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Autore: Clovely    13/01/2014    2 recensioni
«La storia di Cato e Clove ebbe inizio molto prima dei Giochi, quando erano ancora dei bambini. A Clove bastò solo uno sguardo per capire che c'era qualcosa di più sotto l'espression beffarda di Cato, il ragazzo dai profondi occhi di ghiaccio. Qualcosa di irresistibile e misterioso. Fu così, dopo un solo, breve incontro, che le loro vite iniziarono ad intrecciarsi, portandoli lentamente verso il loro destino.»
Noi tutti conosciamo Cato e Clove come i Tributi letali e spietati dal Distretto 2. Ma cosa sappiamo veramente di loro? La risposta è semplice: nulla. Per questo motivo ho deciso di scrivere questa fanfiction, per tutti quelli che credono ci sia stato qualcosa di più, sotto la superficie dei due Favoriti. Anche loro devono avere una storia, una vita... un passato.
Questa è la mia storia di Cato e Clove, prima e durante gli Hunger Games e se vi ho incuriositi, leggete e lasciatemi una recensione, mi farebbe davvero piacere ;)
Genere: Azione, Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri tributi, Cato, Clove, Favoriti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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20. Into the Dark
Till your last breath

CAPITOLO 19
IINTO THE DARK


Corri. Corri. Corri.
Era tutto quello che gli passava per la mente in quel momento. Correre era tutto quello che poteva fare. Che doveva fare. Correre via, scappare, lontano da quegli occhi.
La sua mente non ragionava ma le sue gambe lo guidavano al posto suo. C’era solo un luogo in tutta l’arena in cui avrebbe potuto rifugiarsi e il suo subconscio lo stava conducendo lì, in una corsa disperata, che lo stava lentamente uccidendo. Le gambe gli dolevano per lo sforzo, per la prima volta nell’arena. I polmoni andavano in fiamme a furia di pompare ossigeno, così velocemente. I piedi si incastravano in rametti appuntiti e  radici sporgenti, ma strappavano via tutto e proseguivano inesorabili nella loro corsa. Non poteva fermarsi. Se l’avesse fatto, sarebbe morto.
Sentiva i passi delle bestie alle sue spalle. Sentiva il loro respiro affannoso e il loro ringhiare sommesso sembrava uscire da un incubo. Era come se si chiamassero a vicenda, sentendo che la loro preda era sempre più vicina, più debole. Cato sentiva il loro fiato caldo sul collo, talmente tanto si erano avvicinati. Per la prima volta nella sua vita, era la preda e non il cacciatore.
La spada gli batteva ripetutamente contro coscia durante la corsa frenetica. Avrebbe tanto voluto impugnarla e uccidere le bestie, una ad una, ma quelle erano un intero branco contro un solo ragazzo. Non poteva farcela. E poi non aveva più il coraggio di voltarsi. Non avrebbe sopportato ancora il peso di quegli occhi. Solo la loro vista lo aveva fatto impazzire di dolore e per poco, a causa di quella piccola esitazione, non venne ucciso.
Quando sentì le forze venirgli meno e la speranza di farcela lo stava lentamente lasciando, vide finalmente la cornucopia, al di là degli alberi.
Ancora un sforzo. Un piccolo sforzo. Fallo per lei.
E Cato corse, corse veloce per tutta la radura, con le belve fameliche che lo seguivano, compiendo lunghi balzi e cercando di azzannarlo ogni volta che si avvicinava abbastanza. Arrivato alla cornucopia sfruttò lo slanciò della corsa e saltò. Arrivò in cima senza nessuna fatica. Si trascinò al centro della cornucopia ed estrasse la spada, pronto a colpire i mostri, ma quelli si erano fermati e lo scrutavano con quei loro grandi occhi umani. Poi, con un lungo latrato, si voltarono e corsero verso i boschi.
Cato si lasciò cadere in ginocchio, riponendo la spada e prendendo fiato. Non riusciva quasi più a respirare, i crampi lo piegavano in due.
Si portò una mano alla giacca ed estrasse un piccolo oggetto che strinse con forza tra le mani, aggrappandosi ad esso come se ne andasse della sua vita. Se il suo viso era ancora incrostato di sangue, il coltello era lucido e affilato come non mai. Lo aveva ripulito, cancellando ogni singola goccia di sangue che aveva macchiato la sua lama, e lo portava con sé. Sempre. E in momenti come quello lo tirava fuori e lo stringeva fino a farsi male. Perché quella era l’unica cosa che gli restava di Clove e ad esso si aggrappava per non perdere la speranza. E per non perdere sé stesso. Perché erano gli occhi di Clove, quelli che aveva visto nel corpo di una bestia. I suoi occhi, i suoi occhi scuri e brillanti. Vivi. Ma Clove se n’era andata. Cosa le avevano fatto? Cosa le avevano fatto?
Cato continuò a ripeterselo, chiudendo gli occhi e respirando a fatica, stringendo il coltello, lama e manico, nelle mani tremanti. Non solo l’avevano uccisa, ma quei pazzi maniaci di Capitol City le avevano rubato anche gli occhi? Il pensiero lo mandò fuori di testa, lo fece arrabbiare, lo fece tremare d’ira e d’angoscia, fino a fargli salire lacrime brucianti agli occhi. Perché lei doveva essere lì con lui, al suo fianco fino alla fine. Invece i suoi occhi erano imprigionati nel corpo di un mostro.


