Where did you go?
[dove sei andato]
Takanori Matsumoto non
ricordava nulla di quella notte. Né le
sirene dell’ambulanza –tantomeno quelle
della polizia-, il dolore..o semplicemente lo sballo. Era andato in
overdose, e
suo fratello Sasaki per soccorrerlo il più velocemente possibile aveva
premuto
un po’ troppo il piede sull’acceleratore,
non aveva rispettato la precedenza e una mercedes blu
metallizzata gli
era venuta addosso. Insomma, quella notte all’ospedale c’erano andati
entrambi
in condizioni estremamente gravi. Solo che era toccato a Sasaki morire.
Tell
me would you kill to save your life?
Tell
me would you kill to prove you're right?
[dimmi, uccideresti per salvarti la vita?
Dimmi,
uccideresti per provare di avere
ragione?]
Da piccolo Takanori rovinò irrimediabilmente
l’unica foto
che sua madre aveva della nonna da giovane. A distanza di anni ancora
rammentava le urla e le minacce della sua haha* e, soprattutto, sentiva
ancora
perfettamente il rimorso e il dispiacere che aveva provato.
Quell’immagine era
unica, preziosa e irripetibile. Di solito sono le cose uniche, preziose
e
irripetibili a rompersi.
Takanori si era sempre sentito più grande della
sua età.
Come tutti gli adolescenti. Era convinto di essere abbastanza grande
per la
prima sigaretta, la prima assenza
ingiustificata a scuola di cui i suoi genitori non sapevano
nulla, il primo porno, la prima canna, il
primo
approccio con il sesso, la prima sbronza, la prima scopata.. “si vive una volta sola” e “ se non lo
faccio ora non lo farò mai più”
era due delle frasi che più spesso si ripeteva.. più che motti veri e
propri, quelle
fungevano da incoraggiamento, ma questo Takanori preferiva non dirselo.
Diventare consapevole e accettare di essere gay
non era
stato nulla di così complicato o traumatico, non capiva il perché la
maggior
parte degli omosessuali dovesse vittimizzare la propria situazione. “Io sono come sono.” anche ripetersi
questo aiutava a farlo sentire il padrone assoluto del mondo.
I suoi genitori furono molto comprensivi e aperti
quando lui
fece coming out, e la questione si risolse con un “sii
felice.. in qualunque modo te la permetta la tua inclinazione”. Quello, invece che un augurio, fu percepito da
Takanori come un permesso. Permesso a dare libero sfogo a tutte le sue inclinazioni.
Il mondo –il SUO mondo -però, imparò Takanori, non
era
aperto come i suoi genitori, e finì che nella situazione vittimizzata
di molti
omosessuali ci finì anche lui.
Le sue certezze precarie iniziarono a implodere
senza fare
rumore alcuno, e ben presto dovette trovarne altre.
I nuovi amici che si era trovato non giudicavo..
ma
esigevano una tassa per quella accettazione. Desideravano che facesse
l’alternativo fino in fondo, e dal momento che Takanori si sentiva già
di per
sé diverso dalla massa, la richiesta implicita della nuova comitiva non
fu poi
tanto drastica.
Loro non dissero nulla, si limitarono a fargli
vedere come
vivere, dato che a volte i fatti parlano più delle parole. Gli
insegnarono ad
andare contro alla società, gli offrirono droghe via via sempre più
pesanti.
Dicevano che quello era il miglior modo di evadere. Per essere vivo.
Per essere
unico, prezioso e irripetibile.
Tassello su tassello demolirono e ricostruirono
Takanori.
No matter how many breaths that you took, you still couldn't
breathe.
[Non importa quanti respiri hai
preso, non riuscivi ancora a respirare]
Dopo la morte di suo fratello, tutto era cambiato
e tutto
era restato immutato. C’era silenzio a casa sua. Sempre. Voleva stare
in
isolamento come il peggiore fra i carcerati; perché si, lui aveva
ucciso un
uomo e nessuno, neanche i suoi genitori glielo avevano mai rinfacciato.
Non se ne parlava. Era stato solo un incidente.. e
mamma e
papà, così aperti mentalmente, non avevano mai puntato il dito contro
di lui.
