Game, Set And Match di nightswimming (/viewuser.php?uid=11000)
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Note:
menzione
di un
tentativo di suicidio, contenuti deprimenti, e Sherlock che fa il
brillante
filosofeggiando su morte e cadaveri.
Humber
Bridge
Kingston
upon
Hull, North Lincolnshire, Inghilterra
Rabbrividì
mentre si toglieva il cappotto. Faceva freddo, molto freddo.
Meglio.
L’acqua gelida,
sommata alla caduta da quell’altezza, avrebbe contribuito a
renderla del tutto
incosciente. Con un po’ di fortuna non avrebbe sentito nulla.
Si
chinò ad
aprire la zip dello zaino che aveva portato con sé e
tirò fuori il necessario.
Indossò sopra ai vestiti che già aveva una
dolcevita, un maglia di cotone, un
golf di lana e una felpa di pile. Passò una pesante sciarpa
intorno al collo e
si mise i guanti.
Tirò
su col
naso: il suo corpo non sentiva più la temperatura esterna.
Era una notte nevosa
di dicembre e lei si sentiva al caldo.
Sono
i nervi,
pensò. L’adrenalina. Incredibile.
Considerò
con
sguardo spento il panorama di fronte a lei. Diverse macchie di
vegetazione
ricoprivano le basi fangose del ponte; l’acqua sembrava
un’immota lastra di
marmo nero. Non c’era un filo di vento a incresparne la
superficie. In
lontananza, all’orizzonte, le luci della cittadina di
Burton-upon-Humber
rilucevano fisse e sfocate.
Che
squallore,
pensò. Una sensazione di soffocamento le si fece strada in
gola.
Basta.
Basta con
tutto questo vuoto. Basta con il senso di disorientamento. Basta con la
piattezza, l’inevitabilità triste di quel che
sentiva da sedici anni. Basta.
Rovistò
nello zaino
e ne tirò fuori una decina di grosse pietre piatte, che
aveva raccolto lungo la
sponda del fiume il giorno prima. Se le ficcò in tasca,
prese un lungo respiro,
lasciò che il silenzio del ponte deserto le rimbombasse
un’ultima volta nelle
orecchie e si arrampicò sul muretto di protezione.
Una
volta in
piedi la sensazione di potere e libertà le diede le
vertigini. Si sentiva il
mondo in mano, si sentiva pienamente in controllo della propria
libertà decisionale.
Dio, si sentiva bene.
Sorrise
amara.
Chi amministrava la vita e la morte in terra aveva un pessimo senso
dell’umorismo.
Allargò
le
braccia e chiuse gli occhi.
“Pietre
nelle
tasche. Che cosa digustosamente letteraria.”
Magdalena
sobbalzò e per poco non perse l’equilibrio.
Mulinò le braccia, cercando
disperatamete di ribilanciarsi, il cuore che le batteva a mille nelle
tempie.
“Chi
è lei?”
urlò, la paura che le sfondava il petto. Non si fidava a
sufficienza delle proprie
capacità motorie per provare a girarsi e fronteggiare lo
sconosciuto.
Cristo,
doveva
darsi una calmata. Stava per uccidersi – che senso aveva
agitarsi così?
“Sherlock
Holmes,”
rispose la voce, in tono monotono e indifferente. Come se parlare con
un’aspirante suicida in bilico sul muro di protezione di un
ponte fosse
ordinaria routine per lui.
“Che
cosa vuole?”
urlò, sperando di suonare sufficientemente minacciosa anche
con la voce che le
tremava.
Questo
non ci
voleva. Gradiva solo consumare il proprio suicidio in perfetta
solitudine, era
chiedere troppo? Non aveva forse diritto a un ultimo desiderio o
stronzate del
genere?
“I
soldi che tua
madre ha promesso a chiunque ti riporti a casa. Perciò
smettila con questa
pagliacciata e scendi di lì.”
