembrava uno spinello tra le labbra…

… non è proprio il classico tipo di Mike. Pensavo gli piacessero più alla Mael … e alla me?
Loki parve capire cosa gli passava per la testa perché si avvicinò col tono di una confessione. “Se chiedi a me … quello finge solo di aver passato la vita nel fango di Diagon Alley.”
“Cioè?”
“Cioè è un ex Purosangue.”
 
Tom si stava annoiando a morte a sentir spettegolare Al e Loki e conoscendo i due la cosa sarebbe andata per le lunghe. Poteva solo sperare che la partita di poker iniziasse presto, ma a giudicare da come Malfoy svolazzava di invitato in invitato – molti dovevano ancora arrivare – avrebbe comunque dovuto aspettare. A quel punto, irritato e già leggermente ubriaco si alzò e si diresse verso il cugino.
Almeno non si mette a ciarlare di Zabini.
“Sören.” Lo salutò e questo quasi sobbalzò, guardandolo sorpreso. Possibile che non riuscisse mai a rilassarsi? “Vieni a sederti.” Concluse con tono spiccio.  
“Sì.” Replicò obbediente, ma forse era sollievo quello che sentiva? Fino a poco prima stava guardando in direzione di Scott Ross con una faccia strana. “Non pensavo di trovarti qui.” Aggiunse quando si furono accomodati nel paio di sedie più lontane dalla ressa.
“Perché?”
Sören si guardò le mani, strofinandosi l’anello che aveva al dito. Continuava a lanciare occhiate in direzione del ragazzo di Lily, ma non pareva aver voglia di andare a salutarlo. Bizzarro. “Mi è stato detto che non sei persona che apprezza questo genere di eventi.”
“Malfoy non capisce i no. Gli unici a cui si sottomette sono quelli della sua fidanzata.” Replicò facendogli spuntare  un sorriso. “Immagino tu abbia avuto lo stesso problema.”
“Già.” Convenne tirando fuori una sigaretta dal pacchetto. “Ti dà fastidio?”

“Con la cappa che aleggia qua attorno non fa differenza.” Rispose facendogli cenno di accendersela. Sören soffiò via il fumo mentre ascoltava i ringraziamenti di Scorpius, appena omaggiato di una maglietta con scritte e disegni al limite dell’osceno. Stavolta sorrise.
“Gli ho detto che non sono un tipo da compagnia, ma non gli importa.” Spiegò. “Gli piace avere persone attorno, anche se non sono sulla sua lunghezza d’onda…” Aggrottò le sopracciglia. “… qualsiasi cosa voglia dire.”
Tom era stupito dalla facilità con cui l’altro aveva aperto la conversazione, e in maniera neppure stupida. Non era … male. Perlomeno con lui per interagire non doveva trangugiare shots e intonare canzonette da taverna.
“Malfoy non ha mai avuto un pensiero cattivo in vita sua.” Rispose vuotando il bicchiere. “E trova divertenti anche persone che non sono considerate l’anima della festa.”
“È una fortuna allora.” Fece un sorrisetto ironico. “O quelli come me non verrebbero invitati da nessuna parte.”
Non preoccuparti, con quell’aria da passerotto ferito ti troveresti comunque attorno un paio di crocerossine del calibro di Al e Lily.
Ma non lo disse, perché aveva bevuto.
A questo proposito.
“Malfoy!” Quando alzava la voce era automatico che venisse ascoltato. Non farlo mai portava dei vantaggi indiscutibili. “Prince non ha niente da bere. E neppure io.”
Questo squadernò un gran sorriso. “Rimedio subito! Whiskey incendiario e un Mangiamorte in arrivo!” E si allontanò verso il bancone trascinandosi dietro la sua ombra a forma di James Potter.
Da lontano vide Al guardarlo con compiaciuto divertimento. Lo ignorò. Si rivolse invece a Sören, che non ghignava e stava ad ascoltarlo. Dopotutto, era un tipo simpatico. “Spero tu sappia giocare a poker.”
L’altro aggrottò le sopracciglia. “Conosco i rudimenti di quello magico, me li ha insegnati un collega. C’è differenza?”