Nei momenti di più buia disperazione, negli attimi
in cui il
cuore sembrava pompare veleno e schegge di vetro taglienti come rasoi
che
graffiavano e facevano sanguinare l’anima, nell’affannata ricerca di un
perché,
allora quella colpa, quella accusa sottintesa si ravvivava e strisciava
silenziosa in ogni stanza, in ogni angolo alla ricerca di Takanori.
La droga era ritornata in suo soccorso. Bucarsi
sembrava
l’unica maniera di nascondersi dalla consapevolezza di aver ucciso il
proprio
fratello.
Caino era stato graziato da Dio, intoccabile fino
alla fine
dei suoi giorni.
Takanori era stato graziato dagli stupefacenti,
forbici che
tagliavano e accorciavano la sua vita, garze e cerotti per tenere
insieme ciò
che era rimasto.
I suoi genitori avendo visto la situazione
degenerare,
avevano deciso di farlo curare. Psicologi e esperti ormai intasavano la
sua vita,
entravano di giorno quando ogni cosa era illuminata. Ma di notte,
quando
neanche il cielo aveva occhi, la droga sotto al materasso aiutava ad
eliminare
il mondo.
Al processo, quello mortale, quello istituito
dagli uomini, non
ci furono vincitori, solo vinti, solo feriti. Fu archiviato tutto come
“incidente” . Ancora un volta il dito non fu puntato contro nessuno, e
il senso
di colpa sorrise e abbracciò forte Takanori.
I need of a heartbeat
[
ho
bisogno di un battito di cuore]
Ci sono cose che accadono solo agli altri.
Omicidi, malattie
rarissime, rapimenti e persone scomparse si sentono solo al TG della
sera.
Tumori, incidenti d’auto, aborti o ricoveri gravi sono argomenti di cui
si
sente parlare a pranzo in famiglia, nelle occasioni speciali come feste
o
ricorrenze, per riempire i silenzi fra
una portata e l’altra.
Ryo Suzuki si annoiava a morte nel sentire questi
tipi di
discorsi. Una prozia a Nagoya che era affetta da un tumore al seno, o
un cugino
di un cugino che giaceva in coma in un letto di ospedale dopo un
incidente, non
lo avevano mai preoccupato più di tanto. Non si era mai fermato a
pensare a
queste cose dopo che venivano raccontate da una zia zitella che viveva
di pane
e malattie altrui.
Tutto è indefinito e lontano quando non ti tocca.
Assistere
ad un temporale, dietro una finestra ermeticamente chiusa è diverso dal
doverlo
affrontare in strada, senza ombrello.
Così, quando si era ritrovato nel bel mezzo di una
tempesta,
nudo e vulnerabile, si era sgretolato come intonaco vecchio pendente
dalle
pareti.
L’incidente d’auto di cui era stato vittima e
carnefice, era
diventato il suo uragano personale. Quell’assurda sera una vita si era
spenta,
quell’assurda notte quella sana indifferenza, di cui sono dotati la
maggior
parte degli umani verso le disgrazie altrui, si era crepata e
lentamente aveva
finito per distruggersi.
Sembrava che quel pezzo di sé non sarebbe mai più
tornato.
Sembrava che quel perdono che bramava tanto da parte da se stesso,
dovesse
rimanere per sempre una chimera.
Chiedere scusa agli altri in situazioni così
delicate è come
voler spegnere un incendio usando un unico bicchiere d’acqua, ma per
una
persona come Ryo, che mai in vita sua avrebbe pensato di dover scontrarsi così violentemente con la morte,
il pensiero di dover domandare e magari ricevere il perdono da quel
piccolo
nucleo famigliare ormai sventrato, sembrava così giusto, così adeguato
che non
si fece problemi.. finchè non si trovò davanti alla porta di quella
dannata
casa.
Una volta lì il coraggio di cui si era armato, era
venuto
meno. Suonare il campanello per annunciare la propria presenza sembrava
volesse
dire sfidare un leone a mani nude.
Inghiottì rumorosamente e poi lasciò che il suo
indice
timoroso schiacciasse il campanello.
Quanto passò? Attimi, secondi, minuti? Ryo misurò
il tempo
in battiti cardiaci.