Dopo una quantità di tempo indefinita Cato sentì degli urli provenire dalla foresta. Ignorando i crampi balzò in piedi, riponendo con cura il coltello in una tasca interna della giacca, vicino al cuore. Scrutò l’orizzonte. E li vide.
Gli ultimi due tributi rimasti. Quelli del 12.
E il branco di ibridi che li seguiva da vicino. Si prese qualche istante per osservare il branco. Ora che li vedeva da lontano, si accorse che apparivano spaventosamente umani. Non solo per gli occhi, ma anche il loro corpo. Quelli in testa al gruppo si alzavano sulle zampe posteriori ed usavano quelle anteriori quasi come braccia, come se stessero indicando agli altri la direzione. Fortunatamente Cato aveva già appurato che non erano in grado di arrampicarsi. Indietreggiò, cercando di rendersi invisibile. Fuori era buio, la sera stava lentamente lasciando il posto alla notte, e non fu difficile per lui passare inosservato. Soprattutto perché i due ragazzi che si stavano arrampicando sulla cornucopia avevano ben altri problemi per la testa. Non lo avevano nemmeno notato.
I mostri, gli ibridi, tentarono si balzare sulla cornucopia, lanciandovisi contro con impeto. Cato approfittò del rumore stridente che producevano i loro artigli quando strisciavano sul metallo per avvicinarsi di soppiatto. Cercò di non pensare a loro, agli ibridi. Agli occhi di Clove. Al fatto che lì in mezzo dovevano esserci anche Marvel e Glimmer e tutti gli altri che erano morti.
Ma in quel momento, mentre era pronto a colpirli alle spalle, i due si voltarono. Cato non perse tempo. Si avventò sulla ragazza, scagliandola di lato. Lei scivolò sul metallo, ma non cadde giù. Il Ragazzo Innamorato gli fu subito addosso, ma lui lo respinse. Faceva fatica a muoversi, i muscoli gli dolevano. La grande quantità di sangue che aveva perso dal taglio sulla guancia ancora incrostato di sangue si faceva sentire e quella lunga corsa per sfuggire agli ibridi lo aveva distrutto. Ma non si sarebbe arreso. No, non poteva lasciarli vincere.
Individuò di nuovo la sua preda, la ragazza, e l'afferrò. Lei cercò di liberarsi, cercò di strangolarlo ma le sue mani non lo ferirono nemmeno. Lui la buttò a terra, spingendola verso il baratro. Gli ibridi cercarono di saltare più in alto, guaivano e latravano in attesa di affondare le loro zanne affilate nella carne umana. Quelli non potevano essere gli altri tributi. Non potevano. Quella bestia non poteva essere Clove.
Qualcosa lo afferrò da dietro e lui fu costretto a mollare la presa sulla ragazza. Il Ragazzo Innamorato lo aveva sollevato e lo aveva gettato di lato. Era forte certo, ma se Cato fosse stato nel pieno delle sue forze non sarebbe mai riuscito a sopraffarlo. Con la coda dell’occhio, vide la ragazza armare il suo arco, pronta a trafiggerlo con una freccia. No, oh no. Non sarà così facile liberarti di me. Pensò Cato, in preda a una folle ira. La ferita sulla guancia si era riaperta di poco, riprendendo a sanguinare. Senza esitare, si gettò addosso al Ragazzo Innamorato e gli bloccò le braccia. Poi lo trascinò fino al margine della cornucopia. Strinse un braccio attorno al suo collo, soffocandolo. Lui lottava per liberarsi e per respirare, ma era tutto inutile. La ragazza restò immobile, davanti a loro, con la freccia pronta per essere scoccata.
No, non li avrebbe lasciati vincere. Pensò Cato con risolutezza. O almeno non entrambi. Lei poteva ucciderlo, ma se Cato fosse caduto, il Ragazzo Innamorato sarebbe venuto giù con lui. Non avrebbe permesso che vincessero entrambi. Lui e Clove dovevano vincere. Lui e Clove dovevano essere incoronati vincitori. Non loro! Non loro!