Fece un sorrisetto, pregustandosi l’idea di spennare James o qualche Grifondoro a scelta. Dopotutto era il motivo per cui era lì e non a casa con un nuovo compendio sui legni di bacchetta.
“Solo in termini di perdite.”
 
La serata si stava svolgendo esattamente come Scorpius aveva desiderato, ovvero in più giri di birra e cocktail, condita da battutacce, gioco pesante e la messa in palio di cravatte, qualche orologio e soprattutto della collettiva dignità.
Michel supervisionava abbastanza sobrio il gioco – non era suo costume ubriacarsi indecorosamente come Potter, che aveva perso la camicia ad inizio serata e stava intonando per l’ennesima volta, stonato, un Auld Lang Syne fuori stagione. Il miglior giocatore, quello più lucido e letale, era prevedibilmente Loki, che ne aveva fatto quasi una professione, anche se in termini di vincite era seguito a stretta misura da Emil.
Che sta barando magnificamente.
Il tedesco prese infatti le sue ultime vincite, godendosi i mugugni scornati dei propri compagni di gioco. “E con questo, signori, io mi ritiro. Un buon giocatore deve evitare di far perdere la pazienza alla dea bendata!” Schiacciò la sigaretta ad uno dei posacenere stracolmi e si alzò in piedi. “Il prossimo giro lo offro io!”
“Sarà meglio.” Soffiò Dursley passandosi una mano sul viso, ubriaco e di cattivo umore per le continue perdite. Fu per fortuna distratto da un bacio di Al, che sapeva perdere con più classe di tutti loro messi assieme.
Anche perché è lo scommettitore più parsimonioso.
Era infatti l’unico con ancora tutti i vestiti addosso.
C’è anche da dire che le sue camice non sono una posta appetibile.
Prince che in compenso si era giocato la giacca di pelle americana con cui era arrivato e buona parte del contenuto del suo portafoglio aggrottò le sopracciglia come se stesse riflettendo su qualcosa di molto importante. “Io … credo che sia opportuno … che ti dia una mano Milo.” Disse staccando con cura le parole. Visto quanti whisky si era scolato e quanti shots di Tequila aveva accettato quello che aveva detto aveva un che di eroico.
Siamo nel vivo della festa…
L’alcool scorreva liquido nelle gole e la musica da taverna faceva da sottofondo a brindisi e canzoni intonate a squarciagola. Persino persone normalmente ingessate come Dursley si lasciavano andare, arrivando a posare la testa sul tavolo per farsela accarezzare dal compagno che, seppur premurosamente, se la rideva come non mai.
Vide Emil sorridere quasi affettuoso a Prince. “Resta dove sei principino … Non vorrei che mi crollassi culo a terra. Dionis, me lo guardi?”
Il rumeno, senza scarpe e con la fede attaccata saldamente al collo con una catenella – per non indursi in tentazione dato che aveva cattivi geni, aveva spiegato ad inizio serata – borbottò qualcosa di altrettanto rumeno, ma fece anche un cenno d’assenso. “Fantastico!” Poi Emil si voltò verso di lui. “Zabini, ci pensi tu a darmi una mano?” Gli chiese stupendolo: a parte guardarlo non aveva fatto altro per tutta la serata.
Non che dovesse far altro, ma comunque… 
“Certo.” Rispose, notando come tutti erano troppo presi dal gioco, dal proprio bicchiere o dalla canzone che stava passando per notarli. Scesero così in mezzo alla calca ben pressata.
“Questo posto è pieno da scoppiare … ma voi maghi venite tutti qui?” Osservò Emil passandogli una mano sul fianco per dirglielo all’orecchio.  
 
