PICCOLA PREMESSA: La notte in cui il vero Titanic si
inabissò finirono in acqua 1518 persone.
Più della metà dei passeggeri della nave.
Molte facevano parte della seconda e della terza classe e
dell'equipaggio, ma non solo.
Il capitolo che segue è il mio personale racconto di quella
notte. Volutamente si concentra soprattutto sui protagonisti
della mia storia, ma altrettanto volutamente riporta anche fatti
realmente accaduti quella notte.
E' angst gente, e non fa sconti a nessuno. Siate
preparati.
Perché questa è solo una storia, è
vero. Ma il Titanic non lo è.
BUONA LETTURA!
03. La notte
delle lacrime.
Sebastian si sentiva strano.
Si muoveva come su di una nuvola. I rumori intorno a lui erano tutti
ovattati e lontani. Le risate, gli uomini che chiedevano altro brandy
al personale di bordo, le donne che cinguettavano spettegolando su
quella o quell'altra donna uscita ancora in camicia da notte dalla
cabina, mentre fuori al freddo altri uomini stavano preparando le
scialuppe da mettere in acqua.
"Restate dentro. Per voi qui fuori è troppo freddo e
rumoroso. Verremo a chiamarvi quando saremo pronti per farvi salire a
bordo delle scialuppe" aveva detto uno di loro a Sebastian quando aveva
cercato di far uscire Santana e Brittany per imbarcarle.
Si comportavano come se non ci fosse alcuna fretta. Come se ci fosse
stato spazio per tutti.
Ma Sebastian sapeva che non era così.
E se lo sapeva lui dovevano ben saperlo anche loro, no? Eppure
sembravano così calmi e composti. Al momento, almeno.
Per un attimo si ritrovò a pensare anche lui che non fosse
così grave come aveva creduto. Ma no, non era possibile.
Aveva visto la faccia di Kurt e sapeva cosa vi aveva scorto: terrore
puro.
Anche Santana era calma. Se ne stava seduta su una panca a parlottare
fitto con Brittany e di quando in quando le due donne si lasciavano
scappare una risatina complice. Thad invece percepiva il suo umore,
sentiva su di sé il suo spavento, anche se Sebastian faceva
di tutto per tenerlo nascosto, e ne sembrava preoccupato.
Ancora non aveva avuto il coraggio di dirgli la verità,
però. Ogni volta che Thad gli chiedeva: "Cosa succede,
dimmelo" lui fuorviava il discorso spostandolo su argomenti
più neutri.
Da quando Kurt lo aveva avvertito di sbrigarsi, Sebastian non
aveva fatto altro che mentire a Thad. Anche quando lo aveva trascinato
con sé a cercare Santana, lo aveva fatto inventandogli che
aveva bisogno di lui al suo fianco per calmare la donna in caso si
fosse spaventata, visto che lui non era molto capace e Thad invece
aveva una gentilezza innata che faceva subito tranquillizzare tutti.
L'atro lo aveva seguito di malavoglia dato che di sicuro il benessere
di Santana non rientrava nelle sue priorità. Ma a ordine
diretto non aveva detto di no.
Sebastian si odiava quando dava comandi a Thad come fosse un suo
normalissimo dipendente e basta. Ma non voleva lasciare il
suo fianco nemmeno per un minuto. Non voleva perderlo di
vista. Non voleva rischiare di... Dio, era difficile persino da
pensare.
Avevano trovato Santana nella cabina di Lady Pierce, come Sebastian si
era aspettato, e quando le avevano detto cosa era successo, usando
termini semplici e poco allarmisti, la donna si era detta certa che
fosse solo uno scherzo. Quando però il personale della nave
aveva bussato allo loro porta per far indossare loro il
salvagente e farli salire sul ponte, scocciata dal
contrattempo, aveva seguito Sebastian e Thad nel salone
principale senza fare ulteriori storie.
Non sembrava molto più preoccupata di quanto lo sembrassero
gli altri. Sebastian aveva sentito un gruppo di giovinetti addirittura
dirsi certi che fosse solo una stupida esercitazione. L'ombra
dell’iceberg contro cui avevano impattato era ben visibile
anche dagli oblò adesso che le luci del Titanic lo
illuminavano, ma nessuno sembrava credere possibile che ne fosse uscito
sconfitto il transatlantico.
Il Titanic era una nave inaffondabile. E loro erano tutti privilegiati.
Tale sfortuna non era contemplata nel loro mondo.
Questa convinzione si era rafforzata quando la banda di Wallace Hartley
era entrata nel salone centrale e aveva preso a suonare dando a tutti
ancor di più l'idea che niente di grave stesse accadendo.
Sebastian aveva osservato Anderson posizionarsi con tutti gli
altri al suo posto e imbracciare il suo violino che aveva preso a
suonare con brio. Non sembrava preoccupato, eppure nei suoi occhi non
c'era la luce che Sebastian vi aveva sempre scorto.
Stava pensando a Kurt? Probabilmente.
A differenza di lui, a Blaine non era concesso restare vicino al suo
uomo in quel momento, e Sebastian nemmeno voleva immaginare quanto
fosse difficile per lui.
Mezzora dopo, circa, da quando erano saliti nel salone, uno degli
ufficiali venne a chiamarli chiedendo loro di procedere ordinatamente
sul ponte per essere imbarcati. Il fumaiolo non mandava più
quell'orribile suono che aveva imperversato per tutto il tempo delle
manovre degli uomini di bordo sulle scialuppe e fuori, a parte il
freddo, sembrava una normale serata come tante altre.
Si vedevano anche un po' di stelle.
"Per favore, per adesso chiediamo che solo donne e bambini si facciano
avanti. Gli uomini saliranno su altre scialuppe a breve" disse uno
degli ufficiali e la cosa fu accolta da un chiacchiericcio divertito da
parte degli uomini che presero a far salire le loro dame a bordo con
allegria, concedendosi scherzi come se nulla fosse.
Sebastian, che una cosa simile se l'era aspettata,
portò più avanti Lady Pierce perché
fosse imbarcata insieme a Santana, che stava parlottando con uno degli
altri ufficiali. Thad era rimasto indietro per non
intralciare il passaggio, ben sapendo che per lui su quella scialuppa
non ci sarebbe stato posto neanche se fosse stata aperta agli
uomini.
"Brittany" disse a un tratto Santana tornando vicino a Sebastian. "La
signora Brown dice che in queste scialuppe al momento c'è
posto solo per i passeggeri di prima. Perché non
scendete di nuovo in cabina e ve ne state per un po' davanti
al fuoco? Sono certa che vi imbarcheranno a breve ma nel frattempo non
dovreste stare fuori a prendere freddo. Siete delicata, e oggi fa molto
freddo. Sebastian si occuperà di voi, vero caro?" chiese poi
voltandosi verso il marito.
Lui non credeva che quella fosse una buona idea ma non aveva tenuto di
conto, neanche aveva immaginato a dirla tutta, che gli ufficiali
sarebbero stati così fiscali in un momento simile. Eppure li
vedeva mandare via le dame di compagnia e le cameriere delle signore
che imbarcavano.
Persino in un momento simile continuavano a seguire le loro sciocche
regole.
"Sì, Lady Pierce, tornate in cabina. Verrò a
chiamarvi non appena ci sarà una scialuppa per voi" disse
quindi. In quel momento gli premeva far salire Santana su una di quelle
barche per metterla in salvo. E di sicuro avrebbe fatto in modo che
anche Brittany salisse su una scialuppa dopo.
La donna lo ringraziò e voltandosi si diresse di nuovo
all'interno del Titanic. Era tranquilla e sembrava grata di non dover
restare ancora tanto fuori al freddo.
Intanto Santana, dopo aver salutato Sebastian con un bacio casto sulle
labbra, si fece aiutare da uno dei marinai a salire sulla scialuppa.
Appariva ancora scocciata per quel contrattempo ma c'era anche una
lieve nota divertita nei suoi occhi.
Sebastian sapeva che tutto quello stava diventando
un’avventura per lei.
Avrebbe voluto avere quella stessa beata ignoranza anche lui.
A un tratto uno degli uomini, Jonhs si chiamava se non ricordava male,
uno degli inservienti addetto al suo piano comunque, gli si
avvicinò con fare sospetto e, tirandolo da una parte, gli
disse: "Hummel si trova nel lato est, vicino alla poppa. Dice
che c'è una scialuppa per voi e un certo Harwood da quella
parte, se vi dirigete lì."
Sebastian lo ringraziò tirando fuori dal panciotto qualche
dollaro. Persino in quel momento la sua educazione vinceva su tutto.
Voltandosi verso il punto dove aveva lasciato Thad ad attendere gli si
avvicinò per riferirgli la notizia. Thad però non
la accolse come si era aspettato che avrebbe fatto.
"Dovresti dirigerti lì e salire su quella scialuppa, allora"
disse infatti con tono nervoso. Appariva preoccupato e ansioso mentre
si guardava intorno, e Sebastian temeva che stesse
cominciando a capire quello che stava succedendo e come stavano davvero
le cose.
