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Autore: Sayumi    15/05/2008    2 recensioni
Un racconto, una specie di favola triste, per denunciare un problema che è tempo finisca.
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 1 Eccomi! Perdonate il ritardo con cui aggiorno, ma sono abbastanza occupata a trovare occupazione, studiare, cristonare contro il prof di storia dell'arte e preparare le cose per la mostra fotografica... e il gattino appena adottato che mi distrugge casa... U_U
Abbiate pazienza! (Non credo che morirà nessuno per questa storia, anche se si aspetta un po' XD)
Tra un impegno e l'altro sto pensando a nuove idee per nuove storie, chi lo sa, magari presto riuscirò a trovare il tempo per scrivere! (Certo per i prossimi 2 fine settimana ne dubito, ma giuro che prima o poi mi dedicherò a qualcosa XD)
Ora vi lascio alla storia! Alla prossima!
(p.s. Nau! Grazie per l'avviso dello scorso capitolo! Alla fine l'ho corretto^^ Ciauuu)

SaYu


La ballata dell'amore Cieco


Capitolo 2

-Michela, la palla bianca e la prima umiliazione-


Michela era una delle ragazze che si erano aggiunte alla classe precedente che aveva, da sempre, conosciuto la nostra Lei. Era bionda, gracilina con gli occhi azzurri e sfortunatamente troppo carina per poter rimanere a lungo in quella classe.
Sì perchè nella 1B non era una fortuna essere troppo carine, Mara e Betta lo avrebbero scoperto successivamente, Michela fu solo la prima dell'elenco.
La scuola media era iniziata da appena una settimana, Mirko era ben attento a non rivolgere la parola a Sara e a lei, andava bene così, la sua, attenzione fu presto attirata da Raul, il quale ovviamente non vedeva nemmeno lontanamente la nostra protagonista.
Mentre le varie ragazze della classe facevano comunella, ognuno si sceglieva il proprio banco e incominciava a capire la differenza dalle scuole elementari.
Nacquero in quell'anno le tipiche figuracce degli studenti, quelle in cui non ti ricordi mai di dover chiamare "Professore" l'insegnante e inevitabilmente si incappa nell'imbarazzante sbaglio del dire "mamma" alla prof d'italiano o di matematica.
Ma a parte questi piccoli incidenti, l'atmosfera era tranquilla e tutti speravano durasse un po' di più...
Enrico non era il tipo di bambino che seguiva le regole per troppo tempo. Tant'è che più lo obbligavi più si ribellava.
Ma come tutti i bambini, a quell'età si incomincia con le prime cotte e a Michela capitò il primo posto.
All'inizio Enrico cominciò con il toccare ciò che non si dovrebbe.
Poi iniziò a tirare i capelli.
Poi arrivarono le sberle.
Ed infine le lacrime.
Era una tecnica di tortura lenta e fastidiosa, come una mosca, non insisteva mai più di tanto, ma con il passare del tempo si faceva più frequente e ti mandava in bestia.
All'inizio ti puoi limitare a scacciarla con qualche gesto, ma poi non ce la fai più.
Era l'ultima ora. Faceva ancora caldo e fuori c'era un sole cocente. Settembre non era ancora terminato.
Uscirono tutti dalle aule al suono della campanella, quel giorno non ci sarebbe stato rietro e qualcuno osava rimanere qualche minuto a scambiarsi qualche figurina o qualche bigliettino.
La 1B era tutta lì, ferma, davanti all'uscita. Qualcuno delle classi più grandi si stava avviando alle biciclette e ai motorini.
Michela fu la prima ad avviarsi e le altre compagne la salutarono, nessuno fece in tempo a fermare Enrico.
Si avvicinò alla macchina, una Fiat grigia. Il padre era seduto al volante e aveva appena aperto la portiera per far sedere la figlia.
Mentre Michela si infilava sul sedile, liberandosi della cartella, Enrico arrivò, la prese per i capelli e fermando tutto il traffico, sotto gli occhi di un vigile sconvolto la spinse a terra.
E furono strilli, urla, lacrime.
Tutti i ragazzini pensarono fosse il momento migliore per avviarsi a casa.
Il giorno dopo Michela cambiò scuola e fu chiaro per tutti che l'incubo era appena cominciato.

