19 - The End
Ed eccoci qui come promesso con l’ultimo capitolo di quest’avventura.
Quando posto le note finali di una
storia, non so mai cosa dire, perché vorrei poter trovare una
parola che possa esprimere tutta la mia più profonda gratitudine
a chi mi ha seguita dall’inizio, alla fine.
Ma non riesco mai a trovarla e mi tocca sempre limitarmi al solito “grazie”.
Grazie di cuore a tutti voi, che
mi avete sempre sostenuta, letta, commentata e fatta partecipe delle
vostre perplessità sulla storia.
Ho apprezzato tutto davvero tantissimo.
Vi lascio alla lettura dell’ultimo capitolo, sperando che possa essere la degna conclusione di questa storia.
Buona lettura,
callistas
Laney e John facevano coppia fissa
da tre mesi ormai ma le voci sulla loro storia non si erano ancora
dissipate, anzi: sembravano intensificarsi ogni volta che i due
respiravano anche solo nella stessa direzione. Per non parlare del
fatto che tutti, a parte qualche mosca bianca, non facevano altro che
dire quanto brava dovesse essere stata Laney per essere riuscita ad ottenere il posto di segretaria del capo.
Con John si era accordata nel
lasciar correre quelle voci, che col tempo le persone avrebbero trovato
un nuovo argomento di discussione, ma ormai erano tre mesi che loro
stavano insieme e che quelle voci erano ancora vive come se fosse il
primo giorno.
La cosa, onestamente, iniziava a
seccare sia lei sia John, non tanto perché si vergognassero o
perché avessero qualcosa da nascondere; semplicemente avrebbero
gradito vivere la loro storia senza che ogni loro respiro, sillaba o
sguardo venisse radiografato.
Anche i clienti, che di tanto in
tanto entravano nello ShowRoom della Livin Home per vedere le nuove
collezioni sapevano di loro due, permettendosi commenti non proprio
carini che un tempo non avrebbero mai fatto.
Laney iniziava ad averne le tasche piene.
Tutti i giorni era la stessa
storia: entrava in ufficio e i suoi colleghi smettevano di parlare, se
doveva entrare in ufficio da John mancava poco che tutti si mettessero
dietro la porta per captare qualsiasi gemito di piacere, se indossava
una gonna piuttosto di un pantalone era per calamitare lì
l’attenzione del capo… tante stupidaggini che però
avevano il potere di mandare la sua concentrazione al manicomio e le
volte che commetteva qualche errore, veniva imputato al fatto che l’amore fa questi effetti.
Aveva un buon rapporto solo con
Alessia Carson, la centralinista della Livin Home e Katie Hole, una
sorta di istituzione nell’azienda contro la quale nessuno,
nemmeno John Cook, osava andare.
Erano le uniche due persone, tre
con Laney, che in azienda si facevano gli affari propri e che prima dei
pettegolezzi, cercavano di fare bene il proprio lavoro. Si trovavano
bene insieme proprio per questo, anche se erano in settori diversi.
“Sto dando i numeri!”
– esclamò Laney, sfinita. – “Non
c’è giorno che non venga radiografata per quello che
dico!”
“Mandali a cagare.” – fu la diplomatica risposta di Alessia, che addentò il suo panino.
“Credi che non lo abbia
già fatto?” – chiese retoricamente Laney. –
“Che li mandi a cagare, che li minacci, che faccia il nome di
John, non succede niente! Credevo che con il tempo la questione si
sarebbe smorzata, ma non è così! Sono tre mesi che io e
John stiamo insieme e sono più le ore che perdo a dovermi
difendere dalle loro battutine che a vivere la mia storia!”
Alessia e Katie si guardarono, dispiaciute per la moretta.
“Io metterei in pratica il piano B.” – disse Katie, inforcando il suo piatto di pasta.
Laney e Alessia la guardarono perplesse.
“Cioè?” – chiese Alessia.
“Qui tutti si riempiono la
bocca della stronzata che saprebbero fare il tuo lavoro come se niente
fosse, perché credono che ti limiti a portare il caffè a
John quando ha le riunioni. Faglielo portare tu il caffè per una volta.” – occhieggiò Katie.
Anche John gliel’aveva detto
quella sera di tre mesi fa, ma nessuno dei due, alla fine, aveva messo
in pratica quella minaccia: il lavoro di Laney era troppo delicato per
essere affidato al primo incompetente di turno ma forse era giunto il
momento di mettere le cose in chiaro.
Lo sguardo di Laney mutò.
“Katie? Laney ha in mente qualcosa.” – sorrise Alessia, che conosceva quello sguardo.
Alla fine la moretta si rimise composta e mangiò la sua insalata, con il piano ben delineato nella propria mente.
La pausa pranzo ebbe una fine e
con essa la libertà di essere con persone – Katie e
Alessia – con le quali era facile parlare.
Rientrò in ufficio e come
al solito venne accolta da quel religioso momento di silenzio, nemmeno
fosse stata allo stadio per la commemorazione di qualche famoso
giocatore.
Senza salutare, si diresse
nell’ufficio di Margharet Turcher – scherzosamente chiamata
Tutcher per l’inflessibilità che metteva
nell’applicare la legge – l’avvocato
dell’azienda per chiedere chiarimenti.
“E’ permesso?”
“Sì? Oh Laney, buon giorno.”
“Buon giorno Margharet, la posso disturbare?”
“Sì certo, entri pure.”
Laney si accomodò.
“Mi dica.”
“Margharet, non ci
girerò intorno. Credo sia ormai di dominio pubblico il fatto che
io e il signor Cook abbiamo una relazione.”
Margharet arricciò leggermente le labbra.
“Non sono un consulente amoroso, Laney.” – disse la donna.
“Lo so. So solo che lei
è un brillante avvocato e mi chiedevo se la legge prevedesse
qualche sorta di punizione per colleghi invadenti o penalmente
perseguibili per stalking aziendale.”
Margharet sollevò le sopracciglia.
“Non mi era mai capitata una
richiesta simile…” – osservò la donna, che
prese un tomo di qualche milione di pagine e lo sfogliò, come se
lo conoscesse a memoria.
“Immagino e mi dispiace
veramente disturbarla per questo ma davvero non ne posso più. Il
mio rendimento sul lavoro ne sta risentendo proprio a causa di questo
stalking aziendale, se si può chiamare così.”
Mentre sfogliava le pagine, Margharet iniziò a parlare.
“Mi è capitato un caso simile, prima di venire a lavorare qui.”
“Ah sì?” – chiese Laney, stupita. – “E come andò a finire?”
“La vittima riuscì a
spuntarla ma dovette licenziarsi perché dopo aver messo di mezzo
l’avvocato contro i suoi stessi colleghi, questi iniziarono ad
esasperarla ancora di più.”
Laney emise un gemito strozzato. Era punto e a capo.
“Va bene, grazie comunque Margharet.” – si alzò, ma l’avvocato la fermò ancora.
“Se posso permettermi, non dovrebbe permette a nessuno di manipolare la sua vita.”
Laney la guardò sorpresa.
“Non è sempre facile, però. Sono aperta a qualsiasi suggerimento.” – scherzò la moretta.
Per la prima volta da quando la conosceva, Margharet sorrise.
