10 dicembre 2015.
“Otto anni. Otto lunghissimi
anni” è il fastidioso
lamento di Akane fra una sorsata e l’altra del suo
caffè. Ha preso l’abitudine
di consumarlo a colazione solo da poco tempo, un paio di mesi al
massimo. Prima
era più tradizionalista.
“Che c’è?
Hai una crisi improvvisa?” la canzono,
sempre fedele a me stesso e alla linea.
E l’intera famiglia, ovviamente
radunata attorno al
centenario tavolo del salotto, comincia a guardarmi di un male, ma di
un
male...
No, va beh. Se non ho diritto di battuta
basta dirlo.
“Comincio a capirti, Akane. Non
posso vantare una così
lunga permanenza, però non mi sto facendo mancare niente
neanch’io” commenta
Ranma, cercando di poggiarle una mano sulla spalla e venendo rimbalzato
scortesemente.
La zia non mi sembra di grande umore oggi.
Fossi in te
la lascerei nel suo brodo.
E nonostante questo noto che il viso di mia
madre,
come sempre impegnata a servire e spostare i piatti vuoti, è
lieto. Sembra...
felice per loro.
Mi sa che simili scenette le mancavano.
Ho riflettuto in merito e sono giunto a una
conclusione: pur avendo vissuto dei momenti a dir poco scioccanti, io
sono
convinto che le due Tendo superstiti abbiano accolto questa cosa come
una sorta
di benedizione.
Sia chiaro: sia mamma, sia zia Nabiki che
li guarda di
traverso con il suo solito sorriso da iena, hanno sofferto. Molto. Non
riesco
neanche a immaginare quante difficoltà possano aver avuto ad
abituarsi a tutto
questo, a un Ranma in libertà e soprattutto a una sorella
che è ripiombata
nelle loro vite pur senza lasciare la sua comoda tomba.
Però non prendiamoci in giro. Si
vede lontano un
chilometro che, una volta lasciato alle spalle un periodo di
aggiustamento,
hanno accolto la novità con sollievo. E non le posso
biasimare, penso farei lo
stesso se succedesse qualcosa a Rei e fra trent’anni mi
trovassi davanti una
sua versione da un altro mondo.
E comunque posso dire che le capisco. Si
respira aria
gagliarda a questa tavolata, fra ammiccamenti velati e vetriolo
lanciato sotto
forma di missili terra-aria-acqua-cosmo. Prima non era così,
e pur non
preferendo lo stato di cose precedente... oh, vaffanculo. È
complicato da
spiegare e io non sono nelle mie migliori
condizioni.
Proseguono allegri in frizzi, lazzi e
ingestione di
cibo. Volano insulti al sarcasmo, risposte pungenti e pure una
bacchetta da
parte di Ranma che, per sua fortuna, non se n’è
privato prima di finire la sua
scodella di riso. Posso dire di conoscerlo un po’ e la cosa
non mi meraviglia
troppo, avendo lui dimostrato un appetito sconfinato e la
capacità digestiva di
uno stormo di elefanti.
In tutto questo io dove e come mi
inserisco? Eh, bella
domanda. Io...
“Andiamo, Shinichi”
ordina seccamente papà alzandosi,
mentre provvede a baciare la sua sposa e a salutare calorosamente tutti
i
componenti del nucleo familiare.
Ecco, volevate sapere di me? Accontentati.
La mia vita è diventata lammerda.
Non sono più riuscito a entrare
in una qualunque
università, neanche nella più pidocchiosa e
malfamata dell’intero paese. Mi
dev’essere subentrato tipo un blocco psicologico o qualche
cazzata del genere,
altrimenti non me ne spiego il motivo.
Non sono cretino, porca troia. Sono solo un
pochino
sprovvisto di voglia di sbattermi. Sai che colpa grave.
