Senza appiglio
Regina, accovacciata su un divanetto
di raso, era intenta a sfogliare
un libro con espressione assente.
Di
solito, non amava uscire dalle proprie stanze, ma quel giorno era
arrivata una domestica a riordinarle, ed aveva accompagnato il proprio
lavoro con un interminabile chiacchiericcio.
Regina
l’aveva tollerata per una decina di minuti,
rivolgendole alcuni monosillabi e molti sorrisi forzati.
Quando
la conversazione – o meglio, il monologo –
si era spostato sulla rimpianta regina Eva, la giovane non aveva
più resistito.
Aveva
preso il libro, l’anello di Daniel, e se
n’era andata.
Non
aveva nemmeno salutato, ma dubitava che la donna si fosse accorta
della sua scomparsa.
Sospirando
appena, girò pagina.
Se
non altro, quel salottino aveva il pregio di essere poco
frequentato, e di avere una bella finestra che lo illuminava a
volontà.
Regina
sarebbe persino riuscita ad apprezzarlo, in altre circostanze.
Così come stavano le cose, era solo un angolo del palazzo in
cui era costretta a vivere, di un posto a cui non apparteneva.
Mentre
i suoi occhi si soffermavano su una parola senza vederla
davvero, Regina si sentì come se tutta la solitudine che
provava minacciasse di piombarle addosso.
D’istinto,
alzò una mano a toccare
l’anello di Daniel, appeso al suo collo.
La
sensazione d’abbandono e il dolore erano ancora forti e
brucianti, come se lui fosse stato ucciso solo il giorno prima.
Regina
si sentì soffocare. Si piegò in avanti,
una mano stretta convulsamente sull’anello, l’altra
chiusa sul libro come a voler strappar via ogni pagina.
Il
respiro che le usciva dalle labbra dischiuse, ora, era spezzato e
irregolare.
Lei
serrò gli occhi, esercitando tutto il proprio
autocontrollo per non mettersi a piangere, a gridare, o a strapparsi i
capelli.
Era
tutto inutile. Era inutile il trascorrere del tempo, era inutile
tenere occupate le proprie giornate.
Lo
strazio sembrava non diminuire mai, la nostalgia era ancora tanto
forte da farla star male.
Con
un supremo sforzo di volontà, riuscì a trarre
un respiro profondo.
Un
rumore improvviso la fece sussultare. Regina si ricompose in fretta,
raddrizzando la schiena e aprendo gli occhi.
Re
Leopold era sulla soglia della stanza, riccamente vestito in argento
e bianco. «Disturbo, mia cara?»
“Sorridi,
Regina. Sorridi”.
La
giovane donna riuscì ad incurvare amorevolmente le
labbra. «Certo che no, mio re».
Una
parte della sua testa le disse che avrebbe dovuto alzarsi in piedi
ed esibirsi in un inchino, ma non era sicura che le sue gambe avrebbero
retto, così rimase dov’era.
L’uomo
non ne parve turbato. Al contrario, le sorrise con
benevolenza ed avanzò verso di lei.
Regina
mise da parte il libro, e fece scivolare l’anello di
Daniel all’interno della propria scollatura, rivolgendo al re
il proprio sguardo.
Quando
l’uomo le si accomodò accanto, lei
provò l’impulso di spostarsi.
Riuscì
a rimanere immobile, tuttavia, e interrogò
Leopold con gli occhi. «Che succede?»
Mentre
formulava la domanda, fu attraversata dal sospetto che lui la
volesse nelle proprie stanze. Quel pensiero bastò per farle
scorrere un brivido lungo la colonna vertebrale.
Il
tocco dell’uomo la ripugnava. Le notti che trascorrevano
insieme erano un incubo, un misto costante di dolore e disgusto e senso
di colpa.
L’uomo
sospirò. «Biancaneve è
malata».
