I
calicanto. I fiori d’inverno. Germogliano quando ancora la
stagione è rigida,
ancora nella neve e nel gelo.
Sono fiori tenaci, che si fanno spazio dove nessun altro potrebbe mai
pensare
che sia il momento di nascere.
Esplodono nel buio e tutti gli altri dormono, nascosti sotto la neve.
Sono i
fiori d’oro su rami che sembrano secchi.
Li ho sempre ammirati. Li trovo bellissimi. Le loro corolle sembrano
stelle
cadute dal cielo, nell’incanto di zucchero impalpabile e di
gelo.
Ho sempre trovato io il primo calicanto, in Gennaio. Il primo calicanto
del mio
bosco è sempre stato per me, pronto a riversare il suo
segreto nella mia bocca.
Ma c’era quell’uomo. Lo stesso uomo che aveva preso
l’abitudine di portare il
fieno al mio cervo.
Era colpa sua se la bestia era sopravvissuta, se le sue femmine non
l’avevano
abbandonato, se era diventato il nuovo capobranco.
Camminava sempre a piedi, in silenzio, stringendosi nelle sue camicie
di
flanella a quadretti e nei pantaloni di velluto a coste.
L’ho osservato a lungo, seguivo le sue tracce come se volessi
cacciarlo. Alcune
volte avevo con me il mio fucile, altre volte no.
Quella volta si era portato delle cesoie e le usò per
tagliare di rami di
calicanto. Li strinse in un nastro color ghiaccio, accomodandoli
l’uno
all’altro con delicatezza. Non ruppe neanche un singolo
fiore. Ho seguito le
sue impronte fino a giù. Mettendo i piedi dove li aveva
messi lui, sovrapponevo
la suola delle mie scarpe ai suoi stivali.
La sua meta era il piccolo cimitero alla fine della collina, confinante
con
l’area picnic. Ma nessuno si avvicina così tanto a
mangiare accanto alle tombe.
Così quell’angolo era sempre stato tranquillo, se
si escludono i giorni
affollati di visite. Probabilmente è lì che
andrò, fra qualche giorno.
Conosco bene quel posto.
Feci scivolare il cancelletto di ferro sui suoi cardini, seguendolo
anche
all’interno.
Raggiunse una lapide periferica, sormontata dalla semplice immagine di
un
angelo con le mani congiunte.
Lo vidi con le ginocchia a terra sul terreno indurito dal freddo
chinarsi verso
le lettere del nome fino a rimuovere la brina lettera per lettera.
Forse è per quello che mi avvicinai, perché anche
lui sembrava aver perso
qualcosa.
Mi abbracciai le ginocchia e mi sedetti sui gradini di un mausoleo di
famiglia
poco distante.
- Chi sei?
Stava sistemando i calicanto su tutto il tumulo, disponendoli come una
corona
dorata tutto intorno alla fanghiglia scura. Attesi a lungo prima che
rispondesse. Temetti che non rispondesse mai.
- Llewellyn. E tu?
- Romy
Non gli porsi una mano, come si dovrebbe fare sempre se si è
delle persone
educate, ma lasciai che la sua aleggiasse nell’aria invano.
- Ti ho visto nel bosco.
Era una frase molto stupida da dire, ma non mi veniva in mente altro.
Lui
sembrava essersi del tutto disinteressato, e copriva con la sua ombra
il nome
sulla lapide, così non riuscivo a leggerla. Quando mi
guardò di nuovo il suo
viso aveva preso una piega severa.
- Anche io ho visto te, cacci di frodo.
Rabbrividii. Sono sempre stata molto attenta con le mie trappole,
piazzandole
lì dove nessuno si spinge e controllandole la mattina
presto, quando è ancora
buio. Non ho mai fatto lo stesso giro, perché non si dicesse
che ho delle
abitudini.
- Non mi denuncerai vero?
Llewellyn si sollevò in piedi, battendosi le mani sulle
cosce fino a cacciare
via i frammenti di ghiaccio rimasti intrappolati nella stoffa.
- No, non ti denuncerò
Ho sempre parlato molto poco, e ancor meno ho usato la parola che usai
in quel
momento. Ma lo guardai negli occhi e capii che era sincero.
- Grazie
Cominciammo a vederci all’altura, prima del tutto
casualmente, poi come ad una
sorta di orario.
Quando scendeva la sera ed arrivavano i cervi lui era lì con
il suo sacco, ed
io lì a guardarli, generalmente nascosta fra le fronde.
Mi premevo contro il corpo le mie prede ancora calde, trovando conforto
nel
sangue che colava a terra bagnando i piedi e la neve,finché
cominciai a trovare
un po’ di cioccolato sul masso, quando se ne andava, ed un
giorno un thermos
intero con del the ancora fumante.
Mi avvicinavo sempre più, attirata da quelle briciole che
prima credevo
dimenticate.
Ma in verità lui mi trattava come una bestiola selvatica, mi
addomesticava come
aveva fatto con il mio cervo.
Imparai a fidarmi di quel cibo, ed a presentarmi
all’appuntamento per carpirlo.
Aspettavo che se ne andasse per andare a vedere cosa era rimasto, cosa
era
stato lasciato indietro.
Io ed il mio cervo ci guardavamo e non comprendevamo come tutto
ciò fosse
possibile. Come avessimo fatto a superare anche
quell’inverno. Stavamo bene.
|