20. Into the Dark
Till your last breath
CAPITOLO 19
IINTO THE DARK
Corri. Corri. Corri.
Era tutto quello che gli passava per la mente in quel momento. Correre era tutto quello che poteva fare. Che doveva fare. Correre via, scappare, lontano da quegli occhi.
La sua mente non ragionava ma le sue gambe lo guidavano al posto suo.
C’era solo un luogo in tutta l’arena in cui avrebbe potuto rifugiarsi e
il suo subconscio lo stava conducendo lì, in una corsa disperata, che
lo stava lentamente uccidendo. Le gambe gli dolevano per lo sforzo, per
la prima volta nell’arena. I polmoni andavano in fiamme a furia di
pompare ossigeno, così velocemente. I piedi si incastravano in rametti
appuntiti e radici sporgenti, ma strappavano via tutto e
proseguivano inesorabili nella loro corsa. Non poteva fermarsi. Se
l’avesse fatto, sarebbe morto.
Sentiva i passi delle bestie alle sue spalle. Sentiva il loro respiro
affannoso e il loro ringhiare sommesso sembrava uscire da un incubo.
Era come se si chiamassero a vicenda, sentendo che la loro preda era
sempre più vicina, più debole. Cato sentiva il loro fiato caldo sul
collo, talmente tanto si erano avvicinati. Per la prima volta nella sua
vita, era la preda e non il cacciatore.
La spada gli batteva ripetutamente contro coscia durante la corsa
frenetica. Avrebbe tanto voluto impugnarla e uccidere le bestie, una ad
una, ma quelle erano un intero branco contro un solo ragazzo. Non
poteva farcela. E poi non aveva più il coraggio di voltarsi. Non
avrebbe sopportato ancora il peso di quegli occhi. Solo la loro vista
lo aveva fatto impazzire di dolore e per poco, a causa di quella
piccola esitazione, non venne ucciso.
Quando sentì le forze venirgli meno e la speranza di farcela lo stava
lentamente lasciando, vide finalmente la cornucopia, al di là degli
alberi.
Ancora un sforzo. Un piccolo sforzo. Fallo per lei.
E Cato corse, corse veloce per tutta la radura, con le belve fameliche
che lo seguivano, compiendo lunghi balzi e cercando di azzannarlo ogni
volta che si avvicinava abbastanza. Arrivato alla cornucopia sfruttò lo
slanciò della corsa e saltò. Arrivò in cima senza nessuna fatica. Si
trascinò al centro della cornucopia ed estrasse la spada, pronto a
colpire i mostri, ma quelli si erano fermati e lo scrutavano con quei
loro grandi occhi umani. Poi, con un lungo latrato, si voltarono e
corsero verso i boschi.
Cato si lasciò cadere in ginocchio, riponendo la spada e prendendo
fiato. Non riusciva quasi più a respirare, i crampi lo piegavano in
due.
Si portò una mano alla giacca ed estrasse un piccolo oggetto che
strinse con forza tra le mani, aggrappandosi ad esso come se ne andasse
della sua vita. Se il suo viso era ancora incrostato di sangue, il
coltello era lucido e affilato come non mai. Lo aveva ripulito,
cancellando ogni singola goccia di sangue che aveva macchiato la sua
lama, e lo portava con sé. Sempre. E in momenti come quello lo tirava
fuori e lo stringeva fino a farsi male. Perché quella era l’unica cosa
che gli restava di Clove e ad esso si aggrappava per non perdere la
speranza. E per non perdere sé stesso. Perché erano gli occhi di Clove,
quelli che aveva visto nel corpo di una bestia. I suoi occhi, i suoi
occhi scuri e brillanti. Vivi. Ma Clove se n’era andata. Cosa le
avevano fatto? Cosa le avevano fatto?
