C 3
Capitolo 3
You and me
Cause
it's you and me and all of the people
With nothing to do
Nothing to prove
And it's you and me and all of the people
And I don't know why
I can't keep my eyes off of you.
You and me,
Lifehouse¹
Accadono
cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita
risponde.
Alessandro Baricco
Ero
davvero felice di aver ritrovato Nahuel. In quei cinque anni avevo
pensato
spesso a lui provando soprattutto una forte curiosità. Avevo
sempre
desiderato conoscerlo davvero, scoprire com'era, come viveva, qual era
il suo
passato... L'unico altro mezzo vampiro che avessi mai incontrato. Ed
ora che mi si era presentata quella inaspettata occasione, non volevo
lasciarmela sfuggire.
Edward continuava a sembrarmi un po' teso ogni volta che
parlavo di lui e del nostro incontro, e non ne comprendevo la ragione.
Per un attimo il
suo viso si oscurava, come se qualcosa lo preoccupasse, e subito dopo
tornava ad essere tranquillo e allegro come al solito. Era un
cambiamento così repentino che poteva essere
benissimo soltanto frutto della mia immaginazione. Sebbene avesse la possibilità di conoscere ogni mio pensiero, come sempre, papà non commentava in alcun modo, forse perchè non prestava attenzione a queste riflessioni, forse per lasciarmi un po' di privacy. Dopo la discussione della sera precedente avevo il sospetto che non si sarebbe azzardato tanto presto a commentare di nuovo a voce alta quello che mi passava per la testa.
La sera della cena tornai dalla spiaggia prima del solito per
prepararmi. Non intendevo essere elegante, ma mi vestii con cura
particolare e mi truccai un poco. Non ci misi molto e appena
pronta scesi in cucina, dove i miei stavano tirando fuori gran parte
delle nostre provviste e alcune stoviglie, probabilmente per facilitare
Nahuel, che si era assunto il compito di pensare al menù.
«Prepari qualcosa?», domandai alla mamma per
stuzzicarla un po'
mentre emergeva dal frigorifero con alcune confezioni di formaggio tra
le mani.
Mi lanciò un'occhiataccia, ma capii che non era arrabbiata.
«No, tranquilla. Stasera lascerò questo privilegio
a
Nahuel».
Papà sistemò sul tavolo una pila di pentole e
tegami e mi
fissò. «Sta arrivando», disse.
«Allora, ehm... Io e la
mamma... andiamo».
«Andate? Dove?», domandai, confusa.
Fu Bella a rispondere. «Be', abbiamo pensato che forse
preferireste
stare da soli, per conoscervi meglio». Alzò le
spalle. «La
nostra presenza potrebbe mettervi in imbarazzo».
Ero totalmente spiazzata e per un secondo la fissai senza capire.
«Ma... perchè? Non è necessario,
davvero», protestai.
«Certo che non è necessario,
però... insomma, sappiamo che hai sempre desiderato
conoscerlo meglio e ora che ne avete la possibilità vogliamo
lasciarvi spazio», aggiunse la
mamma accennando un sorriso. «Avremo sicuramente altri
occasioni
per stare tutti insieme, la vacanza è ancora
lunga».
Annuii, pensierosa. «Di chi è stata
l'idea?», chiesi dopo qualche secondo di silenzio.
«Mia», rispose Bella. Istintivamente guardai
papà.
Sembrava
impassibile, eppure ero certa che ci fosse qualcosa che non andava.
Ma cosa? Prima che potessi domandarlo a voce alta, la mamma
parlò di nuovo. «Muoviamoci, Edward». Lo
prese per
mano. «Saremo alla baia dall'altra parte dell'isola. Potreste
anche raggiungerci, dopo cena, se vi va. Divertitevi,
ma non
fate troppo tardi. Oh, e salutalo da parte nostra».
Mentre parlava, avevano già raggiunto la porta.
Papà mi
fissava con aria esitante, ma lasciava che la mamma lo tirasse via.
