La
luce ferì gli occhi di Harry che già era vivace.
Il
Grifondoro ci mise un secondo o due, per decidersi ad aprire gli occhi. La
testa vorticava furiosamente per il sonno e per la marea di sensazioni rimaste
incastrate nei suoi sogni, che adesso minacciavano di riversarglisi tutte
addosso, appena la nebbia dello stordimento si fosse dissipata.
La
notte appena trascorsa, già.
Socchiuse
finalmente le palpebre, trovandosi davanti il peggior buongiorno che potesse
sperare di ricevere.
Niente
Draco.
Provò
ad aguzzare le orecchie, ma niente, non un singolo fruscio dal bagno.
D’accordo, probabilmente era scandalosamente tardi, ma non svegliarlo nemmeno…
Si
mise in piedi, decidendo che avrebbe almeno tentato di vestirsi in fretta, per
non saltare la colazione. Inoltre, Draco doveva per forza essere nella Sala
Grande. Controllò l’ora: aveva un quarto d’ora scarso per mettere sotto i denti
qualcosa.
Si
precipitò di sotto, ripetendosi che era abbastanza per mangiare e per
intercettare Draco, ma, scioccamente, non fece i conti con il fatto che, per il
suo stomaco, “Draco” e “colazione” non risultavano compatibili.
Lo
vide lì, compostamente seduto al suo solito posto, che rosicchiava del pane
tostato con un velo di miele e annuiva di tanto in tanto al fitto chiacchierare
di Theodore Nott.
E
gli passò l’appetito.
-
Hey, va tutto bene, Harry? -
Figurarsi.
Era
già sempre più difficile scindere il sogno dalla realtà. Che poi, non si
trattava nemmeno di sogni. E, maledizione, un momento prima lo stava baciando,
un momento dopo era come non conoscersi, era fingere, o forse no, e questo gli
faceva paura.
Che
cosa avrebbe dovuto fare?
Alzarsi,
andare da lui, dirgli che per lui non faceva alcuna differenza, se erano
quattro alberi o le mura vecchissime di Hogwarts a tenerli vicini?
…
abbracciarlo?
Draco
si ostinava a mantenersi illeggibile. I sorrisi che propinava a Nott, lui lo
vedeva, erano finti. Ma che cosa celassero, questo non era ancora capace di
interpretarlo.
Più
che altro, aveva una paura atroce di fare un passo falso, di dire una parola
sbagliata, e farsi sbattere in faccia quelle poche porte che era riuscito a
farsi aprire. Soprattutto ora che ogni lucchetto era diventato così
dannatamente importante.
Lo
guardò con insistenza per tutto il tempo, tra un misero sorso di caffèlatte
ormai tiepido e l’altro. Si stupiva di sé stesso, di come riuscisse a condurre
una conversazione decente con gli altri senza farsi scoprire.
Draco
sarebbe stato fiero di lui.
-
Dai, muoviamoci, abbiamo la lezione di Hagrid adesso, ci rimarrà male se
arriveremo in ritardo! -
Draco
non si alzava. Anche se la tavolata del Serpeverde era ormai mezza svuotata,
lui insisteva nel rimanersene seduto a sorseggiare qualcosa, conversando con i
suoi compagni più vicini con assoluta naturalezza.
Non
ci voleva molto, a capire che lo stesse facendo apposta. Non si sarebbe mosso
da lì nemmeno se lo avessero cacciato via, non finché Harry non si fosse levato
di torno.
Sconfitto,
si rassegnò a seguire Hermione, sgambettando mestamente verso il limitare della
Foresta.
Tanto,
il povero Hagrid ci sarebbe rimasto male comunque, per la sua totale mancanza
di attenzione. Si era dato ad un’appassionata spiegazione su una graziosa
specie di farfalla, carnivora e velenosa come un cobra, ma Harry aveva altro a
cui pensare.
E
mentre le parole “antidoto”, “notturna” e “ali” si rincorrevano l’un l’altra
nell’aria, lui si era immerso nella ricerca di una qualche spiegazione da poter
dare al comportamento di Draco.
Era
stata una mossa azzardata, la sua. Pochi dubbi a riguardo. Ma, a quel punto, si
sarebbe aspettato un cazzotto sul naso, un paio di maledizioni da schivare,
anche solo una scenata. Non il gelo, non il silenzio, non la precisa volontà di
evitarlo. Questo non aveva senso.
Quella
notte, tanto, si sarebbero dovuti rivedere per forza.
Perché,
per quanto infantile potesse essere Draco, non se ne sarebbe andato, vero? Non
un’altra volta, per lo meno, perché lui non gliel’avrebbe fatta passare liscia.
