honeyhoney
Prima di leggere il
capitolo, vi consiglio di andare qui (http://pharm1.pharmazie.uni-greifswald.de/systematik/7_bilder/yamasaki/yamas355.jpg ), perché
Non credo capireste
di cosa sto parlando ^^
PS dal prossimo capitolo si inizia
a trombareeeeeeeee
Capitolo
Cinque: Honey, Honey
Uno dei
simboli universalmente riconosciuti del Giappone, è senz’altro l’albero ginko
biloba.
Le sue
deliziose foglie, simili ad ombrellini, fanno sempre da contorno, insieme a
quelle dei ciliegi, agli scenari tipici del mio paese.
La foto di
una geisha di Kyoto immortalata tra un ciliegio e un ginko è l’immagine mentale
che praticamente chiunque ha del Giappone romantico, quello da cartolina, il
Paese Del Sol Levante, dove tecnologia e tradizione si fondono in un unico
grande abbraccio.
Quello che
nessuno si preoccupa mai di dire, è che il ginko biloba, oltre ad avere graziosissime foglioline, è un albero da
frutta.
E i frutti
in questione puzzano di vomito.
Così, un
meraviglioso giorno di primavera, con il sole alto nel cielo e l’odore
dell’estate ormai alle porte, camminando nel cortile del tuo Liceo immersa nei
più rosei pensieri, mentre una pioggia rosata di petali di ciliegio pare
segnarti la via da percorrere... ZACK!
Ne pesti
uno e sai da vomito per tutto il giorno.
Stavo
pensando proprio a questo mentre osservo distrattamente l’azzurro intenso del
cielo. Notare quanta poesia mi suggerisce un paesaggio di cotanta bellezza.
“... e
insomma è per questo che è da lunedì che non vieni più a scuola?!”
Annuisco
svogliatamente, evitando con cura di guardare negli occhi la mia attuale vicina
di banco.
Fino
all’anno scorso, Ruka aveva per così dire “rimpiazzato” il posto di piccola
delinquente che io per due anni avevo lasciato incustodito. Finché
l’anno prima non era stata bocciata, ed aveva deciso di mettere la testa
apposto.
Questo più
di tutto ci accomuna, credo.
L’aver in
parte rinunciato ad una vita che ci stava sfuggendo di mano per cercare di
riprendere le redini del nostro futuro.
Solo che
ora il suo obbiettivo pareva quello di trasformarmi in studentessa
modello.
“ Si, e mi
pare proprio un motivo sufficiente...”
“Stare
quattro giorni a casa nell’anno degli esami solo perché Akira Sendoh ti ha
visto mentre prendevi a testate un palo dopo che gli hai detto che volevi
scopartelo?”
Per un
attimo ci guardiamo negli occhi, in assoluto silenzio.
“BHWAHAHAHAHAHA!”
“Ruka,
cazzo!” Sbotto seccata, battendo il pugno sul soffice tappeto d’erba sul quale
siamo sedute. “Perché ridono tutti quando lo racconto?”
“Perché
sei una demente!” Qualche fremito di riso ancora la scuote mentre si asciuga le
lacrime con la manica della divisa, ben attenta a non sbavarsi la matita. “Così
impari e non tenere la bocca chiusa”.
“Ma ero
ubriaca, Ruka! Era già un miracolo che riuscissi ancora a capire chi avevo
davanti!” Cerco di giustificarmi.
“Ah,
lasciamo perdere...” Reclina la schiena, appoggiandosi al tronco dell’enorme
ciliegio che ci sovrasta. Silenziosamente, estrae due sigarette dal suo
pacchetto, e me ne lancia una.
“Grazie...”
“La
avanzavi...” Con un rapido gesto, sfila un accendino dal pacchetto e accende la
mia e la sua. “Comunque... Te l’ho detto che anche a me piaceva Sendoh?”
Abbandono
la schiena contro l’albero sconsolata. “Anche
a te?!”
“Perché? A
chi altri piaceva?”
“A chi?”
Domando piuttosto risentita “Faccio prima a dirti a chi non piaceva, te lo assicuro...”
“Beh,
immagino...” Si limita a rispondere pacifica stringendosi nelle spalle “Sai che
ci siamo anche sentiti per un pochino?”
Alzo gli
occhi al cielo completamente esasperata. Sembra proprio che, quando ancora era
alle medie, Akira Sendoh si sia sentito con qualunque
essere femminile minuto di cellulare.
In questi
tre giorni, infatti, Minako aveva cominciato ad indagare approposito,
riferendomi qualunque pettegolezzo fosse girato su di lui dai 4 anni in su.
“Comunque
faresti meglio a parlargli almeno, così ti togli il pensiero...”