«Sì, va bene», mormorai, sconcertata da
quel
comportamento. «Ciao».
Un attimo dopo erano spariti. Rimasta sola nella cucina, incrociai le
braccia, osservando il mucchio di stoviglie sul
tavolo e mordicchiandomi un labbro. Appena me ne
accorsi, smisi immediatamente. Lo facevo solo quando ero nervosa, ma
sapevo benissimo di non avere motivi per esserlo. Avrei solo cenato con
un nuovo amico, tutto qui.
«Ehi!».
Feci un salto di un metro per lo spavento. Mi guardai intorno, il
cuore che batteva a mille, e scorsi Nahuel in piedi sulla porta della
cucina, intento a fissarmi con un sopracciglio inarcato.
«Nahuel», boccheggiai. «Sei
qui!».
«Sono troppo in anticipo?».
«No, assolutamente».
Ci guardammo in silenzio per qualche secondo.
«Scusa, non volevo spaventarti», mormorò
all'improvviso.
Scossi la testa, cercando di
darmi un contegno. «Nessun problema. Tranquillo».
Gli sorrisi.
Lui fece qualche passo avanti, avvicinandosi con calma, quasi
circospetto, come per farsi perdonare di essere piombato in casa in
quel modo. «Ho pensato di venire presto. Abbiamo un bel po'
da
fare».
«Abbiamo?»,
ripetei,
scettica. «Ti avverto che le mie capacità
culinarie sono
alquanto limitate: so fare solo toast, tè e
caffè. E detesto
lavare i piatti. Quindi non so che genere di collaborazione potrei
offrire».
Lui ridacchiò mentre andava ad aprire il frigorifero.
«Troverò qualcosa da farti fare».
«Mangiare, magari?».
«Ah, sicuro. Stasera assaggerai le migliori empanadas della
tua vita».
«Be', difficilmente potranno essere peggiori di quelle della
mamma».
«A proposito, dove sono i tuoi? Vorrei almeno salutarli prima
di
mettermi ai fornelli in casa loro», disse con espressione
leggermente divertita.
«Ah, già, i miei. Ehm...». Esitai. E
adesso cosa gli avrei
raccontato? La verità, magari. «Sono andati ad una
piccola
baia dall'altra parte dell'isola per un... bagno notturno, immagino.
È un posto bellissimo,
ci andiamo spesso»,
spiegai.
Ero parecchio a disagio, sebbene mi sforzassi di apparire tranquilla;
non volevo che a Nahuel la loro assenza sembrasse strana. Ma lui se ne
accorse e lo capii subito, da come mi guardava, con aria seria e
meditabonda. Per un istante temetti che fosse offeso o che volesse
approfondire la questione, ma poi sorrise.
«Avremo le empanadas
tutte
per noi, allora», esclamò ed io intuii che voleva
solo rompere
quel silenzio e passare oltre.
«Credo che le avremmo avute comunque tutte per
noi».
«Secondo me avrebbero trovato una scusa per assaggiarle. Non
capisco come possano i vampiri rinunciare al cibo... Certi piatti sono
meglio del sangue. Mi passi quella pentola, per favore?».
Nel giro di mezz'ora
chiacchieravamo tranquilli e disinvolti come buoni amici, impegnati ai
fornelli. Mentre
preparava il coxinha
ed io gli passavo qualche ingrediente, mi raccontò che
cucinare
era uno dei suoi passatempi preferiti: lo aiutava a rilassarsi quando
era nervoso e a tenersi occupato quando si annoiava. E da un punto di
vista strettamente pratico il fatto che sua zia non mettesse mai piede
in cucina era stato determinante perchè imparasse a fare da
sè. Attualmente vivevano in una casetta fuori mano, quasi
immersa nella foresta, dove si erano trasferiti un anno prima. Proprio
come la mia famiglia, erano costretti a spostamenti periodici da un
luogo all'altro e di solito non si fermavano mai da qualche parte per
più di quattro o cinque anni. Sebbene non fossero nomadi
veri e propri,
quindi, in centocinquant'anni di spostamenti avevano visitato tutta
l'America Latina e anche qualche altra parte del mondo. Prima di
trasferirsi a Sao Lucas, presso Rio, avevano vissuto in Argentina, a
Bahia Blanca (dove li avevano trovati da Alice, Jasper e Kachiri cinque
anni prima), prima ancora in Cile, nella Terra del
Fuoco, e prima ancora di nuovo in Argentina, nei dintorni di Santa Fe.
