Dragon ball NG -2-Moonlight

di likol
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Questa storia riprende le fila de "Il signore della Terra" dell'autrice Beatrix, ne è l'esatta continuazione.
Per la comprensione di fatti e riferimenti, vi rimando alla lettura della fiction precedente.
Dragon ball NG riprende da dove interrotto...

Capitolo 1 - Tutto fluisce

Una leggera corrente d'aria, soffusa come un sospiro mi obbliga a volgere le gambe per coprirmi meglio, lo sò, sta per succedere, anche se preferirei ignorare questo terribile momento ma è inevitabile.
Il suono della sveglia mi fa sobbalzare in modo imbarazzante, la soneria, probabilmente compresa nei dieci suoni più fastidiosi della storia, mi impone d'allungare il braccio in direzione del comodino dove riesco a urtare due libri ed un portagioie, ma finalmente ottengo il meritato silenzio.
Ed anche la giornata di oggi si può dire cominciata, non fosse che sono ancora beatamente allungata nel mio grande letto, a fissare con gli occhi appena socchiusi il soffitto candido ed il lampadario dalle gocce di vetro, che riflettono pigre, quanto me, la luce soffusa di grigio che traspare dalla persiane. Traggo l'ennesimo respiro profondo, indispensabile per affrontare la difficile impresa di raccogliere le gambe ed alzarmi a sedere, nella fredda atmosfera di metà dicembre.
Un braccio ben conosciuto si allunga dalla mia parte, lo sento accarezzare piacevolmente la mia pancia candida, senza un filo di malizia, del resto il mio campione è per metà ancora nel mondo dei sogni. Ub sembra sorridere, non saprei dire se sia ancora prigioniero della dimensione onirica o se stia semplicemente sogghignando per i miei capelli, che stamani sembrano voler gareggiare con la fiamma dei guerrieri dorati.
Mi alzo con un gesto fluido, impietosa la sveglia mi restituisce la ben poco consolante conferma che il tempo stamani sembra voler correre più del dovuto, come del resto è sempre da quando non sono più sola.
Il freddo che alberga leggero fra le pareti del nostro trilocale mi impone di accelerare ancor più le mie movenze mentre rapida scaldo un pò di latte e di caffè. Cercando, con fare ben poco elegante, l'ultima confezione di biscotti al cioccolato:
" Giuro che il signor "Campione dei campioni" mi sente se ha terminato di nuovo le mie scorte senza dirmelo!"
Sorrido, io, Marron, che per esser ammessa a scuola ho aggiunto al mio nome l'inutile fronzolo di Kame, posso permettermi di brontolare così all'indirizzo dell'uomo più potente del pianeta!
Ho due ottimi motivi per farlo, il primo e più importante è che sò che quella definizione è una menzogna, il secondo è che sono la sua coinquilina e in un certo senso la sua metà.
Sono cresciuta in un mondo fantastico, un universo simile ad una favola, mia madre era un cyborg dal cuore umano e mio padre un guerriero dall'animo puro, ho trascorso infanzia e giovinezza su un'isola del grande mare, piena di creature parlanti e strani individui. Ho visto lo sfolgorare della leggenda e lo splendore del drago delle sette sfere.
Colui che può realizzare ogni desiderio.
Purtroppo la favola è finita in un'arena, grondante sangue d'un uomo che non era innocente, ma che aveva saputo salire dalle tenebre della perdizione alla tenue luce di una possibile redenzione.
Tutto è finito con la morte dell'ultimo sajan.
La vita è ironica, però, quel che decreto l'epilogo, è stato per me nuovo prologo, lì ho incontrato Ub.
" Ciao, hai il part-time anche oggi pomeriggio?"
Eccolo spuntare infatti, i pantaloni del pigiama azzurri abbondano sulle sue gambe tornite, mentre il suo petto scoperto, mi invita a chiamare il reparto, convincerli di una mia improvvisa malattia e tornarmene a letto.
" Và a metterti qualcosa o prenderai un malanno, sei senza speranza, non puoi farmi credere che anche ora hai caldo!"