Avrebbe ucciso il ragazzo. L’avrebbe fatto per Clove. Certo, avrebbe preferito ucciderli entrambi o uccidere lei ma non aveva possibilità di scelta. Sapeva soltanto che doveva farcela. Per lei. L’avrebbe vendicata ancora. La morte di Thresh non era bastata a colmare la sua furia e il vuoto che gli era rimasto dentro.
«Uccidimi.» Disse con voce debole ma allo stesso tempo decisa. «Uccidimi e lui viene giù con me.» Una risata soffocata gli uscì dalle labbra insanguinate. «Che cosa aspetti? Spara. Moriremo entrambi e tu vincerai.» Ma la ragazza rimase immobile. Cato poteva sentire la sua mente macchinare, pensare a tutta velocità, cercare una scappatoia. Ma non c’era. Se avesse scoccato la freccia, sarebbero caduti entrambi. Se avesse aspettato, il Ragazzo Innamorato sarebbe morto di soffocamento. Cato rise di nuovo, una risata cupa, spettrale, senza un minimo di allegria. Solo rabbia, rancore e rimorso.
A cosa gli sarebbe servito vincere, dopotutto? Non avrebbe comunque riportato indietro Clove. Cosa restava al Distretto 2 per lui? Niente. Non gli restava niente. E in quell'istante, si rese conto che la morte non appariva più come una grande disgrazia. Ma lui non poteva arrendersi, no. Doveva resistere, doveva vincere, doveva vincere per lei. Non poteva arrendersi, non poteva farlo.
Lei non l’avrebbe fatto. Non poteva lasciarsi andare... non poteva...
«Forza, cosa aspetti?» La esortò lui, mentre le parole gli uscivano dalla labbra senza che lui se ne rendesse conto, come se non fosse lui a pronunciarle. «Sono morto comunque.» Esclamò ridendo. Era folle, folle di rabbia ed era stanco, stanco di soffrire, stanco di pensare. La morte di Clove aveva distrutto la poca integrità mentale che gli era rimasta.
E ora aveva capito che non aveva mai veramente avuto possibilità di vincere. Non dopo la sua morte. Era stato tutto deciso, lo aveva capito solo adesso. Il cambiamento delle regole, il fatto che in due potessero vincere. Era stato fatto per loro, perché la loro storia aveva commosso Capitol. L’esito di quei Giochi era già stato deciso in partenza. Ma lui e Clove... insieme avrebbero potuto farcela. Cos’avevano in meno di quei due individui? Niente. Potevano vincere. Ma ora era tutto inutile, tutto perduto.
«Lo sono sempre stato, non è così? L’ho capito solo ora.» Sentì in bocca il ferroso sapore del sangue, ma non vi fece caso. «È questo quello che volete, vero?» Urlò istericamente, rivolto alle telecamere. «Mi spiace, ma non lo avrete!» Spostò le braccia attorno al collo del ragazzo, nella posizione che, lui lo sapeva bene, gli avrebbe consentito di spezzargli il collo con un solo, semplice gesto. Poteva ancora farlo, e lo avrebbe fatto. Non li avrebbe lasciati vivere entrambi. Non avrebbe lasciato vincere nemmeno Capitol City. Sapeva che, una volta morto il ragazzo, lei lo avrebbe ucciso. Ma non gli importava, non gli importava più. Questo era quello che gli avevano insegnato all’Accademia. Ad uccidere, a colpire nel posto giusto, un solo colpo letale. Non gli avevano mai insegnato a vincere, solo ad uccidere. Portare onore al suo Distretto. Questo era tutto quello che contava.
Prima di aver trovato Clove. Lei gli aveva fatto capire che la vita non era solo questo. Gli aveva fatto capire che c’era dell'altro. Ora rivedeva il suo passato, i lunghi giorni trascorsi in Accademia ad allenarsi, per compiacere suo padre. Suo padre, che voleva che fosse il migliore in tutto. Suo padre, al quale non importava nulla di lui. Voleva solo che portasse onore al suo nome. Si rese conto di aver buttato via la sua vita. Suo padre gli diceva che non poteva permettersi distrazioni. Quella ragazza sarebbe diventata una distrazione per