Cato continuò a ripeterselo, chiudendo gli occhi e respirando a fatica,
stringendo il coltello, lama e manico, nelle mani tremanti. Non solo
l’avevano uccisa, ma quei pazzi maniaci di Capitol City le avevano
rubato anche gli occhi? Il
pensiero lo mandò fuori di testa, lo fece arrabbiare, lo fece tremare
d’ira e d’angoscia, fino a fargli salire lacrime brucianti agli occhi.
Perché lei doveva essere lì con lui, al suo fianco fino alla fine.
Invece i suoi occhi erano imprigionati nel corpo di un mostro.
Dopo una quantità di tempo indefinita Cato sentì degli urli provenire
dalla foresta. Ignorando i crampi balzò in piedi, riponendo con cura il
coltello in una tasca interna della giacca, vicino al cuore. Scrutò
l’orizzonte. E li vide.
Gli ultimi due tributi rimasti. Quelli del 12.
E il branco di ibridi che li seguiva da vicino. Si prese qualche
istante per osservare il branco. Ora che li vedeva da lontano, si
accorse che apparivano spaventosamente umani. Non solo per gli occhi,
ma anche il loro corpo. Quelli in testa al gruppo si alzavano sulle
zampe posteriori ed usavano quelle anteriori quasi come braccia, come
se stessero indicando agli altri la direzione. Fortunatamente Cato
aveva già appurato che non erano in grado di arrampicarsi.
Indietreggiò, cercando di rendersi invisibile. Fuori era buio, la sera
stava lentamente lasciando il posto alla notte, e non fu difficile per
lui passare inosservato. Soprattutto perché i due ragazzi che si
stavano arrampicando sulla cornucopia avevano ben altri problemi per la
testa. Non lo avevano nemmeno notato.
I mostri, gli ibridi,
tentarono si balzare sulla cornucopia, lanciandovisi contro con impeto.
Cato approfittò del rumore stridente che producevano i loro artigli
quando strisciavano sul metallo per avvicinarsi di soppiatto. Cercò di
non pensare a loro, agli ibridi. Agli occhi di Clove. Al fatto che lì
in mezzo dovevano esserci anche Marvel e Glimmer e tutti gli altri che
erano morti.
Ma in quel momento, mentre era pronto a colpirli alle spalle, i due si
voltarono. Cato non perse tempo. Si avventò sulla ragazza, scagliandola
di lato. Lei scivolò sul metallo, ma non cadde giù. Il Ragazzo
Innamorato gli fu subito addosso, ma lui lo respinse. Faceva fatica a
muoversi, i muscoli gli dolevano. La grande quantità di sangue che
aveva perso dal taglio sulla guancia ancora incrostato di sangue si
faceva sentire e quella lunga corsa per sfuggire agli ibridi lo aveva
distrutto. Ma non si sarebbe arreso. No, non poteva lasciarli vincere.
Individuò di nuovo la sua preda, la ragazza, e l'afferrò. Lei cercò di
liberarsi, cercò di strangolarlo ma le sue mani non lo ferirono
nemmeno. Lui la buttò a terra, spingendola verso il baratro. Gli ibridi
cercarono di saltare più in alto, guaivano e latravano in attesa di
affondare le loro zanne affilate nella carne umana. Quelli non potevano
essere gli altri tributi. Non potevano. Quella bestia non poteva essere
Clove.
Qualcosa lo afferrò da dietro e lui fu costretto a mollare la presa
sulla ragazza. Il Ragazzo Innamorato lo aveva sollevato e lo aveva
gettato di lato. Era forte certo, ma se Cato fosse stato nel pieno
delle sue forze non sarebbe mai riuscito a sopraffarlo. Con la coda
dell’occhio, vide la ragazza armare il suo arco, pronta a trafiggerlo
con una freccia. No, oh no. Non sarà così facile liberarti di me.