" Solo un pò, sono venuto a rubarti una manciata di biscotti e a vedere come va"
" Ladro!" ma sto ridendo "io vado benone, anche se tornerei volentieri al calduccio, in ogni caso, la risposta è si, ho il part-time!"
Abbasso lo sguardo, cercando di non mostare la profonda disillusione, che mi accompagna ogni qualvolta mi reco in quella casa. Ho ancora nelle orecchie il suono delle sue feste, il suono che accompagnava sempre la vittoria.
Tranne quell'ultima volta.
" Come và la situazione? Posso fare qualcosa?"
Ub interverrebbe sempre, metterebbe il suo bel nasino in qualunque mia cosa pur di farmi sentire più sollevata, ma anche lui ha i suoi doveri di rappresentanza
" No, neppure io posso fare nulla, solo guardare la straziante decadenza di una mente geniale!"
" Non oso neppure immaginarla, deve essere l'ennesima prova per i Brief!"
Taccio un istante, sentendo ancora, come una ninna nanna lontana, il suono di quel giubilo:
" Un amore così intenso, sino a divenir malattia e puro dolore, mi terrorizza!"
Lo esprimo a fatica, come ogni sillaba mi pesasse, è troppo grande l'onere di quello a cui assisto per tacerlo ancora. Ub mi si avvicina, mi passa le labbra sulla fronte, come volesse cancellare con un tocco magico ogni mia preoccupazione. Ma il tempo inesorabile scorre, obbligandomi a sciogliere il contatto fra noi e presa la borsa, tuffarmi fra le vie di una Satan City appena destata, ma la sua voce mi raggiunge sulle scale, come un sussurro gentile:
" Sai, a me fa provare anche un pò d'invidia!"
Il frastuono ovattato della città confonde le sue ultime parole con le prime sirene e voci.
Non so se sarei in grado di provare un sentimento così disperato, anche se, in un certo senso, nel mio piccolo, anch'io ho dovuto ffrontare una prova per ottenere il cuore del ragazzo, che ho lasciato a far razzia della dispensa. Avevo tremato dopo la sua dichiarazione televisiva, a reti unificate, percepibile sino all'angolo più remoto del continente: aveva affermato di desiderare tanto rivedermi.
Avevo cercato di scacciare, in un primo momento il suo ricordo, ma non riuscivo a resistere, raccolto il mio misero coraggio a due mani, ho preso le chiavi dell'aircar, buon vecchio rottame, e mi sono diretta ad una manifestazione dov'era ospite d'onore. Ho sgomitato per un'ora, facendo un uso della forza tale, che mia madre avrebbe potuto riconoscermi come sua degna erede, per raggiungere la zona riservata agli ospiti. Il piano più alto del nuovo centro commerciale, ho sopirato come stessi per scendere sulla pavimentazione di pietra del Tenkaichi e ho richiamato l'attenzione della guardia.
Ricordo ancora con fastidio come rise a pieni polmoni, quando cercai di spiegargli che ero "l'angelo biondo", che il campione dei campioni cercava. Il mio cuore perse decisamente buona parte dei suoi battiti, quando quell'arrogante mi informò, che da quella mattina, ero solo la decima che si presentava con quel titolo. Avevo battuto il pugno sulla piccola lastra informativa al mio fianco, rigandola, si, in un paio di punti, ma provocandomi anche una mezza lussazione del polso.
Ero stata una sciocca, ma una mano bruna mi aveva fermata prima che mi gettassi nuovamente nella massa, per uscire da quell'inferno di ragazzine urlanti:
" Ho sentito la tua aura!"
Solo questo bastò.
Non avevo mai usato il potere per principio, detestavo la violenza in generale, fosse anche per difendere i deboli. Avevo scelto la strada di curare, non di ferire, ma proprio quel dono, che non avevo chiesto, mi aveva reso la donna felice che avevo sempre sognato.
