Capitolo 1
Eccomi! Perdonate il
ritardo con cui aggiorno, ma sono abbastanza occupata a trovare
occupazione, studiare, cristonare contro il prof di storia dell'arte e
preparare le cose per la mostra fotografica... e il gattino appena
adottato che mi distrugge casa... U_U
Abbiate pazienza! (Non credo che morirà nessuno per questa
storia, anche se si aspetta un po' XD)
Tra un impegno e l'altro sto pensando a nuove idee per nuove storie,
chi lo sa, magari presto riuscirò a trovare il tempo per
scrivere! (Certo per i prossimi 2 fine settimana ne dubito, ma giuro
che prima o poi mi dedicherò a qualcosa XD)
Ora vi lascio alla storia! Alla prossima!
(p.s. Nau! Grazie per l'avviso dello scorso capitolo! Alla fine l'ho
corretto^^ Ciauuu)
SaYu
La
ballata dell'amore Cieco
Capitolo
2
-Michela,
la palla bianca e la prima umiliazione-
Michela era una delle ragazze che si erano aggiunte alla classe
precedente che aveva, da sempre, conosciuto la nostra Lei. Era bionda,
gracilina con gli occhi azzurri e sfortunatamente troppo carina per
poter rimanere a lungo in quella classe.
Sì perchè nella 1B non era una fortuna essere
troppo carine, Mara e Betta lo avrebbero scoperto successivamente,
Michela fu solo la prima dell'elenco.
La scuola media era iniziata da appena una settimana, Mirko era ben
attento a non rivolgere la parola a Sara e a lei, andava bene
così, la sua, attenzione fu presto attirata da Raul, il
quale ovviamente non vedeva nemmeno lontanamente la nostra protagonista.
Mentre le varie ragazze della classe facevano comunella, ognuno si
sceglieva il proprio banco e incominciava a capire la differenza dalle
scuole elementari.
Nacquero in quell'anno le tipiche figuracce degli studenti, quelle in
cui non ti ricordi mai di dover chiamare "Professore" l'insegnante e
inevitabilmente si incappa nell'imbarazzante sbaglio del dire "mamma"
alla prof d'italiano o di matematica.
Ma a parte questi piccoli incidenti, l'atmosfera era tranquilla e tutti
speravano durasse un po' di più...
Enrico non era il tipo di bambino che seguiva le regole per troppo
tempo. Tant'è che più lo obbligavi più
si ribellava.
Ma come tutti i bambini, a quell'età si incomincia con le
prime cotte e a Michela capitò il primo posto.
All'inizio Enrico cominciò con il toccare ciò che
non si dovrebbe.
Poi iniziò a tirare i capelli.
Poi arrivarono le sberle.
Ed infine le lacrime.
Era una tecnica di tortura lenta e fastidiosa, come una mosca, non
insisteva mai più di tanto, ma con il passare del tempo si
faceva più frequente e ti mandava in bestia.
All'inizio ti puoi limitare a scacciarla con qualche gesto, ma poi non
ce la fai più.
Era l'ultima ora. Faceva ancora caldo e fuori c'era un sole cocente.
Settembre non era ancora terminato.
Uscirono tutti dalle aule al suono della campanella, quel giorno non ci
sarebbe stato rietro e qualcuno osava rimanere qualche minuto a
scambiarsi qualche figurina o qualche bigliettino.
La 1B era tutta lì, ferma, davanti all'uscita. Qualcuno
delle classi più grandi si stava avviando alle biciclette e
ai motorini.
Michela fu la prima ad avviarsi e le altre compagne la
salutarono, nessuno fece in tempo a fermare Enrico.
Si avvicinò alla macchina, una Fiat grigia. Il padre era
seduto al volante e aveva appena aperto la portiera per far sedere la
figlia.
Mentre Michela si infilava sul sedile, liberandosi della cartella,
Enrico arrivò, la prese per i capelli e fermando tutto il
traffico, sotto gli occhi di un vigile sconvolto la spinse a terra.
E furono strilli, urla, lacrime.
Tutti i ragazzini pensarono fosse il momento migliore per avviarsi a
casa.
Il giorno dopo Michela cambiò scuola e fu chiaro per tutti
che l'incubo era appena cominciato.