Magdalena
rise
secca, sentendo un’ondata di isteria invaderla tutta. Tutto
il suo corpo
tremava per la tensione nervosa. Non era possibile.
“Se
li ficchi
nel culo quei soldi! E ora se ne vada, mi sta distraendo!”
ringhiò.
Sentì
una
risatina supponente risuonare dietro di sé.
“Se
davvero volessi
ucciderti, niente ti potrebbe distrarre; per cui, come ti dicevo prima,
piantala di essere sciocca e scendi di lì. Hai decisamente
più talento in altre
cose che nel recitare la parte dell’eroina romantica
distrutta dalla vita”.
“E
lei che
diavolo ne sa?” urlò Magdalena, tentando di
sovrastare il boato del vento che
aveva preso a soffiare fortissimo. I suoi denti battevano. Il rush di
adrenalina era scomparso, sostituito da un senso di confusione mista a
panico
per come il suo piano era stato compromesso da
quell’arrogante sconosciuto, e
lei aveva di nuovo freddo.
“So
molte cose
di te.” Una pausa. “Per cominciare, rischi davvero
di cadere ora che il vento
si è alzato. Intendi andartene da questo mondo scivolando giù per cento
metri di altezza come un equilibrista
goffo e ridicolo che abbia fatto male i suoi calcoli? Io non credo.
Volevi una
fine in grande stile. Una morte fuori dall’ordinario. Sarebbe
stato così
semplice soffocarti col gas o ingurgitare una dose eccessiva di
anti-depressivi
(so che il tuo medico te li ha prescritti: è un idiota, tu
non sei depressa, e
infatti non hai provato la tentazione di assumerli), ma no, trovavi
questi
metodi così disperatamente noiosi, banali, vuoti di senso.
Meglio qualcosa di
eclatante, in grado di strappare un applauso al tuo pubblico
immaginario. Un
salto. Un balzo ferino. Un gesto d’azione. Ma non da uno
stupido palazzo: dal
ponte più alto del Regno Unito. Aggiungiamo pure il fatto
che il tuo amatissimo,
defunto padre è nato qui vicino, a Kingston upon Hull, e non
a Londra, come tua
madre, cui sei molto meno legata. Ti sei scelta il palcoscenico
più funzionale
e maestoso a un tempo per celebrare la tua dipartita intrisa di
simbolicità.
Ben architettato. Torna tutto.”
Magdalena
batté
le palpebre. Quel monologo dai toni freddi e sentenziosi sembrava
averle
impedito di fare qualsiasi altro movimento. Era come se, con le sue
parole,
questo Sherlock Holmes le avesse sparato un narcotico. La sua mente
sembrava
barcollare come un ubriaco.
Non
era
possibile. Era rimasta stupita dal solo fatto che lui fosse riuscito a
trovarla,
a seguirla fin lì attraverso un percorso volutamente
labirintico che lei aveva
ideato per seminare le sue tracce, ma perfino quella sua
abilità, che già le
sembrava incredibile, non era nemmeno lontanamente paragonabile alla
stupefacente esattezza di quelle deduzioni. Quel suo discorso era
un’opera di
genio e astrazione. Sembrava conoscerla intimamente e non erano mai
entrati in contatto
prima di quel momento.
“Chi
è lei?”
ripetè, e stavolta, non riuscì a impedire che la
sua voce tremasse.
Udì
un sospiro
che sembrava trattenere a stento tutta l’impazienza del suo
interlocutore.
“Girati.
Lentamente,” ammonì in tono duro,
“stai perdendo
sensibilità al piede sinistro per il gelo. Tenere le scarpe
e le calze ti
avrebbe aiutato ad andare a fondo esattamente quanto le pietre nelle
tasche,
sai?” Si schiarì la voce. Il vento si era fatto
fortissimo. “Ora, movimenti
piccoli e misurati. Segui i miei esatti ordini e girati.”