Regina
si rilassò. «Oh, no, davvero?»
domandò quindi, portandosi una mano al cuore e corrugando la
fronte in un’espressione preoccupata.
«Il
medico di corte ha detto che non è nulla di
grave» la rassicurò subito il re, «e
Johanna si è occupata di lei».
A
quelle nuove informazioni, Regina sentì una fitta
d’insofferenza.
Voleva
solo voltarsi verso la finestra e guardare fuori, verso il cielo
e le valli…
Se
la bambina stava bene e aveva anche chi si occupava di lei,
perché mai il re aveva ritenuto utile importunarla?
A
dispetto di quelle emozioni, Regina costrinse gli angoli delle
proprie labbra ad alzarsi in un sorriso. «Saperlo
è un vero sollievo».
Leopold
le sorrise di rimando.
«Già…» mormorò,
prendendo la mano della ragazza tra le proprie.
Regina
sentì la pelle d’oca su tutto il braccio,
ma obbligò la propria espressione a rimanere tenera e
amorevole.
“Sorridi,
Regina. Sorridi”.
«Ma
sai, mia cara» riprese Leopold, accarezzandole
il dorso della mano con il pollice, «Johanna ha molte
faccende da sbrigare…»
La
giovane si trattenne dal dire che non vedeva dove fosse il problema.
Certamente,
a corte, c’era qualcun altro disposto ad
occuparsi della piccola principessa. Non c’era persona che
non andasse pazza di lei, in fondo.
«Inoltre»
proseguì Leopold,
«la mia piccola Biancaneve era abituata ad avere sua madre
accanto, quando non si sentiva bene».
Un
velo di tristezza rannuvolò i suoi occhi.
Il
sorriso di Regina gelò, lei sentì dolere la
propria mascella.
Cora
non si era mai occupata di lei, durante le sue febbri. Certo,
aveva sempre assunto i medici più in gamba, e talvolta le
aveva somministrato qualche medicina dolciastra, ma non era mai
arrivata a tenerle la mano o a vegliare su di lei.
Però,
com’era ovvio, Biancaneve aveva sempre avuto
il meglio del meglio.
Perché
Eva, a quel che pareva, era stata questo: il meglio.
La
madre perfetta, la consorte perfetta, la regnante perfetta.
Talvolta,
Regina si domandava con rabbia impotente perché il
re avesse voluto sposarla, se in ogni modo lei non avrebbe mai potuto
competere col ricordo della sua prima moglie.
Non
che lei desiderasse davvero l’amore di
Leopold… Anche se all’inizio l’aveva
quantomeno rispettato per la sua bontà e la sua gentilezza,
ora lo disprezzava… Ma era umiliante, sentirsi paragonare
continuamente alla precedente sovrana, sapere di essere stata scelta
non come moglie, ma come balia per una ragazzina viziata.
Se
solo il re non avesse chiesto la sua mano, sua madre non si sarebbe
attaccata all’idea di farla diventare regina, e Daniel non
sarebbe…
No.
Regina
inspirò velocemente.
Non
poteva permettersi di pensarci.
«Penso»
continuò il re, «che
dovreste andare da lei. Sono certo che Biancaneve ne trarrebbe
consolazione».
Regina
pensò disperatamente ad una scusa per declinare.
Nonostante
la scomparsa della madre, sotto la sua pelle continuava a
ribollire una rabbia tanto cocente da sgomentarla.
Lei
non poteva ignorare il ruolo che Biancaneve aveva avuto
nell’uccisione di Daniel. Anzi, più trascorreva
del tempo con quella bambina, più le sembrava che la colpa
fosse da attribuire alla sua lingua lunga, alla sua
incapacità di mantenere un singolo, semplice
segreto…
«Mio
signore» iniziò Regina –
non era mai riuscita a chiamarlo marito
mio, «non ritengo
che…»
Lui
le strinse la mano. «Ve ne prego» le disse.
«Mia figlia ha bisogno di voi».
