To dance on the water
-You want dancing with me?-
E se
non avesse fatto in tempo?
E
se, anche andando da lui, non fosse riuscita a fare niente?
Era
sempre stata debole.
Ma
adesso non lo era più.
Combatteva per ciò che amava.
Stava andando da lui, questo ne era la dimostrazione…
Ma
combattere non significava riuscire
Voleva… voleva solo poter ballare di nuovo con lui…
…
Ciocche bianche
come la neve, un tempo nere come la notte incorniciavano un volto pallido e fino
senza alcuna imperfezione, gli occhi erano di un verde talmente chiaro da
sembrare come sfocato, irreale. Erano giovane e bella, quella donna, non fosse
stato per quegli occhi…
Neji ingoiò a
vuoto.
Occhi vitrei,
spenti, tremendamente vuoti.
Come se quello
che aveva davanti fosse soltanto un guscio e, come tale, racchiudesse il nulla.
Ma non era
così, lui lo sapeva.
Lei era ancora
viva.
Solo… dormiva.
Sì, da qualche
parte, in quel corpo c’era ancora, con i suoi sorrisi, la sua forza e la
dolcezza che metteva in ogni gesto.
Con… con il suo
odio per l’odio, la guerra e le armi.
Sì… da qualche
parte….
Avanzò, fino a
che non le fu davanti. Era adagiata su dei morbidi cuscini blu, più scuri del
chimono che indossava.
Si morse le
labbra.
C’era… c’era
ancora.
Inginocchiandosi davanti alla donna le prese una mano fra le sue.
Era fredda,
come sempre e, come sempre, fece scorrere velocemente le dita fino al polso,
tremando. Non sentire quel battito significava l’averla persa definitivamente.
Per…
Tu-tum
Sospirò
sollevato, riportando lo sguardo al volto della donna.
Sorrise.
-Ciao mamma,
come va?-
Nessuno gli
rispose, come sempre.
Ma non sembrò
darci peso e, continuando a sorriderle, come sempre, iniziò a raccontarle la sua
giornata.
Fino ai quattro
anni il mondo di Neji era perfetto.
Certo, quando
gli avevano fatto quella cosa sulla fronte aveva fatto male.
Aveva pianto.
Ma… non era
importante.
Significava che
doveva proteggere Hinata-san e… ed era ok.
Hinata-san era
tanto dolce e timida.
Quando lo
guardava sorrideva e lui era felice.
Perché in
quella casa non sorrideva mai nessuno, neanche il suo papà.
Ma la sua mamma
sì!
Aveva un
sorriso tanto bello e dolce che sarebbe stato a guardarla per ore.
Fino ai quattro
anni Neji era felice.
Poi il suo
mondo si tinse di nero.
Ogni volta che,
finalmente, usciva da quella stanza si sentiva invecchiato di dieci anni…
Finalmente.
Che pensiero
orribile.
Era sua madre,
ma…
Aggrottò le
sopraciglia affettandosi ad allontanarsi da quell’ala della casa.
Era sua madre,
ma al tempo stesso non lo era più.
Verso il primo
pomeriggio sarebbe dovuto partire per una missione, avrebbe dovuto raggiungere
il Kazekage ad un avamposto di Konoha – Tsunade aveva detto che era a neanche un
giorno di strada, ma non sapeva quanto fosse attendibile l’informazione, quando
le aveva parlato l’Hokage sembrava vicina ad una cristi isterica per non sapeva
che motivo. Li aveva letteralmente cacciati via a calci dal suo studio - e
scortarlo fino a Suna. Inutile dire che dietro a quell’azione apparentemente
inutile c’era la consegna di chissà quali documenti segreti, vero?
Una cosa molto
noiosa, quindi, ma che poteva avere dei risvolti quantomeno interessanti.
Si trattava pur
sempre del Kazekage quindi la missione era di per se pericolosa e non voleva
partire senza averla salutata.
Non voleva
morire con quel rimpianto.
-Neji!- si girò
di scatto vedendo arrivare una trafelata neo Gennin.
-Hanabi-san.-
-Fra quanto
parti?-
-Qualche ora…-
-Bene! Mi
alleni?-
Non che si
potesse rifiutare.