Pensò Cato, in preda a una folle ira. La ferita sulla guancia si era
riaperta di poco, riprendendo a sanguinare. Senza esitare, si gettò
addosso al Ragazzo Innamorato e gli bloccò le braccia. Poi lo trascinò
fino al margine della cornucopia. Strinse un braccio attorno al suo
collo, soffocandolo. Lui lottava per liberarsi e per respirare, ma era
tutto inutile. La ragazza restò immobile, davanti a loro, con la
freccia pronta per essere scoccata.
No, non li avrebbe lasciati vincere. Pensò Cato con risolutezza. O
almeno non entrambi. Lei poteva ucciderlo, ma se Cato fosse caduto, il
Ragazzo Innamorato sarebbe venuto giù con lui. Non avrebbe permesso che
vincessero entrambi. Lui e Clove dovevano vincere. Lui e Clove dovevano
essere incoronati vincitori. Non loro! Non loro!
Avrebbe ucciso il ragazzo. L’avrebbe fatto per Clove. Certo, avrebbe
preferito ucciderli entrambi o uccidere lei ma non aveva possibilità di
scelta. Sapeva soltanto che doveva farcela. Per lei. L’avrebbe
vendicata ancora. La morte di Thresh non era bastata a colmare la sua
furia e il vuoto che gli era rimasto dentro.
«Uccidimi.» Disse con voce debole ma allo stesso tempo decisa.
«Uccidimi e lui viene giù con me.» Una risata soffocata gli uscì dalle
labbra insanguinate. «Che cosa aspetti? Spara. Moriremo entrambi e tu
vincerai.» Ma la ragazza rimase immobile. Cato poteva sentire la sua
mente macchinare, pensare a tutta velocità, cercare una scappatoia. Ma
non c’era. Se avesse scoccato la freccia, sarebbero caduti entrambi. Se
avesse aspettato, il Ragazzo Innamorato sarebbe morto di soffocamento.
Cato rise di nuovo, una risata cupa, spettrale, senza un minimo di
allegria. Solo rabbia, rancore e rimorso.
A cosa gli sarebbe servito vincere, dopotutto? Non avrebbe comunque
riportato indietro Clove. Cosa restava al Distretto 2 per lui? Niente.
Non gli restava niente. E in quell'istante, si rese conto che la morte
non appariva più come una grande disgrazia. Ma lui non poteva
arrendersi, no. Doveva resistere, doveva vincere, doveva vincere per lei. Non poteva arrendersi, non poteva farlo.
Lei non l’avrebbe fatto. Non poteva lasciarsi andare... non poteva...
«Forza, cosa aspetti?» La esortò lui, mentre le parole gli uscivano
dalla labbra senza che lui se ne rendesse conto, come se non fosse lui
a pronunciarle. «Sono morto comunque.» Esclamò ridendo. Era folle,
folle di rabbia ed era stanco, stanco di soffrire, stanco di pensare.
La morte di Clove aveva distrutto la poca integrità mentale che gli era
rimasta.
E ora aveva capito che non aveva mai veramente avuto possibilità di
vincere. Non dopo la sua morte. Era stato tutto deciso, lo aveva capito
solo adesso. Il cambiamento delle regole, il fatto che in due potessero
vincere. Era stato fatto per loro,
perché la loro storia aveva commosso Capitol. L’esito di quei Giochi
era già stato deciso in partenza. Ma lui e Clove... insieme avrebbero
potuto farcela. Cos’avevano in meno di quei due individui? Niente.
Potevano vincere. Ma ora era tutto inutile, tutto perduto.
«Lo sono sempre stato, non è così? L’ho capito solo ora.» Sentì in
bocca il ferroso sapore del sangue, ma non vi fece caso. «È questo
quello che volete, vero?» Urlò istericamente, rivolto alle telecamere.