Pertanto i miei, a ragione imbufaliti oltre
la soglia
di guardia, hanno ben pensato di punirmi in maniera appropriata e, sin
dal
giorno successivo all’ultima stampatura sbattuta in piena
faccia, hanno trovato
una condanna esemplare.
Obbligato a fare l’assistente di
papà nel suo studio.
Gratis.
“Oh sì, è
proprio un lavoraccio Shinichi. Invidierai
gli spazzacessi e quelli che cambiano i mutandoni ai vecchi”.
Le sento le vostre
voci ironiche, stronzi senza volto. E vi assicuro che non è
la passeggiata di
salute che potete credere.
Lavorare nell’ambulatorio del
dottor Ono è
massacrante. Date le sue indubbie doti, il signore qua ha sempre una
quantità
impressionante di clienti che entrano, ruttano, buttano le cartacce per
terra,
lasciano chili di fango sul pavimento e chi più ne ha
più ne metta.
Uccidetemi. Lo preferisco.
“Se posso
intromettermi...” dice zia Nabiki alzandosi.
Uh?
“Cosa
c’è?” chiede papà,
guardandola un po’ accigliato.
Credo non abbia apprezzato l’intervento.
“Sia chiaro che non sto cercando
di minare la tua
autorità, caro cognatino. Ma spero non ti scocci se, per
oggi, ti porto via il
carcerato per qualche ora”.
“E perché lo vorresti
fare?”.
“Ho programmato una scampagnata e
lui mi serve”.
“Dove?”.
“Non si rovinano così
le sorprese, suvvia. Non fare
l’ammazzagioie”.
Interviene mamma: “Nabiki, cosa
stai architettando?”.
“Niente di distruttivo,
sorellina. Ti pare che
rovinerei in maniera sconsiderata il mio nipote preferito?”.
“Grazie tante, zia. Grazie
tante” borbotta Rei,
comprensibilmente piccata.
“Maschio, intendevo nipote
maschio. E comunque sei invitata
anche tu. E pure voi” conclude indicando Ranma e Akane.
I due si guardano interdetti. “Tu
hai idea di che si
tratta?”. “A me lo chiedi? La sorella è
la tua, mica la mia”. “Non è davvero
mia sorella e lo sai”. “Va bene, ma è
più tua sorella che mia”. “E se mio
padre
aveva le ruote era un trolley”. “Non sapevo che
Soun fosse così pieno di
optional”. “... vai a quel paese e
restaci”. Tutto questo non se lo dicono
parlando, ma solo a smorfie.
Ora comincio a essere incuriosito. Cosa
può volere da
noi quattro?
“Va bene, Nabiki. Sputa il rospo.
E che sia una
risposta soddisfacente”. Mi dimentico sin troppo spesso che
mamma sa essere
molto, molto forte se ci si mette. Per fortuna delle mie costole non le
succede
spesso.
“Ma in questa casa non si
può far mai nulla di non
catalogato. Che noia che barba che barba che noia. Di cosa hai paura,
Kasumi?”.
“Non lo so, non sono
mefistofelica come te”.
“Mi ricordi troppo Akira, in
questo momento”.
“Scusa tanto se tengo alla
salvaguardia dei miei
figli, di nostra sorella e di Ranma. La prossima volta te li
lascerò sbranare
in pace”.
“Comunque no, non te lo dico. In
compenso posso
giurarti sulla cosa più preziosa che ho al mondo che non
intendo torcere loro
un solo capello, neanche come conseguenza involontaria”.
“Sarà meglio per te.
Altrimenti neanche essere il
megadirettore galattico della ditta per cui lavori potrà
salvare la tua
pellaccia”.
Non trattengo una risata. Mia madre e mia
zia sanno
sempre imbastire degli spettacolini spassosissimi.
“Allora è deciso:
sequestro i quattro giovincelli per
una mezza giornata e ve li riporto intonsi e lustrati, come se fossero
appena
usciti dalla concessionaria. Siamo tutti d’accordo?
Rimostranze? Rimbrotti?