Il ragazzo
acconsentì suo malgrado, ma la speranza non è forse l’ultima a morire?
-E Hiashi-sama?-
-Riunione con
non so chi.-
-Hinata-san?-
Sorrise
all’espressione disgustata della bambina - sapeva che fra le sorelle non
scorreva buon sangue, ma…
Ghignò.
L’adorava.
-Non lo so.
Alla mamma ha parlato di una missione di qualche giorno. Dovrà scortare un cane
o portare del raffinato cibo a qualche gatto.-
Il ghignò sul
volto di Neji si estese.
Aveva già detto
che adorava quella bambina?
No, perché se
era così si doveva correggere.
La venerava.
Non pioveva,
anzi il cielo era terso e le poche nuvole presenti erano bianche e dalle forme
più divertenti e disparate.
Una giornata
perfetta da passare fuori, al sole.
A giocare con
la mamma e il papà o allenandosi con il sorriso sulle labbra.
Pensandoci bene
a quel età non c’era molta differenza fra le due cose.
L’allenamento
era un gioco.
Certo, ci si
faceva un po’ male, però era divertente lo stesso.
Ma quel giorno
suo padre lo aveva salutato.
Se n’era andato
per non tornare più.
Ma quella sera
sua madre aveva urlato.
Anche lei, se
n’era andata.
Non come il suo
papà, ma non c’era più lo stesso.
Neji aveva solo
quattro anni e sorrideva com’era giusto che fosse.
Ma adesso Neji
non aveva più la mamma e il papà e non riusciva più a sorridere.
Sopirò,
schivando un kunai.
Era brava
Hanabi-san, ma non abbastanza.
-Più
precisione.- le disse paziente:- e più fantasia, sei troppo prevedibile.-
La ragazzina
sbuffò, ma non contestò la sua critica.
Era riuscito a
schivare, quindi aveva ragione.
Neji non ci
aveva messo molto a capire che in quella casa la ragione non era del giusto, ma
del forte e si era adattato.
Stava bene… sì,
stava bene.
Una bella
gabbia dorata.
Un luogo dove
giorno dopo giorno affinava le sue tecniche, diventando sempre più forte, sempre
più perfetto…
Solo e schiavo
della sua stessa famiglia avrebbe voluto morire, così da poter rivedere il suo
papà.
Ma no, sapeva
che non andava bene.
La morte non
sarebbe servita, però c’era l’odio.
Solo lo avrebbe
portato alla distruzione, ma se…
Aveva
rinunciato ai giochi da bambini, agli amici, a tutto.
Si era
rimboccato le maniche.
Doveva
diventare sempre più forte.
Per se stesso.
Per il sorriso
di sua madre.
In pochi si
erano accorti del suo cambiamento, ma una cosa era certa…
Hinata-san non
lo guardava più sorridendo.
Aveva paura.
Di lui.
E Neji ne era
felice.
Perché lei era
la causa di tutto.
Era colpa sua,
sempre.
Erano passati
anni, molte cose erano cambiate. Il capoclan lo guardava con ammirazione e… ne
era felice. Sapeva che non era suo padre, ma… erano così simili.
A pensarci bene
tutti lo guardavano con rispetto.
No.
C’erano ancora
quegli occhi.
Per quanto
diventasse forte non vi vedeva riflesso né rispetto e ormai anche la paura che
inizialmente lo aveva reso tanto felice era sparita.
Lei non lo
guardava e basta.
Questa volta
non riuscì a schivare il kunai.
-Meglio
Neji-kun?-
-Ero
distratto.-
Sospirò di
fronte al sorrisino sfrontato della ragazza.
Mai sorelle
avrebbero potuto essere più diverse.
Gli anni erano
passati veloci, forse troppo, dopotutto poteva dire di essere felice di ciò che
si era conquistato.
Rispetto. Ecco
cosa provavano gli altri nel guardarlo.
Orgoglio,
fiducia, grandi aspettative.
Tutti gli occhi
del Clan erano puntati su di lui.
O quasi.
Lei aveva
smesso di guardarlo.
Lei non
guardava più nessuno, indifferente alle occhiati fugaci – preoccupate del padre
e a quelle stranite della sorella, lei… guardava qualcosa che loro non
riuscivano a scorgere.