“Sa… mi piacerebbe proprio vedere come se la caverebbe un suo collega a fare il lavoro che fa lei…”
Laney sbarrò gli occhi.
Ma si erano messe d’accordo, per caso?
Sorrise ugualmente e uscì.
Ancora, quando rientrò in reparto, di nuovo ad accoglierla vi fu il silenzio.
Stanca come non mai per
quell’atteggiamento da asilo nido, Laney andò in ufficio
da John per informarlo che a breve avrebbe avuto una nuova segretaria.
“Posso disturbarti?”
“Ciao, vieni.” – disse l’uomo, concentrato su alcuni documenti. – “Dimmi.”
“Ho preso una decisione che è insindacabile.”
John alzò lo sguardo e la guardò, mezzo divertito.
“Ovvero?”
“Avrai una nuova segretaria.” – disse, seria.
John si fece serio a sua volta.
“E se io non fossi d’accordo?” – ironizzò.
“Oh, quello che pensi non
è rilevante.” – scherzò lei, fingendo che
John fosse, alla Livin Home, l’ultima ruota del carro.
John sollevò le sopracciglia, divertito, ma poi tornò serio.
“Perché questa decisione?”
Laney sospirò e sorrise tristemente.
“Perché sono stanca John.” – ammise.
L’uomo sbarrò gli
occhi e temette che la donna potesse rivedere la sua decisione di
trovarsi un altro lavoro o peggio… lasciarlo.
“Laney…”
“Da quando si sa che sto con
te, ho perso credibilità. Sono al tuo fianco non perché
so fare il mio lavoro, ma perché ti apro le gambe; i miei
successi professionali sono passati tutti in secondo piano, certi
dicono addirittura che tanto adesso potrei anche smettere di lavorare,
perché ci sei tu che mi mantieni.”
John si passò una mano sugli occhi, esasperato.
Laney si era guadagnata tutto con
il sudore della fronte e perché a differenza degli altri portava
a termine un lavoro durante il lavoro, anche se si trattava di uscire
alle dieci di sera!
Poteva solo immaginare quanto quei
commenti le dessero fastidio e sperò vivamente che non la
portassero a rivedere la decisione di stare insieme.
“Mi dispiace… non credevo che la cosa degenerasse in questo modo.”
“Nemmeno io. Per questo ti
chiedo di aiutarmi. Di solito non è da me comportarmi in questo
modo, ma se vado avanti così rischio di impazzire.”
– lo supplicò e John si rese conto che era davvero stanca.
“Che avevi in mente?”
– non era nemmeno da lui accettare un simile comportamento ma se
voleva che i suoi dipendenti tornassero a rispettare la mora per il suo
lavoro, occorrevano misure drastiche.
“Tutti credono che farti da
segretaria significhi solo portarti il caffè. Fattelo portare da
qualcun’altra, allora.”
John rise: il caffè.
“D’accordo. Ma se non funziona, io inizio con i licenziamenti.” – scherzò lui.
Laney sorrise grata.
“Grazie, davvero.” – poi uscì e fu accolta di nuovo dal solito minuto di silenzio.
“E questa ti sembra una relazione? Ma ti hanno insegnato a scuola la punteggiatura?”
La vendetta – perché
era di questo che si parlava – di John e Laney era iniziata
proprio dalla persona che aveva dato il via a tutto quel casino.
Allie.
Fingendo una piccola discussione,
John e Laney si erano “lasciati” e ora tutti ricamavano
sullo scoop del giorno, per non parlare di come John avesse messo gli
occhi sulla biondina.
Allie sbarrò gli occhi e
ricontrollando, si rese conto che effettivamente mancava la
punteggiatura necessaria per dare un senso al discorso.
“Io… se vuole la ricorreggo…”
John la guardò stranito.
“Sarebbe molto cortese da parte tua, grazie.” – disse, tagliente.
Allie uscì dall’ufficio con gli occhi lucidi e in molti se ne stupirono.
“Josh!” –
urlò John. – “Dov’è la relazione che ti
avevo chiesto mezz’ora fa?”
L’uomo sbarrò gli
occhi. Cazzo! Se ne era completamente dimenticato! Era stato assalito
dalle chiamate dei suoi colleghi e aveva scordato la relazione!
“Gliela porto subito!”
“Quel subito doveva essere mezz’ora fa!” – urlò John, inviperito.
Laney, seduta tranquillamente alla
propria scrivania, ascoltava quelle urla nemmeno fossero state il
Notturno di Chopin. Sorseggiava il suo tea bollente e batteva i tasti
della tastiera con il solo indice e poco le mancava per mettere i piedi
sulla scrivania e svaccarsi sulla sedia.
Finalmente un po’ di giustizia divina.
Finalmente quegli sfaticati e
impiccioni dei suoi colleghi avrebbero capito che essere la segretaria
di John non significava portargli solo il caffè ma significava
prima di tutto sgobbare come uno schiavo.
“Laney!” – esclamò Josh.
La donna lo guardò, infastidita dall’interruzione.
“Che c’è?” – chiese scorbutica.
“Devi aiutarmi!”
Devo?!, si chiese la donna che iniziò a sentire un lungo e intenso brivido di piacere lungo la schiena.
“Perché?”
“John vuole la relazione sulla fusione della…”
“E perché lo chiedi a me?” – chiese la donna, stranita.
John si bloccò, impanicato.
“Beh, tu sai dove si trova. Io no.”
Il sorriso che gli rivolse, fece capire a Josh che non l’avrebbe aiutato.
“Certo che lo so. E sai come ho fatto a saperlo?”
Stupidamente, l’uomo negò.
“Perché le cose che servivano a John me le andavo a cercare da sola.”
“Ma gli serve urgente!” – esclamò Josh.
“Motivo per il quale ti consiglio di correre.” – ironizzò.
Josh represse una bestemmia e se
ne andò e Laney tornò a sorridere. Poco le importava di
fare la figura della bambinetta dell’asilo, ma a mali estremi
estremi rimedi.
Furono i tre giorni più appaganti di Laney.
Si poté quasi dire che il
sesso l’appagasse meno di quei giorni passati a guardare tutti i
suoi colleghi impazzire per eseguire lavori che lei sarebbe riuscita a
fare in meno di un’ora.
Per non parlare del fatto che, senza le richieste di John, Laney riusciva a lasciare l’ufficio alle sei di sera spaccate, augurando una buona serata ai suoi colleghi che dovevano rimanere in azienda fino a che avessero portato a termine i compiti affidati dal titolare.
Tornava a casa, si faceva un bel
bagno rilassante – da quando era la segretaria di John a malapena
riusciva a farsi una doccia decente – e poi preparava una bella
cenetta per loro due e concludevano la serata con del sano sesso.
Meglio di così non poteva andare.
All’alba del quarto giorno, l’intero reparto alzò bandiera bianca.
Laney entrò alle otto e
trenta, con un bicchiere di caffè bollente nella mano –
quella sorta di tregua le aveva permesso di fermarsi allo Starbucks
all’angolo e bere il caffè durante il tragitto – e
un sorriso di compiacimento sulle labbra.
Quando si ha troppo lavoro da fare, si è soliti perdere meno tempo in chiacchiere e pettegolezzi.
