A
Deb, che oggi è andata a vedere Catching Fire.
A
Deb, che si è regalata la visione del filmone,
quindi
non so se una storia potrà competere con quel regalo.
A
Deb, che oggi compie gli anni.
Tanti auguri,
cara!
Come in uno specchio
Peeta avrebbe
voluto poter dipingere Katniss come una volta, lo avrebbe voluto sul
serio.
C'erano decine
di suoi vecchi quadri che la ritraevano in piedi di fronte alla vetrina
della panetteria, seduta davanti a un banco di scuola, addormentata in
una caverna rocciosa, intenta ad intrecciarsi i capelli, occupata nelle
più normali delle azioni quotidiane.
Ma quei
dipinti ormai appartenevano ad un passato che non riusciva
più a sentire suo.
Avrebbe voluto
capire cos'era che una volta lo spingeva a ritrarla con una tale
frequenza, in situazioni che non avevano nulla di interessante
né di particolare. Lo aveva chiesto a Delly, e lei, con la
sua cauta franchezza, gli aveva detto che era stato l'amore. Erano lui
e l'amore che provava a trovare interessanti quelle scene, a trovarle
particolari.
E
così, a quanto pareva, il vecchio Peeta ritraeva Katniss,
quando voleva esprimere il proprio amore.
Il nuovo Peeta
aveva pensato a lungo a questa cosa, e alla fine si era chiuso a chiave
in una stanza e aveva tirato fuori una tela immacolata. Non sapeva dove
l'avrebbe portato questo tentativo, ma era una cosa che doveva provare.
Aveva iniziato
con qualcosa di semplice, anche dal punto di vista emotivo. Aveva
scelto la cosa più rilassante a cui riusciva a pensare, un
tramonto, e aveva deciso di ritrarlo alle spalle di Katniss. Pensava
che l'idea di aggiungere questo particolare al quadro potesse mitigare
eventuali influssi negativi e pensieri indesiderati, e lo lasciasse
dipingere in pace.
Aveva
cominciato a ritrarre Katniss con poche, decise pennellate.
Questo l'aveva
stupito. Non aveva ancora recuperato il suo tocco, la sua
abilità. Tutti i suoi tentativi prima di quel giorno avevano
mostrato una certa dose di insicurezza, un lieve tremore nella mano che
impugnava il pennello, dei tentennamenti che prima non c'erano.
Questa volta,
invece, Peeta si era ritrovato a tracciare con una linea pulita l'ovale
definito del suo volto, senza indugiare nemmeno nella scelta della
giusta tonalità per la pelle. Sentiva che la sua mano sapeva
perfettamente cosa stava facendo.
Da qualche
parte, sepolta da strati di pensieri che Peeta non se la sentiva di
affrontare, era ancora nascosta la sua indole artistica. Il pensiero
aveva fatto affiorare un piccolo sorriso sul suo volto, e nel
rilassarsi si era reso conto di quanto effettivamente fosse teso,
lì seduto sul ciglio del suo sgabello, rigido come una
lastra di pietra.
Aveva mosso di
nuovo il pennello sulla tela, ascoltando il leggerissimo fruscio delle
setole sul cotone bianco. Lo strumento si era lasciato dietro una scia
di colore, e lui era rimasto a fissarla come affascinato. Il dottor
Aurelius gli aveva consigliato di tornare a dipingere non appena se la
fosse sentita, perché avrebbe potuto fargli solamente bene.
Segui il pennello con gli occhi,
Peeta, gli aveva detto un giorno a Capitol City,
mostrandogli lui stesso il movimento. Solo con gli occhi, non muovere
la testa. Non ti senti meglio? Più tranquillo?
A quanto
pareva era una tecnica terapeutica, e lui poteva utilizzarla in ogni
momento di ansia o panico per provare a calmarsi.
Peeta aveva
osservato la sua mano aggiungere al dipinto la prima traccia dei
capelli scuri di Katniss, raccolti nella solita treccia. Le linee del
suo pennello erano quelle di una mano che conosceva bene il volto che
stava ritraendo.
Per ultimi
aveva lasciato gli occhi e la bocca, per un motivo che gli era oscuro.
Di solito una delle prime cose che raffigurava era proprio lo sguardo
del soggetto, sul quale poi costruiva l'intero volto.
Questa volta
però Peeta era restato a guardare la sua mano definire due
occhi che non conosceva. Erano scuri, maligni, con una luce freddamente
spietata congelata al loro interno. Poi aveva tracciato la bocca,
piegata in una crudele curva rossa come il sangue, e improvvisamente
Katniss si era trasformata nell'immagine che affiorava sempre troppo
spesso nei suoi pensieri di ibridi e nei ricordi violenti.
Nonostante
tutto, grazie alla tecnica di rilassamento Peeta era più
calmo del solito, ed era in grado di osservare con animo più
distaccato quello che riempiva la parte oscura della sua mente.
L'ibrido Katniss lo fissava diabolico, immortalato sulla tela.
Era entrato
nella propria camera ed aveva aperto il cassetto del comodino di
sinistra. Sul fondo, come sempre, era appoggiata una foto solitaria.
Peeta l'aveva presa ed era tornato nello studio, sullo sgabello davanti
alla tela.