Magdalena
non
riuscì a fare altro che obbedire. Non intendeva in ogni caso
andare fino in
fondo al suo piano in presenza di un estraneo. Tanto valeva
assecondarlo e
tentare di persuaderlo ad andarsene.
Compì
con
estrema cautela una rotazione di centottanta gradi. Nel suo campo
visivo
comparve prima la fila di pinnacoli di cemento che tenevano su il
ponte, poi
l’asfalto della strada, puntellato di segnali di lavori in
corso, e, infine, un
uomo alto e pallido avvolto in un pesante cappotto.
Magdalena
sentì
i meccanismi del suo cervello ricominciare lentamente a girare. Lo
shock era
passato: ora, i suoi neuroni dovevano assolutamente tornare a
funzionare a
pieno regime, o il suo obiettivo sarebbe andato in fumo.
L’uomo
aveva un
viso bianco e incavato che sembrava scolpito nel gesso. La pelle doveva
essere
estremamente sensibile alle temperature estreme perchè le
labbra erano spaccate
dal freddo, il naso e le guance erano rossi come se qualcuno li avesse
violentemente sfregati con un straccio e il resto del colorito era
livido.
Nonostante il cappotto fosse ampio e tagliato su una persona di
un’altezza
superiore alla media, Magdalena riusciva a intuire un’estrema
magrezza sotto i
vestiti. Fisicamente debole? Atleticamente impreparato? Forse, ma se i
suoi muscoli
avevano la metà dei riflessi del suo cervello, allora era
comunque fregata.
L’uomo
aveva
un’apparenza aliena. I lineamenti erano nel complesso
piacevoli e i fitti ricci
neri lo facevano sembrare un cherubino, ma vi era un che di tagliente,
di
inquietante nel modo in cui i suoi occhi azzurri la guardavano tale da
non
riuscire comunicarle un’impressione generale di bellezza.
Si
sentiva una
ferita aperta sotto l’occhio impietoso di un medico. Un
medico interessato
unicamente alla malattia e non alla persona.
“Bene,”
fece
l’uomo una volta che lei si fu completamente girata verso di
lui, “ora scendi
dal muro.”
“No,”
ribattè
decisa. Sherlock Holmes arricciò un labbro in un moto di
fastidio e alzò gli
occhi al cielo.
“Allora
perlomeno siediti. Piedi per terra, in modo da non perdere
l’equilibrio”
sbottò.
Aveva
senso.
Magdalena ubbidì.
L’uomo
incrociò
le mani dietro la schiena e si mise a passeggiare per il ponte fissando
il
cielo sopra di lui con aria soddisfatta, come se quella situazione
fosse del
tutto normale e loro due stessero amabilmente discorrendo del tempo.
Era
snervante.
“Dunque,
veniamo
a noi. Sei una persona di un certo intelletto. Sono sicuro che il tutto
si
possa risolvere senza riprovevoli sbavature,” disse, tornando
a rivolgere lo
sguardo su di lei con un sorriso per niente amichevole.
Magdalena
inarcò
un sopracciglio.
“Definisca
sbavature,” replicò diffidente.
“Tu
ti ostini a
non collaborare e io mi vedo costretto a usare le maniere
forti,” rispose
subito l’uomo, impassibile. Magdalena rise secca.
“Al
suo minimo
movimento superfluo io sbilancio il peso all’indietro e lei
si può scordare i suoi
soldi. Non è nella posizione di dare ordini.”
“Eppure
poco fa ti
ho ordinato di girarti e tu hai obbedito.”
“Trovavo
maleducato darle le spalle. Tutto qui.”
L’uomo
si lasciò
sfuggire una breve risata.
“Capisco.”
Frugò
in una tasca senza distogliere lo sguardo dal suo. Magdalena
seguì il movimento
delle sue mani con occhi diffidenti.
“Cosa
sta
cercando?”
“Sigarette.”
“Fumare
fa
male,” disse in automatico. Per dargli fastidio –
certamente non perché era preoccupata
per il suo benessere.
Sherlock
Holmes
si accese una sigaretta con irritante flemma.