L’intero reparto
l’accolse con un piacevole brusio di sottofondo, le unghie delle
donne ticchettavano sulle tastiere, si parlava al telefono, ci si
scambiava opinioni.
E nessuno badava a lei.
Quando la videro, smisero di parlare e Laney sbatté un piede a terra, capricciosa. Era già tutto finito?
A venirle incontro fu Allie che,
alla fine, fu accusata dall’intero reparto di essere stata la
causa di quel surplus di lavoro quando prima, invece, l’avevano
trattata con i guanti per lo scoop che era riuscita a scovare.
“Sì?” –
chiese Laney, con la mano che già non vedeva l’ora di
rincontrare la guancia dell’idiota.
Allie aprì la bocca ma nessun suon ne uscì.
“Non ce la facciamo più!” – pigolò la biondina, alla fine, scegliendo di dire la verità.
“Non ce la fate più a fare cosa?” – chiese retoricamente.
Si fece avanti un altro collega.
“Il tuo lavoro.”
Laney lo guardò, invitandolo a spiegarsi meglio.
“E’ un casino! John
non è contento di niente! Prima vuole un fascicolo, poi un
altro, poi vuole la relazione, poi vuole…”
“Cosa?” – chiese Laney, con un sorriso al veleno. – “Il caffè?” – ironizzò.
Tutti si zittirono.
“Ma che strano…” – continuò. – “Eppure portare il caffè
a una persona è un lavoro così facile, che sanno fare
tutti, no? Ma forse è più una questione di gambe, che ne
dite?” – frecciò, cattiva.
Oh, non gliene avrebbe fatta passare una!
“Laney…”
“Laney niente!”
– esclamò la donna, furente. – “Sappiate che
quello che avete fatto voi in questi tre giorni io lo faccio in meno di
mezz’ora! Ed è stata la centesima parte dei lavori che io,
come segretaria personale di John, devo fare! Lavoro qui da anni ormai,
e la Livin Home non è una baracca per vagabondi! È
un’azienda che fattura miliardi di dollari l’anno e
occorrono persone qualificate per lavorarci dentro! Quando sono stata
eletta capo reparto ho ricevuto i complimenti di tutti voi
perché sono brava, perché so comprendere le persone,
perché so essere imparziale e perché me lo sono meritato!”
– urlò per farsi sentire. – “Ma da quando
questa imbecille…” – disse, indicando Allie. –
“… vi ha detto che mi frequento con John, automaticamente
le mie qualifiche professionali sono finite nel cesso e se ho ottenuto
il mio lavoro è stato solo perché ho aperto le gambe!
Allora se questo è vero, si può dire che tutti voi avete
dovuto vendere, chi il culo, chi quella che ha in mezzo le gambe per un
quarto d’ora accanto a John! E questo non vi rende meno puttane o
finocchi di me!” – concluse.
Era stata cattiva come il veleno ma almeno si era levata dai denti ciò che più le rodeva.
Tolse la tracolla dalle spalle e la sbatté sulla sedia.
“Credevo di lavorare con
delle persone mature, con degli adulti!” – continuò
a rimproverarli mentre accendeva il pc e sistemava la propria scrivania
per riprendere possesso del proprio lavoro. – “Invece mi
sono resa conto di lavorare con dei poppanti! Non si poteva resprirare
senza che non venissero inviate mail di come io abbia respirato o che
io e John ci siamo guardati per più di tre secondi di fila! Io e
John stiamo insieme e la cosa non vi deve riguardare, mi sono
spiegata?”
Tutti mormorarono degli strascicati “sì”.
In quel momento arrivò John.
Aveva sentito tutto e si disse che quei tre giorni di baraonda forse erano serviti a qualcosa.
“Buon giorno.” – salutò.
Tutti scattarono sull’attenti e salutarono il titolare.
“Ci sono problemi?”
“No.” – disse Laney, guardando i suoi colleghi, pronta a sbranarli se avessero solamente aperto bocca.
“Perfetto. Spero che episodi del genere non si verifichino mai più. Hai le relazioni?”
Dalla tracolla iniziò a
tirare fuori le relazioni che in quei tre giorni erano state fatte
– male – dai suoi colleghi e gliele consegnò.
“Ma… quelle sono le relazioni…”
Laney lo fulminò con lo sguardo.
“Sapevo che affidarvi un
compito come trascrivere la relazione di una riunione sarebbe stato
troppo per voi, così me le sono fatte io.”
“Il lavoro di Laney non
finisce alle sei.” – intervenne John. – “Quando
lei è stata assunta come mia segretaria, sapeva che sarebbe
andata incontro a un lavoro difficile, dove non ci sono orari e poco
spazio per una vita privata. Lo sapeva e lo ha accettato comunque. Ora
siete pregati di tornare ai vostri posti. Vi pago per lavorare non per
spettegolare sui vostri colleghi.”
Come neve al sole, la ressa si dissolse.
John prese le relazioni e andò nel proprio ufficio.
Fu davvero una buona mattinata.
Laney lavorò
incessantemente per rimettersi in pari con il lavoro che aveva lasciato
ai suoi colleghi e notò come tutti si facessero finalmente i
fatti propri.
To be continued?
Sperò di no.
Le porte della Malfoy Home riaprirono lunedì otto Gennaio.
Draco era stato fatto convinto da
sua madre a farsi aiutare, anche finanziariamente, a rimettere in piedi
l’azienda, potendo così dedicarsi a Hermione e al loro
rapporto e a quella proposta che Narcissa sperò facesse il più presto possibile…
Hermione aveva risentito di quel
loro distacco da quando erano rientrati a Londra, ma sapeva quanto
Draco amasse quella società, così si era fatta da parte,
aspettando tempi migliori. Era stata molto felice, dunque, quando Draco
le aveva detto che accettava l’aiuto dei suoi genitori, il che si
traduceva nel passare in ufficio quante meno ore possibili. Poteva
coltivare il suo rapporto com’era giusto che fosse.
Draco, poi, non le faceva mancare nulla.
Aveva annullato le sue visite ai
ristoranti di alta classe, prediligendo le trattorie, le sagre di paese
e gli agriturismi, dove i piatti erano colmi fino al bordo e si usciva
con la pancia piena e l’animo allietato.
Durante la settimana, cercavano su
Internet una sagra, una manifestazione eno-gastronomica,
gastronomico-culturale… insomma, tutto quello che riuscivano a
trovare e poi ci andavano.
Passavano bellissime giornate
immersi nella natura, accompagnati ad ogni punto ristoro da
dell’ottimo cibo. Il loro rapporto si rafforzava giorno dopo
giorno e niente poteva turbare la loro felicità.
Quando misero piede alla Malfoy Home, rimasero a bocca aperta.
Loro due e la fila di dipendenti che entrarono dietro di loro.
Era tornato tutto come prima, salvo qualche modifica apportata dallo stesso Lucius.
L’acquario era tornato,
splendente come agli albori, ripulito di tutte le alghe che si erano
formate durante il suo abbandono, i pesci nuotavano a scatti, colorati
e variopinti. Erano state inserite delle vetrate colorate nei rosoni in
alto tanto da creare diversi fasci di luce a seconda dell’ora del
giorno.