"Noi. Noi saliremo su quella scialuppa. Hummel ha un posto anche per
te" precisò.
Era lui che lo aveva obbligato a salire su quella nave per paura di
perderlo. Era lui che lo aveva obbligato a seguirlo in quella luna di
miele. Per niente al mondo lo avrebbe lasciato da solo là
sopra, anche se Kurt gli avesse assicurato di trovare un posto per lui
in un’ altra scialuppa subito dopo.
"Io non scendo, Sebastian. Non adesso almeno" lo freddò
però Thad prendendo a dirigersi verso il ponte A, che era
dalla parte opposta rispetto a dove si trovava Kurt.
"Che intendi dire?" gli chiese Sebastian seguendolo.
"Dio, volevo aspettare che fossi salito su una delle scialuppe per fare
qualcosa. Essere certo che non avresti avuto idee stupide, tipo
seguirmi."
"Seguirti dove?" gli chiese ancora Sebastian prendendolo per un polso e
fermando la sua fuga.
Thad si voltò verso di lui e dopo aver sospirato
pesantemente disse: "Ho sentito uno degli uomini dire che hanno chiuso
i cancelli di terza per impedire a quella gente di venire su. Questa
nave sta per affondare e sì, lo so, perché non
sono uno stupido e ho capito le parole di Hummel anche se tu fai di
tutto per tenermi all'oscuro. Ti rendi conto? Persino in questo momento
sono attaccati alle loro sciocche regole e le loro classi. Ma lo
squarcio riguarda zone della nave che comprendono i ponti di terza e
laggiù adesso deve essere un inferno.
Devo scendere e aiutare quella gente, Sebastian. Ho sicuramente tempo
prima che cominciano a imbarcare quelli di seconda classe, e
là sotto ci sono i miei amici ."
"Di chi stai parlando?"
"Danny e Raul. E Fabrizio" rispose Thad con tono esasperato e Sebastian
capì. Oh, giusto. I suoi cari amici. Il suo caro
Fabrizio.
Un rabbia improvvisa montò dentro di lui e prima che se lo
potesse impedire quella rabbia divenne paura e la paura, parole. "Sei
innamorato di quel ragazzo, Thad?" chiese con enfasi.
"Oh Dio! Non ci credo" sussurrò Thad cercando di liberarsi
dalla presa dell'altro ma Sebastian non intendeva lasciarlo andare.
"Mi stai dicendo che vuoi sacrificare la tua salvezza per lui.
Perciò rispondi" esclamò poi con durezza.
"No, non lo amo va bene? E' solo un amico. Un buon amico. Io amo te,
stupido presuntuoso. E adesso lasciami" urlò Thad attirando
l'attenzione di alcuni uomini che stavano passando lì vicino
per dirigersi verso altre scialuppe e riuscendo a liberarsi dalla
stretta di Sebastian. "Non è il momento di essere gelosi"
sentenziò poi con tono più pacato.
Aveva ragione, Sebastian lo sapeva bene, ma era stato più
forte di lui. Lui possedeva case, poderi, fabbriche, compagnie,
addirittura negozi e ristoranti. Ma era Thad il suo bene
più prezioso. L'unico che davvero gli premesse possedere.
E non era neanche possesso.
Era bisogno. Puro e semplice bisogno.
Aveva paura di vederlo andare via. Aveva paura che altri uomini
vedessero quello che aveva visto lui, innamorandosene perdutamente.
Ancora di più temeva che lo stesso Thad avrebbe presto
scoperto di aver diritto ad avere molto di più di quello che
Sebastian poteva offrirgli.
E quella sera doveva separarsi da lui lasciandolo su quella nave? Non
poteva farlo. Thad non poteva chiederglielo.
A un tratto l'altro prese la sua mano e la strinse forte tra le sue.
Era l'unico contatto che fosse loro concesso in quel momento su quel
ponte, lo sapeva, ma quella stretta gli stava trasmettendo tutto
l'amore dell'altro lo stesso. "Sali su quella scialuppa, Sebastian. Ti
prego, io starò bene" gli sussurrò poi Thad, e
detto questo lasciò la presa sulla sua mano e corse via.
Sebastian lo osservò per alcuni secondi rimanendo immobile.
Ma nemmeno per un attimo pensò di fare quello che Thad gli
aveva chiesto.
Aveva fatto una promessa anzitutto a se stesso. Non sarebbe sceso da
quella nave senza Thad.
E l'avrebbe mantenuta, pensò correndogli dietro.
XXXXX
Thomas Andrews, progettista del Titanic e suo passeggero, aveva fatto
dei calcoli dopo l'impatto con l'iceberg, durante i quali era venuto
fuori che non solo il Titanic era destinato ad affondare ma
che la nave ci avrebbe messo due ore al massimo a inabissarsi.
I calcoli si rivelarono esatti.
Mezzora dopo l'impatto, quando ormai i passeggeri erano stati tutti
svegliati e gli ufficiali Murdoch e Wilde avevano
già messo al lavoro i loro uomini sulle scialuppe, la nave
aveva già imbarcato acqua sufficiente a causarne la
progressiva, anche se ancora non evidente, inclinazione dal lato della
prua.
Le paratie stagne continuavano incessantemente a espellere acqua ma non
abbastanza velocemente per evitare che vari scompartimenti
venissero allagati. Mentre questo succedeva, la
nave soccombeva al peso dell'acqua al suo interno.
L'equipaggio sapeva che bisognava assolutamente evitare di diffondere
il panico per quanto al momento la situazione non sembrasse ancora
pericolosa. L'unica cosa fuori posto infatti era il terribile sibilo
del vapore che fuoriusciva dai fumaioli, attivati onde impedire lo
scoppio delle caldaie contenute negli scompartimenti già
allagati, che comunque ben presto fu ridotto. Così
faceva di tutto per dare l'impressione che niente di grave stesse per
succedere.
I passeggeri comunque non stavano capendo. Nemmeno immaginavano il
grave disastro a cui stavano andando incontro. Non indossavano i
salvagente anche se era stato richiesto loro di farlo, e molti
perdevano tempo a giocare con i pezzi dell'iceberg che si
trovavano sul ponte di prua, o a cercarne di "carini"da usare
come souvenir, o canzonavano chi indossava il salvagente e mostrava
segni di ansia.
Quando l'orchestra verso le 24.20 si posizionò nel salone di
prima classe per suonare, molti di loro si misero addirittura a ballare
con il proprio marito o la propria moglie.
La prima scialuppa fu calata in mare quasi un’ora
dopo l'impatto, e cioè alle 00.40. Aveva solo 28 persone a
bordo per una capacità di 65 passeggeri. Poco dopo ne fu
calata un’altra che al suo interno aveva solo 12 persone.
Gli ufficiali, preoccupati che le scialuppe non reggessero il peso, le
mandavano in acqua praticamente vuote, sprecandone così
quasi la metà.
Era solo l'inizio di quella che sarebbe stata una vera tragedia.
XXXXX
Thad era nervoso.
Non aveva preventivato che Sebastian lo seguisse e si sentiva
un idiota totale per questo. Conosceva l'uomo, sapeva che se si metteva
in testa qualcosa nessuno poteva fargli cambiare idea e, per qualche
motivo, adesso aveva deciso di non lasciare la nave
se non quando Thad fosse salito con lui
su una scialuppa.
Era una responsabilità enorme per Thad.
Eppure anche quello che stava facendo era importante e andava fatto e
non poteva semplicemente ignorare tutto per assicurarsi che
Sebastian si mettesse in salvo.
Al tempo stesso, lui non poteva mettersi in salvo se prima non sapeva
che anche Fabrizio e gli altri avrebbero avuto almeno una chance per
farlo.
Non capiva il senso del resto: perché chiudere i cancelli di
terza? Perché condannare volutamente quegli uomini a
rischiare la vita?
Fino a quel momento però non erano stati molto
fortunati.
Avevano già trovato due cancelli che conducevano al ponte di
terza classe ed erano entrambi chiusi con guardie e addetti della nave
a tenerli d'occhio. Thad aveva cercato di parlare con loro e quando
questo non era stato sufficiente anche Sebastian si era fatto avanti
forte del suo buon nome, ma nessuno aveva dato loro ascolto.
"Perché fanno questo?" aveva chiesto a un certo punto
esasperato Thad a Sebastian mentre cercavano di raggiungere l'ennesimo
cancello.
"Immagino siano stati ordini del capitano" tergiversò
Sebastian che continuava a seguirlo senza protestare
più di tanto.
"Smith mi era sembrato un uomo più umano di così"
lo accusò Thad, la voce resa acuta da una rabbia quasi
incontenibile.
Aveva visto i volti dei passeggeri di terza al di là di quei
cancelli. La paura che si mischiava alla speranza che fosse
finalmente giunto qualcuno che avrebbe dato loro la
possibilità di salvarsi. Thad si era sentito male
nello scoprire che non poteva fare nulla invece.