On the train feel insane.
What the fuck? Just bad luck

 
“È l’unico pub decente di tutta Diagon Alley…” Rispose facendo scivolare la mano su quella dell’altro, dato che stava infilandosi tra la seta della camicia e la pelle nuda. Represse un brivido. “… e questo la dice lunga.”
“A me piace.” Lo pilotò contro il bancone, spingendo i fianchi contro i suoi. Da quella posizione poteva sentire che era eccitato. Inspirò: non era il solo.
“Malfoy mi perdonerà se mollo la sua festa etero, ma ho una gran voglia di scoparti.” Gli sussurrò con tono discorsivo. Michel dovette trattenere di nuovo il respiro: erano in mezzo alla ressa del bancone e nessuno badava a loro.
La sua razionalità gli stava facendo notare che non era il luogo adatto per dare sfogo ai loro ormoni…
… la sua razionalità poteva andare all’inferno.
“È tutta la sera che faccio il virtuoso a beneficio di nessuno …” Continuò l’altro. “Credo di meritare un premio per non averti strappato la camicia di dosso.” Gli morse leggero la base del collo e si godette il suo imbarazzante mezzo gemito per poi attirare l’attenzione di una delle bariste per chiedere l’ennesimo giro di Tequila, il liquore prediletto dal loro comune amico biondo.
“Vuoi davvero offrirgli il giro?” Tentò di ricomporsi, anche se era un po’ difficile farlo con il calore dell’altro addosso. “Perché avrei idee migliori.”
“Pazienza maghetto …” Replicò, staccandosi per raggiungere il vassoio che la ragazza aveva preparato sul bancone. Nel farlo si scontrò con le mano di un altro, miranti allo stesso bottino.

“Ehi bello, l’ordine è mio!” Michel si irrigidì quando riconobbe la voce: il pesante accento scozzese gli ricordava quello di Terrance Montague. Voltandosi ne ebbe la conferma.
Oh, meraviglioso
Avendo condiviso per sette anni la stessa uniforme sapeva che razza di seccatura ambulante fosse il mago di fronte a loro e negli anni in cui si erano persi di vista – per fortuna – non era cambiato di una virgola: alto, allampanato e con un gran bisogno di un parrucchiere.
E in generale, di una faccia nuova.
“No bello, l’ordine è nostro.” Rispose a tono Emil. Doveva aver notato anche lui che Montague era ubriaco fradicio e in compagnia di due tizi in condizioni non dissimili, ma non poteva conoscere la facilità con cui il suddetto attaccava briga quando aveva bevuto un bicchiere di troppo.
“Stai dicendo che sto aspettando da mezz’ora il mio giro di Whisky per farmi passare davanti?” Grugnì questo con fare sgarbato.
E pensare che appartiene ad una delle più antiche famiglie della nobiltà magica scozzese …
… che vergogna.
Milo ad onor del vero non perse il sorriso. “Questa è Tequila.”
“È la stessa cosa con ‘sti liquori Babbani!”

Michel a quel punto si sentì in dovere di intervenire. “Terrance, quanto tempo.” Lo apostrofò. L’altro aggrottò le sopracciglia con l’aria di un Troll confuso, poi lo riconobbe.
“Zabini!” Ghignò rifilandogli una pacca assolutamente non necessaria. “Cazzo ci fai in questo posto da Sanguesporco?”
Perché, tu? Fammi indovinare, poco presentabile per i circoli Purosangue? Temo di sì.
Ma non lo disse, limitandosi ad un sorriso tirato. Accanto a lui vedeva Emil cominciare ad incastrare i pezzi e farsi un’idea del loro interlocutore.
Fa’ che non capisca quanto è razzista e non ci attacchi briga …
“È l’addio al celibato di Malfoy.” Spiegò con la cautela con cui avrebbe parlato ad un pezzo grosso. O ad un ubriaco instabile. “A settembre si sposa con Rose Weasley, ne avrai sentito parlare.”
“Come no! Il matrimonio del secolo!” Annuì con l’aria di non pensarlo affatto. “Certo che va’ a capirlo Malfoy… con tutte le belle fighe della nostra Casa si va a prendere quella morta di fame.” Si voltò verso i due amici che Michel non riconobbe come ex-compagni. Sembravano parecchio più vecchi. “È sempre stato un tipo strano … Uno che va’ a finire in mezzo a Sanguesporco e Babbanofili non è che ci sta tanto con la testa, no?”