lui, se non l’avesse lasciata subito andare. E lui gli aveva dato retta. Perché tutto quello che gli importava era quello che gli avevano sempre insegnato: portare onore e gloria al  Distretto 2, anche a costo della propria vita. Aveva vissuto come un automa, aveva donato la sua vita a una causa che non gli apparteneva. L’aveva buttata via e se ne accorgeva solo ora. Ora che era troppo tardi. Anche se avesse vinto gli Hunger Games, aveva comunque perso Clove. Non c’era modo di riscattare la propria esistenza. Aveva sbagliato, ma non c’era più il tempo per redimersi. Perduto, era tutto perduto. Sparito quando il cuore di Clove aveva battuto il suo ultimo battito e l’ultimo, lieve respiro le era sfuggito dalle labbra dischiuse.
E ora lui era lì, pronto ad uccidere ancora una volta, come gli avevano insegnato a fare. E lo avrebbe fatto. Lo avrebbe fatto. Se solo la freccia non gli avesse perforato la mano.
Cato mollò la presa sul ragazzo e mentre lui lo spingeva giù, il tempo parve rallentare. Stava cadendo, cadeva lentamente di sotto, tra le grinfie dei predatori.
Quando il suo corpo si schiantò a terra e il fiato gli uscì dal corpo per la forza dell’impatto, il tempo tornò a scorrere normalmente. E in meno di un respiro, il branco gli era addosso. Cato urlò, o forse non lo fece, non avrebbe saputo dirlo. L’armatura che indossava sotto i vestiti non era abbastanza robusta per resistere ai loro morsi e alle loro zanne. Dopo un paio di tentativi, si ruppe e i loro denti affilati gli dilaniarono la carne.
Le sue armi erano irraggiungibili. La spada era caduta da qualche parte, fuori dalla sua portata. Sentiva il coltello di Clove premergli contro il petto, ma non poteva prenderlo. Non poteva nemmeno stringerlo tra le mani come aveva fatto poco prima. I mostri lo stavano facendo a pezzi, lo distruggevano e non c’era nulla che lui potesse fare per impedirlo.
Poi rivide gli occhi. Gli occhi di Clove.
E ricordò. Ricordò lei, quando era ancora una bambina. La ricordò in cima al tetto dell’Accademia, mentre cercava di nascondere le lacrime. La vide prendere tra le mani il suo coltello e i suoi occhi brillare. La vide allenarsi sola all’Accademia, con determinazione e precisione letale. E poi la vide pronunciare la frase che l’aveva condotta lì, nei Giochi, durante la mietitura. La vide alla sfilata, splendida nella sua armatura dorata, così bella e fiera da fargli male al solo ricordo. La vide alle interviste, con quello sguardo misterioso e il fare impacciato mentre si sistemava le pieghe del vestito. E poi la vide nell’arena, mentre gli stringeva la mano, mentre lo abbracciava... Mentre gli prometteva che sarebbero tornati a casa. Assieme.
Gli occhi di Clove, intrappolati nel corpo dell’ibrido, occuparono tutto il suo universo. Furono tutto quello che vide. Il dolore lancinante del suo corpo straziato iniziava ad allontanarsi, come gli ululati gutturali delle belve. La sua mente si svuotò piano e sentì come se stesse per volare via, lontano da quel mondo di dolore e sofferenza, lontano in un posto sconosciuto, dove però sapeva ci sarebbe stata Clove ad aspettarlo. Sarebbe tornato da lei, alla fine. Questi furono i suoi ultimi pensieri, perché poi arrivò la freccia. Le sue urla si spensero all’istante, il suo corpo non provò più dolore, i suoi occhi smisero di vedere e tutto si fece scuro. Ma poteva ancora scorgere qualcosa, qualcosa che lo guidava via, lontano dall’arena, lontano dagli Hunger Games e da Capitol City. Lontano da tutto. Nel nulla placido e mortale nel quale era caduto, era ancora in grado di provare qualcosa.
E tutto ciò che vedeva erano gli occhi di Clove nell’oscurità.