O forse,
semplicemente, non guardava niente. Nessuno.
Era una notte
senza nuvole dove la luna risplendeva regina, una di quelle sere raccontate
nelle fiabe, dove la magia serpeggia in ogni strada e gli dei scendono in terra
per sorridere agli essere umani. Dei, spiriti, fate, maghe, elfi e folletti.
Sospirò
lasciando il vento sfiorargli dolcemente il volto.
Amava il suo
villaggio, soprattutto di notte quando tutto taceva. Quando nessuno piangeva e
tutti dormivano sorridendo nei propri letti, al sicuro, felici.
E anche se,
maligni, arrivavano degli incubi al rovinare il sonno di qualcuno non era
importante, poiché l’indomani sarebbe sorto il sole e tutto sarebbe andato a
posto.
Niente ombre,
niente paure.
Solo luce.
Sospirò.
La missione era
stata mortalmente noiosa, si era dovuto sorbire sabbia, sassi, sabbia, erba
secca, sabbia, Rock Lee che spariva ogni due per tre con il Kazekage, sabbia,
Tenten che si sarebbe volentieri fatta un tappetino con la pelle della sorella
del rosso, sabbia, sabbia e sabbia.
Odiava la
sabbia.
Non aveva
niente contro Suna o il Kazekage, ma… c’era sabbia.
Tanta.
Entrò nella
villa principale nel silenzio più completo e ringraziò che fosse ormai notte
inoltrata, l’idea di dover fare tutti i saluti di convenienza lo irritava come
non mai.
Colpa della
sabbia.
Voleva solo…
Acqua.
Entrò nel
cortile con il piccolo laghetto, per andare nella sua stanza e, lì, la vide…
l’acqua.
Limpida e
cristallina, trasparente, pura - pura?
Hinata, la
bambina – no, era una donna ormai- che lo aveva temuto era lì, sull’acqua,
avvolta da un leggero strato di Chakra e con un sorriso indecifrabile sulla
labbra.
Non lo
guardava, come sempre.
Probabilmente
non si era neppure accorta della sua presenza.
Invisibile.
Come poche
volte nella sua vita Neji si sentì trasparente.
Era cambiata.
In pochi lo
aveva notato e quasi tutti avevano preferito ignorarlo.
Quasi.
Un padre per
quanto duro è pur sempre un padre.
Certo,
quell’uomo avrebbe preferito la morte piuttosto che ammettere di essere in
pensiero per la figlia, ma…
Lui ne sapeva
niente?
Era successo
qualcosa di particolare?
Qualcuno le
aveva fatto del male?
Qualche
missione andata male? Qualche litigio? Qualcosa?
Qualsiasi
cosa?
No, Hiashi-sama,
non era a conoscenza di nessun fatto strano, ma lui ed Hinata… come dire…
Ricordava
ancora lo sguardo preoccupato dell’uomo.
Invidiò la
ragazza, perché aveva un padre che ancora si preoccupava per lei.
Ma, ghignò
internamente, probabilmente si era svegliato troppo tardi.
Era strana
Hinata-san quella sera.
Le sue labbra
si muovevano, in una canzone muta.
Fece
un’elegante piroetta su se stessa, chiudendo gli occhi.
Danzava, al
suono di una melodia che solo a lei era concesso sentire.
Felice, come
mai l’aveva vista.
Fece un passo
in avanti, incerto, da un lato voleva che quella scena con tutta la sua
assurdità finesse. Da un lato, ma dall’altro…
-Oh, Neji-kun,
a cosa devo la tua presenza?- piroettò ancora una volta su se stessa,
sorridendo.
Il ragazzo
assottigliò gli occhi di ghiaccio.
Si stava
prendendo gioco di lui?
Strinse i
denti.
Non lo stava
guardando, di nuovo.
-Torno da una
missione, stavo tornando nella mia stanz-
-Stavi? Perché
adesso cosa stai facendo?- rise e con un gesto l’acqua si alzò in aria, danzando
con lei.
-E voi,
Hinata-san, cosa state facendo a quest’ora?-
-Io? Ballo.- e
si fermò, facendo un’elegante inchino verso il ragazzo.