“Fossi
scema!” Ruggisco sbalordita, sbarrando gli occhi. “Non gli ho parlato per un
anno e mezzo, penso che sopravviva lo stesso anche senza me!”
“Bah, fa
come vuoi...” Non degnandomi di ulteriori spiegazioni, Ruka si issa in piedi e
mi volta le spalle, incamminandosi verso l’entrata. scocciata
Sbuffo irritata,
tornando a rivolgere la mia attenzione al colore del cielo. La pausa pranzo
ormai sta per finire, e se non mi fossi decisa ad alzare le chiappe da lì non
mi sarei più mossa per tutto il pomeriggio.
E l’ultima
delle cose che mi servivano era quella di perdere altre ore.
A fatica
mi tiro a sedere, gettando il mozzicone di sigaretta aldilà della recinzione
della scuola, memore delle ripetute minacce ricevute da tutto il corpo docenti
per la mia “acuta maleducazione”
(inglese), “totale noncuranza verso la
struttura scolastica” (matematica), “sorprendente
villania” (giapponese), “ estrema
riluttanza verso ogni qualsiasi forma di
disciplina” (economia domestica) ed infine, la mia preferita, per la mia “insopportabile sfrontatezza, unita ad una
deplorevole mancanza di umiltà ed ad un completo disinteresse per le regole
base di convivenza civile” (chimica).
Tutto
questo perché butto le cicche a terra, notare bene.
Muovo
qualche passo nella direzione verso la quale si è allontanata Ruka, facendo
ciondolare meccanicamente la testa da destra a sinistra, completamente persa
nei miei patetici filmini mentali.
Senza
averne pienamente coscienza, afferro il cellulare e scorro la rubrica, fino a
che i kanji di un nome ben preciso, del
nome per eccellenza, non mi saltano agli occhi.
Interrompo
il mio pseudo balletto (che noto solo ora mi ha fatto guadagnare un discreto
pubblico) per mettermi a fissare intensamente lo schermo del telefono, come se
mi aspettassi di vederci comparire qualche strano alieno verde.
....Comunque faresti meglio a
parlargli almeno, così ti togli il pensiero... ha detto Ruka.
Scandisco
bene ogni singola cifra del suo numero, mormorandola piano. Vabbé, in fondo che
cos’ho da perdere?
La
dignità?
Naaaah,
quella dev’essere rimasta incastrata tra un “ti scoperei” e un “ti
legherei al letto”
Come a
rallentatore, mi porto il telefono all’orecchio, ascolto il breve squillo per
poi allontanarlo quasi terrorizzata. Ecco, l’ho fatto.
Vai Miyu,
tu si che hai il coraggio di un vero Grifondoro (=__________________= Scusate
non ho resistito NdLucilla).
Sollevo la
testa, e per un attimo credo seriamente che il mio subconscio si sia improvvisamente
materializzato davanti a me, fornendomi una chiara e vivida immagina di un
Akira Sendoh con il cellulare in mano, tutto intento a fissare interessato lo
schermo.
Sbatto gli
occhi un paio di volte, realizzando che, Come Salvador Dalì, potrei diventare
una promettente pittrice surrealista, o (cosa decisamente più realistica)
dovrei proprio smetterla con gli allucinogeni il sabato sera.
Ma niente.
L’alta
figura rimane lì dov’è, mentre sul suo viso sboccia un sorriso allegro e
gioviale, dolcemente più malizioso del solito.
Lo osservo
basita alzare gli occhi da terra e incontrare finalmente il mio sguardo.
“Ma che
coincidenza!!” Esclama estasiato, camminando spedito verso di me. “Ciao Miyu!”
Passo
dall’incredulità alla gioia in una frazione di secondo, mentre mi si dipinge in
viso un sorriso a dir poco ebete. “Akira!”
“Ma
dov’eri finita?” Mi chiede, mentre si ferma a meno di mezzo metro da me.
Vicino. Troppo vicino. “Sono giorni
che non ti vedo!”
Alché
sbianco. “Ehm... sai...”
Il suo
sguardo, limpido e solare, si incupisce per un attimo, pensieroso. “Non mi dire
che è per la faccenda di sabato, eh?”
La mia
espressione credo parli per me.
“Non ci
credo!” Sbotta grave. “Ti stai facendo problemi per una cosa simile?”
“Ma
veramente...”
“Non anzi,
ti stai facendo problemi per una cosa del genere con me?!?”
Un
secondo.
Un battito
di ciglia.
L’ istante
che mi ci vuole per sgombrare del tutto la mente, nel tempo in cui mi sento
sommergere da una sensazioni di tenerezza infinità, totalmente estranea alla
mia personalità.