"Lo è. Perlomeno la sua lunga carriera suggerisce
questo, ma stavolta non credo dipenda solo da lui. Ci sono
più di 2000 passeggeri su questa nave. Se li facesse salire
tutti insieme sarebbe il caos e l'equipaggio non potrebbe aiutare
nessuno." Disse Sebastian, ma Thad capì che mentiva
perché non lo guardava in viso mentre parlava
bensì un po' ovunque. E Sebastian lo faceva solo quando gli
diceva bugie. Lo aveva fatto anche quando gli aveva detto che avrebbe
dovuto sposare Lady Lopez ma che per loro nulla sarebbe cambiato. Ben
sapendo che invece tutto sarebbe cambiato.
E stava per chiedere cosa gli stava nascondendo quando Thad
avvistò un altro cancello che conduceva alla terza classe e
vi corse incontro. A differenza degli altri non c'era nessuno
davanti a questo però, e la cosa risultava strana.
Ma poco male perché come gli altri anche questo era chiuso.
A un tratto la rabbia che Thad sentiva dentro esplose. Si
avventò sul cancello cercando di aprirlo mentre urlava
improperi di ogni tipo.
Non aveva ancora visto né Fabrizio né gli altri e
cominciava ad esserne preoccupato.
E non era solo quello. Perché più tempo lui
passava su quella nave, più ce ne passava Sebastian e quel
senso di terrore stava ancora attanagliando il suo cuore.
Sebastian svelto lo prese per le spalle cercando di calmarlo e Thad si
voltò spingendolo lontano con forza.
"Cosa diavolo ci fai ancora qui tu? Sali sulla tua scialuppa e
vattene!" inveì contro di lui cieco di rabbia.
"Non posso, Thad. E anche se potessi non lo farei. Non ti lascerei qui"
ripeté Sebastian e Thad cominciava a non poterne
più. Non intendeva suicidarsi e sarebbe sicuramente salito
su una scialuppa quando fosse toccato ai passeggeri di seconda classe.
Perché Sebastian ne era spaventato quindi?
"Cosa è che non mi dici?" chiese così Thad quasi
urlando perché anche quella situazione con Sebastian lo
stava innervosendo.
L'altro però cominciò a scuotere la testa come se
non intendesse rispondere a quello e gli fece segno di
continuare a camminare. "Ci saranno altri cancelli più
avanti se vuoi controllarli. Sbrighiamoci."
"Sebastian, non mi muovo se non mi dici cosa ti prende" disse ancora
Thad ormai convinto che fosse successo qualcosa di grave.
A quella domanda Sebastian si fermò e si portò le
mani alla testa come se provasse un grosso dolore e chiudendo gli occhi
rispose: "Non ci sono abbastanza scialuppe, Thad."
"Cosa, cosa vuol dire questo?" sussurrò Thad che davvero non
afferrava il senso di quelle parole. Che voleva dire che non c'erano
abbastanza scialuppe? Santo Dio, quella nave era il nuovo gigante
dell'oceano, la nave più lussuosa creata fino a quel
momento, una nave che conteneva una palestra, un caffè, un
ristorante, una chiesa e le cabine tra le più
grandi e lussuose mai viste… e non aveva scialuppe
sufficienti per salvare i suoi passeggeri? Era assurdo.
"Kurt me lo ha detto quando mi ha fatto fare il giro turistico della
nave" precisò allora Sebastian come leggendo il suo stupore
nel suo viso. "Le scialuppe avrebbero dovuto essere 36 ma la White Star
ha richiesto la rimozione di 16 di esse perché rovinavano
l'estetica del ponte, e adesso ne restano solo poco più
della metà. Non possono salvare tutti Thad, credo sia per
questo che hanno chiuso i cancelli di terza. Credo che li stiano
volutamente sacrificando. Ed è... terribile."
E lo era, lo era veramente. Non solo per quello che le parole
di Sebastian implicavano per i suoi amici, ma anche e soprattutto per
quello che significavano per lo stesso Sebastian.
"Mi stai dicendo che neanche tu... potrai salire su una scialuppa se...
se quando saliremo non...." ma Thad non continuò la frase
mentre un’enorme bolla di spavento esplodeva dentro di lui,
immobilizzandolo. Non aveva mai contemplato l'idea che Sebastian non si
salvasse. Aveva sospettato che potesse succedere a lui, certo, ma non a
Sebastian. Ed era tremendo sapere che l'unica possibilità di
mettersi in salvo che forse aveva avuto era stata accantonata per
seguire lui.
"Penso che Kurt mi darà una mano, ma non è
sicuro, no" rispose comunque Sebastian, risultando più calmo
di quanto lo stesso Thad si sentisse in quel momento.
"Perché mi sei venuto dietro?"
"Lo sai perché. Pensi davvero che avrei potuto lasciarti qui
sapendo quello che so, Thad? Voglio che tu sia con me quando
salirò sulla scialuppa. Non ti lascio qui. "
"Allora perché non me lo hai detto subito, perché
non mi hai impedito di fare lo stupido?"
"Perché ti saresti sentito in colpa dopo. Diavolo, io stesso
mi sento in colpa dopo aver visto le facce di quelle persone. Il tuo
lato compassionevole e altruista è ciò che di te
più amo e non potrei mai farti una colpa di aver voluto
provare a salvare i tuoi amici, Thad. "
"Ma tu stai rischiando per questo, e io non posso accettarlo,
Sebastian. Non avrei mai voluto questo e se lo avessi saputo sarei
salito su quella scialuppa subito, pur di sapere che anche tu eri in
salvo."
Sebastian si lasciò andare a una risatina triste a quelle
parole e poi sussurrò: "Sembra che non riesca ad essere
egoista quando dovrei esserlo, eh? Scelgo sempre il momento sbagliato."
"Oh Sebastian" disse Thad e poi si avvicinò a lui per
poterlo abbracciare. Fu in quella posizione, stretto al corpo caldo e
forte dell'altro che chiese: "Il Titanic affonderà davvero,
eh?"
Era una domanda che gli girava in testa dal momento
dell’impatto con l'iceberg. Benché avesse sentito
Hummel infatti, un piccolo dubbio lo aveva avuto vedendo come si
comportava l'equipaggio della nave. Tranquillo, estremamente
tranquillo. Troppo per un rischio elevato come quello.
"Sì, hai sentito Kurt: niente lo potrà impedire"
gli rispose Sebastian ricambiando quell'abbraccio con trasporto.
"Dovremo uscire di qui" sentenziò così Thad
staccandosi da lui.
"Non vuoi più cercare i tuoi amici?"
"Non se tu rischi..." cominciò a dire Thad, ma Sebastian lo
interruppe posando un dito dolcemente sulle sue labbra.
"Sono i tuoi amici. E non ti perdoneresti se li abbandonassi
qui, e io non perdonerei me stesso se te lo lasciassi fare.
Siamo insieme Thad ed è questo quello che conta, e
fino a che lo resteremo io non avrò paura. Andiamo?" chiese
poi porgendogli la mano che Thad con un sorriso prese subito tra le sue.
Sebastian non poteva sapere allora, sepolto dentro lo scheletro della
nave, quello che la gente fuori stava cominciando appena a
capire.
Il Titanic stava affondando davvero molto rapidamente. Troppo, per una
nave di quella stazza.
Mentre Thad e Sebastian riprendevano, mano nella mano, a cercare i
cancelli che conducevano in terza, la prua si stava
lentamente inabissando e l'oceano invadeva sempre
più scompartimenti.
Dal cancello davanti a cui erano appena stati, presto prese a uscire
molta acqua che si riversò anche in quei corridoi salendo
sempre di più. Il motivo per cui nessuno era stato
lì davanti infatti, era che quella zona della nave era
già perduta.
Lo scheletro di ferro del Titanic, che soccombeva sotto il peso della
marea sempre più crescente, mandava il suo lamento ovunque
ed era terribile.
Thad e Sebastian trovarono Fabrizio e gli altri davanti al quarto
cancello, e stavolta a differenza delle altre, Sebastian
riuscì a farsi ascoltare dall'agitata guardia e a
farglielo aprire.
Lui e Thad poi cominciarono a guidare i pochi passeggeri che erano
stati davanti a quel uscita in quel dedalo di corridoi. Thad li
conosceva un po' meglio, ma era comunque difficoltoso destreggiarsi.
Senza l'ausilio degli ascensori che ormai non scendevano e salivano
più e con le poche vie di accesso alla prima classe e ai
ponti lasciate aperte risultò un lavoro complicato e assai
difficile, anzi.
Fecero molti giri e molti risultarono a vuoto e una volta si
ritrovarono in una zona completamente allagata tanto che dovettero
tornare indietro.
Quando riuscirono a salire in prima classe fu considerevolmente
più facile da lì uscire poi sui ponti.