-Ballate?-
La ragazza
sospirò:- Veramente anch’io sono appena tornata da una missione, ma non ho
sonno.-
Guardava il
cielo, ma non lui.
-Comunque sia è
tardi, dovreste andare a dormire.-
Rise:- Davvero
è così tardi?-
-Eh?-
Temeva che non
stesse più parlando del tempo, ma di quello che credeva fosse un tabù, un…
-E’ tardi da
così tanto tempo… non trovi?-
-Hinata-san?-
Rise, ancora.
Iniziava ad
odiare quel suono.
-Oh, Neji-kun,
vuoi ballare con me?- e per la prima volta dopo anni quegli occhi furono di
nuovo su di lui.
Bhà, non era un
problema suo.
L’importante
era che il capo Clan continuasse ad allenarlo e a riporre grandi speranze in
lui.
Anzi, ad essere
onesto, era infastidito da questo cambio di posizione.
L’avevano
ignorata per anni e ora… !
Oh, non poteva
negare che fosse strana.
Se prima era
timida adesso sembrava…
Disinteressata.
Attivò il
Byakugan.
Probabilmente
era solo una sua impressione.
Fece un giro
completo su se stesso.
Sì, perché le
persone non possono cambiare.
Sorrise.
Hinata era una
nullità e tale sarebbe rimasta per tutta la sua vita.
No, no che non
voleva!
Ma perché no?
Avanzò
lentamente verso di lei. Gli sembrava di essere sotto incantesimo, di osservare
tutto da lontano. Hinata sorrise, arretrando di un passo, invitandolo a
raggiungerla sullo specchio d’acqua.
-Neji, sai
ballare?-
-Non ho mai…-
-Non è
difficile, è un po’ come combattere, solo che le mani non diventano rosse.-
La ragazza
sorrise, avvicinandosi, un passo ancora e lo avrebbe sfiorato.
-Allora
Neji-san, mi concede l’onore di questo ballo?- gli porse una mano.
E vide.
Vide le sue
mani sporche di sangue.
-Ma cosa… ?!-
-C’è qualcosa
che non va?- sei davvero così ingenua, piccola Hinata?
-Le tue mani!-
-Che cos’hanno
di strano?-
Ghignò la dolce
Hinata avanzando di un passo e facendo combaciare i loro corpi. Neji fece per
indietreggiare ma, velocemente, le mani di lei s’incrociarono dietro il suo
collo.
Rise la timida
Hinata mettendosi in punta di piedi a pochi centimetri dalle labbra del ragazzo.
-Sono sporche?-
E se… fosse
diventata più forte?
Se lui fosse
tornato ad essere uno della casata cadetta, ad essere di nuovo pari ad uno
schiavo?
Il suo
schiavo?
No, no, no.
Tutto ma non
quello.
Scosse la
testa, scacciando l’assurda voglia di mettersi a tremare.
No… lui sarebbe
stato il più forte, sempre.
Sì, sempre.
Hinata spostò
una mano, sfiorando con i polpastrelli il volto latteo del ragazzo
-Ah, Neji-kun?
Sono sporche?- gli soffiò sulle labbra.
-Io…-
Sorrise,
ghignò, la debole Hinata mentre sfiorava le labbra di Neji con le sue.
-Ma è normale
che siano sporche, dopotutto io lo sono.- e ad ogni parola le loro labbra
si sfioravano ancora e ancora.
-E tu Neji?
Come sei? Pulito? Candido come i tuoi occhi?-
-H-Hinata…-
Ah, povero
ragazzo, come non capirlo? Come non capire la sfumatura d’incomprensione nel suo
sguardo?
Dopotutto il
suo mondo stava crollando.
Lei, per gioco,
lo stava distruggendo.
Chissà… forse
il magnanimo destino gli avrebbe concesso la capacità di restare in piedi.
O, come suo
solito sarebbe rimasto indifferente.
Ridendo, nel
vederlo precipitare.
Altro capitolo
scritto parecchio tempo fa XD. Ringrazio Kikichan, chi ha letto e chi mi ha
aggiunta tra i preferiti.
Ah, a chi
interessasse ecco l’indirizzo dl mio blog-archivio storie^^: http://hiems.iobloggo.com.
06/07/2007 |