Quando la porta si aprì e due occhi color
cioccolato lo
fissarono freddi e silenziosi, Ryo capì che forse chiedere perdono non
era
abbastanza.
-Io sono..- cominciò
il più alto.
-So chi sei. Ti ho visto in tribunale. Ryo Suzuki
dico
bene?-
Non “il ragazzo che ci è venuto addosso uccidendo
mio
fratello”, nessuna rabbia nelle parole di Takanori.
L’altro annuì incapace di parlare. Era difficile
aprire
bocca quando la gola era così secca e le corde vocali interamente
congelate.
-Entra.-
Perché, perché rifiutare sembrava così sbagliato?
Perché
entrare sembrava così inopportuno?
Perché in quei due occhi così meravigliosamente
ben fatti,
non c’era traccia di vita?
Crash,
crash, burn let it all burn
This
hurricane's chasing us all underground
[Schiantati, schiantati, brucia
lascia bruciare tutto
Questo uragano ci rincorre dal
sottosuolo]
Takanori fissò spudoratamente il viso di Ryo che
sembrava
essere a disagio e si muoveva continuamente su quel divano come se
avesse un
braciere rovente sotto al sedere.
Le mani erano intrecciate in grembo, ed erano così
strette
l’una all’altra che le nocche erano sbiancate.
-Io sono qui per..-
-Vuoi qualcosa da bere?- Takanori non voleva
sentire il
motivo per cui lui era qui. Gli era palese e già questo bastava a
fargli
annaspare l’anima in cerca di ossigeno.
Ryo rimase interdetto a quella richiesta e
semplicemente
scosse la testa in segno di diniego.
Calò ancora il silenzio e le unghie del più grande
trafissero la carne viva del palmo.
-Sanguini.-
-Cosa?-
-La tua mano.-
Ryo abbassò lo sguardo su quell’intreccio
asfissiante di
dita e fissò le piccole ferite che si era auto inferto.
Vedere quella vita scorrere via dalla sua pelle lo
incantò a
tal punto che non si accorse di Takanori che era andato via ed era
ritornato
nella stanza con qualcosa fra le mani; si scosse solo quando il respiro
del più
piccolo si vece così vicino da essere udibile.
-Porgimi il palmo.- Ryo obbedì meccanicamente e si
lasciò
medicare con una cura, da parte di Takanori, quasi maniacale.
-Perché mi hai lasciato entrare?- chiese Ryo
evitando
deliberatamente i suoi occhi. –Non mi
odi?-
-Dovrei?-
-Io ho..- la verità era così terribile da tradurre
in parole
che Ryo lasciò che questa aleggiasse nelle proprie parole omesse.
-Lo abbiamo fatto insieme. Non sarebbe stato su
quella
macchia se non fosse stato per me.-
I due allacciarono i loro sguardi per un momento. Quella condivisione di colpe li stava facendo
respirare.
Do
you really want?
Do
you really want me?
Do
you really want me dead or alive to live the lie?
[Lo vuoi veramente?
Mi vuoi veramente?
Mi vuoi veramente, vivo o morto,
per vivere una bugia?]
C’erano quei momenti, quei rari ed estremamente
effimeri
momenti, in cui sembrava smettere di
ricordare.
Di solito accadeva appena sveglio, quando il sonno
confondeva ogni cosa.
Quando era fatto.
Quando dormiva.
Quando faceva sesso.
Quando faceva sesso con Ryo.
Era un continuo andare alla ricerca di un letto,
di eroina,
di piacere, di Ryo. Il corpo dell’amante –si, amante. Takanori non lo
definiva
in nessun’altro modo- era la medicina più completa e appagante. Stare
con Ryo,
scopare con Ryo, parlare con Ryo lo illudeva di essere ancora
perfettamente
integro.
Ormai si vedevano ogni giorno, uccidevano insieme
il
silenzio che aveva fatto sanguinare le loro orecchie per troppo tempo,
compensavano la loro solitudine toccandosi e ricercando ognuno il
proprio
piacere. Il sesso non era un momento di condivisione, non si amavano
come
avrebbe fatto una coppia normale. Il loro donarsi all’altro era, in
realtà, un
tornare a se stessi.