Il tremare dell'intera borsa mi strappa, con la violenza di una scarica elettrica, dai miei dolci ricordi, del resto, stò avanzando con la testa fra le nuvole, in direzione dell'ospedale, potrei persino correre il rischio di superarlo distratta come sono.
Digito con preoccupazione, come ogni volta che vedo apparire sul display quel nome:
" Pronto, è successo qualcosa?"
" Scusami Marron. No, non è successo niente, volevo solo chiederti se puoi confermarmi la tua presenza, oggi pomeriggio. Ho fatto di tuttu per spostare la riunione coi compratori al prossimo mese ma non hanno accettato! Ecco, non volevo sapere altro" La sua voce è stanca e alterata. Sono al telefono con l'uomo più influente del pianeta, eppure l'unico pensiero che riesco ad avere nei suoi confronti è un rammarico e una pietà, che mi stringe il cuore e la gola:
" Certo Trunks, se ci fosse qualche problema in reparto ti farò sapere all'istante, ma non preoccuparti, sono solo un'infermiera semplice, non certo un dottore pluripremiato. Come va?"
" Il solito, almeno sapessi dove si è ficcata mia sorella!"
Vorrei fargli notare che forse è semplicemente andata in università, ma alla memoria mi ritorna la legge del fuso che divide le nostre due città, tre ore nette, da noi son appena le sette, alla Capsule Corporation devon esser ancora le quattro del mattino. " Non sei in pena? E' ancora fuori dalla notte scorsa?"
Non riesco a tacere i miei timori.
" Cerco di preoccuparmi un pò anche per lei, quando ne trovo il modo, in ogni caso, deve esser solo uscita per una passeggiata, mi fido di lei!"
Vorrebbe continuare forse ma una voce leggera, dal suo lato del ricevitore, si fa più insistente, tanto da essere percepibile anche a me:
" Non perdere tempo al telefono! Dobbiamo trovare assolutamente quella giacca, sai come tuo padre detesti non avere tutto comodo quando rientra da un allenamento!"
La percepisco nitida come fosse rivolta anche a me, l'affermazione purtroppo priva di senso, avverto chiaro anche il sospiro di Trunks, come la parola "scusa" si fermi sulle sue labbra, troppo spesso formulata negli ultimi mesi.
" Ci sentiamo!"
Riaggancia deciso, lasciandomi ad un solo passo dall'inizio ufficiale della mia giornata lavorativa. Tesserino alla mano, ricomincio.

Vorrei cancellare tutti i suoni, a partire dalla voce di mia madre in questo momento, stà urlando, tanto forte, che se questa immensa casa non fosse isolata da un grande giardino, tutti potrebbero udire.
Stà urlando perchè la giacca senza maniche di mio padre si è misteriosamente spostata di un appendiabiti più vicino alla porta, rispetto a dove l'aveva posta lui, l'ultima volta.
Abbasso lo sguardo, se cercassi di oppormi alla sua idea, se le ricordassi che è stata lei a scostarla per abbracciarla solo cinque ore fa, prima di coricarsi, si fermerebbe un istante, mi fisserebbe coi suoi occhi azzurri, sempre più vaghi e spenti e poi riprenderebbe ad urlare, con ancor maggiore forza. Direbbe che sono un bugiardo, che l'ho spostata per farla piangere, per mancare alla memoria di papà, perchè ora mi sennto tanto uomo da non aver più bisogno di lui.
Non posso seguire il consiglio dei medici, di cercare di avvicinarmi passo passo con lei alla ragione, di indicargli, con il cammino della logica, come veramente si sono svolte le cose.
Io la rendo nervosa, tutto di me sembra farla impazzire sempre più.
" Ora perchè mi guardi male? Ti senti in colpa, immagino! Cosa dirà tuo padre quando tornerà? Gli dirai che volevi gioocare all'adulto a sue spese?"
Voglio gridare con tutto il fiato che ho in gola che quel giorno non arriverà, che dagli inferi si poteva tornare un tempo, ma che la sua caccia alle sfere è finita!
Nessun desiderio renderà papà a noi tre.