Per un po' di tempo avevano anche vissuto in Sud Africa, in un piccolo
villaggio sul mare.
Ovunque andassero, disse Nahuel, Huilen non socializzava con nessuno,
nè vampiri nè umani. Per carattere non era
incline alla
compagnia ed era sempre preoccupata che nuove conoscenze potessero
mettere in pericolo lei e suo nipote. Nahuel, invece, riusciva sempre a
fare amicizia con facilità, ma ad ogni trasferimento era
costretto a troncare ogni rapporto e a ricominciare dal principio con
altre
persone. Non gli pesava: entrare in contatto con gli altri gli veniva
spontaneo, a differenza di Huilen, ma ammise che a volte avrebbe voluto
poter continuare a frequentare qualche vecchio amico.
Erano molto diversi, lui ed Huilen, come il giorno e la notte. Lei non
amava viaggiare e accettava quei continui spostamenti solo
perchè necessari. Nahuel, invece, adorava vedere posti nuovi
e
avrebbe desiderato visitare tutto il mondo. Durante la cena descrisse
appassionatamente e con ricchezza di particolari i posti più
belli dove era
stato e mentre lo ascoltavo, curiosa e affascinata, mi sentivo sempre
più una bambina che aveva visto solo una minuscola parte di
mondo. Non conoscevo altro che Forks, Denali e l'Isola Esme. Anche le
mie amiche avevano visto molte più cose di me.
Sarei rimasta zitta ad ascoltarlo per ore, ma ogni tanto si
interrompeva e lasciava parlare me. Avevo ben cose da raccontare sulla
mia vita, che ruotava semplicemente intorno alla mia famiglia, alla
scuola, al mio gruppetto di amiche, ma Nahuel ascoltava con grande
attenzione, curioso quanto lo ero io nei suoi confronti. Mi riempiva di
domande, fin quasi a mettermi in imbarazzo e costringendomi a far
emergere dettagli di cui forse non avrei parlato spontaneamente. Mi
fissava con espressione rapita e affascinata, come se non ci fosse
niente di più interessante che sentirmi descrivere le mie
giornate tranquille e ripetitive.
Dopo cena lavammo i piatti insieme e poi ci sistemammo sulla terrazza
sul retro della casa, da cui si ammirava una splendida vista
sull'oceano, con una provvista di guaranà,
una bibita alla frutta analcolica che aveva portato Nahuel. Continuammo
a chiacchiere ininterrottamente, allungati sulle comode sdraio della
terrazza, ed io cercai di indovinare tutti i posti in cui aveva
vissuto, senza grandi risultati. Ridendo e scherzando, facevamo tanto
chiasso che forse Edward e Bella riuscivano a sentirci anche dall'altra
parte dell'isola.
«Ehi, sicuro che non sia alcolica, questa roba?»,
domandai
all'improvviso, tra le risate. Forse mi stavo ubriacando senza neanche
accorgermene. O ero un po' brilla, oppure ero semplicemente di ottimo
umore.
Nahuel rise ancora più forte. «Certo. Cosa ti fa
pensare che lo sia?».
«Be', forse non te ne sei accorto, ma ci stiamo un po'
scatenando», risposi con tono serio. Poi gli lanciai
un'occhiata e
scoppiai di nuovo a ridere senza nessun motivo preciso. Era strano che
fossi riuscita ad aprirmi e ad entrare in confidenza con qualcuno tanto
in fretta e me ne chiesi distrattamente il motivo.
