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È
a questo che servono gli amici
Tonks
era talmente
concentrata nel tentativo di far Levitare il vassoio con il brodo di
pollo che Molly aveva preparato per Remus – e di non
inciampare, di
non cadere, di non rovesciare niente –
che finì per non
accorgersi di avere un laccio dell'anfibio slacciato e
caracollò sul
pavimento a pochi passi dalla sua stanza.
Riuscì
a tenere la
bacchetta alzata per un soffio e il brodo rimase a mezz'aria,
traballante ma tutto sommato integro.
«Porca
vacca...»
brontolò mentre si rialzava piano. «Ce l'avevo
quasi fatta».
«Tonks?»
la chiamò
la voce preoccupata di Molly. «Hai lasciato cadere il mio
brodo?».
La
ragazza chiuse le
palpebre e sospirò. “Tonks, stai bene?”
era una domanda che la
gente smetteva di porle dopo poco più di un'ora.
All'incorreggibile
spirito materno di Molly erano serviti tre giorni prima di capire che
lei se la sarebbe sempre cavata – le vittime era sempre
l'universo
sventurato che la circondava.
«No,
Molly» la
rassicurò. «Il tuo brodo respira
ancora».
Si
avvicinò alla
stanza di Remus e bussò cauta un paio di volte. Non ottenne
alcuna
risposta, così bussò più decisa.
Ancora niente. Sirius l'aveva
avvisata che Remus tendeva ad avere un sonno particolarmente pesante.
La mattina successiva ai pleniluni, poi, avrebbe potuto dormire anche
sotto un bombardamento dell'Aeronautica Babbana. Abbassò la
maniglia
e infilò la testa.
La
luce che filtrava
dalle imposte semiaperte era a malapena sufficiente a farle
distinguere i profili del letto e della mobilia. Considerò
attentamente le possibilità che aveva di servire il pranzo a
Remus
senza rischiare di uccidersi: poche. Nella migliore delle ipotesi,
avrebbe ucciso lui.
«Ehm...
Remus?».
L'uomo
continuò a
dormire.
«Oh,
accidenti» si
lamentò. «Tipico di voi uomini dormire quando una
donna ha bisogno
di supporto morale...».
Entrò
con estrema
lentezza nella stanza, muovendo un piede dopo l'altro come se temesse
di sprofondare nelle assi del pavimento e stando molto attenta a far
Levitare per bene il brodo. Fu questione di un secondo prima che
sbattesse il ginocchio contro una pericolante pila di libri e cadesse
al suolo. Questa volta non ci fu proprio niente da fare: la ciotola
del brodo decollò dall'altra parte della stanza e si
infranse a
terra con uno schianto secco.
«Porca
vacca!»
imprecò a gran voce.
Dal
letto di Remus si
sollevò un mormorio infastidito. Tonks gemette sconsolata,
si
rialzò, agitò la bacchetta in direzione della
finestra e fece
entrare un po' più luce. Rivolse un'occhiata arrabbiata al
brodo che
si stava spandendo sul pavimento e ai cocci rotti, poi
fulminò i
libri su cui era inciampata. Ne sollevò uno con aria
curiosa.
“Evoluzione della Demonologia Difensiva, volume XV”
pesava quanto
un Gigante ed era largo almeno il doppio. Poi si azzardò a
scrutare
Remus e si accorse con grande stupore che era ancora addormentato.
Per
qualche strana
ragione, si accorse solo dopo diversi secondi che l'uomo era
completamente nudo e che la coperta era scivolata molto in basso
–
pericolosamente in basso, dovette ammettere. Si sentì
avvampare e
serrò d'istinto le palpebre.
«Porca
vacca. Ancora
porca vacca, cento volte porca vacca...».
Riaprì
lentamente un
solo occhio, molto piano, molto cautamente. Poi aprì anche
l'altro,
arricciò le labbra e piegò il capo interessata.
Remus era davvero
magro (non quanto sosteneva Molly, certo, perché le costole
non
parevano in procinto di schizzargli via dal torace), ma non pareva
deperito come si ostinava tanto a ribadire. Più che di
muscoli,
Remus sembrava fatto di nervi. Non era nemmeno lontanamente villoso
come lei si era aspettata. Probabilmente si era lasciata influenzare
un po' troppo da tutta quella nenia della licantropia che lui
continuava a ripetere. Aveva una sottile linea di peli biondicci che
scendeva dal petto e attraversava lo stomaco e Tonks si
sforzò di
distogliere lo sguardo dal punto in cui conducevano. Nel complesso,
non era affatto la visione mostruosa che l'Ufficio
per il
Controllo e la Regolazione delle Creature Magiche sbandierava con
tanto impegno. Notò solo in quell'istante il considerevole
numero di
cicatrici che gli ricoprivano il corpo – e si
domandò come avesse
potuto non vederle prima. Ne aveva davvero tante. Alcune sembravano
piuttosto vecchie, tetre e ancora più pallide del suo
colorito
cereo, mentre altre erano vivide e intense, e gli deturpavano grandi
zone di pelle. Quella sul suo fianco sinistro era indubbiamente la
più raccapricciante: la carne si era rimarginata in piccole
pieghe
frastagliate, bianca come il lenzuolo che non riusciva a coprirla.