Mia madre, che ora sta seduta sul tappeto del salotto, i capelli celesti lasciati crescere in una cascata, che tende sinistramente al bianco, a passarsi fra le mani le istantanee, sin troppo rare, dove appare anche papà, sembrava molto più forte di noi due all'inizio. Dopo il primo mese dal Tenkaichi, ricordo bene visto che v'era l'inaugurazione del pub, lei era serena, speranzosa, riusciva persino ad infonderci coraggio. Partecipò persino al brindisi a papà all'alba. Ero tranquillo, nonostante la nostalgia, sentivo che avrei potuto proseguire il mio cammino da solo, ma poi con i primi fasti dell'inverno, ogni cosa in questa casa è cambiata. Mamma ha smesso di interessarsi all'azienda, non ha voluto più vedere Chichi, si è isolata nel suo mondo di memorie e pian piano ha chiuso noi due fuori.
Il miglior specialista del continente mi ha ricordato, la prima volta che ci vedemmo, che l'unico modo per aiutarla era di affrontare io stesso quello che era successo. Mi invitò a spiegargli nel dettaglio cosa ci aveva toccato così a fondo, aveva intuito, la fama era quindi meritata, che non si trattava sicuramente di un decesso per incidente o malattia. Neppure più ricordo quale scusa utilizzammo.
Come avrei potuto spiegargli chi era mio padre, cosa significava per la mamma la sua semplice presenza in casa, come poteva lei gioire di un suo timido sorriso, come fosse la più prolungata delle dichiarazioni.
Ho dovuto abbandonare.
Mi siedo accanto a lei, sono ormai le cinque, come al solito un silenzio assordante caratterizza i suoi movimenti, regolari e rapidi nonostante l'età. Dubbiosa abbassa l'occhio sulle fotografie del grande album, le analizza come fossero difficili circuiti computerizzati, sembra cercare qualcosa che le è sfuggito nelle altre visioni. Affonda i suoi specchi su mio padre, sembra perdersi in ogni sua ombra.
La leggera pellicola di plastica che le protegge è leggermente più lisca dove le sue dita sono passate infinite volte a carezzarne l'illusione. I suoi occhi non versano mai lacrime, sono arsi come la sabbia della spiaggia, che ora si presenta ai nostri occhi, il ricordo di un'estate irripetibile:
" Ti ricordi, mamma, papà dormiva sempre in spiaggia oppure mangiava un cono dietro l'altro, ti arrabbiavi sempre, dicevi che poteva star male, lui..."
L'album mi finisce con violenza sul naso:
" Tu non hai il diritto di parlare con quel tono di tuo padre! Stai zitto!"
Se fermassi i colpi che subisco, li rivolgerebbe su di sé, ferendosi. Io sono una valvola di sfogo, non avrei dovuto distoglierla con violenza dai suoi pensieri.
Ho sbagliato ancora.

"La leggera coltre di neve, che avvolge il tuo ultimo giaciglio, è ancora intoccata.
Passo la mano guantata sulla fredda superficie per rendere nuovamente leggibili le poche parole.
Infilo le dita nei ricchioli delle rose di rame, che ne decorano il perimetro. Anch'esse sembrano emanare un gelo proprio, come il paesaggio spettrale che mi circonda.
Dovevo parlarti, per questo sono venuta, come ieri ed il giorno prima ancora. Mentre la città è ancora avvolta dalle tenebre dell'inverno, posso estendere il potere a farmi da lume, in piccole lucciole effimere. Solo in questo silenzio mi sembra ancora di poter udire la tua voce bassa, di intraveder, nel cielo coperto, la nera fiamma del tuo sguardo.
Ascolto il vento cantare il suo dolore, passare fra le lapidi abbandonate e fra le corone di fiori dai nastri bianchi, ultimo dono ad un caro perduto. Forse avresti preferito esser sepolto in un luogo più riparato, un posto dove i terrestri, che ti erano così indifferenti, non avrebbero potuto raggiungerti coi loro sguardi curiosi. La pendice d'una montagna, dove il gelo ti avrebbe ricordato la tua origine, oppure il verde delle colline boscose, che tanto sembravi apprezzare per le loro tranquillità.