Altre perdite di tempo?”.
C’è del parlottio fra
i miei genitori, ma nessuno dei
due sembra abbastanza cazzuto da volersi opporre con fermezza. E poi
credo che
le continue rassicurazioni li abbiano, nonostante tutto, messi
abbastanza con l’anima
in pace. La resa ufficiale arriva per bocca di papà, che
concede a malincuore
la propria benedizione.
Evviva. Si va a spasso con zia Nabiki.
Ci fa alzare e ci impone di uscire. Quando
poi siamo
all’esterno, appena oltre la soglia di casa, intona quello
che appare come un
discorso grave: “Molto bene, marmaglia. Vi starete chiedendo
cosa mi frulla per
la testa, no? Diciamo che ho avuto un’idea in parte
terapeutica e in parte da
pazzoide. Ma tutta questa situazione è da pazzoidi, alla fin
fine. Comunque è
presto detto: si va tutti assieme appassionatamente al
cimitero”.
...
Ma vai a cagare.
“Ehi, cos’è
‘sto scherzo di pessimo gusto?” se ne esce
Ranma, presto spalleggiato da tutti gli altri.
“Bamboccetto, abbassa la
crestina. Non vuoi neanche
sapere il perché di questa mia decisione?”.
“Ma guarda, non sono
così interessato a scoprire i
meandri di una mente psicotica”.
“Perché, hai addirittura
dei motivi? Se non ti conoscessi
giurerei che questa vuole solo essere una gigantesca presa per il
culo” mi
inserisco.
“Quand’ero
più giovane, che tu ci creda o no, persino
io ogni tanto mi concedevo qualche sfizio. Ma qui, anche se
potrà sembrarvi
assurdo, la questione è più importante di quanto
può apparire ai vostri occhi”.
“E quale sarebbe questa oh
così fondamentale causa?”.
“Akane, tu dovresti essere
proprio l’ultima ad
apostrofarmi con tanto sarcasmo. Ricordami un po’ da
quant’è che sei bloccata
qui”.
“Ma dici sul serio? Lo sai bene
da quanto...”.
“Rispondimi”.
No, ok. Posso contare sulle dita di una
mano monca le
occasioni in cui Nabiki ha mostrato tutta questa serietà.
Non le brillano gli
occhi con l’istinto omicida del pescecane che sta per
spolpare l’ennesimo
malcapitato, non ha quella parvenza da femmina fatale, non si lecca
lascivamente le labbra. Al contrario, è fredda e composta.
Sa essere una
bastarda totale anche da fredda e composta in realtà, ma
percepisco una nota
differente.
“A oggi... sono esattamente...
otto anni” risponde l’interpellata,
intimorita.
“Ecco. Otto anni. Ora, sono solo
io a considerare come
più probabile l’eventualità peggiore,
cioè che voi due non riuscirete mai a
tornare da dove venite?”.
Silenzio. Pesante.
“Come volevasi dimostrare. E
allora ho pensato che
forse sarebbe utile per voi realizzarlo definitivamente con un breve
saluto
alle vostre controparti di qui”.
Questa... è follia. Che
cos’hai in quella testa, donna
mia? Scarti radioattivi?
“Zia, scusami se mi
permetto” mi anticipa Rei “ma io
non ci vedo nulla di sensato in tutto ciò. E poi cosa
c’entriamo io e Shinichi?”.
“Strettamente nulla, è
vero. Ma volevo rendervi
partecipi, anche per una piccola lezione sul mondo difficile, la vita
intensa, la
felicità a momenti e il futuro incerto. Male di certo non vi
farà”.
Io non me la ricordavo mica così
macabra, eh.
“Ammetto” esordisce
d’improvviso Akane “che un paio di
volte ho pensato di farmi accompagnare da qualcuno a visitare il luogo
di
riposo della me stessa di qui. Ma vuoi per paura e vuoi
perché non lo ritenevo
necessario, ho sempre preferito evitare. Messo in questi termini,
però, non
nego che il tuo ragionamento abbia un suo senso. Indubbiamente lugubre
ma ce l’ha.
