Meds
everytime
I rise I see you falling
can
you find me space, find me space
Mi
sveglio solo dopo qualche ora, il sole che filtra dalle tende, alto nel
cielo.
La
finestra che affaccia sulla terrazza è aperta - giusto un
soffio, tanto quanto basta per permettere ad una corrente gelida di
solleticarmi una spalla sopra il lenzuolo. Dominic non è a
letto. Le coperte dal suo lato sono stropicciate come un nido, ma il
profumo della sua pelle attacca come un cancro, impregna la stoffa dei
cuscini, l'aria che respiro, sogna il fantasma della sua presenza al
mio fianco.
Lo
trovo appoggiato al davanzale, poco distante, le spalle rivolte verso
di me per tre quarti; non mi guarda, non si è nemmeno
accorto che non dormo più; scruta il mare invece, i
gabbiani, le macchie sul vetro. Forse pensa.
C'è
qualcosa che somiglia a discreta eleganza nel modo in cui piega una
gamba sottile contro il muro - dita che grattano distrattamente l'osso
sulla caviglia. Ha addosso una vecchia t-shirt di mio fratello Paul,
una maglietta di Superman
che deve aver trovato rovistando in qualche cassetto mentre ancora
dormivo; è di un azzurro strano, sbiadito, chiazzata di
verde in parecchi punti e così grande che gli arriva oltre
ai gomiti e quasi a metà coscia; mi ricorda di quando la
domenica mattina scendevamo a fare colazione sul molo con la nonna e
Paul ordinava sempre il pane tostato coi fagioli.
“Dom,”
provo a chiamarlo; vorrei dirgli di tornare a letto perché
fa freddo. Tutto quello che riesco a produrre però
è un colpo di tosse.
“Hey,”
fa lui. Si arrampica mollemente giù dal davanzale, occhi che
si posano ovunque nella stanza tranne che su di me. “Ora
chiudo, avevo aperto solo per fumare.”
“Tranquillo,”
gli dico. Poi tossisco ancora.
C’è
puzza di sigaretta nell’aria - di Marlboro Red, quelle lunghe
- un aroma che difficilmente si armonizza con quello più
delicato dell’Earl Grey. Dom si abbassa sul tavolino per
recuperare la teiera ancora fumante, riempie una tazza fino
all’orlo e ci aggiunge due zollette.
“Ho
fatto il tè,” mi informa inutilmente.
“Mh,”
dico.
Non
so se ringraziarlo o prenderlo a sberle; alla fine accetto la tazza che
mi porge e decido di ignorarlo mentre mi si siede accanto, labbra
tirate in un sorriso appena accennato.
“Come
ti senti?” chiede.
“Non
lo so,” rispondo onestamente.
Il
tè brucia forte in gola; è una sensazione al
limite del piacevole, un fiume bollente che si batte per estinguere
quel che rimane dell’incendio di urla di qualche ora fa.
Prendo un respiro e lo mando giù tutto in una volta, a
grandi sorsi, Dom che finalmente mi guarda sopra l’oceano di
lentiggini che gli macchiano la faccia.
“Dobbiamo
ancora parlare,” gli dico quando ho finito.
Non
è più un gioco. Non lo è mai stato.
“Dammi.”
Dom
mi sfila la tazza ormai vuota dalle mani, sorride ancora -
“scusa,” dice - si allunga su di me per posarla sul
comodino al mio fianco; la maglietta che indossa si solleva come un
velo, scoprendo per un attimo il profilo della sua intimità
contro una coscia nuda.
“Ti
ho baciato,” ricordo a quel punto. Lui si blocca, le dita
ancora strette attorno al manico di ceramica, capelli che mi
solleticano il petto lì dove mi sfiora con la testa.
“Matt…”
“Ti
ho baciato,” ripeto.
Dom
non dice niente per un lungo minuto, se respira non fa rumore; alla
fine mi scavalca del tutto e si rimette in piedi, ripescando con mani
nervose il pacchetto di sigarette che ha lasciato sul tavolino affianco
alla teiera.
“Non
deve succedere più,” dice con una strana furia.
“Non
-”
"Non
ne parliamo," lo interrompo, "non è successo niente," ma poi
si rilassa un poco quando forzo un sorriso sulla bocca. “Mi
accendi una sigaretta?” gli chiedo a mo’ di scusa.
“No,
hai la gola già rovinata,” mi fa notare.