Non avevi mai espresso un desiderio preciso, non avevi mai parlato di morte, anche se già la conoscevi.
Sino all'ultimo istante, sino a quell'ultimo respiro, io sono stata certa che tu fossi immortale.
Eri l'ultimo sajan e loro principe, al pari di Goku, tu eri immutabile come lo scorrere di tutte le cose.
Il ricordo di quel giorno, l'ultimo che abbiamo vissuto nello stesso luogo, mi è sempre dinanzi.
Come il mio peccato.
Se solo avessi trovato il coraggio, la forza, di avanzare verso il nemico, al pari di Pan che, anche se solo per un istante è brillata di quell'oro, che doveva esser mio per la legge del sangue!
Lei è stata sconfitta, ma il suo cuore ha trovato la pace d'aver tentato.
Io sono rimasta ancora spettatrice, stritolata dall'angoscia, ho sfidato le nubi nell'unica cosa sapessi fare: volare. Ho spinto sino allo sfinimento, mentre sul palco insanguinato del torneo, chi mi era stato maestro veniva seviziato e torturato.
Quando sei arrivato, papà, quando lo hai sfidato, mi sei sembrato veramente rivestito della bellezza di un dio guerriro. Avevi qualcosa di maestoso nell'avanzare, come invece d'un completo di pelle ormai liso, portassi manto e fregi reali.
Sei stato incoronato re in quell'ultima ora di vita.
Mi chiedo se dove ti trovi ora, hai potuto perdonare la mia totale inutilità?
La voce del tuo sangue urla forse vendetta verso di me, indegna figlia della progenie più guerriera dell'universo?
Hai provato vergogna davanti al tuo popolo e ai tuoi padri, quando al loro cospetto, mi avrai additata come tua erede?
Nonostante queste colpe sono ancora qui, papà, perchè voglio rimproverarti. Sei stato ingiusto a condurre con te, oltre al cuore della mamma, anche la sua mente.
Sei sempre stato egoista.
"Il mondo deve ruotare attorno al suo perno, che, guarda caso, sono io!"
Lo dicevi spesso, con quel sorriso un pò malizioso, un pò infantile. Attendevi la reazione della tua scienziata, più si agitava ed iniziava a rimproverarti, più punti aveva avuto la tua uscita.
Anch'io sono simile a te, papà, voglio provare ad esserlo almeno un pò.
Anche se il mio amore per te non cederà mai d'un passo, sento di poter raccogliere la forza per continuare ad andare avanti. Sin dalla tua morte non ho fatto che ripetermi queto monito, come un sutra disperato al quale aggrapparmi, ma ora che ti ho rivelato il mio peccato di codardia, posso provare a mettere in pratica queste vuote parole.
Non arrabbiarti se ti trascurerò per un pò, tanto hai sempre preferito la riservatezza!"
Due dita appena appoggiate sulle labbra, cercando di ignorare le lacrime che solcano le guance, portarle su quel nome, che tante labbra avevano formulato con terrore.
Aveva deciso, dopo giorni e giorni, di affrontare quella verità dinanzi alla fredda lapide. Doveva chiedere perdono, senza ricevere altro che il silenzio del grande cimitero monumentale, se voleva raccogliere nuovamente le redini della sua vita.
" Bra, cosa ci fai qui alle sei del mattino?"
La ragazza aveva sussultato vistosamente, come pugnalata alle spalle, mentre volgeva il viso arrossato dal freddo in direzione della voce squillante, il cui proprietario era balzato a terra con grazia.
" Goten?"
Aveva cercato disperatamente di apparire distaccata ed indifferente.
" In carne, ossa e brividi! Cosa ci fai qui a quest'ora?"
Bra sospirò scontrosa, alzando appena le spalle.
" Non vedi? Stò facendo shopping!"