Evitare la lite era la sua priorità. Dovette ricordarselo. “È meglio se portiamo questi agli altri.” Prese il vassoio, facendo cenno ad Emil di seguirlo. Non gli piaceva affatto il modo in cui si era rabbuiato. “È stato un piacere Terrance, buona serata.”
Non fece in tempo a fare un passo che l’altro gli sbarrò la strada: i due amici ridacchiavano senza intervenire, evidentemente divertiti dalla situazione. “Ehi, ehi…” Sbuffò questo. “Dai, ci rivediamo dopo secoli e mi molli così? Un brindisi ai vecchi tempi Zabini! C’è in giro anche Nott? Fallo venire qui!”
Stava cominciando a perdere la pazienza. “Magari dopo, ho un vassoio pieno, preferirei prima posarlo.”
Terrance non diede il minimo segno di aver capito l’antifona perché afferrò uno dei bicchierini. “E allora alleggeriamolo, no? Chiama Nott, cazzo! Mica mi vorrai mollare per un gruppo di pezze…” Non poté finire la frase perché Emil gli bloccò la mano.
“Scusa stronzo, questi sono per i pezzenti.” Disse con una pacatezza che stonava con la sua espressione.
Per un attimo rimasero tutti come Impastoiati, poi Montague si riscosse, scrollando via la mano. “E tu chi cazzo sei?” Chiese con l’aria di essersi ricordato della sua presenza solo in quel momento. “Nessuno t’ha chiesto niente!”
“Emil, lascia perdere, me la sbrigo io…” Lo pregò a bassa voce, ma quello parve non averlo neanche sentito.

“Questi drink li ho pagati io, e non mi capita mai di voler offrire a degli stronzi. Quindi giù le zampe.” E sottolineò il concetto con una manata sul petto dell’altro.
Dannazione.
Successe tutto in una frazione di secondo, perché ci voleva davvero poco ad estrarre una bacchetta. Montague la puntò sotto il naso di Emil. “Queste zampe? Tira fuori il legno, ti sfido!” Esclamò ringalluzzito. La folla si doveva esser resa conto del degenerare della discussione perché si nel giro di pochi attimi si creò il vuoto attorno a loro e la barista che li aveva serviti sparì dietro il bancone, forse a cercare l’aiuto del proprietario.
Spero sia più sveglia e vada a chiamare l’assemblea di Auror oltre la pista da ballo.
“Terrance, abbassa la bacchetta, non renderti ridicolo.” Gli sibilò e per un attimo pensò di aver catturato la sua attenzione da come il vecchio compagno lo guardò incerto. Era un idiota, ma aveva un cognome a cui rendere conto e un padre forse persino più intransigente del suo.
Notando però come Emil non reagiva – e come poteva? – decise che umiliarlo e uscirne bene con gli amici era più importante. “Stanne fuori Zabini, non ce l’ho con te!” Si rivolse all’altro. “Tira fuori il legno ho detto!”
Emil serrò le labbra. “Vaffanculo.” Fu l’unica, idiotica risposta.
Non ci posso credere!
“Non può! È un Magonò, va bene? Lascialo stare.” Sbottò, ben attento però a non intervenire fisicamente: Terrance era famoso per non avere il minimo controllo sul suo legno. Un sacco di duelli erano finiti con un viaggio urgente in infermeria perché l’idiota non era riuscito a controllarsi.
Montague batté le palpebre come un grosso cane stupido. “… E che ci fai tu con un Magonò?”
Non seppe mai se fu peggio vedere la faccia che fece Emil alla frase o la frase in sé. O la sua totale mancanza di risposta.
Fu salvato dall’entrata in scena di un’ombra nera che piombò su Montague, gli torse il polso, gli fece cadere la bacchetta e lo sbatté faccia contro il bancone.
“Ohi Prince, vacci piano!” Esclamò la voce di Potter, in canottiera e con la cravatta annodata in testa. Nonostante questo riusciva comunque ad incutere un certo timore. “Rovini il bancone a Gus e Gail.”
“Montague, sempre un dispiacere!” Esclamò Scorpius con le mani in tasca e l’aria di aspettare solo l’imbeccata per tirarle fuori ed usarle. Accanto a lui c’era anche Bobby Jordan, l’unico che poteva passare davvero per un agente delle forze di polizia. Non che fosse quello il punto.
Scorpius si voltò poi verso i due ceffi: avevano le bacchette in mano ma la faccia era quella di chi stava calcolando se una prova d’amicizia era doverosa o superflua. “Ciao, mi chiamo Scorpius e siamo tutti auror.” Gli sorrise smagliante. “E il tizio che sta soffocando il vostro amico ha avuto una brutta settimana, vero Sören?”
“Bruttissima.” Ringhiò Prince stringendo la presa su Montague che emise un lamento da animale schiacciato da una pressa.
Scorpius tirò fuori il suo sorriso più folle. “Vi prego, quindi, rimanete.”
Non rimasero.
Michel si permise un sospiro di sollievo, mentre Jordan gli toglieva il dannato vassoio di mano e Potter lo scortava con il prezioso carico oltre la pista da ballo. Scorpius a quel punto gli passò un braccio sulle spalle. Era sudaticcio e caldissimo ma il contatto solido non gli spiacque. “Loki e mini-Potter hanno visto il trambusto e ci hanno spediti a far servizio d’ordine.” Spiegò. “Cos’è successo?”
“È successo Montague. Te lo ricordi com’era a scuola… Non è cambiato.” Sbuffò cercando Emil con lo sguardo per controllare che fosse tutto a posto.
Non lo era, perché Emil era sparito. “Dov’è Em … Milo?” Chiese stupidamente.
“Se n’è andato non appena siamo arrivati.” Fu Prince a rispondergli, continuando a tenere stretto Montague che doveva aver perso i sensi. Nessuno sentì il bisogno di farglielo notare.
“Io…” Esordì cercando di pensare rapidamente ad una scusa. Fu ancora Prince a parlare: l’alcool lo rendeva loquace.
“Va’ a cercarlo.”
Non apprezzava che gli venissero dati ordini, ma in quel caso fu disposto a fare un’eccezione.
 