“E
di chi sarebbe la colpa?”
“Tua,
Matt,” taglia corto lui. “Volevi chiedermi di nuovo
dell’altra sera?”
“Sì,”
faccio. “Più o meno - devi parlarne con la
polizia.”
Dom
sembra non capire all’inizio; le sue sopracciglia si
corrugano in una smorfia ignorante, le spalle fingono indifferenza,
persino la sigaretta che ha in bocca sembra non avere la più
pallida idea di cosa stiamo parlando. In effetti non ce l’ha,
ma quello solo perché generalmente le sigarette non hanno
pensieri reconditi.
“Quel
tizio ti sta ricattando,” insisto. “Dimmi solo
sì o no.”
“Cristo…”
“Dom.”
Ci
mette un po’, ma alla fine annuisce. Si versa
un’altra tazza di tè - più per tenersi
impegnato che per reale desiderio, credo - poi ne offre una anche a me.
Rifiuto senza dire grazie.
“Ti
ha aveva già fatto del male?” gli chiedo.
Nessuna
risposta.
“Quel
figlio di puttana... Dom, devi -”
“Devo
un cazzo, Matt. Non parlare se non sai come stanno i fatti.”
“Ma
perché -”
“Perché
è così, ci sono cose che tu non sai -”
“Dimmele,
porca puttana, perché tutti questi segreti, lo sai che a me
puoi dire tutto!”
“No,
Matt. Tu non sai di cosa è capace quello
lì,” dice Dom all’improvviso.
Non
ci vedo più.
In
un attimo sono da lui e lo spingo contro il muro, poi lo tiro per la
maglietta e ce lo sbatto di nuovo. La tazza ancora piena ruzzola sul
tappeto già sporco di cenere; me la prendo anche con
l’abat-jour, lo sgabello, il vecchio portagioie di mia madre.
“E
ALLORA SPIEGAMI - SE NON LO SO DIMMELO TU, CAZZO!” urlo.
Dom
apre la bocca diverse volte ma tutto quello che riesce a dire
è: “Matt,
ti
prego, calmati!”.
Non ci riesco, però - lo prendo a schiaffi, due, forti,
sulla guancia.
“Sono
stufo di doverti leggere nella testa,” gli sputo addosso.
“Delle tue bugie, dei tuoi cazzo di pro-”
“Mi
sono scopato una minorenne!” grida lui alla fine.
Per
un attimo mi sento come se fossi stato io quello a ricevere il colpo -
sono lo sgabello rovesciato sulla moquette, gli orecchini di perla
sotto al letto; crollo. Dom si aggrappa con forza al bracciolo della
poltrona, cade di lato. Lo osservo mentre si piega, un braccio stretto
attorno allo stomaco per aiutarsi a respirare - o impedirsi di vomitare
- o forse entrambe.
“Pensavo
fosse uno scherzo quando me l’ha detto,” inizia a
spiegare. “Io… io ero strafatto. Non ci capivo
niente. Lui ci ha ripresi, ha detto che avrebbe spedito il video in
rete… voleva che facessi delle cose… gli
servivano contatti…”
Lo
ascolto per metà, la testa che mi scoppia.
“Ha
minacciato di rovinarmi. Me, la band… te,
Matt...”
Non
è vero, è tutto uno scherzo…
“Cos’altro
potevo fare?”
Potevi
venire dritto da me, potevamo risolverla insieme questa cosa!
“Matt,
ti prego… ti prego...”
Cristo...
Le
conto sulle dita di una mano le volte in cui ho visto Dom in questo
stato; sembra pazzo, cattivo, la bocca che trema come una foglia; parla
in fretta, sussurrando, la voce arrochita dallo sforzo.
“Non
ce la facevo più… era tutto troppo, e mi sentivo
così - tu - ero
- Matty,
ero così
solo e quella roba… mi aiutava a non pensarci...”
È
tutto rosso in faccia, Dom, i capelli ritti sulla testa lì
dove li ha tirati prima; mi guarda ora come mi ha sempre guardato - con
occhi grandi come il mare, esperti nella lettura così come
chiusi all’interpretazione. Attorno a quelle pozze
così belle ci sono già delle rughe - quanto
tempo è passato da quando ci siamo conosciuti?
“Così
solo…”
Dio,
sono un coglione.
“Scusa,”
gli dico cercando le sue dita con le mie. “Scusa Dom, non so
cosa mi sia preso.”