Il bianco la faceva ancora da
padrone, e il colore dei divanetti era stato sostituito da tenui colori
pastello che ricordavano tanto i colori delle lastre di granito con le
quali solevano abbellire una cucina. Sulla parte frontale del
centralino era stato applicato il logo della Malfoy Home.
Le piante erano state buttate e
sostituite con altre più belle e rigogliose, ma che soprattutto
non richiedessero troppa manutenzione – le spese per la
manutenzione degli spazi verdi occupava un bel posto nelle uscite
dell’azienda – e vicino alla fontana era stato creato un
giardino Zen.
Dietro Draco e Hermione si
stagliava la folla dei dipendenti che avevano accettato di tornare a
lavorare per Draco. Si guardavano intorno meravigliati, notando subito
i nuovi dettagli.
Alle pareti erano stati appesi quadri di arte contemporanea, moderna e alcune copie di ritratti di pittori famosi.
La Malfoy Home non era solo perfezione.
Era Arte.
“Tuo padre non si è
risparmiato, eh?” – sussurrò Hermione
all’orecchio di Draco, sconvolta.
“No, direi di no…” – rispose Draco, altrettanto basito.
Curiosi, vollero vedere i piani.
Ogni settore dell’azienda
era stato curato, sistemato e restrutturato a regola d’arte.
Lucius non aveva badato a spese. Gli operai avevano lavorato giorno e
notte a quel progetto, ampiamente remunerati per quel lavoro extra
soprattutto sotto le feste di Natale e Capodanno.
Man mano che i lavoratori
riconoscevano il loro piano, si addentrarono negli uffici per
riprendere i posti che ingiustamente erano stati sottratti loro.
Lentamente, la fila dietro Draco e Hermione iniziò a sfoltirsi,
finchè non arrivarono all’ultimo piano, quello
dell’ufficio di Draco.
“Ho quasi paura ad entrare…” – sussurrò il biondo, di fronte alla porta del suo ufficio.
Aveva deciso
di non mettere nessuna targhetta identificativa, perché non
voleva mettere troppa distanza tra sé e i suoi dipendenti.
Non sapeva cos’avrebbe trovato.
“Dai, tranquillo.” – lo rassicurò Hermione, agitata comunque anche lei.
Draco abbassò lentamente la maniglia.
Era come sentirsi catapultato al
primo giorno come direttore della Malfoy Home, dove aveva abbassato
quella maniglia per la sua prima volta.
Entrarono insieme e rimasero basiti.
Niente del vecchio Arredamento era
stato tenuto per evidenziare quanto ciò che era successo
appartenesse al passato e che fosse necessario voltare pagina per
sempre e ricominciare daccapo con un nuovo spirito.
L’arredamento era tutto
essenziale, tanto che ad una prima occhiata poteva quasi dare
un’impressione di freddo distacco ma qualche dettaglio ben sparso
qua e là aiutavano l’occhio a rendersi conto che
c’era anche una fonte di calore in quell’arredamento: il
quadro di Lucius, Draco e Narcissa in posa faceva bella mostra di
sé dietro la sedia di Draco, per ricordare a quel testone che
loro erano una famiglia e che la famiglia si sostiene a vicenda; il
morbido tappeto a fronde rosso catturava subito l’occhio e divani
che starebbero meglio nel salotto di una casa che nell’ufficio di
un direttore d’azienda, completavano l’arredamento.
Ecco, tutti questi dettagli,
personalmente vagliati da Lucius e Narcissa, davano all’ambiente
una nota calda e accogliente.
“Tuo padre si merita un bacio in bocca. Davvero!” – esclamò Hermione.
“Ohi
ragazzina…” – borbottò Draco, riemergendo da
quello stato di stupore. – “… abbassa le ali.”
Hermione rise della sua gelosia e lo abbracciò.
Avevano lasciato la porta dell’ufficio aperta dalla quale provenivano le voci dei dipendenti.
Sorrisero entrambi quando
sentirono che la Malfoy Home aveva ripreso a vivere con i suoi rumori,
le sue chiamate, le prime lamentele, i suoi abitanti che andavano da
una parte all’altra per ritirare le fatture…
Era una musica alla quale Draco non aveva mai prestato la dovuta attenzione.
Aveva sempre dato per scontato che
l’avrebbe sempre sentita fino al giorno in cui suo figlio avrebbe
preso in mano la gestione al suo posto, continuando così la
tradizione di famiglia invece… una folata d’aria e tutte
le sue certezze erano state spazzate via come una foglia morta caduta a
terra.
Era stato sbalzato via, Draco;
aveva viaggiato, aveva capito, aveva compreso i suoi errori. Hermione
lo aveva accolto e curato con il suo amore, strambo all’inizio,
perché di una cosa Draco era convinto: se Hermione non avesse
provato qualcosa per lui, anche di molto piccolo, non lo avrebbe mai
tirato via da quel rudere.
Era morto Draco, ma Hermione con le sue cure l’aveva riportato alla vita.
Da quel primo giorno di rinascita,
avrebbe smesso di dare per scontato ogni cosa. Avrebbe seguito meglio
la sua azienda, ne sarebbe stato parte integrante e attiva, e avrebbe
fatto di Hermione la sua guida, poiché solo di lei si fidava.
Avrebbero selezionato e scelto insieme le persone di cui avvalersi
nelle transizioni più importanti e avrebbe trattato i suoi
dipendenti non come numeri, non come un insieme di sterline che se ne
andavano dal suo conto ma come persone che per la seconda volta si
erano affidate a lui, che avevano scelto lui nonostante non potessero
avere uno stipendio normale.
“Andiamo a vedere come va?” – chiese Hermione.
A Draco, mentre ripensava a quanto
e come la sua vita fosse cambiata nel giro di un solo anno, erano
venuti gli occhi lucidi. Lui stesso si era reso conto di aver fatto
enormi passi da gigante e di aver percorso una strada che in pochi
avrebbero scelto di fare perché irta di difficoltà ma
anche piena di soddisfazioni personali.
Si stropicciò gli occhi e sorrise.
“Sì, andiamo.”
Uscirono dal suo ufficio e si sorrisero quando sentirono le voci dei dipendenti più concitate, più partecipi.
“No, no, no…”
– sentì dire Hermione da Ginny che, mentre negava,
scuoteva pure il capo. – “… oh me ne frego di quello
che pensi. Mi servivano ancora per due anni fa e… ma chissene
frega se devi scendere in archivio!…”
La lasciarono borbottare contro la persona al di là del telefono.
“… e la avviso: se
non riceverò quel fax entro un’ora mi attaccherò al
telefono come una cozza, mi sono spiegato?”
“… certo, ma credo si possa evitare tutto questo giro se lei mi da il numero. No, no…”
Li vedevano molto più
partecipi, forse spronati dal fatto che prima riportavano la Malfoy
Home agli antichi fasti e prima avrebbero riavuto il loro stipendio
pieno, ma nei loro sguardi e nelle loro voci c’era ben più
della speranza del ritorno dello stipendio: c’era proprio la
soddisfazione di essere tornati a lavorare per un direttore, sì,
intransigente, ma anche giusto.
Fecero lo stesso giro anche nei piani inferiori, trovando la stessa situazione.
Niente poteva andare storto, anzi…
… la degna conclusione di
quell’avventura si ebbe mercoledì 10 Gennaio, quando Draco
e Hermione dovettero incontrarsi con l’avvocato di Nott & Co.
per accordasi per evitare il processo.