Si
sarebbe scusato con lui, se si fosse reso necessario, ma non poteva giocare un
tiro simile a Marzio e a Derevan, non adesso. Da tutto questo macello, doveva
riuscire a salvare almeno loro.
-
Harry. -
La
lezione era terminata in un soffio, ed Hermione lo costrinse a guardarlo negli
occhi, stanca delle ore di ottuso silenzio dell’amico. Sapeva come farlo
sentire in colpa, se voleva, con quel suo sguardo limpido e indagatore.
-
Scu…scusa, Hermione. Devo andare. -
-
Che cosa sta succedendo? Me lo vuoi dire? -
-
Niente, non succede niente. Devo andare a parlare con Draco. -
-
Ci stai escludendo da questa storia. C’è qualche motivo, vero? -
-
Ma no, cosa te lo fa pensare. Devo solamente dirgli che… niente di importante.
-
-
Harry. – Hermione inspirò a fondo, annunciando la sua intenzione di affondare
il coltello in qualche brutta piaga. – E’ da questa mattina che non proferisci
parola. Sei anche arrivato in ritardo, non hai mangiato, e non hai fatto altro
che fissare a vuoto il tavolo di Malfoy. -
-
Ma io… -
-
Non mi interrompere. Credi che ti conosca così poco? Credi che non mi accorga
di queste cose? Harry, tu hai qualcosa, e io sono preoccupata perché una volta
tanto non riesco a capire come posso aiutarti a… -
Non
terminò la frase.
Harry
la abbracciò con foga, finendo con il viso immerso nella massa dei suoi capelli
mossi.
-
Grazie, Herm. – sussurrò con la voce incrinata. – Davvero. Grazie. -
- Oh, Harry. –
Finalmente,
anche lei ricambiò la stretta, un po’ sorpresa, un po’ commossa, e un po’
imbarazzata.
-
Voglio solo aiutarti. -
-
Lo so. -
-
Allora dimmi come fare. -
-
Non posso. Non lo so nemmeno io, come aiutarmi. -
-
Si tratta di Marzio e di Derevan, vero? Non siete ancora riusciti a liberarli?
-
-
No, non ancora. Abbiamo visto molte cose, insieme, abbiamo capito che cos’è
successo, ma stiamo ancora aspettando. Marzio crede che il motivo sia che
dobbiamo riuscire a vedere qualcosa di importante. –
-
Ma allora è vero che potrebbero volerci anni. -
-
Sì. Ho paura di sì. -
-
Senti, non sta accadendo nulla di pericoloso, vero? -
Harry sorrise. Hermione era sempre Hermione.
-
No, niente di pericoloso. Il peggio che mi potrà capitare è che mi si spezzi il
cuore. Niente di più. -
Hermione
sbarrò gli occhi, e allontanò precipitosamente da sé l’amico.
-
Harry, tu… -
-
Scusa. – replicò lui, con un debole sorriso. – Scusami, per averti fatta
preoccupare. Ora sarà meglio che vada, o non riuscirò più a trovarlo. -
* * *
La
memoria non lo aveva ingannato.
Draco
usciva in quel momento dalla lezione di Divinazione, proprio con la cara, vecchia
Cooman. Dalla sua espressione, si deduceva che nemmeno quella volta si era
riusciti a ricavare qualcosa di sensato dal suo arzigogolato parlare.
-
Aspetta. -
Draco
se lo vide sbucare da dietro una nicchia. Allarmato, si guardò attorno, ma
nessuna via di fuga si prospettava nelle vicinanza: Harry lo aveva incastrato.
Dopotutto, era prevedibile.
-
Draco, ho bisogno di parlarti. -
-
Ehm. Devo andare a cercare un libro… -
-
Lo cercherai dopo. -
-
Ma è davvero molto importante. -
Harry
lo fulminò con lo sguardo.
-
Vieni con me. – ordinò, e a Draco non rimase altro da fare che seguirlo.
Finirono
nel posto più inaspettatamente banale che Harry potesse immaginare.
Scagliò
un ciottolo nell’immobilità del Lago Nero, che si infranse in tante piccole
onde offese.
Come
il giorno di mille anni prima, in cui avevano parlato per la prima volta. Ricordava
Draco per come lo aveva visto allora, strano e fragile, diversissimo dalla
persona che aveva davanti ora.
-
Non voglio farla lunga. – annunciò. – Vorrei solo sapere perché da stamattina
stai cercando di evitarmi. -
Draco,
che si era accovacciato su un grosso masso, alcuni passi dietro di lui, non
rispose subito. Si abbracciò le ginocchia, tenendo prudentemente lo sguardo
sulle proprie scarpe. Stava elaborando una strategia, ma non aveva l’aria di
chi avesse voglia di mentire.
