Reale
Il sole pomeridiano, entrando dalle
finestre, illuminava lo studio del
sindaco.
Regina
era accomodata alla propria scrivania, intenta ad esaminare un
fascio di documenti.
Ogni
tanto, alzava la testa e dava un’occhiata in tralice
alla propria destra… là, vicino al divano e a un
paio di poltrone, si trovava il piccolo Henry.
Il
bambino era seduto a gambe larghe su un materassino rosso acceso, il
cui colore contrastava fortemente con le superfici bianche e nere e
argentee della stanza.
Munito
di tutti i giocattoli che potevano servire a tenerlo occupato,
Henry era impegnato a rigirarsi tra le manine un orsetto di pezza.
Ogni
tanto, dava un morsetto alle orecchie del peluche,
dopodiché esprimeva la propria soddisfazione con un largo
sorriso.
Il
più del tempo, però, portava avanti un
parlottio tanto incessante quanto incomprensibile, intervallato da
risolini e da mugolii di apprezzamento.
Regina
era lieta di sentirlo così allegro.
Quella
mattina lo aveva portato al parco, e il bambino era andato ad
infilarsi nel box della sabbia con alcuni suoi coetanei.
La
donna aveva cercato di non pensare a tutti i granelli che avrebbe
poi trovato nei suoi vestiti… Ricordava ancora
l’ossessione di sua madre per la pulizia, le punizioni
ricevute per una semplice macchia, e voleva essere diversa…
Ma quando aveva visto suo figlio infilarsi in bocca una manciata di
sabbia, si era affrettata a raggiungerlo e a tirarlo via da
lì.
Nell’aria,
le sembrava ancora di sentire la propria voce
severa che lo apostrofava: «No, Henry».
Ma,
soprattutto, le sembrava di vedere il visetto del bambino, il modo
in cui la sua espressione si era accartocciata.
Quella
fronte increspata e quel labbro tremante, pensò
Regina, avrebbero spezzato il cuore a chiunque.
Di
colpo dimentica delle scartoffie, la donna si alzò in
piedi, dirigendosi verso suo figlio.
Henry
non protestò quando lei lo prese in braccio; al
contrario, emise un urletto di gioia.
Regina
andò a risedersi, posizionando il bambino sulle
proprie ginocchia. Usando tanto le mani quanto la bocca, il piccolo
riprese la sua scrupolosa esplorazione dell’orsetto.
Alla
donna girava quasi la testa… Il semplice fatto che
Henry le sedesse in grembo senza problemi, senza paura, era una
dimostrazione di fiducia e affetto a cui lei non era più
abituata.
«Mama»
argomentò il bimbo, dandole uno
sguardo radioso prima di tornare ad occuparsi
dell’orsacchiotto.
Regina
sfiorò con le labbra i suoi capelli, castani e
soffici, il cuore che batteva un po’ più forte.
Era
assurdo, si disse, come una semplice parola potesse scatenarle
dentro una gioia tanto indescrivibile.
Fare
la madre… forse un tempo l’aveva sognato,
quando ancora pensava che avrebbe avuto il futuro che voleva.
Certo,
quell’idea l’aveva intimorita anche
allora… Con Cora come esempio, non le sembrava possibile
poter diventare un buon genitore.
Henry
si mosse sulle sue ginocchia. Con un gesto deciso,
piazzò il suo orsacchiotto sulla scrivania, sopra il
malloppo di documenti.
La
mano di Regina si allungò, istintivamente.
«Henry, attento» mormorò la donna,
affrettandosi a spostare i fogli.
Lui
si corrucciò per un momento.
«Ecco»
disse lei, una volta messi da parte i
documenti, «ora è tutta tua».
Il
bimbo tornò a sorridere, e iniziò a premere le
manine sul pupazzo, come a volerlo spiattellare sul tavolo.
Regina
abbozzò un sorriso, sfiorando l’orecchio
roseo di Henry, perfetto come una piccola conchiglia.
Certi
ricordi sfumavano facilmente, però le sembrava di aver
sognato di essere madre anche quando viveva nell’ombra di
Cora.
Poi,
però, Daniel era stato ucciso, e lei aveva dovuto
sposare il re.
A
quel punto, l’idea di avere un figlio era cambiata, era
diventata qualcosa di marcio. Il pensiero di portare in grembo una
creatura di re Leopold… era un abominio.
Fortunatamente,
esistevano i mezzi per far sì che il suo
ventre non concepisse nessun erede.
E
per quanto riguardava Biancaneve… Regina non aveva mai
voluto essere sua madre.