Forse mi serviva solo una spinta esterna per farmene rendere conto
appieno”.
“Mi fa piacere”
risponde mentre si accende una
sigaretta -catrame già di prima mattina, vai
così- “che tu abbia compreso le
mie ragioni. E per quanto riguarda il signorino ribelle con la barba,
mh?
Ancora contrario all’idea?”.
“Non... non lo so. Dopo che ti
sei spiegata... anch’io
devo concedere che se non altro non è uno dei tuoi squallidi
trucchetti per
trarne profitto”.
“In tal senso puoi stare
tranquillo, Saotome. Non devi
temere nessun tiro mancino da me. Come gli altri tre possono
confermarti io, in
questi otto anni, non ho mai attentato una sola volta al benessere di
Akane e
di chi era stato così sfortunato da condividere con lei
questo destino infame.
Aiuta anche il fatto che sono da queste parti solo per le vacanze
natalizie...
ma è il sentimento che conta. E quello è sincero,
te lo posso giurare”.
Ok. Se non si convince dopo questa non si
convince
più. Mai, e non scherzo quando dico mai, ho sentito parlare
zia Nabiki con
simile solennità.
“Confermi quanto ha detto,
Akane?”.
“Lo confermo. Non sai quanto
questa cosa mi abbia
spiazzata, ma non si è comportata in maniera equivoca una
sola volta”.
Dopo qualche attimo di tentennamento le
risponde: “E...
e va bene. Hai vinto”.
“Eccellente. Voi, nipoti adorati?
Vi aggregate?”.
Lascio che sia mia sorella a prendere per
prima la
parola, dandole anche una piccola pacca per esortarla:
“Ribadisco che una
trovata del genere è degna di uno squilibrato,
ma...”.
“Ma?”.
“Ma... una parte di me
è incuriosita. Parecchio
incuriosita. E sta cercando di farmi cedere”.
“La sostengo con tutta me stessa.
Credimi quando ti
dico che, a parte un po’ di straniamento, una passeggiata al
camposanto non è
la tragedia che si può pensare. Inoltre, non vorresti andare
a trovare il
nonno? È molto che gli fai mancare la tua presenza e non
è cortese. Nipote degenere”.
“Sì, hai
ragione...”.
“E allora approfittane. Magari tu
e Shinichi potete
dedicarvi a lui, mentre i nostri clandestini sistemano le loro
faccende”.
Insiste ancora un po’ e alla fine
le strappa un sì.
Rimango solo io. Mi affretto ad accettare,
che
preferisco tutto a un turno di sedici ore nell’ambulatorio di
papà. Anche una
roba grama come il trekking in mezzo ai morti.
Ci avviamo.
Mentre camminiamo con passo rilassato mi
accorgo che
Ranma e Akane, un paio di metri davanti a me, sembrano molto... vicini.
A
quanto pare a lei è passato il malumore di prima, visto che
non è avara di
risolini e sguardi complici con il suo bel fusto.
A me nessuno dice più nulla in
casa, non dopo quella
sfilza di bocciature che mi hanno ridotto la vita al cumulo di letame
fumante
su cui sono seduto da sin troppo tempo. Ma mi sembra di aver origliato,
non
ricordo se direttamente dalla bocca degli interessati, di un loro
strano
accordo sul fatto che si sarebbero considerati niente più
che amici. Quel che
vedo mi pare raccontarmela diversamente.
Poi boh, non è che neanche me ne
fotta qualcosa.
Diciamo solo che è... curioso.
“Tutto bene, Shinichi?”
mi chiede Rei, ridestandomi
dai miei pensieri.
“Sì sì, ero
solo distratto”.
“Sei sempre distratto,
fratellone”.
“E fatti gli affaracci tuoi una
volta tanto”.