“Non
devi - non - sono io
a dovermi scusare, Matt, non volevo tenertelo segreto ma tu…
tu avevi già le tue cose per la testa, io -”
“Dom,”
lo interrompo. Ho le mani fredde e uno schifo immenso nel cuore -
perché fa così male quando si tratta di lui?
“Ho
perso il conto delle volte in cui te l’ho detto,
ma,” gli prendo la testa tra le mani, poggiando la mia fronte
alla sua un po’ accaldata. “Cazzo, Dom, ci vuole
così tanto a capire che io
sto male quando tu
stai male?”
Dom
piange adesso - lo fa nel suo modo strano, tutto singhiozzi e senza
lacrime. Lo abbraccio un po’, l’odore di naftalina
della maglietta forte nelle narici.
“Vedrai,
risolveremo tutto,” gli dico. “Parleremo con un
avvocato, troveremo un’accordo…”
“Matt,
perché mi…perché tu -”
“Hey,
calmati ora dai. Prendi un bel respiro e -”
“Perché
mi hai baciato?” singhiozza. “Stamattina - prima -
perché lo hai fatto?”
“Dom…”
“PERCHÉ
CAZZO?” urla.
La
realtà mi colpisce in quel momento - dura e precisa, come se
qualcuno avesse finalmente scostato le tende dalla Mona Lisa e scoperto
che cazzo c’avesse tanto da ridere poi.
“Tu
sei innamorato di me,” dico stupidamente.
“Cristo
-”
Dom
mi spinge via con urgenza, inciampa nel tavolino, da lì
afferra la teiera che manda in frantumi contro la parete - poi si china
e vomita sul tappeto.
Mia
nonna era stata la prima a dirlo, diversi anni fa, tra lo scherzo e il
sospetto tipico degli anziani ficcanaso: “quel ragazzino ha
occhi solo per te”. Il secondo era stato proprio Chris:
“riccioli d’oro pende dalle tue labbra,”
aveva detto. Tom ci aveva dato direttamente dei ricchioni; mio padre
aveva invece scelto di odiarlo da subito; Tanya mi aveva lasciato
quando aveva scoperto delle orgie miste che facevo con lui; Gaia mi
aveva accusato di “dipendenza morbosa da
batterista”; Kate si diverte ancora a ricordarmi con
frequenza odierna che lei è solo la seconda bionda della mia
vita. Dom - lui invece non ha mai detto niente; ma cosa vuoi andare a
raccontare ad un sordo, alla fine?
Mi
avvicino solo dopo qualche minuto di indecisione, gattoni al suo
fianco, scopro con sollievo che toccare una mano sulla sua spalla non
comporta necessariamente la fine del mondo; Dom sta ancora vomitando la
cena che non ha digerito l’altra sera, ma per qualche strana
ragione la cosa non mi ripugna come dovrebbe.
“Sono
un coglione,” gli comunico con una certa fretta - poi,
vedendo che non risponde: “quando hai finito fammi un
segno,” aggiungo.
Dom
mi dà un pugno sulla gamba, ma sta ancora vomitando, quindi
deduco che non sia quello il segnale. Mi faccio più vicino,
però, e con l’altra mano gli sposto i capelli
dalla fronte, asciugando il sudore raccolto lì.
“Mi
dispiace,” dico. “Sai - erm, questa cosa fa un
po’ schifo. Voglio dire, non tu - cioè, anche. Ne
hai un po’ sul mento, a proposito.”
“Dio,
Bellamy, taci - ugh, che schifo.”
“È
quello che ho detto.”
“Tu
parli troppo.”
“È
che ho un cervello che va troppo veloce, ogni tanto devo svuotargli la
memoria.”
“Sei
un’idiota.”
“Che
in greco antico non significa affatto scemo, è
più tipo “particolare”. Lo
sapevi?”
“No.”
“Ora
lo sai. Hai finito?”
“No.”
“Ma
non stai più vomitando…”
“Cristo,
ma vuoi stare zitto?”
Non
è come nei film - non è nemmeno come nei romanzi,
che di solito sono scritti meglio dei film. Se la nostra vita fosse
stata una commedia dal titolo: “Rockstar Confuse & un
Poco Ricchione”, a questo punto della trama Dom avrebbe
alzato la testa e mi avrebbe ficcato una lingua al dentifricio in gola.
O sul mento, dipende dall’inquadratura.