Dopo l'incidente i professori furono tentati di provvedere, tuttavia,
essendosi svolto fuori dalle mura scolastiche, l'episodio non poteva
essere punito con una sospensione.
Ma gli altri restavano. E loro cominciarono ad avere paura.
Iniziò così, prima Michela, poi, dopo di lei a
turno tutte venivano prese e colpite dall'incontenibile violenza di
Enrico. Con il passare dei giorni la speranza che le acque si
calmassero saliva a dismisura e puntualmente veniva smorzata da qualche
episodio spiacevole.
C'era chi veniva preso in giro e insultato, Sara tra questi, chi le
cantava canzoncine perfide, chi la chiamava Sarabbrutta, chi la mirava
con le palle da basket.
Ma ad altri non era riservato trattamento migliore. C'era chi ritornava
a casa con i jeans strappati, chi invece tornava a casa senza, chi
riceveva qualche bernoccolo, chi, invece, aveva lividi.
E la cosa non si limitava solo alla classe, ma anche in tutto il
corridoio l'aria che si respirava era di paura.
Ogni qual volta compariva Enrico tutti cominciavano a scappare, i pi
fortunati si aggrappavano alle sottane di qualche professore, meglio se
maschio, altri venivano presi per i capelli e letteralmente torturati.
Ma ben presto dietro all'irruenta azione di Enrico, qualcun'altro
cominciò ad agire.
Mirko, Claudio e Luca, i tre ragazzi più ambiti dalle
ragazzine della scuola, avevano capito che la via era libera fino a che
Enrico avesse continuato la sua opera.
E Lui, Mirko, non stette più in silenzio.
Dalla mattina, fino al termine dell'orario scolastico aveva deciso di
torturare un unico obiettivo. Lei, Sara. Gli altri non gli importavano
più di tanto.
E anche se li prendeva in giro, non ci metteva lo stesso impegno che
metteva con lei.
Poi, avvenne un episodio imbarazzante.
Educazione fisica. Lei odiava educazione fisica. Perchè? Un
po' perchè era la Sua materia preferita, un po' per la sua
avversione agli sport e al basket in particolare.
Sara odiava dover seguire gli schemi e le cose che le venivano
imposte, di conseguenza quella volta scelse di fare qualcosa di
incredibilmente inutile e stupido.
Erano nella palestra, avevano tutti la loro tuta, con le scarpe da
tennis, quelle che ora non si usano più, bianche con la
gomma che dopo un po' si stacca inevitabilmente.
L'insegnante, fissata con il basket, da anni aveva tentato
inevitabilmente di far piacere la materia a Lei, ma ovviamente non
c'era mai riuscita.
-Bene! Ora, mettetevi su due file, maschi da una parte e femmine
dall'altra! Chiudete gli occhi e lasciate andare la palla, quando
fischio voglio che vi giriate, vi alziate e portiate palleggiando la
palla dall'altro lato del campo- la voce della prof risuonò
nella palestra.
Poco dopo si sentì un sonoro "PRRROOOTTT".
Ci fu uno scoppio di risa. Tutti si voltarono verso Sara e la
additarono ridendo.
-N...no... ma ... io....- farfugliava mentre diventava rossa. Si era
seduta sulla palla e questa, sfregando contro la plastica delle scarpe
da tenniss aveva prodotto un rumore che potete ben immaginare a cosa
assomigli.
Lei si voltò, viola in volto dalla vergogna, nessuno la
ascoltava, chiese aiuto alla prof, lei aveva visto, aveva gli occhi
aperti e sapeva. Speranzosa supplicò di essere aiutata.
L'insegnante semplicemente scosse la testa dicendo "No".
L'eco delle risate risuonò nella testa di Sara. Nessuno la
ascoltava, tutti ridevano e la chiamavano "Renzona".
Non l'aveva fatto apposta, però nessuno era disposto a
capirlo, persino l'unica persona che conosceva la verità si
era voltata da un'altra parte.
Pianse, di vergogna, di imbarazzo, di tristezza.
Era sola, mentre ripetevano l'esercizio. Si alzò, prese la
palla, e palleggiò, davanti a tutte le risate dei compagni,
davanti al mezzo sorriso divertito dell'insegnante.
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