****
 
Era ormai notte inoltrata e il volume di persone non accennava a diminuire; sembrava che trascorrere l’intera notte al Finnigan’s Wake fosse un must do di tutti i giovani maghi e streghe inglesi.  
Sören chiese due carte al mazziere della mano, Albus, che giocava da ore con un sorriso imperscrutabile che gli aveva fatto meritare il soprannome di Monna Lisa. Aveva da sorridere, visto che era uno dei pochi che non si era giocato l’intero contenuto del borsello più un paio di oggetti personali, finiti nelle mani di Loki Nott e di Milo, prima che questo sparisse inseguito da Zabini.
A quanto pare tiene a lui. Abbastanza da seguirlo fuori e farci capire tutto.
Era il primo mago che conosceva che fosse così apertamente preso dal suo inquilino-barra-babysitter. Ne era felice.
Almeno qualcuno ha avuto un bel fine serata.
Non che non si stesse divertendo: giocare a carte era un’attività di strategia, quindi lo rilassava, e poter stare in compagnia di altre persone senza aver voglia di accampare una scusa ed andarsene non era cosa che gli capitava tutti i giorni.
Solo Scott Ross.
Che era ancora lì, a lato della sua visuale, anche se non stava giocando.
In verità non erano rimasti molti al tavolo, solo quelli che non riuscivano a fermarsi, come Scorpius – avevano dovuto impedirgli di giocarsi le mutande e il maniero di famiglia – o quelli che continuavano a vincere quasi tutte le mani, come Nott.  
Guardando le sue carte gli sembrò una buona idea puntare. “Vedo.” Nel frattempo Scott, che era appoggiato con Bobby e Dionis alla balaustra che divideva il loro “privè” dal resto del locale, continuava a dar aria alla bocca. Altro non si poteva definire dato che aveva quella che Milo chiamava ‘una sbronza divulgativa’. L’argomento principale era l’Australia.
“E mi manca … dico sul serio, quei paesaggi, quei colori, la gente! Non avete idea del numero di maghi che c’è laggiù!”
Alto. Le colonie hanno sempre attirato la nostra gente. Un mondo nuovo, terreno a perdita d’occhio in cui costruire una casa lontano dai Babbani…

“Non fraintendetemi, amo la Gran Bretagna, e rimarrò sempre uno scozzese fino alla punta dei capelli, ma parte del mio cuore è là … Per questo penso che alla fine ci tornerò.”
Come?