There is a fire inside of this heart and a riot about to
explode into
flames
Where is your God? Where is your God? Where is your God?
[C’è un incendio all’interno di
questo cuore e una rivolta che sta per esplodere in fiamme
Dov’è il tuo dio? Dov’è il tuo
dio? Dov’è il tuo dio?]
Era da tre mesi che vivevano insieme, ma dormivano
in letti
e stanze separati. Non capitava mai, neanche quando la stanchezza dopo
il sesso
era troppa, che Takanori rimanesse a dormire nel letto matrimoniale con
Ryo.
I genitori di Takanori non avevano insistito molto
per far
si che lui restasse sotto il tetto paterno. Avevano dettato come unica
legge,
quella di continuare ad essere seguito da l’equipe di
esperti che avrebbero dovuto garantire la
sua disintossicazione.
Quell’agosto era particolarmente caldo, e
tormentato dal
caldo Ryo aveva preso l’abitudine di affacciarsi nella camera di
Takanori per
guardarlo dormire.
Ormai si era abituato ai segni che quel dolore
sordo aveva
lasciato sul più piccolo. Vedere i marchi della droga e dell’accecante
rabbia
verso se stesso non lo turbava più.
Guardare la luna accarezzare la pelle nuda e
sudata del suo
compagno era qualcosa di magico. Gli faceva venire voglia di stendersi
accanto
a lui e sostituire con le sue dita i raggi argentei che illuminavano il
suo
volto.
Tenere a freno quella voglia viscerale era tutto
tranne che
semplice. A volte semplicemente, doveva imporsi di andare via, e
sottrarsi alla
vista di quel peccato vivente.
The quiet silence defines our misery
The riot inside keeps trying to visit me
[Il silenzio definisce la nostra
miseria
La rivolta tenta ancora di farmi
visita]
Takanori aveva sviluppato un rifiuto patologico
per il
cimitero. Non aveva intenzione di vedere la tomba di suo fratello, e
Ryo non
insisteva mai per convincerlo ad andare.
C’era un tacito accordo fra quei due. C’era un
tacito
accordo fra i loro subconsci.
Si parlava di tutto, tranne che di Sasaki, o della
sua
morte. Non si sentivano telegiornali. Non si incvitavano a casa zie
zitelle.
Non si rideva mai più del dovuto.
Quella loro realtà
costruita su una lastra sottilissima di ghiaccio, fatta di incoscienza
e voluta
indifferenza verso il resto del mondo, li faceva rimanere stabili.
“Ciò che non affronti non può ucciderti” ha
scritto qualcuno,
e in casa Suzuki-Matsumoto, quella frase dettava legge.
I genitori di Taknori non andavano mai a trovarlo,
e lui non
sentiva il bisogno di tornare a casa. Vivere lontano dalla camera che
era
appartenuta a Sasaki, dai corridoi che lui aveva percorso, dalle stanze
in cui
aveva vissuto gli faceva solo del bene.
Sembrò che questo concetto l’avessero capito anche
i suoi
genitori poiché una sera lo chiamarono.
-Vendiamo la nostra casa.-
Non c’era bisogno di sapere il perché.
-La compro io.- la voce del loro figlio
era così determinata che li lasciò entrambi spiazzati.
Silenzio. Il cuore di Takanori era arrivato in
gola.
-Perché?- la voce di sua madre non era mai
sembrata così
mortalmente stanca.
-Perché lui è lì.-
Si, poteva vivere stando lontano dalla casa dove
aveva
vissuto con suo fratello.. ma aveva
bisogno che quella casa rimanesse nelle mani della sua famiglia. Aveva
bisogno
che la camera di Sasaki rimanesse esattamente così come lui l’aveva
lasciata
quella terribile notte.
Finita la chiamata, Ryo lo guardò gelido. Aveva
capito
tutto.
-I..Io..-
-Zitto.- ringhiò il più alto e se ne andò nella
sua stanza
sbattendo la porta.