“E
io ho bisogno di starle lontano”
pensò Regina, sentendosi disperata.
Ma
non era quello il ritornello giusto.
“Sorridi,
Regina. Sorridi”.
Obbediente,
lei fece balenare i propri denti bianchi. «Ma
certo».
Tolse
la mano da quella del re e si alzò dal divano. Per lo
meno, non doveva più sentire le dita di lui attorno alle
proprie.
Fece
un’aggraziata riverenza, quindi diede le spalle
all’uomo e si allontanò rapidamente.
Le
stanze di Biancaneve non erano molto lontane.
Regina
vi aveva trascorso molto più tempo di quanto avrebbe
voluto… Nei propri incubi ad occhi aperti, aveva immaginato
di sbattere la testa della bambina contro l’angolo di un
tavolo in legno massiccio, di romperle le dita chiudendole
nell’anta del grande armadio intarsiato… Di
intrappolarle la faccia nelle tende bianche della finestra e
soffocarla…
Regina
scrollò con forza il capo per liberarsi tanto di
quelle immagini quanto della perversa soddisfazione che le procuravano,
e volse lo sguardo verso il sontuoso letto a baldacchino che
troneggiava al centro della stanza.
Biancaneve
era rannicchiata a pancia in giù sul materasso. I
suoi capelli scuri erano arruffati, il suo visetto infiammato dalla
febbre.
Regina
avanzò di un paio di passi.
«Biancaneve?» chiamò, con dolcezza.
La
bambina aprì gli occhi grandi… e parve
rilassarsi non appena la vide. «Siete voi»
sussurrò.
La
sua giovane matrigna sorrise, andando a sedersi sul bordo del letto.
«Sì, mia cara» le disse, allungando una
mano ad accarezzarle i capelli. «Sono qui».
Biancaneve
le rivolse un piccolo sorriso, poi si girò sulla
schiena. «Ho freddo» si lamentò, con
voce un po’ piagnucolosa.
Effettivamente,
le coltri disfatte la lasciavano quasi completamente
scoperta. Regina si allungò su di lei e le
rimboccò le lenzuola.
«Ecco
qui, mia cara» affermò, mentre una
parte di lei desiderava gettare le coperte sopra il viso della bambina,
così da non doverla più guardare. «Va
meglio?»
Biancaneve
trasse un respiro dal naso. «Forse»
disse infine. «Credo di sì».
Regina
si obbligò a fare un altro sorriso – un
sorriso impeccabile, così diverso da quelli radiosi e
sinceri che sfoderava prima.
«Non
è niente. Vedrai che già domani ti
sentirai meglio».
Gli
occhi della bambina parvero farsi più lucidi.
«M-mia madre… Quando si ammalò, pensai
che il giorno dopo… sarebbe stata…
bene» concluse, con voce strozzata.
Regina
rimase immobile un istante, poi le sue mani tornarono ad
accarezzare i capelli di Biancaneve.
«Oh,
mia cara» le disse, con voce piena di
compassione.
Eppure,
dover confortare quella bambina… Dover guarire le
sue ferite, mentre la ferita che Biancaneve le aveva causato le faceva
ancora sanguinare il cuore… era insopportabile.
«Mi
dispiace molto che tu abbia dovuto perdere una persona
che ami…»
Contro
la sua pelle, l’anello di Daniel era ancora fresco.
Improvvisamente, però, le parve quasi rovente.
«Ma
non devi temere per la tua vita. Tuo padre mi ha riferito
che secondo il medico di corte non hai nulla di grave».
“E
se invece fosse stata moribonda?”
insinuò una voce in fondo alla sua testa. “Ti
sarebbe piaciuto?”
Regina
inorridì interiormente. “No”
cercò di dirsi, con fermezza. “Certo che
no”.
La
bambina la riportò al presente, tirando su col naso.
«Sì» pigolò.