Perse completamente interesse nel gioco, e finse di lasciare il giro per poter ascoltare meglio.
Sta parlando di andarsene?
Jordan, uno degli interlocutori, dovette pensare la stessa cosa. “Ma andartene … andartene? Trasferirti?”
“Sì, perché … beh, là ho certe opportunità lavorative che … Ce l’ho anche qui, ma fare l’archivista … Cioè, la paga è buona, ma il lavoro è monotono.”
“Già, vorresti fare il cronista sportivo no?” Gli fece eco Jordan. “Ma non puoi farlo qui?”

Scott scosse la testa, e al di là delle birre che si era scolato, non stava straparlando. Si ingarbugliava come un ubriaco, ma il ragionamento che c’era dietro era stato fatto da sobrio. “Non c’è lavoro … Come potrei competere con piume del calibro di Ginny Weasley Potter? Invece in Australia … beh, mio zio gestisce il quotidiano sportivo magico di Sidney. Una testata tutta sportiva! Mi ha già detto che sarebbe disposto ad ospitare una rubrica sugli sport Babbani ed io…” Si strinse nelle spalle. “ … Non è che parto domani, ma è qualcosa … qualcosa di grosso per me, capite?”
“E come intendi fare con Lily?” Dionis era suo amico, e per questo faceva le domande giuste. Le stesse domande che avrebbe dovuto farsi quel dannato scozzese.
Lily. La tua ragazza, la donna che ami e che ama te. Te ne vai? La lasci?
Strinse i denti quando vide un paio di scintille balenare dalle parti della sua tasca.
Scott perlomeno sembrò considerare seriamente la domanda, dall’esitazione che gli vide sui lineamenti. “Vorrei che Lily venisse con me.”
Cosa?

Quello era forse peggio che lasciarla. Fu Jordan a tornare alla carica: doveva essere grato a quei due ragazzi, stavano facendo tutte domande che avrebbe voluto fargli lui. Dopo avergli lanciato qualche maledizione. “Gliene hai parlato?”
“No, non ancora … Abbiamo organizzato una vacanza di due settimane laggiù, contavo prima di farle vedere il posto, farle conoscere i miei amici, farla … okay, suona brutto, acclimatare?”
Suona orrendo.
“Sentite, la conosco, se ne innamorerà … E il genere di ambiente giovane, aperto e stimolante che adorerebbe!” Scott sembrava cercare appoggio dai due e Sören fu felice di constatare che non ne trovò granché “… e poi ci sono delle ottime scuole post-diploma, quella di Medimagia è conosciuta in tutto il mondo, ed ha un corso di Psicomagia sperimentale, perciò…”
“Penso che dovresti parlargliene già da adesso.” Osservò Dionis. “Non avete litigato proprio perché le hai progettato la vacanza senza avvertirla?”