«Mi spiace, ma non lo avrete!» Spostò le braccia attorno al collo del
ragazzo, nella posizione che, lui lo sapeva bene, gli avrebbe
consentito di spezzargli il collo con un solo, semplice gesto. Poteva
ancora farlo, e lo avrebbe fatto. Non li avrebbe lasciati vivere
entrambi. Non avrebbe lasciato vincere nemmeno Capitol City. Sapeva
che, una volta morto il ragazzo, lei lo avrebbe ucciso. Ma non gli
importava, non gli importava più. Questo era quello che gli avevano
insegnato all’Accademia. Ad uccidere, a colpire nel posto giusto, un
solo colpo letale. Non gli avevano mai insegnato a vincere, solo ad
uccidere. Portare onore al suo Distretto. Questo era tutto quello che
contava.
Prima di aver trovato Clove. Lei gli aveva fatto capire che la vita non
era solo questo. Gli aveva fatto capire che c’era dell'altro. Ora
rivedeva il suo passato, i lunghi giorni trascorsi in Accademia ad
allenarsi, per compiacere suo padre. Suo padre, che voleva che fosse il
migliore in tutto. Suo padre, al quale non importava nulla di lui.
Voleva solo che portasse onore al suo nome. Si rese conto di aver
buttato via la sua vita. Suo padre gli diceva che non poteva
permettersi distrazioni. Quella ragazza sarebbe diventata una
distrazione per lui, se non l’avesse lasciata subito andare. E lui gli
aveva dato retta. Perché tutto quello che gli importava era quello che
gli avevano sempre insegnato: portare onore e gloria al Distretto
2, anche a costo della propria vita. Aveva vissuto come un automa,
aveva donato la sua vita a una causa che non gli apparteneva. L’aveva
buttata via e se ne accorgeva solo ora. Ora che era troppo tardi. Anche
se avesse vinto gli Hunger Games, aveva comunque perso Clove. Non c’era
modo di riscattare la propria esistenza. Aveva sbagliato, ma non c’era
più il tempo per redimersi. Perduto, era tutto perduto. Sparito quando
il cuore di Clove aveva battuto il suo ultimo battito e l’ultimo, lieve
respiro le era sfuggito dalle labbra dischiuse.
E ora lui era lì, pronto ad uccidere ancora una volta, come gli avevano
insegnato a fare. E lo avrebbe fatto. Lo avrebbe fatto. Se solo la
freccia non gli avesse perforato la mano.
Cato mollò la presa sul ragazzo e mentre lui lo spingeva giù, il tempo
parve rallentare. Stava cadendo, cadeva lentamente di sotto, tra le
grinfie dei predatori.
Quando il suo corpo si schiantò a terra e il fiato gli uscì dal corpo
per la forza dell’impatto, il tempo tornò a scorrere normalmente. E in
meno di un respiro, il branco gli era addosso. Cato urlò, o forse non
lo fece, non avrebbe saputo dirlo. L’armatura che indossava sotto i
vestiti non era abbastanza robusta per resistere ai loro morsi e alle
loro zanne. Dopo un paio di tentativi, si ruppe e i loro denti affilati
gli dilaniarono la carne.
Le sue armi erano irraggiungibili. La spada era caduta da qualche
parte, fuori dalla sua portata. Sentiva il coltello di Clove premergli
contro il petto, ma non poteva prenderlo. Non poteva nemmeno stringerlo
tra le mani come aveva fatto poco prima. I mostri lo stavano facendo a
pezzi, lo distruggevano e non c’era nulla che lui potesse fare per
impedirlo.
Poi rivide gli occhi. Gli occhi di Clove.
E ricordò. Ricordò lei, quando era ancora una bambina. La ricordò in
cima al tetto dell’Accademia, mentre cercava di nascondere le lacrime.
La vide prendere tra le mani il suo coltello e i suoi occhi brillare.
La vide allenarsi sola all’Accademia, con determinazione e precisione
letale. E poi la vide pronunciare la frase che l’aveva condotta lì, nei
Giochi, durante la mietitura. La vide alla sfilata, splendida nella sua
armatura dorata, così bella e fiera da fargli male al solo ricordo. La
vide alle interviste, con quello sguardo misterioso e il fare
impacciato mentre si sistemava le pieghe del vestito. E poi la vide
nell’arena, mentre gli stringeva la mano, mentre lo abbracciava...