Alla fine, sia Pansy sia Theo e
tutti gli altri, avevano dovuto cedere e seguire i consigli del proprio
avvocato che suggerì il patteggiamento.
Continuare sarebbe stato un suicidio e non era garantito che la prigione venisse evitata.
Hermione, Draco e Blaise da una
parte del tavolo guardavano, i primi due con odio, il secondo con
malcelata soddisfazione, Pansy, Theo e gli altri.
Adesso li conosceva anche di vista.
“Cosa proponi Blaise?” – chiese l’avvocato della difesa.
“Niente che i tuoi clienti
non possano dare, Arthur.” – Blaise ghignò. –
“Cinquecentomila sterline di risarcimento per danni morali e
materiali.”
Draco e Hermione lo guardarono straniti. E quella era la sorpresa?
“Sì, credo si possa fare. Organizzerò tutto…”
Gli accusati tirarono un sospiro di sollievo. Se l’erano cavata con poco…
“Oh, forse non hai capito
Arthur.” – disse Blaise, svaccandosi sulla sedia, pronto
per sganciare la mina atomica. – “Cinquecentomila a testa.”
Stavolta Draco e Hermione si guardarono in faccia sbalorditi.
Non appena si resero conto di che cifra sarebbe venuta fuori, tutti i presenti sbiancarono.
“Non… non dirai sul serio, vero?”
“Io sono sempre serio,
Arthur. Cinquecentomila ed evitano la galera. Se accetti, bene,
altrimenti in tribunale la cifra raddoppierà per ognuno di loro
e si beccheranno pure la galera. Prendere o lasciare.”
“Non farò mai un
accordo simile!” – sbottò Theo. – “Non
ho cinquecentomila sterline!”
“Nemmeno io!” – strillò Pansy.
“Come ho detto prima, ho
chiesto solo una cosa che sapevo voi foste in grado di dare. Ho fatto
le mie verifiche e sono venuto a conoscenza di alcuni conti alle
Caymann del signor Nott…”
Pansy si girò di scatto,
allibita. Allora lui li aveva i soldi! E aveva pure avuto il coraggio
di andare a chiederli a lei!
“… lei, signorina Parkinson…”
Pansy si girò, spaventata.
“… può vendere le sue proprietà e racimolare così il denaro necessario.”
Pansy era sbiancata oltre ogni dire.
“Rimarrò senza niente!” – urlò, terrorizzata.
“Cazzi tuoi!” – fu l’istintiva risposta di Hermione
Pansy non rispose.
“Le Caymann hanno un codice di riservatezza che non si può violare!” – sbottò Theo.
“Chissà
perché, ma quando sentono parlare di “concorso in
frode” tutti cantano come uccellini…” –
ironizzò Blaise.
Theo si zittì.
Ci fu un brevissimo consulto dove
l’avvocato della controparte consigliò fortemente di
accettare la proposta. Se i suoi clienti avessero dovuto affrontare il
processo fino alla fine, nessuno poteva garantire che si salvassero dal
carcere.
Arthur si alzò in piedi.
“Accettiamo.”
“Come supponevo.”
– disse Blaise, apparendo sgradito per chi aveva naturalmente
perso la causa. – “Oggi stesso avrai i documenti sulla tua
scrivania. Voglio le firme di tutti. E che siano leggibili.”
Arthur iniziò a mettere via le proprie cose.
“Vedo che non hai perso tempo.” – disse Arthur, inviperito.
“Perché avrei dovuto?
Se i tuoi clienti sono stati così idioti da lasciare prove
ovunque non è colpa mia. Se vuoi prendertela con qualcuno, fallo
con loro.”
A quell’obiezione non
poterono negare. Sia Pansy sia Nott non avevano mai pensato di disfarsi
dei loro computer o dei fax, perché erano talmente sicuri di
farla franca che avevano commesso l’errore più banale che
esistesse al mondo: lasciare prove.
“Avete tempo un mese per
sbloccare i conti e fare il versamento su questo conto.” –
disse Blaise, estraendo dal taschino interno della giacca un foglietto
di carta. – “Oltrepassato questo lasso di tempo, la cifra
si alzerà degli interessi. Adesso, abbiamo finito.” – disse Blaise, duro.
Una volta fuori, Draco non sapeva più come fare per ringraziare Blaise.
Le persone coinvolte erano in
tutto una ventina. La somma che ne sarebbe uscita avrebbe sistemato
tutti i suoi casini e gliene sarebbero rimasti a sufficienza per
ripagare il padre delle spese e mettere altrettanti soldi da parte.
“Ho fatto solo il mio dovere. Ora devo spedire quei fax, scusate.”
Hermione non stava più nella pelle.
“Ah, avvocato Zabini?” – lo chiamò Draco all’ultimo.
“Sì?”
“Passi nel mio ufficio quando vuole. Vorrei parlare con lei!”
Blaise sorrise. I perfetti denti bianchi spiccarono sulla sua pelle cioccolato.
“Che giornata ragazzi…” – esclamò Hermione.
“E non è ancora
finita!” – esclamò Draco, caricandosela in spalla
sotto lo sguardo divertito dei passanti.
“Draco! Draco mettimi giù! Che vuoi fare?”
L’amore.
Ecco quello che fecero per i due giorni successivi.
Erano talmente felici per ciò che erano riusciti a conquistare che avevano sentito il bisogno di dimostrarselo, amandosi.
Forse era stato il fatto che tutto
si era concluso oltre le loro aspettative ma mentre lo sentiva muoversi
dentro di sé, Hermione smise di pensare, fregandosi del
perché o del per come tutto quello era successo.
Era accaduto e basta.
Ciò che non accadde per sbaglio, fu la decisione di Draco.
Fin dai primi giorni, quando aveva
chiesto a Hermione di inviare a tutti i clienti e i fornitori una
circolare che comunicava che la Malfoy Home era tornata nelle mani di
Draco e che sarebbe tornata agli antichi fasti, si era notato un
movimento nelle azioni e negli acquisti.
La produzione e le consegne
andavano ancora a singhiozzo, ma il fatto che molti clienti fossero
tornati da loro per comprare era un buon segno per la ripresa
dell’azienda. Se andavano avanti di quel passo, non sarebbe
servito un anno per rimettersi in piedi, ma molto meno.
Vivevano ancora a casa di Hermione.
Draco ci si era così
affezionato che non se la sentì di lasciare quel posto che per
lui aveva rappresentato la sua prima vera casa. Così decisero di
portare qualche modifica all’appartamento per renderlo più
agevole per la vita di coppia.
Aveva organizzato per quel sabato
sera un incontro tra la sua famiglia e quella di Hermione, dove si
annunciava il fidanzamento ufficiale e dove Draco ebbe modo di mettere
in atto quella decisione presa con Hermione.
“Sei pronto?” – chiese Hermione, entrando in camera.
Trovò Draco seduto sul
letto con una busta in mano e sorrise. Ancora non riusciva a credere a
quello che Draco aveva deciso di fare.
Andò a sedersi accanto a lui e appoggiò il capo sulla sua spalla.
“Come ti senti?”
“Nervoso.” – ammise.
“Lo apprezzerà tantissimo.” – lo rassicurò.