“Morire
nel modo
che ti sei scelta fa più male. Te lo assicuro.”
Tirò una lunga boccata.
“Immagino che fra le tue preoccupazioni vi fosse anche quella
di venirne fuori
come un cadavere dall’aspetto decente. Tu non vuoi morire,
vuoi solo un
sontuoso funerale pieno di persone che si strappino i capelli in
lacrime rimpiangendo
la tua indispensabile, preziosa, svalutata presenza su questa terra.
Com’è
ovvio, vuoi fare bella figura nella tua bara di legno di noce, sobria
ma
elegante. Beh, ti consiglio vivamente di rivedere i tuoi piani,
perché i morti
affogati sono gonfi e lividi e dall’aspetto repellente.
Specie se il corpo
viene tolto dall’acqua dopo un lasso di tempo prolungato - e data
l’efficienza pressochè nulla della polizia
inglese, questo è altamente probabile.” Un breve,
freddo sorriso. “La corrente
in questo punto del fiume è molto forte. Verrai trascinata
sul fondo, morta, se
ti va bene, altrimenti è plausibile che tu riesca ad
avvertire il dolore insopportabile
di un qualche tuo osso che si frattura contro il pietrame prima che il
tuo
cuore si fermi per sempre. Perché fai quella faccia? I sassi
che ricoprono i
basamenti dei piloni per tenerli ancorati a terra non sono
sott’acqua da
abbastanza tempo per essersi smussati. Se le mie previsioni sono
corrette,
sbatterai a più riprese contro ogni superficie contundente e
ne uscirai
perlomeno sfregiata. Niente bel visino etereo da esibire nella tua
comoda bara.
La gente ti passerà accanto con una smorfia di ipocrita, pio
rammarico in
volto, mormorando afflitta “così intelligente,
così giovane, tutta la vita
davanti, perché perché
perché”, ma dentro di sé
tratterrà i conati di vomito
davanti a quel pasticcio di sangue rappreso che sarà
diventata la tua faccia.”
Magdalena
sentì
qualcosa di fastidiosamente appiccicoso pizzicarle le guance.
Alzò una mano per
controllare che cosa fosse: lacrime. Stava piangendo.
Sherlock
Holmes
sembrava trovarlo un ottimo segno, perché ora le stava
apertamente sorridendo
con quella che sembrava un’aria soddisfatta.
“La
morte di cui
si fa esperienza nella vita reale non è quella dei libri.
Sai cosa succede
quando un essere umano smette di vivere? Il cadavere entra in rigor
mortis; il
corpo assume posizioni grottesche e ridicole. La vescica si svuota. Ti
ritrovi
a riposare nel sonno eterno in un bagno di escrementi. Dopo appena
pochi giorni
cominci a emanare un fetore disgustoso. Se non viene scelta
l’opzione della
cremazione, finisci sottoterra, banchetto per i vermi. Piangi, piangi
pure
quanto vuoi: significa che finalmente ragioni, che hai smesso di
trovare questa
prospettiva così allettante. È positivo. Non
c’è niente di peggio del morire
nell’illusione che dopo si possa diventare qualcosa di
migliore-”
“Basta,”
gemette
lei, la voce che l’aveva definitivamente tradita. La gola le
sembrava un denso
nodo di lacrime e dolore: non riusciva a deglutire. Aveva la vista
appannata.
Voleva soltanto che tutto finisse. Voleva smettere di respirare, di
ascoltare,
di pensare,
maledizione!
“Basta,
stia
zitto, non mi importa! Se ne vada di qui e la smetta- io…
Voglio solo stare da
sola.” Si odiò per come stava piagnucolando, per
come stava stringendo le
proprie mani in una morsa, come una bambina piccola. “Voglio
solo… Trovare un…
Un termine, un punto d’ arrivo, qualcosa che abbia un senso,
una… una
conclusione, qualcosa che mi faccia sentire-”
“Non
esiste,” la
interruppe gelido lui. I suoi occhi erano diventati enormi, e
sembravano
incolori: la mano che reggeva la sigaretta tremava. “Si
spende un’esistenza intera
a cercare di crearsi questo qualcosa da soli e non ci si resce quasi
mai. Ora
scendi di lì e seguimi in macchina.”