Ma quando ci arrivarono si trovarono davanti a uno spettacolo che non
si erano aspettati.
Lì fuori adesso era il caos.
XXXX
Alle 1.30, quasi due ore dopo la collisione, il Titanic aveva imbarcato
almeno 25 milioni di litri d'acqua e la prua era già
completamente sommersa, mentre la poppa restava fuori
dall'acqua continuando pericolosamente a inclinarsi verso il
cielo.
Era chiaro per tutti ormai quello che sarebbe successo, e il panico era
ovunque.
I passeggeri si erano riversati fuori sui ponti in cerca della salvezza
che solo una scialuppa avrebbe potuto dare loro.
Purtroppo però le scialuppe non erano sufficienti, e gli
ufficiali dovevano ricorrere a misure drastiche per impedire che la
gente le assaltasse causandone anche il rovesciamento.
Molti colpi furono sparati in aria quella notte.
I passeggeri di terza classe, prima rinchiusi da cancelli e dopo,
quando questi furono aperti, in difficoltà nel trovare la
strada per il ponte di prima dato che non era mai stato concesso loro
di salirvi e non era previsto che ciò fosse fatto, a parte
che per i passaggi usati dal personale di bordo, uscirono sul
ponte solo quando per loro trovare la salvezza era ormai
impossibile.
Nonostante il terrore e il caos, gli ufficiali continuavano senza sosta
a imbarcare gente e a mandare segnali con i razzi per le navi chiamate
in soccorso e a cercare gente in giro per la nave a cui far indossare i
salvagente.
Eppure lo stesso non avrebbero potuto fare nulla di più di
ciò che avevano già fatto.
Che non era abbastanza.
Non ci sarebbe stata salvezza per tutti quella
notte.
Non poteva esserci.
Molti lo avevano sempre saputo. Per tutti gli altri cominciava ad
essere dolorosamente chiaro.
XXXXX
Bruce Ismay, amministratore delegato della White Star Line, colui che
aveva dato il nome al Titanic e che aveva imposto
l'accensione degli ultimi motori nonostante l'avviso iceberg diramato,
non si diede molto da fare la notte tra il 14 e il 15 aprile 1912.
Cominciò ad aiutare la gente a salire a bordo delle
scialuppe, ma quando il caos imperversò fu uno dei primi ad
abbandonare il suo posto per mettersi in salvo.
E questo ben prima che le cose divenissero tragiche.
Più dell'iceberg che squarciò il
Titanic con una pressione di 958 kg/cm2 causandone il
repentino affondamento, fu Ismay a causare la morte dei suoi
passeggeri.
E tutto per arrivare prima del previsto in America.
Gustave le Bon diceva: "Ciò che facciamo per orgoglio
è spesso superiore a quello che completiamo per dovere."
Il Titanic non sarebbe mai arrivato in America. E la storia
avrebbe ribattezzato Bruce Ismay, Brute ossia Bestia.
Ma poco male. Ogni uomo in fondo è causa del proprio
destino.
Brittany Pierce non era una vera lady.
Aveva ottenuto il titolo solo quando Lady Lopez per simpatia verso la
madre, nobile decaduta, l'aveva scelta come dama di compagnia della sua
figlia maggiore, Santana. Le era piaciuta quella vita, per un po'. I
vestiti di classe, i balli, le cene con persone importanti, i viaggi.
Erano tutto quello che per molto tempo aveva guardato con invidia senza
potervi accedere. Ma poi aveva avuto tutto e aveva scoperto
che quella vita le stava stretta. Che la trovava noiosa, ripetitiva.
Lei era uno spirito più semplice, e sognava la
libertà.
Aveva sperato che con il matrimonio di lady Santana sarebbe stata
più libera, ma la donna sembrava avere più
bisogno di prima di lei e l'aveva anche costretta a quel
viaggio e a una vita ancor più rigida visto il cognome
importante di cui era portatrice adesso.
Quando era scesa nella sua cabina dietro invito di Lady Santana, non
c'era stato terrore nel suo cuore. Lady Pierce ne sapeva ben poco di
navi e tutti i suoi pensieri erano occupati dal fatto che aveva deciso,
arrivata in America, di accettare la proposta di matrimonio del vecchio
amico di suo padre. Era davvero un uomo vecchio per lei ed era solo un
banchiere noioso, è vero, ma la ragazza provava affetto per
lui e pensava che le avrebbe dato la vita che sognava, e tutta la
libertà che anelava.
Non lo aveva ancora detto a Santana, che era quasi un’amica
per lei, ma solo perché aveva deciso di farlo quando il
fidanzamento sarebbe stato reso ufficiale.
Quando si distese sul letto lo fece solo per riposarsi un po'. In
attesa che Lord Smythe la venisse a chiamare pensò che
sarebbe stato saggio recuperare un po' di ore di sonno.
Il ponte dove si trovava la sua cabina era praticamente vuoto ormai e
nessuno la disturbò.
Quando cominciarono le urla, e il rumore dei razzi, e gli stessi suoni
che produceva la nave che si stava piano piano spaccando e riempiendo
d'acqua Brittany non si accorse di nulla.
L'acqua era già filtrata dalla porta e
l'aveva trovata così, addormentata e serena.
E così serena se l'era portata via.
Il capitano John Smith, aveva continuato ad aiutare
ad imbarcare gente sulle scialuppe fino a che era stato possibile
farlo. Quando era sparito lo aveva fatto liberando
i suoi uomini dal loro lavoro con la frase: "Salvatevi, se potete."
Era chiaro che lui non lo avrebbe fatto. Un capitano, un vero capitano,
resta a bordo della nave fino a che c'è anche un solo uomo
sopra di essa. Questo gli era stato insegnato, e questo aveva fatto
durante tutta la sua carriera e i molti problemi che aveva affrontato
con successo in marina.
Stavolta era diverso. Lo aveva saputo fin dall'inizio. Aveva
saputo fin dall'inizio che non avrebbe mai e poi
mai potuto far abbandonare la nave a tutti gli uomini che vi erano
sopra e spontaneamente aveva deciso di restare a bordo fino alla fine.
Quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Smith era già in
pensione quando aveva accettato di condurre il Titanic nel suo viaggio
inaugurale.
E adesso era diventato letteralmente il suo ultimo viaggio.
Nessuno vide dove si diresse e nessuno lo vide più dopo.
Certo era che tutti sapevano che anche questa volta John
Smith non avrebbe lasciato la sua nave.
Perché era un capitano e un vero gentiluomo.
Lo sarebbe stato fino all'ultimo.
Thomas Andrews, dal canto suo, trascorse le ultime ore della sua vita
cercando di rassicurare i passeggeri e il personale di bordo
incitandoli a indossare i salvagente benché lui stesso non
ne indossasse uno. A un certo punto anche lui aveva capito che non
avrebbe mai lasciato quella nave.
Ma in un certo senso pensava che dovesse essere così.
Lui aveva creato il Titanic, lui non aveva lottato per renderlo ancora
più sicuro di quanto fosse. E lui avrebbe dovuto portare con
sé la colpa dell'accaduto.
Andrews decise di non fare nemmeno un tentativo di salvarsi quindi, e
di restare con la sua creatura fino all'ultimo.
Un cameriere, dopo, disse di averlo visto nel salone del ristorante
intento a fissare un quadro. Disse che gli aveva chiesto se non
intendeva salvarsi e per tutta risposta Andrews gli diede il
salvagente che portava con sé vedendo che il
cameriere non ne aveva uno.
"Dai il buon esempio. Quando finiranno in acqua questi saranno utili"
gli disse con voce spenta per poi tornare a fissare il quadro. Quando
il cameriere corse via, l'uomo era ancora lì.
Ci sono uomini che fuggono via dalle loro responsabilità. Ce
ne sono altri che semplicemente, restano ad affrontarle
e scelgono il loro destino.
E Andrews aveva scelto il suo.
Margareth Brown aveva un suo credo.
Nata in una famiglia di poveri immigrati irlandesi, aveva lavorato come
sarta e commessa ed era diventata ricca solo quando suo marito era
diventato padrone di una miniera e aveva fondato una sua
società.
Era stata baciata dalla fortuna che le aveva cambiato la vita dandole
forse di più di quanto meritasse.
E Molly, come tutti la chiamavano, era convinta che un uomo
dovesse anche dire grazie per la sua fortuna.
Così, attiva in vari campi umanitari, Molly cercava di
rendere al mondo un po' di quella fortuna che costeggiava la sua vita.
Quando salì sulla scialuppa era ben conscia di essere ancora
una volta tra i fortunati e chiese agli ufficiali di continuare a
caricare gente ripetendo incessantemente che c'era posto, c'era ancora
posto.
Lo fece fino a quando un mozzo,
spaventato, la obbligò a sedersi e a
chiudere il becco o l'avrebbe gettata di sotto creando ancora
più spazio.
Non dimenticò di essere tra i fortunati nemmeno mentre la
scialuppa si allontanava dal Titanic e dalle sue urla sempre
più forti.