«Sì, Johanna me l’ha detto».
Regina
abbassò gli occhi su quel visetto arrossato, e
improvvisamente si sentì come… sdoppiata.
Come
se ci fossero due lei: una che era commossa da
quell’angoscia infantile, l’altra che guardava con
freddezza a quella medesima afflizione.
«Vedi,
dunque?» si costrinse a chiedere, sfiorando
con dita gentili la fronte della bambina. Fronte che era calda, calda,
quasi rovente… Mentre la pelle di Daniel era diventata
così fredda… «Non devi preoccuparti di
nulla. Devi solo pensare a guarire».
Debolmente,
Biancaneve annuì.
“Ancora
un poco” pensò allora Regina.
“Ancora un poco e potrò tornare nelle mie
stanze”.
Ma
si sbagliava.
Col
calare della sera, la febbre di Biancaneve si alzò.
Interpellato, il medico di corte sostenne che non era altro che il
normale decorso della malattia.
In
quanto al re, si presentò al capezzale della bambina per
darle un po’ di conforto.
Mentre
fissava l’uomo dalla parte opposta del letto, Regina
fu folgorata dall’immagine che avrebbero dato ad un eventuale
osservatore.
Lei
e l’uomo, così solleciti nei riguardi di
quella bimba malata… Di certo, dovevano sembrare una
famiglia felice…
Quell’idea
la devastò.
La
sua mente fu attraversata dai frammenti di alcuni sogni che non
aveva più osato ricordare.
Un
casolare modesto, un pendio erboso. Alcuni cavalli. E bambini,
bambini che ridevano, bambini col suo viso e con gli occhi di
Daniel…
Daniel.
E
invece, si era ritrovata in questa prigione lussuosa, con un marito
che non voleva, costretta a far da madre alla ragazzina che aveva
segnato la sorte dell’uomo che amava.
Quando
il re, dopo aver baciato la fronte di Biancaneve, se ne
andò, fu un vero e proprio sollievo.
Regina
attese qualche altro minuto, poi accennò ad andarsene
a sua volta.
La
sua figliastra, però, le afferrò una mano.
«Vi prego» la implorò, con voce tremula.
«Vi prego, restate».
E
così, Regina rimase lì, con la sensazione che
le dimensioni della sua prigione si fossero improvvisamente ridotte
alla grandezza di una stanza.
Vegliò
sulla bambina per tutta la notte, aiutandola a bere
quando aveva sete e abbracciandola per alleviare la sua agitazione.
Biancaneve,
dal canto suo, dormì ben poco. Tremava e batteva
i denti e, tra un lamento e l’altro, cercava il conforto del
grembo della sua matrigna.
Verso
l’alba, finalmente, si appisolò.
Regina
si sentiva completamente esausta.
La
notte appena trascorsa le aveva confermato una cosa: lei non era
assolutamente nelle condizioni di fare la madre.
Era
molto giovane, ed era ferita, confusa, piena di un rancore
bruciante e di una rabbia che non attendevano altro che esplodere.
Aveva
bisogno di Daniel e delle sue braccia sicure. Ne aveva tanto
bisogno che era peggio di un male fisico…
Ma
ciò che era fatto era fatto, pensò, guardando
rigidamente la bambina addormentata.
Daniel
non lo avrebbe avuto mai più.
Allora,
forse, aveva bisogno di piangerlo come sua madre non le aveva
lasciato il tempo di fare, aveva bisogno di cancellare dal proprio
volto quel sorriso disgustosamente perfetto.
Aveva
bisogno di fuggire, e di non posare mai più gli occhi
su Biancaneve.
La
bambina era diventata il costante ricordo di una promessa infranta,
delle labbra inerti di Daniel contro la sua bocca disperata.
In
quel momento, Biancaneve si stiracchiò appena,
svegliandosi…
Quando
posò lo sguardo su Regina, si bloccò, e i
suoi occhi si allargarono, facendosi tondi come due monete.