I ragazzi
nella foto erano lui e Katniss. Era stata scattata al tempo del Tour
della Vittoria, da uno dei tanti fotografi che si aggiravano intorno a
loro come avvoltoi ad ogni occasione pubblica. Peeta non riusciva a
ricordare in che Distretto fossero, e la cosa gli aveva fatto sentire
un sapore amaro in bocca, quello del rimorso. Avrebbe voluto ricordare
quell'occasione.
La foto era
scura e un po' storta, come se fosse stata scattata di nascosto in un
luogo e momento privi delle condizioni ideali. E probabilmente era
proprio così.
Lui e Katniss
erano appoggiati ad un muro, uno accanto all'altro, chini sulle mani
che Peeta teneva distese. Sopra i suoi palmi c'erano un trionfo di
dolcetti che si intravedevano appena, e loro due sembravano intenti ad
assaggiarne il più possibile, come due normali adolescenti
che fanno qualcosa di un po' fuori dalle regole e trovano proprio in
quello il loro divertimento. Erano sicuramente sfuggiti ad una cena di
gala, ad un banchetto, o ad un qualche festeggiamento in pompa magna.
Lui indossava un completo scuro, o almeno così sembrava dal
colore della foto, e in quell'istante sembrava, nonostante tutto,
veramente felice.
Peeta aveva
guardato con attenzione la foto che ormai studiava regolarmente.
Katniss aveva i capelli raccolti, un lungo vestito chiaro e un piccolo
sorriso sulle labbra.
Poi aveva
alzato lo sguardo dalla fotografia, puntandolo sul dipinto di fronte a
sé. Due occhi assetati del suo sangue, occhi di mostro, non
di essere umano, lo guardavano fisso.
Come poteva
una ragazza come quella nella foto, spaventata e nonostante tutto
sorridente, essere la stessa che vedeva rappresentata nel quadro, nella
sua testa? Era come guardare un'immagine riflessa sulla superficie di un lago e scoprirla orrendamente distorta.
La foto che aveva tra le mani era reale, forse l’unica certezza, ma non riusciva a ricordarla né a sentirla sua. Era la verità di un passato che aveva perso per sempre, andato distrutto in mille frammenti lucenti ricaduti chissà dove.
Il dipinto, invece, era frutto della sua mente: per quanto distorta e terribile fosse quella realtà, era l’unica con cui riusciva a relazionarsi. Aveva raffigurato il volto del proprio incubo.
Il tormento che lo soffocava era lì, come in uno specchio. E rimandata da quella stessa tela poteva vedere anche l’immagine del nuovo se stesso, il ragazzo che non era più e l'uomo che era diventato. Spezzato, incapace di distinguere il vero dal falso, violento, ossessionato.
Gli occhi
freddi di Katniss ora lo fissavano sprezzanti e lo schernivano,
ricordandogli l'abisso in cui era finito. Tutti i giudizi del mondo
sembravano pesare su di lui direttamente da quello sguardo spietato,
tutte le accuse delle persone che aveva conosciuto, le voci delle
persone che aveva amato.
Peeta avrebbe
voluto distruggere il dipinto e tutto ciò che rappresentava
– il suo depistaggio, i suoi incubi, la sua debolezza
– ma sapeva che non era la cosa giusta da fare.
Quel ritratto
era la chiave per studiare se stesso, giorno dopo giorno, e uscire
lentamente da quel tunnel di ricordi distorti. E alla fine, forse,
tornare a dipingere Katniss.
Sapeva che uno
dei punti fondamentali per ritrovarsi stava anche nel ritrovare lei.
Perchè non avrebbe mai potuto dire di essere Peeta Mellark
se non avesse riacquistato consapevolezza di ciò che aveva
passato negli ultimi anni, e non avesse ricordato quanto di tutto
questo aveva condiviso con lei.
Con calma e
impegno per lui c'era la possibilità di capire di nuovo che
cosa ci fosse di speciale in quei vecchi quadri, che ora sembravano
così semplici, così ordinari.
Sarebbe stata
una lotta, ma se avesse vinto forse sarebbe riuscito a ricominciare a
ritrarla in dipinti del genere. E in quel caso, giorno dopo giorno,
avrebbe provato ad accettare il nuovo se stesso, ed il modo inaspettato
in cui l'avrebbe amata.
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Eccoci qua!
Fandom, finalmente ci siamo! Oggi è uscito Catching Fire!
Per i
fortunati tra voi che sono già andati a vederlo non vi
azzardate a fare degli spoiler, perchè io andrò a
vederlo sabato. Non mi va di spargere sangue, sono troppo stanca,
quindi fate i bravi.
Bene,
ritornando alla storia. Iniziata in data 6 ottobre, terminata 10 minuti
fa. Il riassunto della mia vita di fanwriter, in sostanza. Spero
davvero tanto che sia omogenea, che abbia un senso logico e soprattutto
che Peeta non sia OOC.
Capisco che si
tratta di un bel mattone, perchè è tutta
introspettiva, ma era una sfida con la quale volevo misurarmi. In
più, se non sbaglio, Deb ama Peeta e ama l'introspezione,
quindi ho cercato di fonderle insieme ^^
A un certo
punto nella storia il dottor Aurelius nomina una tecnica terapeutica.
Non sono un'esperta, ma se non erro dovrebbe essere una cosa sensata e
fondata. Se non fosse così, prendetela come medicina e
psichiatria del futuro ^^
Un abbraccio a
tutti i lettori e ancora auguri alla festeggiata!
wip
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