Nella
nebbia di
sconforto e panico che riempiva la sua mente, Magdalena
recuperò un brandello
di lucidità.
“Lei…”
Fissò le
sue labbra: erano spaccate perché lui continuava a
leccarsele. E il naso non
era tutto rosso allo stesso modo. Le narici, in particolare, erano
irritate al
punto da sanguinare. “Lei… È in crisi
d’astinenza-”
“Giù
di lì e in
macchina, ho detto!” urlò l’uomo. Sotto
un’apparenza controllata si doveva
effettivamente trovare al limite. Le pupille erano enormi, e lo
facevano
sembrare pazzo.
“Ecco
perché
vuole così tanto quei soldi. Ne ha bisogno… Per
comprarsi la dose,” mormorò
Magdalena fra sé e sé. Un moto violentissimo di
rabbia la scosse da capo a
piedi al punto da farla tremare. “Lei ha il coraggio di
venire qui a seviziarmi
e a farmi la sua lezioncina del cazzo quando non è altro che
un tossico! È
questo il senso che ha cercato di costruirsi da solo?! Ma si
è guardato allo
specchio? Io sarò una debole,” sibilò,
il volto congestionato, la voce carica
di disprezzo puro, “ma lei mi fa più pena di
quanto me ne faccia io a me
stessa. Chissà da quanto tempo lei non vive più.
Chissà da quanto tempo sarebbe
stato meglio che lei fosse morto. Le piace giocare a fare Dio con
quelli che
considera messi peggio di lei, vero? Quanta soddisfazione ne trae? Un
inutile parassita,
ecco quello che è! Sciacallo! Mi fa schifo!”
Urlò,
urlò così
tanto che le lacrime le bagnarono di nuovo le guance e la gola prese a
bruciarle
come se fosse arroventata, e dopo pochi secondi era tutto di nuovo
silenzio e
il suo cuore batteva forte e il suo respiro non era più
sotto controllo.
Non
si era
nemmeno accorta di aver chiuso gli occhi nel tentativo di tornare in
sé stessa.
Quando li riaprì, Sherlock Holmes stava guardando di nuovo
il cielo, e sembrava
più magro e spettrale che mai.
“Sai,
ragazzina,” disse in un sussurro basso, roco, gli angoli
della bocca piegati in
un sorriso amaro, “l’irrazionalità di
questo mondo è insopportabile. So che la avverti
in ogni cosa, come me. Ma il fatto che a uccidersi siano solo le
persone che ne
sono consapevoli, le uniche che potrebbero tentare di impostare le cose
in una
giusta direzione e magari riuscirvi, e che a restare in vita siano gli
stupidi
e quelli senza morale né emozioni, solo perché
questi ultimi non soffrono e i
primi sì…” Abbassò lo
sguardo su di lei. Magdalena avvertì un colpo al cuore. I
suoi occhi non erano più freddi e vuoti: sembravano
contenere qualcosa di
dolorosamente vivo, pulsante, che inglobava tutto, da
quell’iride chiarissima alla
pupilla alla lacrime mai piante. Dubitava che un uomo del genere fosse
mai
riuscito a piangere: era una sorta di lacrimazione asciutta, cerebrale
ed
efficiente, come lo era lui. “Beh, è ancora
più irrazionale, no? Non ha senso.
E andrà avanti così per sempre.”
Magdalena
chiuse
nuovamente gli occhi e abbassò la testa. Si sentiva molto
stanca.
“Senta,”
disse
infine trascinando le parole, dopo che un silenzio pesante come un
incudine fu
calato fra di loro, “ho molti soldi con me.” Si
frugò nelle tasche e tirò fuori
un portafogli ben imbottito. “Sono tutti i miei risparmi. Le
propongo un
patto.”