No matter how we try, it's too much history
Too many bad notes playing in our symphony
[Non importa quanto ci proviamo,
c’è troppa storia
Troppe note brutte che suonano
nella nostra sinfonia]
Alla fine casa Matsumoto non si vendette più. I
genitori di
Takanori decisero di tenere per loro quell’inferno di mura e cemento, e
Ryo
gliene fu infinitamente grato.. ma qualcosa in quella lastra di
ghiaccio di
pochi millimetri su cui avevano costruito la loro storia si era crepato.
Il vaso di pandora era stato scoperchiato e pian
piano gli
orrori nascosti da quelle palpebre che avevano mantenuto serrate per
quasi un
anno, erano venuti alla luce.
Takanori non guariva. Lo psicologo non veniva a
casa loro da
un mese, ed erano ormai rari i momenti in cui il più piccolo sembrava
essere
lucido.
Ryo aveva imparato ad amare quel ragazzino dagli
occhi
spenti.. ma Ryo voleva essere felice.
Con Takanori si stava lentamente avvelenando.
Senza Takanori
sarebbe morto.
Decidere di mandare Takanori in clinica contro la
sua
volontà, era stata la cosa più difficile che aveva fatto. Vedere il suo
piccolo
dibattersi fra le braccia degli infermieri che tentavano di tenerlo
fermo lo
aveva costretto a chiudersi in bagno e vomitare anche l’anima.
Le urla e i pianti di Takanori lo avevano
tormentato per
tutte le notti seguenti. Avrebbe voluto strapparsi il cuore per
allontanare
tutto quel dolore.
Takanori non voleva vederlo. Ogni giorno, Ryo
andava in
clinica per fargli visita,e lui lo mandava via, o tentava di
picchiarlo.
Vedere la bestia che era diventato, faceva tremare
il più
grande che appena uscito da quell’edificio si rinchiudeva in auto a
singhiozzare come un bambino.
Con il passare dei mesi Takanori dimagriva sempre
di più, e
le occhiaie sotto gli occhi diventavano di un preoccupante viola scuro,
e ormai
non parlava nemmeno più, né tentava di assalirlo.
Stava fermo sulla poltrona a fissare il vuoto. Ryo
gli
parlava, lo accarezzava, lo baciava, lo scaldava.. e forse fu proprio
per
quello che il cuore di Takanori continuò a battere.
Do you really want?
Do you really want me?
Do you really want me dead or alive to torture for my sins?
[Lo vuoi veramente?
Mi vuoi veramente?
Mi vuoi veramente vivo o morto
per torturarmi per i miei peccati?]
Takanori aveva ripreso a mangiare. Lo faceva solo
con Ryo.
Stava con Ryo. Sentiva parlare Ryo.
Gli sfioramenti fugaci erano diventati i respiri
che loro si
negavano.
I “ti amo” sussurrati da parte di Ryo, valevano
più delle
medicine che gli davano per stare meglio.
Lentamente Takanori ricominciò a parlare. Forse
“parlare”
era una parola grossa. Diciamo che si limitava a rispondere a
monosillabi alle
domande che gli venivano poste.
Un pomeriggio particolarmente piovoso, Takanori
era seduto
sulle gambe di Ryo e aveva la testa poggiata sul suo petto.
Nella stanzetta che facevano usare a Ryo per le
sue visite
giornaliere, non si sentiva altro se non il ticchettio della pioggia
sui vetri
delle finestre.
-Sai che giorno è domani?-
-Si.-
Ryo sentì una stretta al cuore a quella risposta.
In quelle
due lettere c’era tutta l’angoscia che sentiva anche dentro di sé.
L’indomani sarebbe stato l’anniversario della
morte di
Sasaki. Mai, in quel giorno, avevano mai dato peso alla cosa.. era
stato per
loro solo un ennesimo “chiudere gli occhi e far finta che quello non
esista”.
-Sono già passati tre anni..- commentò pensieroso
il più grande
guardando fuori dalla finestra.
-Ryo?- l’interpellato guardò i due occhioni color
cioccolato
del compagno. Erano.. lucidi? Non aveva mai visto tanta emozione in
quello sguardo.
-D..domani.. portami un..a sua
f-fotografia..ti prego..- la voce era roca, come quella di
qualcuno che era rimasto in silenzio per troppo tempo.. e in fondo era
così.