Perchè, fra tutti gli esseri di quel disgraziato pianeta, aveva dovuto beccare l'unico col quale mai si sarebbe voluta mostrare commossa e infreddolita e che, in aggravante, sembrava vantare la profondità d'una pozzanghera ghiacciata?
" Al cimitero?"
Si stava beatamente prendendo gioco di lei. Era ovvio che stava facendo visita a suo padre, ormai defunto da quattro mesi. Un normale individuo, dotato di un buon quoziente intellettivo, avrebbe letto la dinamica della situazione in un secondo, ed avrebbe evitato le domande più superficiali.
" Cosa vuoi?"
"Passavo," il cadetto dei Son sembrava ignorare il suo tono infastidito "mi sono alzato presto per concludere il trasloco a Satan City!"
Aveva rivolto un sorriso spento al giovane:
" Sei incredibilmente testardo quando si tratta del tuo locale! Se sono le sei, al pub sono le nove del mattino. Guadagnavi tre ore di sonno rimanendo nell'appartamento che hai qui!"
" Forse, ma ne perdevo metà nel viaggio di ritorno! L'inverno è troppo rigido, per questo primo anno non posso ancora fare completo affidamento sui miei dipendenti, tant'è che non mi sono ancora abituato ad averne! Sono troppo stanco alla fine di una serata per fare tutta quella strada, benchè meno come super sajan!Alla fine, dormivo quasi sempre nel retro!"
" Potevi restare con tua madre? Da lì, il viaggio è di una scarsa mezz'ora?"
" Hai forse dimenticato che mia madre è Chichi, unica figlia di Gyumao! Mi aspetterebbe alzata sino al mattino e non necessariamente con intenzioni materne!"
Un attimo di silenzio, sembra che Goten sia cresciuto ancora in altezza negli ultimi mesi, strano, valutata la sua età. Sicuramente ha superato mio fratello, oppure è la sua sicurezza nella parola e nelle azioni a farlo sembrare più imponente. Prendo fiato per esternare il mio solitario dolore:
" Sei fortunato, mia madre ormai si dimentica molte cose, a volte ci chiede chi siamo, perchè siamo a casa sua! Dicono che non vi è alcun segno di malattia degenerativa del cervello. Le sue cellule sono ancora perfettamente attive solo..." ma non so neppure se voglio continuare, detesto farmi compatire, soprattutto da un Son.
" Senti!" la sua voce ora è più profonda "Se avete bisogno di qualcosa, sia tu che tuo fratello, dovete chiamarmi, anche al lavoro, del resto i numeri li avete, compreso l'indirizzo del nuovo appartamento. Io posso raggiungervi in ogni momento! Me lo prometti, fantasma opalescente!"
Sorrido tenuamente:
" Come mi hai chiamato, surrogato di una terza classe?"
" Che nostalgia quella definizione!"
E' sincero, le lacrime vorrebbero spingere per uscire ancora, ma le trattengo, mentre riprende:
"Dall'alto sembravi questo, con quella giacca candida e i lunghi capelli azzurri, come uno spettro affranto, legato a qualcosa di amato..."
Forse è giunta l'ora che spezzi la mia dorata e malinconica catena.

" Ne sei sicura, tesoro?"
E con questo erano quindici volte nette, che Pan Son affrontava la questione con il professore di chimica del liceo di Satan City. " Si, papà, è la strada che ho sempre desiderato seguire!"
Il leggero canto della pala che sfiora il selciato del vialetto dell'abitazione, il suono ovattato della neve che cade di lato. Il silenzio delle riflessioni di suo padre, che cercano nel dedalo dell'immenso dizionario individuale i termini più adatti e sempre nuovi per risollevare la problematica.
Pan aveva abbassato d'istinto lo sguardo sul tratto di viale, che si era scelta da spalare.
Vivere fra i Paoz aveva i suoi lati negativi. Era un luogo lontano e riparato dal caos delle città in espansione, una valle collinare circondata dalle catene montuose, che presto avrebbe ottenuto dall'imperatore la qualifica di territorio protetto. Il cielo, che vi si rispecchiava, era ancora puro e incontaminato dai gas delle aircar d'alta quota, che dall'esser oggetto d'èlite, eran ormai bene di consumo comune.