Gli
lanciò uno
sguardo per vedere se la stesse seguendo. Sherlock Holmes
annuì.
“Sto
ascoltando.”
“Sono
abbastanza, credo, per comprare una quantità sufficiente di
qualsiasi droga lei
stia assumendo. Quelli che mia madre le avrebbe dato non sono molti di
più. La
mia famiglia non è ricca. Li prenda.”
Tirò fuori le banconote e le arrotolò in
un fascio ordinato. Lui non reagì in alcun modo visibile.
“Li prenda e mi lasci
proseguire quello che stavo facendo, la prego.”
Sherlock
Holmes
la considerò con una lunga occhiata penetrante. Magdalena
rabbrividì: non
sentiva più le dita dei piedi.
“D’accordo.
Ma
li voglio controllare da vicino.”
“Non
si fida?”
“No.”
Magdalena
fece
spallucce. L’uomo occhieggiava il denaro con occhi famelici:
era uno spettacolo
degradante. Era davvero stanca dello squallore di questa vita.
Sollevò
un
braccio e gli allungò le banconote.
Sherlock
Holmes
si avvicinò a passi lenti. Aveva gambe lunghissime, per cui
in quattro falcate
era già arrivato sinoda lei. Le sfilò il denaro
di mano stando attento a non toccarle
le dita.
Magdalena
si
lasciò sfuggire un singhiozzo e non osò guardarlo
negli occhi. Aspettò
immobile, paralizzata, esausta. Si sentiva così pesante da
avere l’impressione
di non aver più bisogno delle pietre nelle sue tasche per
andare a fondo.
“Non
sono falsi,”
lo sentì dire in un sussurro. Era strano: per lui era
evidentemente una buona
notizia, ma il suo tono di voce era grave. Sembrava quasi rammaricato.
“No.”
Fu
questione di
un secondo. Non ebbe nemmeno il tempo di registrare il suo movimento
fulmineo.
Un attimo prima stava respirando l’aria gelida di quella
notte di dicembre e l’attimo
dopo qualcosa di morbido le veniva premuto sulla bocca.
L’ultima cosa che fu in
grado di ricordare fu un intenso odore dolciastro, come di zucchero a
velo.
*
Si
svegliò quando
la macchina prese una curva in maniera particolarmente brusca e lei
sbattè la
testa contro la maniglia della portiera.
Gemette.
Si
sentiva confusa e una vaga sensazione di nausea le stringeva la bocca
dello
stomaco. Le ci volle qualche minuto per ricordare, per disporre nel
giusto
ordine i pensieri.
Tentò
di
mettersi seduta dalla posizione sdraiata, ma quando cercò di
sostenersi al
finestrino, scoprì che non poteva farlo. Aveva le mani
legate con un una corda.
“Bentornata
fra
noi,” disse una voce sarcastica.
Magdalena
battè
piano le palpebre. Gli occhi di Sherlock Holmes la fissavano dallo
specchietto
retrovisore.
“Tu
mi hai-”
cominciò, senza fiato per la rabbia e
l’umiliazione. “Tu mi hai drogata, figlio
di puttana! Slegami subito!”
Sherlock
accese
il riscaldamento e girò a destra a un incrocio con
malagrazia. Magdalena
riconobbe il paesaggio notturno circostante: erano a pochi chilometri a
nord di
Londra.
“Così
che tu
possa saltarmi al collo e mandarci a sbattere contro un albero? Non
credo
proprio.”
Magdalena
si
divincolò con violenza, calciando con i piedi contro il
sedile del guidatore.
Sherlock strinse gli occhi, infastidito.
“Ferma.
Questa
macchina non è al titanio. Può essere
danneggiata,” la ammonì minaccioso.
“Dirò
a mia
madre come mi hai trattato. Lo racconterò alla polizia.
Finirai a marcire in
galera, bastardo!”