Ryo sgranò gli occhi per la lunghezza di quella
frase e
ripresosi dallo shock, poggiò le sue labbra sulla fronte del suo
fidanzato.
Running away from the light
Running away from the light
Running away to save your life
[scappando dalla luce
Scappando dalla luce
Scappando per salvarti la vita]
Ryo chiuse il bagagliaio dell’auto e il suo
sguardo si posò
su Takanori che stava fermo accanto alla macchina, e ad occhi chiusi si
godeva
la sua ritrovata libertà.
Il salutare rossore sulle guance paffute e i
lineamenti
privi di quella sofferenza che aveva vissuto su quel viso da quando lo
aveva
conosciuto, lo rendevano così bello che per un attimo gli mancò il
fiato.
Si avvicinò e allunò una mano andando così ad
accarezzargli
la guancia, incredulo e fermamente convinto di vivere un sogno.
Takanori stava bene. Ryo era felice.
Ryo aprì la portiera del passeggero così che il
più piccolo
potesse entrare in auto.
-Torniamo a casa?-
chiese retorico Ryo e Taknori aprì gli occhi.
-No.. prima c’è un posto dove vorrei andare.-
Ryo aggrottò le sopracciglia, ma poi comprese
perfettamente
ciò che il suo amore voleva dire.
Mezz’ora di viaggio e arrivarono. L’aria pungente
di
dicembre aveva fatto si che lì ci fossero solamente pochissime persone.
Camminare fra tutte quelle lapidi fece ad entrambi uno strano effetto,
sembrava
che avanzando tutte le loro angosce scivolassero via.
La lapide di Sasaki era adornata da un mazzo di
rose rosse
ormai mezze secche.
Takanori si chinò e sostituì quelle con un’unica
rosa bianca
che aveva voluto fermarsi a comprare nel tragitto dalla clinica fino a
lì.
Restò in ginocchio e con le dita accarezzò la
fotografia di
suo fratello che, sorridente, lo fissava.
Restarono in silenzio. Un silenzio che in realtà
diceva
tutto. Le lacrime per la morte di Sasaki, che per anni i due avevano
represso,
scesero sulle loro guancie, salate e liberatrici, e così lavarono via
tutto il
male che era rimasto nei loro corpi.
Ryo si chinò accanto a Takanori e gli prese la
mano.
Finalmente loro erano l’uno per l’altro.
E con un sussurro, un semplice alito di vento, i
sensi di
colpa per quella morte, volarono via lasciando solo la vita. La loro
vita.
Ce ne avete messo di
tempo.
Quanto vi siete
torturati a vicenda eh? Quanto dolore avete urlato di notte sapendo che
nessuno
dei due vi poteva sentire perché separati da muri fisici e invisibili?
Lo avete finalmente
capito vero? Vi siete finalmente perdonati.
Note dell’autrice:
Notare che ho
cambiato il modo di chiamare il nostro bassista. Da “Akira” a “Ryo”.
Allora, questa one
shot parte come regalo di compleanno per il caro puffo vocalist..avevo
intenzione di postarla il primo
febbraio..ma prima mi libero di questo peso meglio sarà per tutti.
Che dire? Questa è la
mia storia.. o meglio.. molto di quello che ho raccontato è la mia
storia. Mi
sono messa a nudo in una maniera che non credevo possibile.
E’ molto “pesante”
come ff.. posso capirlo.. e come in “armadio delle cianfrusaglie” ho
lasciato
che molte cose fossero sottintese.. questa volta ho deciso di fare così
perché scrivere
ciò che ho fatto capire tra una parola e l’altra sarebbe stato troppo.
Troppo
per me e credo anche troppo per voi.
Le frasi che ogni
tanto ci sono fra un paragrafo e l’altro sono tratte dalla canzone
“hurricane”
dei 30 seconds to mars, è grazie a questa canzone che sono riuscita ad
arrivare
fino alla fine di questa storia.
Si lo so.. questa
storia non finisce male come di solito tutte le mie one shot.
Ohmioddio!!!! Lo
so.. è una cosa strana e non abituatevici u.u
Volevo dire molte
altre cose qui.. ma puntualmente me le dimentico.. perciò.. non so.
Spero vi
sia piaciuta.
Kuroi.
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