«Siete…
siete rimasta con me»
fiatò la piccola. «Tutta la notte!»
Regina
modellò un sorriso sulle proprie labbra insensibili.
«Sì».
Biancaneve
continuò a fissarla, e nella sua espressione
comparve qualcosa che rasentava la venerazione.
Con
qualche difficoltà, la bambina si mise a sedere. Poi,
con una serietà che stonava sul suo viso infantile,
afferrò le mani della sua matrigna.
«Anch’io
ci sarò sempre, per
voi» promise, con fervore. «Non vi farò
mai e poi mai ciò che vi ha fatto il vostro
stalliere».
Regina
smise di respirare, mentre qualcosa dentro di lei si contraeva,
ed esigeva selvaggiamente di chiudere le dita su quel collo candido e
strangolare la bambina.
Sentire
il respiro che diventava un rantolo raschiante nella sua gola,
sentirla dibattersi inutilmente sotto la propria presa…
“Sorridi,
Regina. Sorridi”.
La
donna obbedì di nuovo e sorrise, togliendo con gentilezza
le proprie mani da quelle della figliastra.
«Ti
ringrazio, Biancaneve» le disse, in un tono
commosso che le suonò stranamente stridulo.
Dentro
di lei, vibrava una rabbia gelida e assoluta. Feroce.
La
bambina rispose con un sorriso felice, poi si distrasse
improvvisamente. «Ho fame» osservò,
posandosi una mano sullo stomaco. «È un buon
segno?»
Regina
si costrinse a far uscire una risata dalla propria gola
– l’ultima volta che aveva riso davvero, era stato
con lui.
«Sì,
penso proprio di sì».
Dentro
di sé, però, si sentiva morire. Ora
più che mai.
Lei
e Biancaneve non parlavano mai di Daniel… Adesso, Regina
capì con dolorosa precisione che cosa la bambina doveva
pensare di lui.
In
fondo, Biancaneve la guardava quasi con adorazione. Era probabile,
se non indubbio, che provasse un certo rancore, nei riguardi
dell’uomo che – a quanto ne sapeva lei –
aveva abbandonato Regina.
La
giovane sentì l’impulso di negare tutto, di
difendere Daniel sino a perdere la voce, di dire che lui non avrebbe
mai fatto una cosa simile.
Il
pensiero che qualcuno lo ritenesse in grado di scappare, di
abbandonarla… era un’agonia.
Non
era riuscita a proteggerlo dalla propria madre. Aveva sposato un
altro uomo. Aveva permesso che un altro uomo prendesse la sua
femminilità.
E
gli aveva dato una colpa che non aveva.
«Credete
che mio padre mi permetterà di far
colazione nella mia stanza?» cinguettò Biancaneve,
beatamente inconsapevole di tutto.
Regina
non riuscì a rispondere subito.
E
se avesse sputato la verità in faccia alla bambina? Si era
inventata quella bugia affinché Biancaneve non fosse stata
tormentata dal senso di colpa, ma non aveva mai immaginato che per lei
sarebbe stata una simile tortura.
Le
sembrava un insulto alla memoria di Daniel.
«Sono
certa di sì» disse infine. Vuota.
La
bambina sorrise di nuovo, sprizzando contentezza da tutti i pori.
Regina
si posò una mano sul petto, laddove si trovava
l’anello di Daniel, e si chiese quando ogni suo appiglio si
sarebbe sgretolato.
Note:
Evidentemente, rimuginare su Regina mi fa MALE.
Sperando che questo testo non sia insensato e/o ributtante, e di non aver reso OOC i personaggi, ringrazio
chi è riuscito ad arrivare sino alla fine =)
Se mai voleste farmi sapere cosa ne pensate, ne sarei più
che felice (uh, e non ho ancora iniziato a vedere la terza
serie… perciò, per favore, niente spoiler!).
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