Aveva
a malapena una decina d’anni in più di lei,
ed era solo una ragazza quand’era stata costretta a sposare
suo padre.
Prima,
aveva pensato di poterle essere amica, di poter diventare una
sorta di sorella maggiore… ma una madre?
Non
l’aveva mai voluto. Nemmeno nei pomeriggi trascorsi ad
intrecciarle i capelli, nemmeno quando la bambina le portava in dono un
mazzolino di fiori.
E
con gli anni che passavano, col suo odio che diventava sempre
più forte, l’aveva voluto ancora meno.
«Mama?
Mam-ma?»
Henry,
abbandonato l’orsacchiotto sul piano del tavolo,
reclamava la sua attenzione.
Regina
abbassò gli occhi su di lui.
«Sì, tesoro mio?»
Il
bambino la guardò con espressione vogliosa, si
aggrappò alla sua camicia. «Clop clop?»
domandò quindi, in tono decisamente speranzoso.
Regina
rise piano. Sapeva esattamente cosa voleva il bambino.
Piano,
la donna fece schioccare la lingua una, due, tre volte, e
l’espressione di Henry si fece rapita, quasi estasiata.
Quando
Regina imitò il ritmo di un cavallo al galoppo, il
bambino rispose con l’«Eeeeh»
più felice del mondo.
Soddisfatto,
nascose la faccia contro il seno della donna.
Regina
se lo coccolò, possessiva e protettiva. La prima
volta che Henry aveva manifestato il suo interesse per i cavalli, lei
si era sentita mozzare il fiato… Adesso, però, le
sembrava un piccolo miracolo.
«Clop
clop, mamma» la informò il
piccolo. «Clop clop».
Regina
fece schioccare la lingua un’ultima volta.
Immaginò come avrebbe sorriso Daniel, nel sapere che suo
figlio amava i cavalli.
Pensò
ai giorni trascorsi nelle stalle, al muso caldo e
umido di Ronzinante. Pensò al modo in cui la bocca del
cavallo cercava una mela sul suo palmo.
Pensò
alle lezioni di equitazione, alla sicurezza con la
quale Daniel la guidava… Pensò alle lunghe
galoppate sotto il sole, col vento che le scompigliava i capelli.
Pensò
a incontri segreti nelle scuderie, ad abbracci e baci,
a quelle conversazioni durante le quali non doveva preoccuparsi di dire
la cosa giusta.
Quella
era stata la parte vera della sua vita, ed era finita a causa di
Biancaneve.
Tutto
era crollato in banchetti interminabili, in un re che desiderava
la felicità dei suoi sudditi e le aveva negato la sua, in un
popolo che non l’avrebbe mai amata.
Ora,
però, mentre la manina morbida di Henry si chiudeva sul
suo dito, Regina si ritrovò a incurvare le labbra in un
sorriso.
Dopo
anni di finzioni e di complotti e di menzogne, quel bambino era
così vero…
In
una città raggelata nel tempo, Henry cresceva e imparava,
molto più vivo e autentico della distesa di burattini che
ripetevano sempre gli stessi gesti.
Regina,
talvolta, ne era terrorizzata.
Ma
era una paura insignificante, rispetto a quanto gli voleva bene.
La
donna sistemò meglio il bambino sulle proprie ginocchia,
perché le si stava addormentato una gamba. Henry
non fece una piega, limitandosi a commentare il fatto con un
barbuglio inintelligibile.
Con
la punta del dito, Regina seguì la linea delle sue
sopracciglia sottili.
Lei
sapeva che l’amore poteva essere una debolezza,
poiché un cuore ridotto in cenere era stato una lezione
più che
sufficiente… Eppure, quando guardava Henry, non gliene
importava niente.
Fece
schioccare la lingua un’altra volta, sommessamente, e
suo figlio le sorrise di nuovo.
Regina
non aveva mai messo piede alle scuderie di
Storybrooke… Ma forse, quando Henry sarebbe diventato grande
abbastanza, avrebbe potuto insegnargli a cavalcare, e sentirsi vera
ancora una volta… insieme a lui.
Note:
Mi piacciono i bimbi piccoli. Si è notato?
E poi, andiamo, non potevo non pubblicare niente l’11/12/13
;)
Spero di non aver scritto nulla di insensato, e che questo testo sia
piaciuto a qualcuno…
(Ah, io non ho visto niente della terza serie…
Principalmente perché non ho molto tempo e sto
già seguendo altri telefilm…
Perciò… niente spoiler,
s’il vous
plaît!)
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