“Ho paura che qualcosa possa andare storto.” – confessò.
“Sono le stesse paure di
quando sei tornato a dirigere la Malfoy Home. Ed erano tutte
infondate.” – gli ricordò.
“Lo so, ma qui non si tratta di un edificio. Si tratta di una persona.”
“Andrà tutto bene, sta tranquillo.”
Draco si girò e la guardò negli occhi.
“Mi dici cosa ho fatto per meritarti?”
La riccia gli sorrise e gli baciò la punta del naso.
“L’elenco sarebbe
troppo lungo.” – disse, guadagnandosi un’occhiata di
sbieco. – “Coraggio, è ora.”
Draco si alzò e prima di uscire la baciò.
“E così vi occupate
di trasporti…” – disse Lucius, interessato. –
“… di che genere?”
“Oh, di tutto e un
po’.” – chiarì Scott, con in mano un bicchiere
di liquore. – “Alimentari, traslochi… non ci
facciamo mancare nulla.”
Scott e Lucius avevano trovato
subito una buona intesa, così come Narcissa con i bambini di
Astoria e Marika ai quali mancava poco per compiere il loro primo anno
di età.
“Sono adorabili!” – esclamò Narcissa, che non sapeva più a chi dare retta.
Astoria e Marika sorrisero. I
bambini avevano da poco imparato a camminare con le proprie gambe e
dovevano correre loro dietro per impedire che si facessero del male.
“Grazie.” – risposero le due mamme.
Nonna Minerva, invece, rimase da parte per permettere alla signora Narcissa di fare conoscenza con quelle due pesti.
“Scommetto che le danno parecchio da fare, Minerva.” – disse Narcissa.
“Mi tengono in allenamento.” – scherzò la donna.
Draco e Hermione, da una parte,
guardarono le rispettive famiglie socializzare amichevolmente quando
l’occhio cadde su Neville e Daphne, leggermente più in
disparte. Di tanto in tanto si scambiavano qualche parola e poi Neville
le massaggiava la schiena, per cercare di darle un po’ di
conforto.
“Narcissa mi scusi…” – la interruppe Daphne.
“Sì? Dimmi.”
“Dove si trova la toilette?”
“Vai lungo…”
“Ce l’accompagno io mamma.” – disse Draco, cogliendo al volo l’occasione.
“Grazie.”
“Dai, vieni.”
Daphne andò dietro a Draco con gli occhi fastidiosamente lucidi e un magone in gola che le faceva male.
“Grazie.” –
riuscì a dire la bionda. – “Ora posso andare da
sola.” – scherzò.
Draco comunque l’aspettò di fuori e venne raggiunto da Hermione.
“Glielo hai detto?”
“No. Aveva bisogno di calmarsi.”
“Capisco…”
In bagno, Daphne andò al lavandino e vi si appoggiò.
Chinò lo sguardo e prese
più respiri per calmarsi. Amava Astoria e Damian ma certe volte
temeva di non farcela, di scoppiare a piangere davanti a loro e
incrinare la loro felicità con i suoi problemi.
Se solo si fosse fatta vedere, se solo non avesse lasciato correre, se solo… alzò il volto e si specchiò.
Naturalmente, piangeva di amara consapevolezza.
Ormai era inutile piangere. Doveva
ringraziare Dio per essere sopravvissuta anche se… anche se
qualcosa dentro di lei ruggiva, che urlava che non era giusto, che
voleva un bambino tutto suo, che crescesse dentro di lei, che le
facesse venire le nausee, che la svegliasse di notte con i suoi
pianti… voleva tutto questo, ma sapeva che non era possibile.
Si sciacquò il volto e
dalla borsetta prese un po’ di fondotinta per coprire il naso
rosso e gli occhi. Quando ebbe finito, trovò eccellente il
lavoro e uscì.
Urlò spaventata, quando davanti alla porta si trovò Draco e Hermione.
“Mi avete spaventata!”
– sbottò. – “Guardate che la strada me la
ricordo, non preoccupatevi.” – scherzò, ma notando i
loro sguardi semi seri, si preoccupò lei. –
“Ragazzi, che succede?”
“Dai…” – lo esortò Hermione.
Draco si fece avanti.
“Prima di tornare di là, volevo parlare con te di una cosa.” – disse Draco.
La bionda lo guardò, confusa.
“Di cosa?”
“Di te Daphne.”
La donna si indicò, sorpresa e guardando la sorella, sperando in un aiuto.
Che non arrivò.
“E perché?”
“Hermione mi ha detto tutto.”
Daphne scosse il capo, confusa.
“Di cosa?”
“Del tuo male, di ciò che ti ha fatto.”
Daphne divenne seria d’un tratto e guardò con biasimo la sorella.
“Ah…” –
disse, ferita. – “… dei tuoi problemi non riuscivi a
parlare, ma di quelli degli altri sì, vero?” –
chiese, sulla difensiva.
“Colpa mia.” –
disse, assumendosi così la responsabilità. –
“Volevo sapere perché nonostante vi amavate così
tanto, tu e Neville non aveste figli. Quando me lo ha detto, mi
è dispiaciuto molto per voi perché se c’è
qualcuno che merita un bambino, quella sei tu Daphne.”
Nonostante le belle parole, Daphne
non riuscì a sentirsi allietata. Hermione l’aveva ferita
troppo profondamente ma la cosa che più la turbava, era il fatto
che sua sorella non sembrava pentita di quel suo gesto, anzi…
sorrideva beata.
“Grazie.” –
rispose fredda. – “Ma come ha detto Hermione, manco della
parte fondamentale per farlo.”
Era nervosa. Non le piaceva
affrontare quel discorso. Ne aveva preso coscienza, ma questo non
significava che lo si potesse trattare come un argomento da osteria.
“Allora vattela a prendere.” – disse Draco, mettendole in mano una busta bianca.
La stessa busta che aveva in mano prima a casa di Hermione.
Daphne la prese e guardò Draco che la incitava con lo sguardo – occhieggiando da lei alla busta – di aprirla.
Per nulla vogliosa di sapere cosa
vi fosse all’interno – il comportamento di Hermione
l’aveva ferita troppo – l’aprì e tutta la sua
rabbia venne rilegata in secondo piano quando notò che
all’interno vi era un assegno. Quando lesse la cifra, si mise una
mano sulla bocca.
Mai visti tanti soldi in vita sua!
“Ma cosa…” – guardava alternativamente Draco e la busta non capendo.
“Per te Daphne.”
– chiarì Draco, commosso di poter fare qualcosa di bello e
importante per qualcuno. – “Ho preso i contatti necessari
con uno specialista americano. Se non te la senti di fare il viaggio
è disposto a venire qua a Londra. Tuo padre mi ha faxato tutte
le tue cartelle cliniche, dall’infanzia fino a oggi e hanno
trovato un utero compatibile per te.”
Le orecchie avevano preso a fischiare e la voce di Draco arrivava ovattata a causa della pressione del sangue.
Era troppo e non ci voleva credere.
Anni spesi a dover convivere con
l’idea di essere una donna a metà e ora le dicevano che
poteva avere un bambino! Se quello era uno scherzo, allora era davvero
crudele!
Guardò Hermione, il cui sorriso si era ampliato a dismisura. Lei… lei sapeva!