-
Sono un po’ sottosopra. -
-
Lo sono anch’io. Draco, senti, per quel bacio… Sono stato avventato. Voglio
dire, se ci vuoi pensare su io ti capisco benissimo. Solo, per favore, smettila
di ignorarmi. -
Draco
smise di guardarsi i piedi, per fissare la schiena del Grifondoro, ancora
intento a distrarsi dalla tensione con i sassi della riva. Si stagliava
sfumando nei colori tersi di quella tarda mattina con poche nuvole, coperta dal
mantello scuro dell’uniforme e da qualcosa che non riusciva ad interpretare,
una sorta di cortina opaca.
Si
strofinò gli occhi, e capì: le dita erano bagnate.
-
Io… - si sforzò di scandire. – Io non lo so. Ho sbagliato, avrei dovuto
fermarti. -
-
Non dire così, non è successo nulla di grave. -
Harry
gli si fece vicino.
Maledizione,
no.
Non
in quel modo.
Non
con quel modo di fare comprensivo, non con quel mezzo sorriso dolce.
Sentì
che stava per scoppiare.
-
Hey. Draco, che cos’hai. -
-
Mi dispiace. –mormorò a fatica. – Mi dispiace. Io credo di essermi innamorato.
-
-
Draco… -
-
Di Marzio. -
Harry
sbarrò gli occhi.
Si
sentì mancare il terreno sotto ai piedi, e lo stomaco rivoltarsi come se fosse
stato preso a pugni, ma ne era certo, non era in un sogno.
Non
poteva nemmeno sperarlo.
-
Scusa. – soffiò Draco. – Ora sarà meglio che vada. -
-
As-aspetta. -
Gli
afferrò la manica con più forza del dovuto, bloccandolo a metà di un passo.
E
non seppe cosa dirgli. Lo aveva fermato così, impulsivamente, senza avere nulla
da aggiungere, senza sapere che parole usare.
Draco
non cercò di liberarsi, ma la sua espressione mortificata lo fece inorridire.
Fino
a pochi istanti prima avrebbe dato qualsiasi cosa per poter stare qualche
secondo con Draco, mentre ora non desiderava altro che scappare via, oppure
ancora meglio, tornare indietro fingere che non fosse mai successo niente.
Marzio.
Lo
odiò con tutto se stesso.
-
Dovresti parlargli. – gracchiò malamente, senza nemmeno guardarlo negli occhi.
Draco
non se l’aspettava proprio, un’uscita simile.
-
Non credo che… -
-
Ma sì. – Harry si fece coraggio, e in qualche modo riuscì a mettere insieme un
mezzo sorriso abbastanza convincente. – Se è questo ciò che provi, devi
dirglielo. –
-
Lo credi davvero? -
Annuì.
In realtà, sperava soltanto che Marzio gli mandasse il cuore in frantumi, e
questo era orribile da parte sua, ma non era giusto, lui aveva già Derevan, non
aveva assolutamente il diritto di prendersi anche Draco.
La
situazione di partenza, tutto d’un tratto, era ribaltata: adesso era Harry che si
trovava ad avere paura di dover passare tutta la sua vita al fianco di Draco,
ma soltanto per essere il veicolo attraverso cui permettergli di vedere colui
che davvero desiderava.
Perché
a quel punto, Marzio sarebbe rimasto con loro per sempre, e lui avrebbe finito
con l’impazzire.
Si
sentì un criminale. Avrebbe dovuto augurarsi con tutto il cuore la felicità di
Draco, ma quelle sono solo belle favole, perché la verità è che se la felicità
di Draco non poteva essere lui, non era la stessa cosa.
-
Sì. Parlagli. -
Draco
puntò un piede per terra, indeciso.
-
Ok. -
-
Stanotte stessa. -
Quella
stessa notte, sì.
Dato
che doveva mettere in gioco ogni cosa, tanto valeva farlo in fretta.
ANGOLINO!
Questa
settimana non riesco a rispondervi, sorry! Ho gli imbianchini in casa, perciò
sono costretta a scrivere le storie in altra sede, è già un miracolo che riesca
a connettermi tre minuti per aggiornare, destreggiandomi fra pennelli e
cellophane!
Per
fortuna, da settimana prossima tutto dovrebbe tornare alla normalità. Inclusi i
miei fumetti, che al momento giacciono in due scatoloni sigillati, in attesa
che le mensole ritornino al loro posto -___-
NOTA: naturalmente, il titolo
del capitolo si riferisce alla celeberrima frase di Giulio Cesare, “il dado è
tratto”. Harry ha giocato la sua carta, suggerendo a Draco cosa fare, perciò,
nel bene o nel male, adesso non ci si può più tirare indietro.
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Farai felice milioni di scrittori.