Scott sospirò, grattandosi la nuca. “Voglio proporglielo … non obbligarla. Insomma, io voglio tornare laggiù e penso che le farebbe bene cambiare aria. Non penso di sbagliare a proporglielo, no?”
Se te ne vai e la metti di fronte ad una scelta non glielo proponi. La obblighi.
Persino lui riusciva a capirlo.
“Stai facendo sul serio, eh?” Interloquì Jordan perplesso. “Attento che questa roba per le ragazze prelude al Grande Passo, quello che sta per fare il nostro amico biondo e seminudo laggiù.” Indicò con il bicchiere Scorpius che stava cercando di trascinare Potter sulla pista da ballo.
Scott doveva essere molto ubriaco da come fece fatica a raddrizzarsi sulla sedia. “Ehi…” Disse con tono cospiratorio. “… io la amo e farei tutti i grandi passi necessari.” Buttò giù quello che restava della sua birra e continuò. “L’Inghilterra le succhia via l’energia, e non ditemi che è vero. La sua famiglia, i casini che succedono in continuazione in cui viene sempre tirata dentro … Le fanno male. E cambiare aria, andarsene … non è fuggire, okay? È … cambiare aria, ecco tutto. E la renderebbe più serena.”
La sbronza adesso era virata sul sentimentale, ma Sören non aveva più voglia di prenderlo a pugni.
Ha ragione. Può sbagliare a metterle ansia, ma vuole renderla felice. Come vuoi tu.
L’unica differenza è che lui può riuscirci.
Aveva bisogno di prendere aria. “Lascio la mano.” Comunicò agli altri giocatori, alzandosi in piedi.
“Ehi Prince, non ti allontanare!” Gli fece eco uno dei due auror della scorta, che Scorpius aveva magnanimamente invitato a festeggiare con loro.  
“Vado a fumarmi una sigaretta fuori dalla porta.” Sbottò, scappando come il carcerato che in fondo ancora era.
Uscì fuori e ispirò l’aria umidiccia e ancora calda della sera. Ne prese ampie boccate, senza riuscire a smettere di aver voglia di prendere a pugni qualcuno, qualcosa, qualsiasi cosa. Il bersaglio fu il muro fuori dall’entrata, una, più volte, finché non sentì male e non si accorse di aver sbriciolato parte dei mattoni. Li aveva colpiti con quella mano.
Sei un idiota.
Inspirò, osservando con sconforto le nocche abrase e il sangue.
Può riuscirci, e sai perché? Perché non è un ex tirapiedi di uno stregone, perché non è un galeotto fuori per via della pietà di una strega … Avrà dei difetti, ma è comunque migliore di te.
Se Ross avesse avuto abbastanza accortezza e cervello dal proporglielo nel mondo giusto Lily avrebbe potuto accettare.
L’Inghilterra le sta stretta e ama la sua famiglia ma non sopporta di averla come biglietto da visita.
E poi ci sono gli incubi.
È abbastanza per farti venir voglia di andare via.
Se lo scozzese giocava bene le sue carte avrebbe potuto avere l’Australia, il suo bel lavoro … e Lily.  
Perché ai bravi ragazzi come Scott le cose andavano sempre bene.
Appoggiò la nuca contro il muro e si accese la sigaretta per cui ero uscito, realizzando che la cosa peggiore di quella notizia era stata capire cosa davvero significava per lui.
Non è l'Australia il problema …
Dopotutto poteva scrivere a Lily comunque: gli uffici postali magici c'erano anche là.
… Il problema è che non vuoi che stia con lui. Qui o in Australia.
Vuoi che stia con te.
Aveva bisogno di camminare, muoversi. Non si allontanò molto, giusto una decina di passi  nell’ancora abbastanza trafficata via centrale: c’erano soprattutto capannelli di ragazzi o nottambuli che si stavano facendo passare la sbronza. Passò accanto ad una coppia che passeggiava abbracciata, si ricordò il pomeriggio con Ama ed ebbe voglia di trovare un nuovo muro su cui sfogare la frustrazione.
“Ehi, principino, qualche spicciolo?” Chiese un mendicante su cui quasi inciampò, troppo preso ad invidiare la coppia di fronte a sé.
Gliene gettò un paio, tirando dritto. Fu solo venti metri dopo che realizzò. Venti metri dopo e si rese conto cdi come lo aveva chiamato il mendicante. Tranne Milo c'era un unica persona che lo chiamava così.
Quando si voltò, Johannes già correva.

Fu un sollievo poterlo inseguire.
 
****
 
Note:

Capitolo medio-lungo per farmi perdonare e il prossimo, che è il seguito diretto di questo, sarà pieno d’azione! ;D Diamo un senso alla tag 'avventura'! Per quanto riguarda le recensioni sono la solita imbarazzante pigrona, arriveranno le risposte e GRAZIE. Come sempre, gente, siete il carburante e motore di questa storia!
Questa la canzone del capitolo. Le altre due utilizzate sono rispettivamente questa e questa.
  
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