Cadde in ginocchio, sorretta da un Draco commosso.
“Il dottor Evans dice che hai ottime possibilità di evitare il rigetto.”
Non riuscì a trattenere il singhiozzo. Troppe notizie… non capiva! Rigetto? Possibilità? Che stava dicendo?
“Certo all’inizio ci
sarà naturalmente da aspettare, nel tuo caso le visite saranno
all’ordine del giorno ma alla fine avrai il tuo bambino, Daphne.
O due, o tre… o tutti quelli che vorrai!”
E non resse.
Pianse talmente forte, da attirare i parenti.
Quando la vide accasciata a terra, Neville corse da lei.
“Stai bene?”
Daphne riuscì solo ad
annuire, con il volto allagato dalle lacrime e la gola chiusa. Era
già tanto se riusciva a respirare tra un singhiozzo e
l’altro… figurarsi a parlare!
“Che ti prende? Daphne mi fai preoccupare!” – squittì Neville, preoccupato a morte.
La bionda inspirò ed espirò profondamente per calmarsi.
“Draco… bam-no… ‘merica…”
Neville scosse la testa. Non aveva capito niente se non il nome di Draco.
Guardò il biondo che fece un breve riassunto.
“Ho parlato con uno specialista americano.”
Neville lo guardò come per chiedergli “e allora?”
“Con l’aiuto di tuo padre, gli ho mandato le cartelle cliniche di tua moglie per un trapianto di utero.”
Non vi fu bisogno di altre spiegazioni. Neville sbarrò gli occhi, incredulo.
“Dice che ci sono ottime
probabilità che l’intervento riesca, così anche voi
potrete avere un bambino.”
Neville cadde con il sedere a
terra con Daphne che era riuscita a riprendersi e ora rideva della
faccia del marito che, alla fine, era la stessa che aveva fatto lei.
“Noi…”
Un ringhio animalesco si fermò in gola. Abbracciò la moglie con tutta la forza che aveva in corpo.
Draco cercò Hermione con lo sguardo.
Le sue lacrime di gratitudine erano il giusto premio per la sua idea.
Quell’incontro fu abbastanza
particolare: doveva essere un incontro tra futuri consuoceri e si era
trasformato in un lago di lacrime.
Di gioia.
La porta dell’ufficio di
Draco rimaneva, nel novanta per cento delle volte, sempre aperta, a
meno che non vi fossero indette delle riunioni.
Quel giorno era chiusa.
“Nervosa?”
Hermione fissava il parcheggio
sottostante, osservando i camion che arrivavano e partivano dal
magazzino. Sorrise quando vide Roger – si trovava in alto, ma
l’uomo era più che visibile per via della sua mole –
salutare il trasportatore e rientrare in magazzino.
Alla fine, Hermione era riuscita a spuntarla su Draco anche per l’organizzazione del magazzino.
“Ma che
problemi ti fai? Lo hai visto anche nella mia azienda che fare i DDT
prima è un risparmio di tempo! Poi magari ti capita che sei di
fretta e combini casini!”
“Ma l’orario…”
“L’orario ce lo scrivono dopo a penna. Dai Draco!… ti stai incasinando la vita per niente!”
“Io… d’accordo. Ma se non funziona, si torna al vecchio metodo.”
“Tanto lo sai che ho ragione io.” – lo canzonò lei, beccandosi il solletico in risposta.
E poi aveva voluto che i magazzinieri usassero la stessa sala mensa dei dipendenti.
Aveva trovato
quel distacco una forma di razzismo bella e buona e viste le
argomentazioni portate in favore, Draco si fece convinto a usare
un’unica mensa mentre quella che era rimasta in disuso, avrebbe
potuto usarla come ulteriore archivio o come sala riunioni.
Ci avrebbe pensato.
“Onestamente non lo
so…” – rispose Hermione con lo sguardo sempre fisso
sul parcheggio. – “A dire il vero mi ero quasi
dimenticata.”
“Ti avevo promesso che avremmo risolto anche questa, no?”
Hermione si girò e gli sorrise.
Sì, gliel’aveva promesso e aveva mantenuto la sua parola. Era davvero cambiato il suo Draco.
Bussarono alla porta e il sorriso di Hermione si smorzò subito.
“Avanti.” – disse Draco, accomodandosi meglio sulla poltrona.
Dall’ingresso, entrò David Linch.
“Buon giorno.” – salutò, a disagio.
“Buon giorno David, prego, accomodati.”
David avanzò di un passo, non riuscendo a guardare Hermione negli occhi per il torto che le aveva fatto.
“Grazie.” – si schiarì la voce.
“Sai perché sei qui.” – disse Draco.
“Sì…”
“Cosa ti aspetti?”
David lo guardò spaesato.
Cosa si aspettava? A dire il vero aveva ottenuto più di quanto
avesse mai osato sperare! Il signor Malfoy non lo aveva denunciato
perché nonostante il danno che aveva causato, aveva anche fatto
di tutto per rimediare e questo, per Draco, era una cosa molto
importante.
Bisognava vedere se anche Hermione era dello stesso avviso…
“Beh, onestamente
niente… già il fatto che non sia finito in prigione per
me è tanto, quindi…” – lasciò la frase
cadere nel vuoto.
“Capisco. Rimane il fatto, però, che sei stato parte integrante del fallimento della mia azienda.”
David chinò lo sguardo.
Hermione era appoggiata alla parete dietro la scrivania di Draco.
Il suo buon cuore le suggeriva di
perdonarlo, che l’atteggiamento di David denotava il massimo del
pentimento per come si era comportato, ma il suo cervello faceva
letteralmente a pugni con il suo buonismo. E che cazzo!, l’aveva
fatta licenziare e per colpa sua non aveva festeggiato il Natale con i
suoi parenti!
Cosa doveva fare?
“Lo capisco.”
“Ma non posso neanche non tener conto dei rischi che hai corso per cercare di rimediare ai tuoi errori.”
David lo guardò di scatto, con gli occhi sbarrati.
“Cosa…”
“Motivo per il quale, io e Hermione abbiamo deciso di darti un’ultima possibilità.”
David divenne rosso e gli occhi si fecero lucidi.
“Io…”
“Il primo passo falso e sei fuori. Mi sono spiegato?”
David guardò anche
Hermione, ferma nella sua posizione. Non sorrideva, né era
arrabbiata. Sembrava che quella questione non la toccasse minimamente.
“Sì, sì
certo!” – esclamò. – “Grazie mille!
Giuro che non ve ne pentirete!”
“Lo spero per te.” – fu l’unica cosa che disse Hermione.
David uscì qualche minuto più tardi e li lasciò nuovamente soli.
Draco si girò con la sedia e guardò Hermione.
“Non sei ancora convinta che riprenderlo sia stata la mossa migliore.”
Hermione fece le spallucce.
“Ho sempre pensato a una cosa: se lo ha fatto una volta, cosa gli impedirà di farlo una seconda?”
“Credo abbia imparato la
lezione. David non è un arrivista e mi era sembrato davvero
felice di avere una seconda occasione.”
“E’ che…”
“Cosa?”
“Da una parte anch’io
lo volevo perdonare, ma dall’altra non riesco a fare a meno di
pensare che quando me lo troverò davanti, me lo vedrò
intento a smanettare al mio computer.”