“E
io riferirò
di averti trattenuto in extremis dal fare una scelta estremamente
stupida. Sono
certo che saranno d’accordo con la mia decisione di averti
immobilizzato in
modo da non permetterti di fare ulteriori
danni a te stessa.” Inserì la quarta. Il motore
rombò. “I suicidi falliti possono
essere molto inaffidabili e per nulla riconoscenti.”
Incontrò nuovamente i suoi
occhi nello specchietto. “Non è vero, ragazzina?
Dovresti essermi grata. Ti ho
salvato la vita.”
Magdalena
tirò
un altro calcio, furiosa.
“Vaffanculo!
Vaffanculo, lasciami andare! Lasciami, ho detto!”
“Che
linguaggio.
Credi che il turpiloquio sia in grado di intimidirmi?”
“Beh,
sai come
si dice, pezzo di merda, “tentare non nuoce”. Ora
fammi scendere da questa
macchina del cazzo e-”
Si
interruppe,
esterrefatta.
Stava
ridendo.
Sherlock Holmes stava ridendo.
“Non
rientri nel
profilo psicologico della depressione. Decisamente no. Sei, come
immaginavo,
soltanto una adolescente vanitosa e annoiata, troppo intelligente per
il tuo
stesso bene, in disperata ricerca di attenzioni.”
Magdalena
raggelò.
“Tu
non sai un
cazzo di me,” sibilò con voce collerica e
tremante. “Nulla. Sei solo un tossico
fallito e mentalmente disturbato. Dovrebbero legare te per impedirti di
fare
del male a te stesso, e soprattutto per impedirti di farne ad
altri!”
“Mi
sono sempre
chiesto come non ci abbiano pensato prima, in effetti,”
rispose mellifluo
Sherlock Holmes.
Magdalena
tirò
l’ennesimo calcio e riprese ad agitarsi sul sedile
posteriore, gemendo per la
frustrazione.
“Sta’
ferma
immobile, e zitta, possibilmente. Non costringermi a sedarti di
nuovo.”
“Che
cosa mi hai
somministrato? Che razza di schifezza mi hai fatto inalare? Ha effetti
a lungo
termine?” chiese con improvviso spavento la ragazza,
smettendo di colpo di
muoversi.
“Un
preparato
chimico di mia invenzione, molto meno dannoso del cloroformio, ma
estremamente
più efficace. Non ti preoccupare: hai già espulso
le tossine respirando. E
insultandomi.”
Le
sue parole le
arrivavano lontanissime e confuse. Gli occhi le bruciavano.
Si
rilassò
contro il finestrino, abbandonando la testa contro il vetro. Pianse, il
più
silenziosamente possibile. Pianse e desiderò di essere morta
come non l’aveva
mai desiderato prima d’ora.
*
Si
svegliò
mezz’ora dopo, sentendo il morso delle corde sui suoi polsi
farsi meno intenso.
Sherlock
Holmes,
ai suoi piedi, la guardava impassibile, un ginocchio
sul sedile posteriore. Fuori dal
finestrino si scorgeva il panorama famigliare della strada di casa sua.
“Spero
che lei
muoia solo” mormorò in tono spento.
Sherlock
Holmes ghignò,
le labbra spaccate, gli occhi vuoti. Non le era mai sembrato
più simile a un
fantasma come in quel momento.
“E’
molto
probabile che accadrà.”
Note
dell’autrice: sì,
avete visto bene. Ho aggiornato. Dopo… *controlla*
più di un anno. Dio mio,
faccio schifo.
Non
ho idea di quando posterò il prossimo capitolo,
sarò sincera. Questo qui era
quasi pronto da un bel po’ e… ma vi giuro che
farò del mio meglio. Sono molto
affezionata a questa storia, anche se a rileggere certi punti mi si
accappona
la pelle. Ero così gggiovane e inesperta quando ho
cominciato a scriverla XDDD
Spero
vi piaccia :***
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