***





SPAZIO AUTORE


Ed eccoci qua, miei cari lettori e lettrici. Non credevo che questo giorno sarebbe alla fine arrivato. Ci ho messo molto a pubblicare questo capitolo, a dire la verità, credevo che non lo avrei mai caricato. Perché, sebbene non sia proprio l'ultimo, è la vera conclusione della vicenda. E che conclusione, direi... giuro che nel rileggerlo per l'ultimo controllo mi si è spezzato il cuore ç____ç E a volte penso che sono stata davvero sadica e masochista a scrivere questa storia, perché essendo una fanfiction avrei potuto benissimo mandare a quel paese la trama e farli vivere! Ma no, ho voluto scrivere la loro vera storia, quindi eccoci qui, con il cuore spezzato per la fine di Cato....... Ma sebbene sia molto, molto triste, sono anche molto, molto contenta per essere arrivata fino a qui, per aver concluso la fanfic, per aver dato loro la mia versione della storia. Cato e Clove sono personaggi molto sottovalutati, incompresi, che spesso vengono bollati con la parola “cattivi” e fine della storia. Io ho sempre visto qualcosa di più oltre a questo, sarà solo la mia mente malata, ma ci credo davvero e spero con tutto il cuore di aver reso bene, con questa storia, tutto ciò che secondo me c'era dietro a questi due personaggi.
E, ultimo ma non meno importante, vorrei ringraziare tutti, ognuno di voi, che avete speso qualche minuto per leggere questi venti capitoli, per aver dedicato un po' del vostro tempo a leggere le mie parole e per averne trovato anche un po' di più per scrivermi un commento. Non sapete quanto questo mi sia stato d'aiuto per arrivare fino in fondo!
Ma ora non vi annoio più con il mio lungo e tedioso discorso depresso xD Alla fin fine, ci sarà un altro capitolo, un epilogo, tanto per non chiudere con questa scena così triste ç___ç Lascerò gli addii per quel momento xD Che poi, chissà, non sarà un vero addio, perché spero di tornare ancora a scrivere su Cato e Clove, visto l'amore che provo per loro. E chissà, forse in una futura storia potranno avere, finalmente, il loro lieto fine u.u
Okay, ora chiudo per davvero. Un GRAZIE di cuore ancora a tutti voi, spero di non avervi delusa con questo ultimo/penultimo capitolo perché per me è uno dei più importanti dell'intera storia <3
Bene dunque, alla prossima! E questa, oddei, è l'ultima volta che posso dirlo :'(
Con tanto affetto,

~ C


   
 
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