Più tardi avrebbe avuto modo di usare quella forza che
l'aveva sempre contraddistinta in vita, e la storia le
avrebbe dato un grande ruolo in quella tragedia, un ruolo che
lei avrebbe portato a termine in modo egregio.
Ma non avrebbe mai e poi dimenticato quanto fosse stata fortunata
quella notte.
Robert William Daniel, passeggero di prima classe, dopo aver affidato
la famiglia alla cure degli ufficiali che li misero in salvo su una
scialuppa, sfidò la furia dell'acqua gelida e
scese fino al ponte inferiore allagato solo per poter liberare il suo
bulldog Rigel dalle gabbie in cui era rinchiuso.
Già che era lì, liberò anche tutti gli
altri piccoli animali rinchiusi -terrier, pechinesi, volpini e chow wow
- affinché potessero avere una chance di salvarsi.
Amava gli animali Daniel, e quando il suo compito fu assolto
cercò di tornare sul ponte principale. Non gli fu possibile,
però. L'acqua aveva ormai invaso tutta la zona e non vi era
più alcuna via di uscita per lui.
Mentre l'acqua saliva inesorabilmente inghiottendolo Daniel
pensò che forse qualcuno di quegli animali grazie
a lui si sarebbe ricongiunto con il suo padrone. Era un buon pensiero
da concedersi in un momento simile.
Rigel dal canto suo, restò al fianco del padrone
fino a quando questi non morì. Dopo, restò
semplicemente ad aspettare che l'oceano
inghiottisse anche lui.
John Jacob Astor aveva sempre scelto il suo destino e anche quella
notte lo fece. Scelse il suo destino e fece quello che
doveva. Era riuscito a far salire la sua giovane moglie su una delle
scialuppe, e anche se il posto accanto a lei gli era stato rifiutato,
non si era demoralizzato.
Suo figlio sarebbe vissuto. Nulla contava di più.
L'ultima cosa che Astor fece poco prima di scendere di nuovo nel salone
principale e aspettare lì la morte fu osservare il cielo
stellato sopra la sua testa e pregare che
fosse un bambino sano, forte e coraggioso. Un uomo
o una donna che avrebbe portato conforto alla madre.
Qualcuno in grado di fare le sue scelte come aveva sempre saputo fare
il padre. Senza paura. Senza rimpianti.
Ida Straus non era nessuno. Solo una donna innamorata che aveva vissuto
tutta la vita con suo marito Isidor fino a creare con lui un piccolo
impero con i loro magazzini Macy's. Avevano avuto 8 figli, molti
nipotini. Avevano avuto una vita grande.
Quando le fu offerto un posto su una scialuppa, posto suo di diritto
proprio in virtù del suo ruolo di passeggera donna della
prima classe, si rifiutò di prenderlo per restare
accanto al marito.
"Come abbiamo vissuto insieme, moriremo insieme "esclamò la
donna per giustificare il suo rifiuto.
Quando l'ufficiale disse che forse visto l'eta dell'uomo anche lui
sarebbe potuto salire a bordo con la donna, l'uomo rifiutò
gentilmente a sua volta per lasciare il proprio
posto alla loro cameriera che, altrimenti, non si sarebbe salvata.
Senza paura, o rimpianto, anche Ida e Isidor fecero la
loro scelta quella notte.
Dimostrando nella tragedia che ancora una volta l'amore era
più forte della paura.
XXXXX
La musica aveva uno strano potere.
Blaine Anderson ne era sempre stato convinto. Fin da quando, da
bambino, aveva scoperto il potere terapeutico di un piano suonato nel
cuore della notte. O quello di un violino lasciato libero di esprimere
la propria magia attraverso le sue mani.
Mentre le urla intorno a lui si susseguivano, mentre i passeggeri gli
correvano intorno cercando di salvarsi e lui tentava di
mantenere il ritmo nonostante le spinte che riceveva, pensava che ce
l'avesse persino in quel momento.
La nave si stava inclinando pericolosamente e lui e gli altri membri
della banda dovevano tenersi vicini l'uno all'altro
per evitare di cadere mentre continuavano a suonare, ma nella musica
Blaine si sentiva in pace. Persino in quel momento in cui aveva
già capito cosa gli sarebbe successo.
Non ci sarebbe stata salvezza per lui. Non era previsto che ci fosse, e
non poteva esserci.
Non era nato tra i prescelti, e a bordo di quella nave nemmeno quelli
che lo erano sempre stati sembravano destinati ad avere poi tanta
più fortuna di lui.
Kurt gli aveva parlato della nave, e Blaine sapeva che le scialuppe non
bastavano. Sapeva che non ce ne sarebbe stata una per lui. Sapeva che
non c'era mai stata.
Quando il capitano aveva chiesto loro di suonare per evitare che le
persone fossero colte dal panico, quando aveva stretto loro la mano e
li aveva ringraziati per il lavoro svolto fino a quel momento,
augurando loro buona fortuna, lo sapeva non ci
sarebbe stata chance per loro? Blaine credeva di sì.
Dal canto suo, lui lo aveva saputo nell'attimo stesso in cui con gli
altri otto membri della sua banda si era messo a suonare in mezzo a
quel ponte.
Ma non si era tirato indietro.
E dopo, quando nessuno li ascoltava ormai più, sapeva che
aveva continuato a farlo come gli altri solo perché...
La musica è magia.
Chiunque dovrebbe poterla sentire poco prima di morire.
Lui in questo era stato fortunato. Come lo era stato nell'incontrare
Kurt, nel poter avere modo di amarlo. Amarlo davvero con tutto se
stesso. E lo aveva fatto. Lo aveva fatto fino all'ultimo.
Forse adesso non ci sarebbe stato posto in paradiso per lui, come
diceva la Bibbia, a causa del suo peccato, ma a Blaine non interessava.
Non si pentiva di aver amato un altro uomo, e ancor meno si pentiva del
fatto che questi fosse stato Kurt. Avrebbe peccato in quel modo per
molto ancora se gli fosse stato permesso.
E di questo ringraziava Dio, se un Dio c'era.
Avrebbe solo voluto vederlo un’ultima volta per
dargli un bacio, e questo era il suo unico rimpianto. Ma Kurt
era chissà dove, a cercare di salvare quante più
persone possibili e forse, se fosse stato fortunato, lui ce l'avrebbe
fatta alla fine. Si sarebbe salvato.
Dio, Blaine lo sperava con tutto se stesso.
Così suonò, suonò mettendo in quella
musica tutto il suo amore. Sperava che dovunque si trovasse ora, Kurt
riuscisse a sentirla e a capire che nelle note di "Nearer, My God, to
Thee " c'era un messaggio per lui, la preghiera di Blaine per
lui. Che quello era il suo modo di dirgli: "Ciao, amore."
Non addio. Non gli avrebbe mai detto addio.
Quando la musica finì, e stavolta per davvero, e l'acqua
arrivò a lambirgli i piedi, Blaine registrò a
malapena, il capo della banda Wallace Hartley, che diceva con enfasi:
"E' stato un onore suonare con voi stasera, signori".
Wallace aveva 33 anni. Tutto il resto della banda - tranne Blaine che
ne aveva 27- arrivava a malapena ai 20 anni. Erano ragazzi che
sognavano una vita migliore di giorno e che di notte rincorrevano le
gonne delle giovani cameriere a bordo, in attesa della propria
occasione per vivere una vita più appagante e completa,
ragazzi che non pensavano a cose come la morte, ma solo a come sarebbe
stato per loro il nuovo giorno. Eppure nessuno di loro si era tirato
indietro per cercare una chance, e tutti erano rimasti lì a
suonare fino alla fine.
Sì, come aveva detto Wallace, era stato un onore suonare con
loro quella sera.
Dopo, quando cominciò a lottare con la forza dell'acqua
fredda che lo stava inghiottendo, Blaine disse con rimpianto addio
al violino che gli aveva regalato sua nonna Anne e lo
affidò all'inclemenza dell'acqua, mentre lui cominciava a
nuotare cercando di allontanarsi il più possibile dal
risucchio della nave che stava affondando. Ed era difficile,
così difficile.
Nella sua mente non c'era nulla, solo lo spazio per
pensare: "Kurt, ti amo Kurt."
Non ci fu terrore per lui.
Blaine Anderson era un uomo che aveva peccato in vita sua di troppo
amore, se questo era poi davvero un peccato. Ma quando
arrivò il freddo, per lui ci fu solo pace.
E la speranza che Kurt si sarebbe salvato.
Dopo restò solo il freddo. Solo tanto freddo.
XXXXX
Kurt stava correndo più veloce che poteva.
Avvolgeva corde, liberava le scialuppe dai propri cardini,
urlava cercando di farsi sentire sopra il rumore delle grida e dei
rotori che tiravano già le scialuppe dai propri alloggi.
Non c'era tempo, non c'era più tempo.