Aveva sospirato tristemente, il fiorire di tutti questi veicoli aveva reso molto più pericoloso e complesso l'utilizzo del loro potere prediletto: il volo. Erano più veloci e con un leggero sforzo aggiuntivo, potevano superare la coltre di nuvole e salire ben sopra le rotte quotidiane, ma questo non cancellava la sensazione di aver perduto qualcosa che un tempo era solo loro.
" Senti Pan, tu sai che io ho sempre insistito perchè trovassi un'altro modo per utilizzare le tue capacità! Non solo per il mio desiderio di vederti lontano dalle battaglie, ma anche perchè potessi realizzare qualcosa di solo tuo!"
Questo gioco di parole era degno della sua carriera accademica, districarvisi era complicato, quasi come cercare di spiegare al proprio genitore che non si desidera più indugiare.
Un sorriso gentile, un tentativo di spiegare con un gesto, le parole di ringraziamento per un'attenzione tanto spesso disprezzata a torto:
" Erediterò la palestra del nonno, come lui ha lasciato nel suo testamento!"
" Non sei obbligata, tesoro!"
Videl era uscita lentamente sulla soglia della calda abitazione, l'abito scuro a rimarcare il dolore recente, il viso rigato dalle prime rughe, a segnare come un folco la diversità, un tempo invisibile, fra il suo sangue e quello dell'amato compagno di liceo.
" Non è un obbligo, mamma! Dopo gli avvenimenti del Tenkaichi ho riflettuto a lungo sulla forza e sul nostro potere. So perfettamente che non riuscirò mai più a raggiungere il super sajan, è stato solo ... un caso! Non ho deciso di seguire le ultime volontà del nonno per migliorare me stessa e neppure per consacrare la mia vita alla difesa dei terrestri. Il nonno sbagliava nel voler agire sempre da solo, ognuno ha in sé un'ombra di forza, che io spero di riuscire a sviluppare!"
" Vorresti che un giorno i terrestri si difendessero da soli?"
Leggermente roca era giunta alle loro orecchie la voce di Chichi, a sua volta affacciatisi con un voluminoso scialle sulle spalle. Pan aveva annuito con un sorriso allegro, sua nonna aveva sempre compreso al volo le sue scelte. Inoltre non aveva mancato, inaspettatamente, di aiutarla nell'arduo confronto con suo padre, che tanto aveva sperato che lei seguisse le sue orma all'università.
" Esatto, nonna! Se un giorno i sajan non potranno più difendere la Terra, tutto il sangue e il dolore, che fin qui v'è stato, andrebbe perduto! Io insegnerò hai terrestri il segreto del potere!"
" Calmati tesoro!"Videl scuoteva dolcemente la testa
" Devi ponderare quello che vuoi fare, cerca di esser più moderata! Non pensi, che il potere insegnato alle persone sbagliate, potrebbe diventare una minaccia molto più temibile di un conquistatore alieno?"
Un leggero broncio incupì i suoi linealmenti, ormai privi della giocosità dell'adolescenza.
Sua madre aveva sempre ragione su tutto.
La lingua apparve fra le labbra per essere morsa leggermente in un'espressione sbarazzina. Matura o meno, era sempre troppo avventata e confusionale, non le restava che seguire ancora i consigli della sua famiglia, sino a che non avesse imparato la moderazione.
" Oltre alla forza, dopo il torneo, immagino tu abbia riflettuto anche su un'altra cosa?"
Il sorriso complice di Chichi si sollevò all'indirizzo di Pan, che distolto lo sguardo, tornò con sin troppa attenzione al lavoro manuale.
" A cosa ti riferisci, mamma?"
Ma Chichi aveva già chiuso nuovamente le imposte della finestra della cucina, chiudendo la fredda mattina e la domanda del figlio oltre il vetro opaco.
Le labbra si incurvarono in un leggero sorriso:
" Ci ha pensato, eccome!"





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