Vedo i
suoi lineamenti così puliti, quasi infantili, e il cuore mi si riempie di
felicità, così pura e intensa che quasi stento a riconoscerla come tale.
Cancello
in un baleno i due anni divisi, i giorni passati a cercare di nascondermi al
suo sguardo e mi lascio andare alla naturalezza, la stessa che provavo nel
parlargli agli inizi, quella che ci unisce così strettamente.
“Sono una
deficiente...” Ammetto, alzando finalmente gli occhi su di lui.
Come da
copione, scoppia a ridere, posandomi una mano sulla testa. Un gesto una volta
così normale che ora vivo come un esperienza straordinaria. Sento il suo tocco
leggero, il calore del suo palmo, l’aurea di tranquillità che emana. “Parliamo
di sabato?”
Presa in
contropiede, sussulto “Adesso?”
Lo vedo
lanciare preoccupato un’occhiata all’orologio, sospirando tragicamente “No, hai
ragione, adesso devo scappare...”
Mi sfugge
un sospiro di sollievo, che lui non manca di notare.
“Una sera
magari ti vengo a trovare e ne parliamo, ok?” Lancia al vento con noncuranza.
“Ehhhh?” Strillo prima di portarmi la
mano alla bocca. Devo fare qualcosa per la mia incapacità di bloccare le
parole.
Intimorito
dal mio urletto isterico, Akira muove alcuni passi indietro. “Ah già scusa...
il tuo ragazzo...”
Ci metto
qualche istante a collegare “Ragazzo?”
“Beh,
si... ragazzo, fidanzato, come lo vuoi chiamare!”
“Ma
quale?”
“Come
quale?”
“Akira...”
Sbotto frustrata “Ci siamo lasciati mesi fa!”
Come
risposta, ricevo un sorriso dolce come il miele,
combinato ad un’espressione così infantile che per un attimo mi fa venire
voglia di gettargli le braccia al collo. “Ah si?”
“Si”
confermo, radiosa.
“Allora
posso passare una sera di queste?”
Stavolta
riesco a impedirmi di sgolarmi, camuffando il tutto con un ghigno non
propriamente innocente. “Ti aspetto. Fammi sapere”
“Ci
sentiamo per messaggio, ok?”
Accenno un
si, trattenendo il classico sorriso ottuso che mi sorprende ogni volta mi senta
eccitata per qualcosa. “Ciao Akira”.
Il
cortile, ormai svuotato, fa da silenziosa cornice al nostro saluto. Lentamente,
sempre con il sorriso sulle labbra, Akira si fa avanti, portando il suo corpo
contro il mio. “Posso?”
Deglutisco
a vuoto, con la bocca secca e le labbra dischiuse dalla sorpresa. Mi allungo
verso il suo petto, colmando la distanza tra di noi. Piano, attenta a non
rovinare l’attimo, gli poggio le mani sul torace, stringendo appena la stoffa
della sua camicia tra le dita. “Lo sai...”
“Lo so?”
Domanda artificiosamente ingenuo, mentre sento la sua presa sui miei fianchi. A
rilento si intrufola sotto la divisa, sfiorando la mia pelle, bollente.
In un
gesto quasi automatico, porto le spalle all’indietro, spingendo il suo tocco
verso l’alto. “Sai che puoi farlo...” Poggio le mie mani sulle sue e lo guido
verso il mio seno, senza smettere per un solo attimo di sostenere il suo
sguardo. “Se lo vuoi...”
Akira
sospira, lasciando la sua presa su di me con reticenza. “Devo andare...”
“Lo so...”
Mi scosto da lui, non riuscendo a non sembrare contrariata. “Vai”
“Ciao
porcellina” mugugna allegro.
“Ehhhh?”
Sbotta a
ridere divertito. “Porcellina”
Ripete.
“Idiota”
Replico, incapace di rimanere seria. “Vai”
“Porcellina”
dice prima di andare “Ricordati. Una sera di queste vengo.”
“Vaiiiiiii” Lo mando via con un gesto
della mano. “Suuuu!”
Lo guardo
allontanarsi, camminando all’indietro per prolungare il nostro saluto, le mani
allacciate dietro la schiena e il passo cadenzato, quasi salterellante, di chi
è spensierato e sereno da una vita.
All’ultimo,
mi volta le spalle e corre in direzione della palestra, offrendomi la completa
visuale di un fondoschiena da competizione.
“Che
scemo...” Mormoro compiaciuta, arricciando il naso. “Proprio uno scemo”
E prima
che ne abbia la piena consapevolezza, la sua immagine mi si stampa
indelebilmente nella retina.
...do you still
remember,
how we used to be?.
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