Non stavano salvando abbastanza persone, non stavano facendo abbastanza
in fretta. Qualcuno aveva fatto uscire le prime sei scialuppe
quasi vuote e adesso avrebbero potuto salvare ancora meno persone del
previsto.
Non avrebbero potuto in ogni caso salvarle tutte, ma Kurt ci aveva
sperato. Ci aveva sperato che sarebbe andata meglio di come stava
andando.
Sapeva che dopo qualcuno avrebbe guardato a quella tragedia e avrebbe
trovato mille dettagli di cui accusare i marinai di stazza su quella
nave. E sarebbe stato facile per loro parlare di ordine e
efficienza. Ma lui era lì, fianco a fianco di quegli uomini,
e non aveva proprio nulla di cui accusarli.
Non erano precisi e perfetti? Avevano commesso errori? Sì.
Ma stavano per morire. E lo sapevano. Senza ombra di dubbio.
Gli era concesso essere spaventati e caotici. Gli era concesso essere
poco precisi e forse troppo frettolosi. Eppure non stavano
mollando, anche se il capitano aveva dato loro il via libera dal loro
ruolo, ma continuavano a svolgere il loro lavoro seppur con
il terrore nel cuore.
E forse non erano precisi, perfetti, e marinai integerrimi, ma in quel
momento erano di sicuro uomini, uomini che stavano portando a termine
il loro compito nel modo migliore possibile.
Quando l'ultima scialuppa fu posizionata, Kurt cominciò a
far salire le persone che aveva vicino. Né lui né
gli altri badavano più a se erano di
prima classe, solo donne o bambini o che altro. Le facevano salire
sopra e basta.
Avrebbero dovuto farlo subito probabilmente. Non avrebbero potuto
salvarli tutti in ogni modo e non dipendeva dal
loro lavoro o dalla loro efficienza, ma avrebbero dovuto fin da subito
cercare di salvarne il più possibile.
Sì, Kurt era fiero di tutti gli uomini che erano
vicini a lui in quel momento. Non riteneva di poter giudicare
nemmeno Murdoch che si diceva si fosse sparato un colpo in
testa dopo aver ucciso un passeggero nella foga di non far scatenare il
panico. Semplicemente era impossibile. Stavano agendo in una situazione
in cui non potevano vincere. Ma non si fermavano. Anzi, molti
ufficiali stavano gettando in mare cose che secondo loro avrebbero
potuto aiutare i passeggeri finiti in acqua e quelli che di sicuro ci
sarebbero finiti poi a restare fuori dall'acqua gelida il
più possibile in attesa dei soccorsi. Kurt non poteva che
essere fiero di questo.
Era fiero anche di Blaine che dall'altra parte della nave stava ancora
suonando. Lo sentiva, al di sopra delle urla e di tutto il
rumore. Lo sentiva.
Lo sentì anche quando suonò quella canzone,
quella che suonava sempre per lui al piano della tenuta quando erano
ragazzini che avevano appena scoperto di amarsi, quando cercavano di
convincersi che Dio non avrebbe chiuso le porta del paradiso in faccia
a qualcuno in grado di provare un simile sentimento di amore.
Percepì il suo ciao in quelle parole. Non addio,
perché Blaine non gli avrebbe mai detto addio, ma ciao.
E per un attimo un’immensa rabbia montò in lui.
Avrebbe voluto che Blaine andasse a cercare la sua fortuna, la sua
chance di salvarsi, invece di stare lì a suonare per gente
che nemmeno lo ascoltava. Lui sapeva che non avrebbe lasciato quella
nave fino a che non lo avesse fatto l'ultima scialuppa, ma avrebbe
voluto che Blaine non si arrendesse subito in quel modo. Ma fu solo un
attimo. Blaine in realtà non aveva avuto scelta e
così nemmeno Kurt si sarebbe concesso di averla.
Senza Blaine non poteva.
Dopo ci furono solo le lacrime che gli appannavano la vista mentre
prendeva le persone senza nemmeno guardarle in volto e le faceva salire
alla svelta sulla scialuppa.
"Ti amo Blaine, ti amo" ripeteva incessantemente la sua mente.
Quando l'acqua prese a invadere il ponte qualcuno
cominciò a urlare: "I tiranti, tagliate i tiranti! Non
c'è tempo per calarla." Kurt svelto fece uscire il
coltellino di ordinanza dalla tasca della giacca e si
avventò su una corda per tagliarla. Le urla intorno a lui
triplicarono piene di terrore fino a coprire anche il suono della
musica suonata da Blaine e tutta la sua attenzione fu presa
dall'acqua che inesorabile saliva sempre di più.
In quell'attimo Kurt pensò al volto delle sue bambine.
Pensò che avrebbe voluto rivederle. Dire loro tutte quelle
cose che ancora non era riuscito a dir loro. Baciarle. Stringerle a
sé.
Pensò che avrebbe voluto avere la possibilità di
dir loro che non importava chi sarebbero state e chi
avrebbero preferito amare. Lui le avrebbe sempre accettate e amate.
Sempre. E non avrebbe mai chiesto di loro di fingersi diverse da
ciò che erano.
L'ultima cosa che sentì Kurt quella notte, fu il
rumore di uno dei fumaioli del Titanic posti sopra di lui,
che sotto il peso della forza dell'acqua, si staccava dai propri
tiranti per venire giù.
Proprio addosso a lui.
XXXX
Poco dopo le 2.00 l'ufficiale Lightoller disse ai suoi uomini
che dovevano liberare il battello pieghevole B dai propri tiranti.
Era l'ultimo rimasto a loro disposizione.
Circa un centinaio di persone si radunarono lì intorno, e
fra loro vi erano anche tutti i macchinisti che avevano lavorato fino
all'ultimo alle pompe per cercare di rallentare l'affondamento.
Nessuno di loro si sarebbe salvato, però. Nessuno.
Lightoller fu costretto a formare una catena umana con le persone che
erano riuscite a salire sul battello con lui per evitare che
quelli rimasti sulla nave facessero rovesciare l'imbarcazione nel
tentativo di salire a bordo.
E su tutto vegliava ancora l'ombra dell'iceberg dal quale non
erano riusciti ad allontanarsi poi molto quando i motori erano stati
arrestati, che se ne stava lì a
osservarli come una gigantesca sentinella che si faceva beffa dei loro
sforzi e della loro paura.
Quando Lightoller riuscì ad allontanarsi dal Titanic, circa
1400 persone rimasero a bordo.
Sebastian e Thad erano tra questi.
XXXXXX
Procedevano a fatica adesso.
La gente si stava raggruppando tutta verso la poppa e cercare di
raggiungerla era difficoltoso.
La nave si stava inclinando, la prua ormai era del tutto sommersa
dall'acqua e raggiungere la poppa equivaleva a restare fuori
dall'acqua gelida e tutti quelli rimasti sulla nave
- che erano davvero tantissimi, Dio! Tantissimi - stavano cercando di
raggiungerla.
Sebastian si muoveva dietro a Thad, lasciava che fosse lui a guidarlo,
perché Thad conosceva quei ponti meglio di lui,
tenendosi aggrappato alla sua mano.
C'erano gruppi di persone in ginocchio davanti a due preti che stavano
pregando ad alta voce, altri che se ne stavano in angoli in attesa di
chissà cosa, altri ancora che continuavano a correre senza
una meta precisa, preda del più totale panico.
Thad invece si sentiva in colpa.
Si sentiva in colpa per aver costretto Sebastian a restare sulla nave
troppo a lungo facendogli perdere così anche la
sua possibilità di salvarsi. Quando erano saliti
non erano riusciti a trovare Kurt in quel caos infatti, e di scialuppe
non vi era più ombra. Se solo avesse saputo prima
che non c'erano abbastanza imbarcazioni per salvarsi, se solo Sebastian
glielo avesse detto, lo avrebbe seguito subito e solo per essere certo
che si mettesse in salvo.
Non gli importava molto di cosa sarebbe successo a lui in quel momento.
Voleva solo essere certo che Sebastian si mettesse in salvo.
Quando raggiunsero le scalinate che portavano alla poppa, furono
costretti a rallentare perché la gente le aveva
invase per salire e stavano procedendo davvero lentamente.
Sebastian si avvicinò ancora di più a Thad fino
ad essere praticamente attaccato al suo corpo ma nessuno badava a loro
o trovava strano tale atteggiamento in quel momento. Avevano altro a
cui pensare del resto.
"Se restiamo il più a lungo possibile sulla nave dopo ci
basterà raggiungere a nuoto una delle scialuppe vicine e
saremo in salvo, vedrai" ripeté Thad per l'ennesima volta.
Aveva perso il conto di quante volte aveva detto quella frase cercando
di convincere più se stesso che Sebastian. Sapeva che la
temperatura dell'acqua era di 0 gradi e che lì dentro le
persone avrebbero potuto sopravvivere al massimo 10 minuti. Solo 20 se
riuscivano a continuare a muoversi.