“Ma guarda te che stronzo. Io mi
preoccupo e lui fa lo
snob di ‘stocazzo”.
So che è patetico, ma un
po’ mi manca la Rei riverente
e asservita che mi ronzava attorno anche solo qualche anno fa. Dal
giorno in
cui le abbiamo raccontato del Torneo se n’è andata
e non è ritornata più. Me la
sono voluta.
Dopo una decina di minuti abbondanti siamo
a
destinazione e zia Nabiki, com’è sua abitudine,
prende in mano la situazione: “Shinichi,
tu e tua sorella da nonno Soun. Io porto gli altri due dove devono
stare. Ci si
rivede qui all’ingresso fra una mezz’ora.
Marsch”.
Li vedo allontanarsi e osservando le loro
schiene mi
vorticano infinite domande nel cervello. A cui rispondo con infiniti vaffanculo.
Qui giace
Akane Tendo (1973-1989)
L’ultima, la
più valorosa
Ciao Akane.
Era da un po’ che meditavo di passare a porti il mio
rispetto.
Se non fossi dove sei mi staresti chiedendo chi sono,
da quale incubo esco e perché non ci torno.
Alla prima domanda ti rispondo agilissima: io sono te.
In un certo senso. Lunga storia.
Alla seconda ti rispondo: non esco da un incubo, anche
se per certi versi la mia esperienza si può considerare tale.
Alla terza ti rispondo: lo farei se potessi. Ma Shan-Pu
ha deciso per me e non credo di potermene andare, a meno di insperati
miracoli.
Accidenti, non è cosa da tutti i giorni poter guardare
una lapide su cui c’è scritto il tuo nome.
Scusami, mi sento scombussolata.
Nabiki si alterna nel fissare me e Ranma.
Eh già, c’è pure lui. Un gran casino,
vero? Non rovinerò quest’occasione
speciale con il resoconto delle nostre disavventure, ti annoierei.
Accetta solo la mia esistenza, senza fare domande. È
più pratico per entrambe.
Non... non so bene cosa dire. È dannatamente complesso
da affrontare e metabolizzare.
Sono davanti a una tomba che potrebbe essere la mia,
non lo è e in un certo senso lo è.
Devo dare atto alla tua sorella cannibale, aveva
ragione: averti di fronte ora mi fa toccare con mano la mia
realtà, cioè che
ora sono l’Akane Tendo “ufficiale”.
Tranquilla che si fa per dire. Non rubo il posto agli
eroi.
Una delle prime cose che mi hanno raccontato di te.
Come hai preso di petto la prospettiva di morire per il bene del mondo,
come
sei riuscita a tenere testa a quel mulo di Ranma e come hai affrontato
con
immenso coraggio la tua prova finale. Kasumi è stata prodiga
di particolari,
pur nella sua limitata conoscenza, e si è premurata di
spiegarmi per filo e per
segno tutto quello che era in grado di dirmi sull’ultimo
periodo che hai
trascorso su questa terra. Senza contare quel che ho sentito dalla viva voce dell'unica testimone oculare.
Ti ammiro. Hai avuto una forza d’animo e uno spirito
indomito che al momento a me mancano. Non riesco neanche ad affrontare
come si
deve la questione con Ranma. E sì, so bene che è
difficile, fra viaggi nei
mondi e situazioni al limite del film splatter, ma... vedo te e mi
sento
piccola, misera, incompleta.
E a soli sedici anni. Ricordo di aver pensato che
forse lo avrei potuto fare anch’io, ma più passano
i giorni e più realizzo che
non ci sarei mai riuscita. Troppo grande il peso di cui mi sarei dovuta
far
carico, troppa responsabilità, troppa angoscia a
rosicchiarmi e a farmi
crollare pian piano, ora dopo ora. Anche il fatto che sei stata
l’ultima e hai
retto più di quattro mesi vedendo gli altri morirti attorno,
uno dopo l’altro,
non fa che confermare quanto cuore avevi.