Dopo l'incidente i professori furono tentati di provvedere, tuttavia, essendosi svolto fuori dalle mura scolastiche, l'episodio non poteva essere punito con una sospensione.
Ma gli altri restavano. E loro cominciarono ad avere paura.
Iniziò così, prima Michela, poi, dopo di lei a turno tutte venivano prese e colpite dall'incontenibile violenza di Enrico. Con il passare dei giorni la speranza che le acque si calmassero saliva a dismisura e puntualmente veniva smorzata da qualche episodio spiacevole.
C'era chi veniva preso in giro e insultato, Sara tra questi, chi le cantava canzoncine perfide, chi la chiamava Sarabbrutta, chi la mirava con le palle da basket.
Ma ad altri non era riservato trattamento migliore. C'era chi ritornava a casa con i jeans strappati, chi invece tornava a casa senza, chi riceveva qualche bernoccolo, chi, invece, aveva lividi.
E la cosa non si limitava solo alla classe, ma anche in tutto il corridoio l'aria che si respirava era di paura.
Ogni qual volta compariva Enrico tutti cominciavano a scappare, i pi fortunati si aggrappavano alle sottane di qualche professore, meglio se maschio, altri venivano presi per i capelli e letteralmente torturati.
Ma ben presto dietro all'irruenta azione di Enrico, qualcun'altro cominciò ad agire.
Mirko, Claudio e Luca, i tre ragazzi più ambiti dalle ragazzine della scuola, avevano capito che la via era libera fino a che Enrico avesse continuato la sua opera.
E Lui, Mirko, non stette più in silenzio.
Dalla mattina, fino al termine dell'orario scolastico aveva deciso di torturare un unico obiettivo. Lei, Sara. Gli altri non gli importavano più di tanto.
E anche se li prendeva in giro, non ci metteva lo stesso impegno che metteva con lei.
Poi, avvenne un episodio imbarazzante.
Educazione fisica. Lei odiava educazione fisica. Perchè? Un po' perchè era la Sua materia preferita, un po' per la sua avversione agli sport e al basket in particolare.
Sara odiava dover seguire gli schemi e le cose che le venivano imposte, di conseguenza quella volta scelse di fare qualcosa di incredibilmente inutile e stupido.
Erano nella palestra, avevano tutti la loro tuta, con le scarpe da tennis, quelle che ora non si usano più, bianche con la gomma che dopo un po' si stacca inevitabilmente.
L'insegnante, fissata con il basket, da anni aveva tentato inevitabilmente di far piacere la materia a Lei, ma ovviamente non c'era mai riuscita.
-Bene! Ora, mettetevi su due file, maschi da una parte e femmine dall'altra! Chiudete gli occhi e lasciate andare la palla, quando fischio voglio che vi giriate, vi alziate e portiate palleggiando la palla dall'altro lato del campo- la voce della prof risuonò nella palestra.
Poco dopo si sentì un sonoro "PRRROOOTTT".
Ci fu uno scoppio di risa. Tutti si voltarono verso Sara e la additarono ridendo.
-N...no... ma ... io....- farfugliava mentre diventava rossa. Si era seduta sulla palla e questa, sfregando contro la plastica delle scarpe da tenniss aveva prodotto un rumore che potete ben immaginare a cosa assomigli.
Lei si voltò, viola in volto dalla vergogna, nessuno la ascoltava, chiese aiuto alla prof, lei aveva visto, aveva gli occhi aperti e sapeva. Speranzosa supplicò di essere aiutata.
L'insegnante semplicemente scosse la testa dicendo "No".
L'eco delle risate risuonò nella testa di Sara. Nessuno la ascoltava, tutti ridevano e la chiamavano "Renzona".
Non l'aveva fatto apposta, però nessuno era disposto a capirlo, persino l'unica persona che conosceva la verità si era voltata da un'altra parte.
Pianse, di vergogna, di imbarazzo, di tristezza.
Era sola, mentre ripetevano l'esercizio. Si alzò, prese la palla, e palleggiò, davanti a tutte le risate dei compagni, davanti al mezzo sorriso divertito dell'insegnante.

  
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