Mentre gli prometteva che sarebbero tornati a casa. Assieme.
Gli occhi di Clove, intrappolati nel corpo dell’ibrido, occuparono
tutto il suo universo. Furono tutto quello che vide. Il dolore
lancinante del suo corpo straziato iniziava ad allontanarsi, come gli
ululati gutturali delle belve. La sua mente si svuotò piano e sentì
come se stesse per volare via, lontano da quel mondo di dolore e
sofferenza, lontano in un posto sconosciuto, dove però sapeva ci
sarebbe stata Clove ad aspettarlo. Sarebbe tornato da lei, alla fine.
Questi furono i suoi ultimi pensieri, perché poi arrivò la freccia. Le
sue urla si spensero all’istante, il suo corpo non provò più dolore, i
suoi occhi smisero di vedere e tutto si fece scuro. Ma poteva ancora
scorgere qualcosa, qualcosa che lo guidava via, lontano dall’arena,
lontano dagli Hunger Games e da Capitol City. Lontano da tutto. Nel
nulla placido e mortale nel quale era caduto, era ancora in grado di
provare qualcosa.
E tutto ciò che vedeva erano gli occhi di Clove nell’oscurità.
***
SPAZIO AUTORE
Ed
eccoci qua, miei cari lettori e lettrici. Non credevo che questo giorno
sarebbe alla fine arrivato. Ci ho messo molto a pubblicare questo
capitolo, a dire la verità, credevo che non lo avrei mai caricato.
Perché, sebbene non sia proprio l'ultimo, è la vera conclusione della
vicenda. E che conclusione, direi... giuro che nel rileggerlo per
l'ultimo controllo mi si è spezzato il cuore ç____ç E a volte penso che
sono stata davvero sadica e masochista a scrivere questa storia, perché
essendo una fanfiction avrei potuto benissimo mandare a quel paese la
trama e farli vivere! Ma no, ho voluto scrivere la loro vera storia,
quindi eccoci qui, con il cuore spezzato per la fine di Cato....... Ma
sebbene sia molto, molto triste, sono anche molto, molto contenta per
essere arrivata fino a qui, per aver concluso la fanfic, per aver dato
loro la mia versione della storia. Cato e Clove sono personaggi molto
sottovalutati, incompresi, che spesso vengono bollati con la parola
“cattivi” e fine della storia. Io ho sempre visto qualcosa di più oltre
a questo, sarà solo la mia mente malata, ma ci credo davvero e spero
con tutto il cuore di aver reso bene, con questa storia, tutto ciò che
secondo me c'era dietro a questi due personaggi.
E, ultimo ma non meno importante, vorrei ringraziare tutti, ognuno di
voi, che avete speso qualche minuto per leggere questi venti capitoli,
per aver dedicato un po' del vostro tempo a leggere le mie parole e per
averne trovato anche un po' di più per scrivermi un commento. Non
sapete quanto questo mi sia stato d'aiuto per arrivare fino in fondo!
Ma ora non vi annoio più con il mio lungo e tedioso discorso depresso
xD Alla fin fine, ci sarà un altro capitolo, un epilogo, tanto per non
chiudere con questa scena così triste ç___ç Lascerò gli addii per quel
momento xD Che poi, chissà, non sarà un vero addio, perché spero di
tornare ancora a scrivere su Cato e Clove, visto l'amore che provo per
loro. E chissà, forse in una futura storia potranno avere, finalmente,
il loro lieto fine u.u
Okay, ora chiudo per davvero. Un GRAZIE di cuore ancora a tutti voi,
spero di non avervi delusa con questo ultimo/penultimo capitolo perché
per me è uno dei più importanti dell'intera storia <3
Bene dunque, alla prossima! E questa, oddei, è l'ultima volta che posso dirlo :'(
Con tanto affetto,
~ C