“Secondo me la guardi dal lato sbagliato.”
Hermione lo guardò storto.
“Draco, non so se lo hai
dimenticato, ma io no: mi hai trattata come una merda secca
perché pensavi che ero stata io a svenderti la compagnia.”
“Allora prova a guardarla da
questo lato: se David non avesse messo su tutto questo casino, tu non
mi saresti mai venuta a prendere in quel rudere e ora non staremmo
insieme.”
Hermione sbarrò gli occhi. A quello non aveva proprio pensato!
“Non è meglio vederla in questo modo?”
Hermione lo guardò e un
piccolo sorrisetto le stirò le labbra. Draco sorrise a sua
volta. Le tese la mano e la fece sedere sulle sue gambe.
“Magari vederla in questo
modo ti aiuterà, se non a perdonarlo, almeno a non roderti
l’anima per ciò che ha fatto.”
Hermione gli si addossò completamente.
“Non mi piace che tu stia diventando più intelligente di me.” – disse.
Draco rise.
“Tranquilla. Non c’è pericolo.”
Hermione rise e poi lo baciò.
Guardandosi indietro, Hermione
pensò che la sua vita, finalmente, avesse potuto definirsi tale
soltanto con Draco accanto e la piccola Elthanin Jean tra le braccia.
Un’altra cosa, forse l’ultima, che accadde per errore, fu la gravidanza di Hermione.
Hermione stessa pensò che
la sua gravidanza fosse la massima espressione dei cliché
televisivi dove la semplice impiegata arriva a fidanzarsi con il
direttore e alla fine della baraonda, gli da un figlio.
Ma quello non era un clichè qualsiasi.
La piccola Elthanin Jean prese residenza nell’utero materno in sordina.
Nessuna nausea per la madre,
nessuno sbalzo d’umore, nessuna voglia particolare…
Hermione si accorse di essere incinta solo perché non aveva le
mestruazioni.
Non vi aveva badato più di
tanto, perché il lavoro alla Malfoy Home era ancora tanto,
nonostante la causa vinta da Blaise avesse aiutato a saldare i debiti
accumulati e ridato il giusto stipendio ai lavoratori presenti.
Dovevano coccolare i clienti, farli sentire dei re per aiutarli nella
decisione che la Malfoy Home era l’azienda di arredamenti che
faceva al caso loro e mille altre cose ancora.
E, quando una sera si
sdraiò sul letto pronta per addormentarsi, l’attimo
successivo scattò a sedere, spaventando Draco. Prese il
calendario e controllò la data dell’ultima mestruazione.
Ben due mesi di ritardo e lei non si era accorta di niente!
Inutile dire che i controlli piovvero a raffica fin dal giorno successivo.
Non avevano mai pensato di avere
un figlio, per il semplice motivo che quello era il periodo meno
adatto: Hermione si era rivelata essere un aiuto fondamentale per Draco
perché sembrava leggergli nel pensiero, anticipandolo in quei
lavori che per il bel biondo erano solo un peso. Alla Malfoy Home il
lavoro non mancava mai e Hermione era riuscita ad ottenere il tanto
ambito lavoro, ma la gravidanza aveva scombussolato di nuovo i suoi
piani.
E quando dopo nove mesi lei e
Draco si ritrovarono in camera, da soli, con la bambina tra le braccia,
la prima cosa che pensò Hermione fu…
“Sai amore…”
“Dimmi.” – disse Draco, mentre sistemava la tutita alla piccola e si dondolava per tenerla calma.
“… credo di aver capito, finalmente.”
“Cosa?”
“Anch’io darei la mia vita per lei.”
“Lo stavo pensando anch’io.”
Perchè quello non era un clichè qualsiasi.
Perché, alla fine, entrambi avevano compreso.
Calli-corner:
Ed è davvero finita.
Mettiamo un punto a questa storia.
Laney e John hanno avuto il loro
lieto fine e anche se è una cosa che in un’azienda seria
non accadrebbe mai, ho voluto mettere su questa piccola sceneggiata,
anche perché non riuscivo a immaginare un altro modo per sedare
tutte quelle chiacchiere inutili che, quando iniziano ad esagerare,
infastidiscono oltre il normale consentito e ti fanno davvero
commettere errori sul lavoro, così Laney e John si sono
accordati per rendere la vita un inferno agli altri dipendenti, che
hanno capito che essere la segretaria del grande capo non significa
solo portargli il caffè.
Daphne e Neville, come promesso, hanno avuto il loro lieto fine.
Premetto che non ho la più
pallida idea se esiste il trapianto di utero, ma siccome ormai la
medicina è arrivata a clonare pure le pecore, ho supposto che
tale trapianto fosse da infilare nella lista delle cose “di
routine”.
Draco ha voluto dare una mano a
Daphne, per sdebitarsi in qualche modo per l’aiuto che aveva
ricevuto lui stesso dalla famiglia di Hermione e siccome Astoria e
Damian non avevano bisogno di niente, il biondo si è concentrato
sulla sorella maggiore di Hermione, donandole ciò che più
desiderava: un utero per ospitare il suo bambino.
Molto coccoloso. *-*
David Linch.
Ammetto che fa molto “e
vissero tutti per sempre felici e contenti” ma anch’io
tendo a dare una seconda occasione a chi si dimostra sinceramente
pentito dell’errore commesso.
David non solo si è
pentito, ma si è messo anche di lena per rimediare, per cercare
di lenire i sensi di colpa e Draco è stato molto coraggioso a
riprenderlo, anche perché è in parte merito suo se lui e
Hermione ora stanno insieme.
Il cliché dei cliché: la gravidanza.
Onestamente, non volevo che
Hermione rimanesse incinta, per evitare di scadere nel banale, ma la
sua gravidanza mi è servita per riallacciarmi al gesto di Jean,
di una madre che ha dato la vita per la figlia.
E ora Hermione e Draco riescono a
comprendere perfettamente il gesto della donna e per la riccia è
un modo per mettere la pietra sopra a tutti i suoi sensi di colpa, nel
sentirsi la responsabile della scomparsa della madre.
Che dire?
Credo che mi prenderò un
paio di settimane ancora prima di postare la mia nuova storia, anche
perché voglio darle un’ultima letta – non si sa mai
– per ricontrollare che non ci siano errori, orrori o minchiate
varie.
Soprattutto minchiate.
Posso solo dirvi di prepararvi,
perché sarà incentrata su Draco e Hermione – ma va?
– ma anche su Ginny e Harry. A ruota appariranno anche gli altri
personaggi, con le proprie storie, gioie e dolori.
Dubito fortemente che
riuscirò a scrivere qualcosa di simile in futuro, perché
se con “Verità Nascoste” mi sono levata le mutande
per tirar fuori tutto quel garbuglio di emozioni contrastanti, con
questa nuova storia mi sono levata la pelle dalle ossa.
Ci saranno parecchi colpi di
scena, momenti dolci, ma anche momenti in cui si vorranno afferrare i
forconi e piantarli nella schiena di qualcuno.
Non vi dico altro. ^_^
Posso solo dirvi che la mia prossima storia si chiamerà “Every Little Thing”.
Un bacio e a tra non molto!
Serena.
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