«E allora? Tutti hanno bisogno di scatenarsi, ogni tanto.
Soprattutto tu».
«Ehm... Davvero?».
Lui alzò le spalle. «Sai, quando ci siamo
incontrati,
ieri... sembravi un po' preoccupata, ecco» spiegò.
«Be', avevo avuto una discussione con i miei. E
poi... stavo pensando a un brutto sogno». Aggrottai la
fronte,
ripensando al mio incubo. Quella notte, per fortuna, non era tornato a
visitarmi e potevo sperare che non sarebbe tornato mai più.
«Ah, sì», mormorò Nahuel, con
voce appena udibile.
Fissava intensamente il cielo stellato, le braccia incrociate sotto la
nuca, perso nei suoi pensieri. «I brutti sogni possono essere
un
problema, a volte».
«Sto passando una bellissima serata, però. Ti
ringrazio», aggiunsi, sorridendo.
Anche Nahuel sorrise. «Sono io che ringrazio te».
Tacemmo per un paio di minuti. Cominciavo ad essere stanca, ma non
volevo che la serata finisse. Repressi a stento uno sbadiglio,
stiracchiandomi sulla sdraio.
«Continuiamo a giocare?», proposi.
«È inutile. Non indovinerai mai tutti i posti che
ho visto, fidati».
«Sono davvero così tanti?».
«Un bel po'».
«Eppure tu vorresti vederne altri, giusto?»,
esclamai. Mi girai su
un fianco, sentendo la schiena indolenzita, appoggiata al
gomito
per guardarlo bene in viso Eravamo piuttosto vicini, entrambi allungati
sulla stessa ampia sdraio a due posti dove Edward e Bella passavano
intere giornate a sbaciucchiarsi. «Viaggiare
ancora».
Fece un piccolo sorriso. «Sì, mi piacerebbe.
È stato
bello venire nella tua città. Ero molto curioso».
Mentre
parlava, mi lanciò una strana occhiata, così
rapida che
non riuscii a decifrarla.
«Certo», commentai. «Perchè
non avevi mai visto il Nord America, dico bene?».
Il suo sorriso si allargò. «No, non c'ero mai
stato. Ma ero
soprattutto curioso di vedere te».
Aggrottai la fronte, un po' sorpresa, ma non commentai. Che voleva
dire?
«Devi scusarmi
se ti ho bersagliata di domande, stasera, ma non ho resistito. Credo
che non sarei mai sazio di ascoltarti».
Come? Rimasi interdetta, a guardarlo in silenzio, senza avere idea di
cosa rispondere. All'improvviso ero imbarazzata e mi sembrava che
fossimo troppo vicini. Desiderai mettere un po' di spazio in
più
tra noi, ma mi trattenni: non volevo sembrare paranoica.
«Be', la
mia vita è così banale rispetto alla
tua», bofonchiai,
tanto per dire qualcosa. «A parte andare a scuola e stare con
i miei
amici non faccio un granchè».
«Non è questo il punto», rispose,
tranquillo. Fece una
breve pausa. «Non ho mai conosciuto nessun altro come me, a
parte le
mie sorelle, ovviamente. Ma non ci vediamo spesso e con loro le cose
sono... complicate. Jennifer, la più piccola, è
l'unica
con cui riesca ad avere un rapporto normale. Erano centocinquant'anni
che desideravo incontrare un altro mezzo vampiro, qualcuno che non mi
fosse legato dal sangue, e credevo di non avere nessuna speranza. Poi
è arrivata quell'incredibile notizia, la notizia che
esistevi tu, e l'opportunità di
vederti, e non me la sarei persa per niente al mondo, neanche a prezzo
di farmi staccare la testa da quei vampiri italiani».
Abbassai timidamente lo sguardo, accennando un sorriso lieve. Le sue
parole mi lusingavano senza che avessi alcun merito particolare.