“È
strana” pensò Tonks. “È come
se...”. Riconobbe l'evidente
segno di un gigantesco morso e si diede della stupida. “Come
se
fosse cresciuta insieme a lui”.
Venne
colta
dall'irrefrenabile impulso di abbracciare quel moribondo disgraziato.
«M-Molly?»
biascicò
improvvisamente Remus. Aprì debole gli occhi e
ruotò la testa sul
cuscino.
«No,
sono Tonks». Si
avvicinò al letto e gli tirò la coperta fino al
petto. «Sei
sfortunato: Molly non avrebbe mai permesso al tuo brodo di
schiantarsi sul pavimento. Adesso torno in cucina, ne prendo
dell'altro e ci riprovo».
Remus
sembrava confuso.
«N-Ninfadora?
Che c-ci
fai qui?».
«Ehi»
protestò lei
con tono vivace, appoggiandogli una mano sulla spalla. «Ho
capito
che preferisci Molly come crocerossina, ma potresti anche
accontentarti».
Lo
vide arrangiare un
sorriso timido. Era talmente debole che Tonks non ebbe la forza di
rimproverargli l'uso del suo nome di battesimo.
«Vado
a prenderti
dell'altro brodo. Indovina? Sono caduta».
«N-non
importa. Non ho
molta fame».
Tonks
fece una smorfia
severa.
«Scordatelo,
devi
mangiare. Sei così pallido che avrei potuto confonderti con
il
lenzuolo».
Lui
si umettò le
labbra secche e scosse spossato la testa.
«M-Molly?»
ripeté di
nuovo. Questa volta la sua voce aveva una punta di vaga ironia.
«Hai
f-fatto qualcosa ai capelli? Sono viola».
Tonks
rimase in
silenzio qualche secondo, poi roteò gli occhi al cielo con
finta
esasperazione.
«Sei
a un passo dalla
morte e trovi ancora il tempo di fare battute stupide»
commentò
divertita. «Voi audaci Grifondoro non smetterete mai di
stupirmi».
«Cosa
fate voi
Tassorosso quando s-state male?».
Tonks
sorrise.
«C'è
sempre un audace
Grifondoro che ci porta a letto il brodo di pollo e non inciampa nei
suoi stessi piedi».
La
risata di Remus si
trasformò in fretta in un vago colpo di tosse.
«Forse
dovresti
riposare un altro po'» propose lei.
«No,
sto bene».
«Come
non crederti? Ti
potrei raccogliere con il cucchiaio, se solo non fosse finito da
qualche parte sotto il letto».
Lui
esalò un soffio
doloroso.
«Dico
davvero. Sono
a-abituato. Entro questo p-pomeriggio sarò di nuovo in
piedi».
Tonks
fece una smorfia
incerta.
«Non
credo».
«Non
dubitarlo».
«Dubito,
invece: è
già pomeriggio. Hai dormito tredici
ore» commentò
divertita. «Il prossimo mese non bere Whisky Incendiario la
sera
prima della luna piena».
Remus
parve un po'
risentito.
«Sei
stata tu a
convincermi».
«Allora
non lasciarti
convincere più» replicò maliziosa.
«Non devi sempre fare tutto
quello che ti dico, sai?».
«Diventi
insopportabile quando mi rifiuto».
Tonks
spalancò
oltraggiata la bocca e si portò una mano al petto, ma sul
suo viso
c'era una smorfia allegra.
«Che
ingrato! E io che
ero venuta qui con l'intenzione di farti stare un po' meglio».
Negli
occhi di Remus
comparve una luce di sincera riconoscenza.
«Grazie,
Ninfadora».
Non
c'era più alcun
sarcasmo, non c'era più niente del tono affabile con cui di
solito
si divertiva a reagire alle sue canzonature. Tonks ne rimase
profondamente colpita, e tutto d'un tratto non aveva più
voglia di
prenderlo in giro. C'erano un sacco di battute che avrebbe potuto
fare. Avrebbe potuto dirgli che stava solo cercando di circuirlo
perché aveva sentito eccitanti storielle su certe
caratteristiche
dei Lupi Mannari che avrebbero fatto rizzare i peli della nuca di
Molly; avrebbe potuto accennare al fatto di essere stata pagata da
Malocchio per non far morire di stenti l'unico membro dell'Ordine
della Fenice con un po' di sale in zucca; o magari avrebbe potuto
fingere che in realtà fosse davvero morto e che Grimmauld
Place
fosse l'inferno eterno che gli era toccato, pieno di adolescenti in
crisi ormonale di cui Sirius era il capo indiscusso e di demoni e
elfi domestici che cercavano di mordere i polpacci dei dannati a ogni
passo.
Alla
fine non disse
niente del genere - non disse proprio nulla. Non si era nemmeno resa
conto che lui l'aveva chiamata “Ninfadora” per
l'ennesima volta,
e se di solito reagiva alla provocazione colpendolo con qualsiasi
oggetto potenzialmente contundente, quella volta sorrise appena e
appoggiò la propria mano sulla sua. Era gelida,
così iniziò ad
accarezzargli la pelle nella speranza di scaldarlo.
«Stronzate»
lo
schernì con affetto. «A che altro servirebbero gli
amici?».
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