"Volevi lasciarmi, vero?" chiese a un tratto Sebastian
cambiando del tutto discorso, direttamente nel suo orecchio,
e Thad si voltò verso di lui per quanto la gente pressata su
quelle scale e addosso a loro gli consentiva di fare.
"Cosa?"chiese stupito.
"Per favore, Thad, dimmelo. Almeno adesso sii sincero con me, ti prego"
uggiolò Sebastian e a Thad si spezzò il cuore.
Sebastian aveva avuto la salvezza sicura nel palmo della mano ed era
rimasto su quella nave per lui. Essere onesto era il minimo che Thad
poteva fare per lui adesso.
"Sì, volevo lasciarti" disse perciò, e subito
afferrò anche l'altra mano di Sebastian e la strinse insieme
all'altra sopra il suo busto di modo da impedirgli di allontanarsi da
lui.
"Non pensavo che avrei potuto sopportare di dividerti con lei"
continuò poi procedendo ancora lentamente e portandosi
dietro Sebastian che stava cercando, probabilmente per rabbia, di far
sì che Thad lasciasse le sue mani. Non con molta convinzione
comunque, per fortuna. "Ma stasera, quando mi hai detto
quelle cose in cabina ho cominciato a credere che forse ce l'avrei
potuta fare. Che se voleva dire restare con te, avere il tuo amore,
forse avrei potuto sopportare anche il dolore di dividerti con
qualcun'altro."
"Il tuo forse non è incoraggiante" protestò
Sebastian alzando un po' la voce per farsi udire sopra gli schiamazzi
della gente che avevano intorno.
Thad arrivò in cima alle scalinate e poi trascinò
di lato Sebastian, perché aveva bisogno di un momento solo
loro, un momento in cui spiegarsi e farsi capire anche in quel
disastro. E voleva guardare negli occhi l'altro mentre lo faceva.
"Lo so. Ma non conta. Perché questa sera, quando
tu mi hai detto delle scialuppe, quando ho capito che esisteva la
possibilità che ti perdessi per sempre, è stato
tutto chiaro per me. Io ti amo, Sebastian. Non ho amato mai nessuno
più di quanto ami te, nemmeno me stesso. E non importa
quanto dovrò soffrire o lottare pur di starti vicino. Non
farlo mi farebbe soffrire solo il doppio. Tu sei come l'aria per me. E
quando saremo fuori da questo inferno, se tu vorrai io
continuerò ad essere il tuo servo di giorno e il tuo amante
di notte. Tutto quello che vuoi, pur di non perderti. Pur di non
provare più la paura che sto sentendo in questo momento."
Sebastian sorrise teneramente a quelle parole e portando una mano ad
accarezzare il volto di Thad, disse: "No, non voglio questo." Una frase
che spiazzò un po' l'altro.
"E cosa, allora?"
"Voglio che tu ti senta a tuo agio. Voglio che tu sia felice del tuo
ruolo. Voglio che tu abbia la certezza che se anche non posso urlarlo
al mondo, io è te che amo. E quando tutto questo
sarò finito, se tu vorrai andare io ti lascerò
libero di farlo."
"Ma io voglio restare con te."
"E allora lo farai, ma solo perché tu avrai deciso di
farlo." Sentenziò Sebastian e Thad lo attirò in
un abbraccio, felice.
"Mi stai lasciando libero?"gli chiese sussurrando direttamente nel suo
orecchio.
"Ti sto lasciando libero di amarmi da pari, se è questo
quello che vuoi, ma amami, Thad. Per il tempo che ci resta, fallo, ti
supplico"rispose Sebastian con amore e Thad lo strinse ancora di
più a se.
In tutti quei mesi aveva creduto che fosse la libertà quella
che anelava, ma in realtà era solo la libertà dal
suo ruolo di servo. Voleva essere in grado di amare Sebastian da pari,
e nulla più.
Sperava solo di non averlo scoperto troppo tardi.
La gente intorno a loro continuava a incitarsi a sbrigarsi, e a
muoversi verso poppa e nessuno prestava attenzione a quei due ragazzi
stretti l'uno all'altro nei pressi di quella scalinata che si stava
inclinando sempre di più.
Quando Thad si staccò da lui, Sebastian gli sorrise di nuovo.
"Cerchiamo di restare su questa nave il più a lungo
possibile, va bene?"disse poi.
"D'accordo" gli rispose Thad.
I due si presero di nuovo per mano e uniti in quel modo ricominciarono
a salire verso la poppa.
Non sapevano cosa avrebbe riservato per loro il futuro.
Ma avevano ancora una speranza e tutta l'intenzione di lottare per
diffenderla.
E il loro amore.
Avevano ancora il loro amore.
XXXXXX
Verso le 2.10 la poppa del Titanic si sollevò al punto di
formare un angolo di 30° con la superficie del mare,
stagliandosi contro il cielo stellato. La forza terrificante
generata dall'emergere dello scafo provocò il lento
schiacciamento della chiglia e la dilatazione delle sovrastrutture, che
portarono lo scafo quasi al punto di rottura.
La ciminiera di prua si staccò, mentre l'acqua ruppe i vetri
della cupola e inondò lo scalone riversandosi nella nave.
Alle 2.15 il circuito elettrico dell'intero scafo sì
interruppe all'improvviso gettando il Titanic nel buio più
nero.
Dopo cominciò l'ultima parte di quell' inferno.
XXXXX
Santana non sapeva più che cosa stava guardando. Non sapeva
che cosa stava sentendo.
Tranne per il fatto che... lo sapeva. Lo sapeva fin troppo bene, ed era
tremendo.
La scialuppa sopra cui si trovava era ferma nell'immobilità
dell'oceano nero che la circondava. L'aria le si addensava davanti al
viso e le sue mani erano fredde, quasi congelate, nonostante il
manicotto che si era portata dietro.
E le urla... quelle non smettevano.
Erano lontano, eppure ovunque.
Santana osservava impietrita il Titanic che, rimasto al buio, si
alzava, lasciando fuori dall'acqua solo la poppa, e continuava a
sentire quelle urla, a vedere persone che si gettavano in acqua, altre
che venivano risucchiate dai finestrini ormai esplosi della nave stessa
e riportate al suo interno.
Un gigante che si stava accartocciando su se stesso.
C'erano delle persone che si agitavano nell'acqua lì vicino,
persone che erano cadute o si erano gettate dalla nave prima che si
innalzasse.
Ma la cosa peggiore era il riverbero del rumore metallico dei corpi
che, per la posizione della nave, venivano spediti contro le sue
parti metalliche.
Santana avrebbe voluto tapparsi le orecchie per tagliare fuori quei
suoni e distogliere lo sguardo per non assistere a quell’
inferno ma non poteva, attratta e al tempo stessa respinta da tutto
quel dolore.
Qualcuno vicino a lei continuava a dire: "Oh mio Dio, oh mio
Dio" senza sosta ma tutto il resto era silenzio.
Tranne che per le urla.
Non aveva capito. Lei non aveva capito che la situazione fosse
così grave. E aveva lasciato là sopra Sebastian,
e aveva fatto in modo che Brittany tornasse in cabina credendo che
sarebbe stata al sicuro.
E adesso non poteva far altro che sperare che fossero tutti in salvo su
una delle altre scialuppe.
Prima che il ponte fosse completamente sommerso, il Titanic
s'innalzò verticalmente per tutta la sua lunghezza e, forse
per 5 minuti, almeno 150 piedi della nave di
alzarono sopra il livello del mare, diretti contro
il cielo.
A un tratto uno strano rumore coprì tutto e osservando il
punto in cui la nave si era inabissata, Santana vide che la chiglia si
stava spaccando in due probabilmente per il peso della stessa poppa
rimasta fuori dall'acqua. Quando lo fece, la parte posteriore del
imbarcazione piombò con velocità di nuovo sul
letto dell'acqua.
Le urla si triplicarono, allora.
E Santana sperò per un attimo che sarebbe finita. Ma dopo
qualche secondo la nave si alzò di nuovo inesorabilmente
seguendo la prua inabissata. L'acqua era penetrata all'interno della
crepa di spezzamento e stava velocizzando l'affondamento del
troncone di prua infatti, consentendo alla poppa di rialzarsi
perpendicolarmente.
Solo che stavolta non si fermò quando fu in
verticale e cominciò presto a inabissarsi del tutto a sua
volta.
Non ci mise molto a sparire dai loro occhi. Il mare
inghiottì il gigante che era stato il Titanic nel giro di
pochi minuti.
Erano le 2.20 della notte del 15 aprile 1912.
Le urla intorno continuarono dopo, ma non per molto tempo. Non quanto
Santana si era aspettata che avrebbero fatto.
Divvennero via via più deboli con il trascorrere dei minuti.
L'acqua era gelida, lo sapeva. E quanto poteva un corpo sopravvivere
immerso in quelle temperature?