Se avessi potuto essere testimone del tuo calvario
io... io... io avrei finito col santificarti, o qualcosa del genere.
Non sarei
mai e poi mai rimasta indifferente. Presumo anche con i tuoi compagni,
verso i
quali non intendo mancare di rispetto perché il loro
sacrificio vale tanto
quanto il tuo, ma per te... beh, capirai da sola perché il
tuo caso avrebbe
avuto più valore ai miei occhi.
E invece sono qui a ventisei anni, dopo otto che mi
trovo in una realtà non mia, a piangermi addosso e a non
sapere cosa voler fare.
Di me e di lui.
Abbi pazienza se ti uso come valvola di sfogo.
Forse ciò che ci differenzia è che io mi ero un
po’
seduta sugli allori: avevo ottenuto la dichiarazione che tanto bramavo,
l’amicizia
di Ukyo e di tutti gli altri, una routine fatta di risate e facce
allegre. A te
tutto questo non era stato concesso e... non so, può darsi
che quell’insoddisfazione
latente ti abbia donato l’incoscienza necessaria per
prendere una simile
decisione e portarla fino alle sue estreme conseguenze.
Mi sembra quasi di sentirti, con la voce che ormai non
è più cosa mia, mentre mi rimproveri:
“Akane, santo cielo. Datti una svegliata.
È vero che sei lontana da casa tua e probabilmente non ci
potrai tornare mai
più, ma c’è di peggio nella vita.
Guarda me. Non voglio atteggiarmi da
supereroina dei fumetti ma diamine, tu ci sei ancora. Respiri. Puoi
ricostruirti. Avanzare. Concludere la tua vita guardandoti indietro e
vedere
più di sedici, brevi anni concitati. Non mi pento della mia
scelta, era
necessaria in quel momento. Ma sai benissimo, se io e te ci
assomigliamo almeno
un po’, quanto mi sia costato prenderla. Cerca di sfruttarla
al meglio delle
tue possibilità e rendimi orgogliosa di te”.
...
Mi chiedo se questo sia davvero un monologo.
In ogni caso grazie. Non credevo che una simile idea
folle potesse avere tutti questi risvolti positivi.
Non reggo più e mi inginocchio, cercando di non
disturbare la quiete del luogo sacro con le mie sciocche lacrime di
bimba
spaventata.
Qui giace
Ranma Saotome
(1973-1989)
Il primo, il
più sprezzante
Ehilà, ragazzo fortunato.
No, non ti sto prendendo in giro. So che può suonare
così, ma no. Lo dico per un semplice motivo: ti invidio.
Sono qui da quattro anni, in questo mondo straniero
dove tu e quell’altra suicida di Akane vi siete gettati di
vostra volontà nella
tazza del wc. Ebbene, neppure voi due potete sperare di competere con
quanto è
successo a me.
Va bene, va bene. Devo smetterla di prendere tutto
come una sfida da vincere, è uno dei miei peggiori difetti.
Però non lo si può
negare neanche volendo che ti è andata ancora di lusso se ti
paragoni con me.
Tu hai visto morire Akane? No, non ti è successo. E
d’accordo,
sei crepato per primo e non dev’essere stato
piacevole, capisco.
Ripeto, al confronto sei stato fortunato.
Come se non bastasse la mia unica possibilità di...
chiamamola
rivalsa per mancanza di una parola
migliore, mi è stata negata.
Inutile essere reticente con un te stesso morto,
quindi te lo posso dire: io la amo. Amo Akane Tendo qualunque siano il
suo
mondo di provenienza, la lunghezza e il colore dei suoi capelli e
l’eventuale
presenza di cicatrici sul suo volto.
Amo quel suo carattere orgoglioso, testardo,
indipendente.
Amo il fatto che non sia disposta a farsi mettere i
piedi in testa da nessuno. Nemmeno da me.
Amo il suo sorriso.