Ma
Dom - il mio Dom, quello vero, smoccolante e vomitoso - ha appena
tirato via la mia mano dalla sua fronte e mi sta riempendo di botte e
insulti.
“Sei
uno stronzo - lo sapevi, tu lo hai sempre saputo! - hai fatto finta di
niente per tutto questo tempo -”
“Chi
è lo stronzo che non me l’ha detto prima? Cosa
sono io, una specie di indovino?”
“E
secondo te avrei dovuto mandare tutto a puttane solo perché
- solo perché -”
“Se
tu me l’avessi detto - se tu solo me l’avessi fatto
capire invece di metterti a fare tutti quei giochetti -”
“Cosa,”
mi interrompe Dom, dandomi una spallata così forte che mi fa
perdere l’equilibrio. Cado di schiena sulla parte di tappeto
pulita - Dom mi è addosso solo pochi attimi dopo,
schiacciandomi per terra col suo peso.
“Tu che cosa Matt?” sibila.
La
verità scappa dalle mie labbra prima ancora che riesca a
rendermi conto di aver formulato un pensiero del genere.
“Io
non avrei mai avuto un figlio da lei,” mormoro. Fa male, ma
non solo a me.
La
faccia di Dom si contorce in una smorfia di dolore, mentre la
gravità porta le sue lacrime sul mio viso. “Sei
uno stronzo,” mi dice. “Sei un figlio di puttana,
sei -”
Ma
poi non lo so cos’altro sono, perché stavolta
è Dom ad arrendersi per primo.
“Voglio
baciarti,” confessa. “Ma non posso, sarebbe
completamente vile.”
Sto
per dirgli che non m’importa nulla di tradire Kate a questo
punto, ma poi lui fa una cosa strana e sputa per terra al mio fianco.
“Fattelo
bastare,” dice tornando più vicino.
“Mi
fai assolutamente schifo,” dico io.
E
poi lo bacio.
*
AH!
HA! HAAA!
Non
ve l’aspettavate, vero? Dunque, AGGIORNAMENTO CACCA PER
FANFIC CACCA TIME! (dovrei avere una sigla speciale per questo tipo di
avvenimenti, una roba tipo Jimmy Verdoora Rhapsody - se non sapete di
cosa sto parlando, cliccate qui per farvi un’idea
spaventosamente precisa del mio senso dell’umorismo ► IPNOTIZZA
I CAVALLIIIIIII )
Dunque,
un paio di note:
DO:
ho
scritto questa m***a in tipo 4 ore escluse pausa cena (ho riempito di
fumo tutta la casa solo per arrostirmi un filetto di salmone, il gatto
ha fatto festa grande insomma) e soprattutto A DISTANZA DI EONI dalla
pubblicazione dell’ultimo capitolo (tanto che son dovuta
andare a rileggermelo perché non mi ricordavo più
cosa fosse accaduto *shame on me*). Il succo è che mi scuso
per la generale caccosaggine (e brevità? pare piccino), ma
era un parto necessario, ecco.
RE:
rifiutare
senza dire grazie in Inghilterra è praticamente un reato,
è come bestemmiare contro Betty: questo dovrebbe farvi
capire quanto sia scazzato Mecchu.
MI:
fa male la testa;
FA:
schifo
‘sto capitolo (SRSLY
BOCCA-VOMITO??!!!!=””)
SOL:
sta
per sorgere, sento gli uccellini cantare. Comunque la citazione in cima
al capitolo è tratta da Passive
Aggressive
dei Placebo. Volevo citare direttamente il titolo, ma vabè.
LA:
qui
presente autrice è chiaramente una bastarda sadica di prima
categoria, POVERO DOM OGGI È ANCHE IL SUO COMPLEANNO AUGURI
STELLA
MILLE DI QUESTI DORATI GIORNI ♥♥♥
SI:
oh,
in fondo a parte una cosa che si chiama MATT STAI IGNORANDO TUTTE LE
TUE RESPONSABILITA’ DI PADRE FAMIGLIA CHE M***A CHE SEI direi
che c’è quasi aria di festa in questo capitolo!
*rivedere punto in cui discuto il mio particolare
senso dell’umorismo*
Infine
ho una dedica particolare perché ci sono persone a cui
voglio più male che alle altre - questo capitolo
è per nainai
perché
nonostante dica di odiare il BellDom in privato mi minaccia se non
aggiorno.
Pace,
gente. ♥
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