Santana pensò che dovevano fare qualcosa. Che forse
avrebbero dovuto tornare indietro con le scialuppe per aiutarli. E a un
tratto una delle altre donne espresse chiaramente ad alta voce il suo
pensiero. Santana sentì uno dei marinai
risponderle urlando che non potevano farlo, che sarebbe stato
pericoloso e avrebbero imbarcato solo acqua. Ma la donna non smise di
dire che era loro dovere.
"Sono i vostri mariti e figli quelli. Che cosa vi prende
donne, possiamo farlo, possiamo fargli posto." Diceva la donna con
enfasi. E solo quando anche le altre cominciarono ad appoggiarla allora
uno degli ufficiali disse che era vero e si prodigò per far
si di svuotare una delle scialuppe trasferendo il loro contenuto in una
di quelle semivuote per tornare indietro.
Quando lo fecero Santana sperò che fossero in tempo.
Sperò che qualcuno li avrebbe perdonati per non aver agito,
per aver aspettato.
Non si sentiva più nulla però, ormai.
Non un urlo. Non un’invocazione.
C'era solo silenzio intorno.
Solo il suono del mare.
E poi solo lacrime.
Solo... il niente.
Erano le 4.45 del 15 aprile 1912.
1518 persone erano finite in acqua quando il Titanic si era inabissato.
Le scialuppe avrebbero potuto ospitarne altre 500 ma solo una di loro
tornò indietro, quasi due ore dopo.
Una su venti.
60 passeggeri riuscirono a raggiungere a nuoto le scialuppe vicine dopo
l'inabissamento del Titanic e solo 6 persone furono
salvate dalle acque, ancora vive, dall'unica scialuppa tornata
indietro.
66 su 1518.
Ora dimmi: come puoi perdonare questo?
L'angolo della pirla che scrive ‘sta roba:
ç_ç e ancora ç_ç
Ed è tutto qui, lo vedete. Che fine hanno fatto Blaine e
Kurt credo sia chiaro, come per Brittany. E Thad e Sebastian?
Lo saprete nell'epilogo. Per ora solo Santana è sicuramente
salva e mi spiace se ciò delude molti di voi ma dovevo
essere il più onesta con la vera storia del Titanic e una
donna nella posizione di Santana sarebbe stata OVVIAMENTE salvata
subito.
E quando vi sarete ripresi se volete leggere qui sotto vi spiego alcune
cose tecniche che sono diverse dal film e perché.
- L'iceberg che colpì il vero Titanic non era grosso come
quello del film e non era bianco (quelli sono ghiacci dell'equatore).
Era a dire il vero più basso, con i bordi frastagliati e
cosiddetto nero (iceberg artico che era poi la zona dove si trovavano),
praticamente impossibile da vedere di notte. In ogni caso nel film
durante l'affondamento non vi è più traccia di
quel gigante e visto che la nave non poteva essersene distanziata molto
dopo l'arresto dei motori questo è un errore di Cameron. In
questa ff Kurt dice di vederlo solo perché la nave
è ancora vicina appunto e con le sue luci accese (fino a che
esse rimasero tali almeno) l'iceberg era più che visibile
come si evince dagli stessi racconti di alcuni sopravvissuti. Ho
pensato che inserire questo dettaglio fosse fondamentale visto che esso
era la causa del loro disastro, e trovo assurdo che nessuno ci pensasse
nei momenti in cui stavano affondando.
- Fu il capitano Smith a insistere che venissero salvate prima donne e
bambini, non uno dei suoi ufficiali. L'uomo sapeva che la nave non
aveva la quantità necessaria di scialuppe e credeva che
salvare loro fosse più importante. Non parlò
della terza classe nello specifico e anzi furono i suoi uomini e
seguire il protocollo non ufficiale e a tenere chiusi i
cancelli per permettere a quelli di prima classe di salvarsi per primi.
Certi protocolli furono aboliti solo dopo questo disastro
infatti. Il protocollo ufficiale ovviamente diceva solo di
salvare per primi i passeggeri di prima classe, poi quelli di
seconda e infine quelli di terza. In poche parole, più che
seguire il protocollo, che dava comunque modo anche alla terza classe
di salvarsi se ovviamente le scialuppe fossero state sufficienti,
l'equipaggio del Titanic operò una vera e proprio scelta che
portò alla morte quasi tutti i passeggeri di quella classe.
Quando Smith lo seppe ovviamente fece aprire subito i cancelli. Le
parole: "Dategli la possibilità di salvarsi. Sarà
Dio a scegliere, non spetta a noi" che Cameron per
metà usa anche nel film ma facendole dire a un passeggero di
terza classe, in realtà furono sue. Non so perché
Cameron abbia voluto mostrare Smith come un debole. Non lo fu. Fu un
grande capitano e in quell'occasione lo fu più che mai.
Purtroppo aprire i cancelli non aiutò i passeggeri di terza.
Come racconto qui per la disposizione della nave per loro fu davvero
difficoltoso raggiungere i ponti di prima, e quando ci riuscirono era
ormai troppo tardi. Anche per questo le vittime sono prevalentemente di
terza classe.
- Allo stesso modo Cameron fa apparire anche Molly Brown come una
debole nel film. La Brown era però una grandissima donna. Lo
era stata prima del Titanic e lo divenne ancora di più
dopo. L'unica scialuppa che tornò indietro fu
proprio la sua e lo fece perché
Molly insisté che ciò fosse fatto. E
non fu facile. Ci mise ore per spuntarla. Fu lei stessa a restare a
comando della scialuppa in cui furono trasferiti i passeggeri
per svuotare quella che poi effettivamente tornò indietro.
La storia l'ha ribattezzata "l'inaffondabile Molly Brow" per un motivo
che di nuovo nel film Cameron non mostra. Non so perché. La
donna che Santana sente litigare con gli ufficiali in questa storia
comunque è lei, perché vi sia chiaro.
- Resto vaga sulle sorti di Murdoch perché non è
certo che sia lui l'ufficiale che si è sparato in testa dopo
aver colpito alcuni passeggeri che stavano cercando di scavalcarne
altri per salire sulle scialuppe. Alcuni superstiti dissero che questo
era successo, altri asserirono che a sparare furono altri ufficiali e
altri ancora dissero di averlo visto lottare in mare con gli altri dopo
l'inabissamento del Titanic. Il suo corpo non fu tra quelli
recuperati perciò non ci sono certezze. Murdoch fu colpevole
della manovra che fece affondare il Titanic e forse molti hanno voluto
romanzare la sua fine dandogli un intimo senso di colpa che lo
portò al suicido. E' sicuro che se invece di virare avessero
centrato l'iceberg con la punta della prua, la nave avrebbe resistito
alla collisione e non avrebbe imbarcato acqua, ma non penso
gli si possa fare una colpa di questo. L'iceberg, proprio
perché non come appare nel film ma più nascosto
diciamo, fu visibile solo all'ultimo e lui dovette pensare
molto in fretta. Di sicuro se sul ponte ci fosse stato il capitano
Smith, con tutta la sua esperienza, ciò non sarebbe successo
ma di questo non è colpevole Murdoch. In effetti solo Ismay
quando comandò l'accensione anche degli ultimi motori pur
avendo ricevuto l'avviso iceberg lo fu. Di sicuro la ridotta
velocità della nave avrebbe aiutato e evitare l'iceberg e
comunque avrebbe portato meno danni alla nave. Purtroppo
però la velocità era molto elevata. E lui fu tra
i primi a scendere dalla nave e mettersi in salvo. L' UNICO tra i
lavoratori della White Star Line presenti a bordo a farlo. Anche il
progettista del Titanic infatti, Thomas Andrews, rimase a
bordo per aiutare i passeggeri e morì quella
notte.
I personaggi su cui mi soffermo e di cui vi racconto la morte o la
salvezza, tranne ovviamente, Kurt, Blaine, Brittany, Santana, E Robert
William Daniel sono personaggi davvero imbarcati sul Titanic. Daniel
era a sua volta davvero passeggero della nave, passeggero di prima ma
il cui corpo non fu mai ritrovato e non si sa come sia morto.
Si dice che sia morto come vi narro ma non vi sono prove di questo.
Anche il cane Rigel assume diverse identità. Per alcuni
è un terrier salvato dalla Carpatia, per altri un
bulldog che morì con il suo padrone. Nessuna di queste
storie ha però dei reali riscontri. A me è
piaciuta la storia e scoperto che sul Titanic c'erano davvero
tantissimi animali e che solo 3 di essi si salvarono ho voluto inserire
quel pezzettino. Non è storia però, per cui non
prendetelo per vero.
Ora vi rimando all'epilogo. Ci sono ancora delle cosine da dire. Ma vi
avverto... sarò onesta con questa ff. Niente finali in cui
la gente trova una bolla d'aria calda che li salva dal morire ad
esempio. (Chiedete alla mia beta o a mia madre. Solo loro trovano film
simili mi sa) Avete voluto conoscere la mia fine, e non sarà
facile.
Alla prossima(ossia Lunedì 27 gennaio)
Baci Bay24
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