Lei lo sa. Lo sa benissimo. E guarda, con tutto quel
che è capitato ad entrambi so che sto comunque accelerando i
tempi e che ha
bisogno di lasciarlo andare e che non posso pretendere troppo.
Mi indico la testa con un dito. Qua lo so.
Poi mi indico il cuore. Qua un po’ meno.
Cerco di fare del mio meglio per sopportarlo, e anzi
la sto ringraziando silenziosamente ancora adesso per lo spiraglio che
ha lasciato
libero. Solo che fa tanto male comunque e tutto questo dolore comincia
a pesare
un po’ troppo, persino per un macho come il sottoscritto.
D’altro canto io non voglio tornare a casa. Cosa
c’è
per me là? Un metro e mezzo per un metro mezzo di puzza,
topi morti agli angoli
e un cappio desideroso di fare la mia conoscenza. Evito, grazie tante.
Qua invece, anche se non posso dire di vivere felice e
contento, ho una possibilità. Un’ipotesi. Qualcosa
a cui posso volermi
aggrappare con la forza della disperazione, per quanto fragile e
scivoloso.
Qua ho lei. Posso avere lei.
Sono stato un cretino spaziale nel non essere mai
riuscito a dire niente alla mia Akane, neanche dopo che è
stramazzata
agonizzante ai miei piedi. E poi un gioco bizzarro e senza senso mi
restituisce
la voglia di vivere. Riscopro cosa significa non tirare avanti per
inerzia, ma anzi
con rinnovata speranza nel domani. Speranza in una sua parola a me
favorevole,
in un suo gesto distensivo, in un suo bacio.
Potrei non avere mai nulla di tutto questo. Ma preferisco
una pur vaghissima opportunità al nulla assoluto, nero e
vorace che mi attende
oltre il muro.
Non mi starai capendo. Normale, è un discorso sin
troppo complicato per chiunque. Figurati per uno al mio stesso livello
d’intelligenza,
quindi parecchi metri sotto terra.
Scusa, non avrei dovuto trasformare questo
prezioso incontro in una lagna ripetitiva su come non sono corrisposto
dalla
persona per cui darei tutto. Cioè, non proprio da lei ma...
insomma, fai sì con
la testa.
Ti chiederei come ti va ma, incredibile, neppure io
arrivo a tanto.
Comunque stai pur sicuro che non intendo mollare di un
solo millimetro. Ho fiducia in me, in lei e in quello che ci lega.
Magari non
lega me e lei, ma lega comunque Akane Tendo e Ranma Saotome senza farsi
fermare
da stupide barriere dimensionali.
Va beh, non ho molto altro da dire. Quindi ti saluto e
ti prometto che prima o poi tornerò a trovarti, sempre che
tu voglia di nuovo
la mia compagnia.
E allora? Vogliamo fare notte? Io e Rei siamo qui ad
aspettare da quasi un quarto d’ora.
Ok, non ho neanche tutta ‘sta urgenza di concludere
perché significherebbe tornare alle catene di
papà, però mi scazza starmene qui
fermo a far nulla.
Ecco, finalmente si degnano di tornare. Era pure ora.
“Com’è andata?” chiedo,
fintamente interessato.
Nessuno dei due mi risponde, ma dai loro sguardi si
capisce chiaramente che zia Nabiki non diceva palle. Hanno una strana
espressione, tutti e due: Akane appare un po’ tirata ma nel
complesso sembra a
posto, anche se nei suoi occhi brilla qualcosa che non riesco a
definire; Ranma
invece è determinato, esattamente come appariva nelle poche
foto che mamma mi
ha mostrato.
Tutto commovente, gente. Ora vogliamo andarcene fuori
dai coglioni?
No, a quanto pare no. Akane mi si avvicina, un sorriso
malvagio.
SOCK.
“Adesso siamo pari, Shinichi. Ringrazia che te la sei
sfangata per tutto questo tempo”. |