«Be', non è stato un grande incontro, per la
verità. Non ci siamo scambiati neanche una parola, se
ricordo
bene».
«Ricordi bene. Eri molto impegnata a dormire profondamente in
braccio a tua madre».
«Però adesso stiamo recuperando».
«Stiamo recuperando alla grande, direi»,
commentò, il tono
leggermente divertito. «Eppure... nonostante l'interrogatorio
a cui
ti ho sottoposta stasera... vorrei saperne ancora di più.
Non ne
ho abbastanza».
«Ma c'è ben poco da raccontare. Ti ho
già detto
tutto», ripetei, mentre mi sfuggiva una risata. Non capivo
dove
volesse arrivare.
Nahuel scosse il capo, l'aria seria. Teneva gli occhi bassi e
tamburellava con le dita sul soffice cuscino bianco della sdraio.
«Non ha importanza. Tu
sei
come me. Non ti rendi conto...», esitò, stringendo
le labbra,
come se non sapesse bene quali parole usare. Io aspettai in silenzio,
osservandolo attentamente. Capivo che stava cercando di dirmi qualcosa
di importante. «Credo che tu sia la persona alla quale mi
sento
più vicino, adesso. Ti sembrerà assurdo
perchè ci
conosciamo appena. Avverto la stessa cosa anche con Jennifer²,
la più piccola delle mie sorelle, ma la
conosco da quando è nata. Ho la sensazione che tu
possa capirmi, come lei. Che tu possa comprendere cosa provo quando
uccido un
essere umano, anche se non l'hai mai fatto». Il suo sguardo
si indurì mentre pronunciava
quella frase ed io cambiai posizione, a disagio. «Quando
penso a mia
madre. Quando mi chiedo quale diavolo sia il mio posto in questo folle
mondo». Sospirò. «So che abbiamo avuto
esperienze diverse
e che conduciamo vite diverse, ma... mi illudo, forse, che tu possa
capire ugualmente. Ho ragione?».
Riflettei per un po' prima di rispondere. Mi sembrava una faccenda
complicata e cercai di scegliere le parole con cura. Lui mi osservava
con espressione calma, pacata, ma allo stesso tempo
sembrava che volesse
mettermi alla prova.
«Penso di sì» mormorai. «Dopo
tutto, siamo nella stessa barca, io e te. Guardiamo il mondo dalla
stessa prospettiva. E solo altre tre persone a parte noi,
nell'universo, hanno questa stessa prospettiva».
«La stessa prospettiva», ripetè Nahuel
in un sussurro appena percettibile.
«È strano», aggiunsi, mentre mi
sistemavo più
comodamente sul cuscino, e la mia voce suonò assonnata.
«Ed
è un po' triste. Fa sentire soli».
Chiusi gli occhi. Sentivo che uno strano torpore si impadroniva di me a
poco a poco. Ero davvero stanca, adesso. O forse ero solo troppo
rilassata, talmente rilassata che avrei potuto addormentarmi da un
momento all'altro. Il mio respiro divenne lento e regolare. Tutto era
così silenzioso e pacifico. Lo sciabordio delle onde mi
cullava
simile ad una ninna nanna, come ogni notte sull'Isola Esme. Ero
già scivolata nel dormiveglia, quando sentii qualcosa di
morbido posarsi sulle mie labbra. Spalancai gli occhi, tornando
bruscamente alla realtà, e saltai
giù dalla sdraio così in fretta che quasi persi
l'equilibrio.
«Nahuel!», esclamai, incredula, portandomi le mani
alle bocca. «Che cosa... cChe
cavolo hai fatto?».
Lui non rispose subito. Sembrava sorpreso dalla mia reazione e mi
fissava con le sopracciglia inarcate. «Mi sembra evidente. Ti
ho
baciato».
Sussultai con violenza. «Cosa? Ma... Ma... Ma se non
è durato neanche tre
secondi! Non è un bacio, questo!», sbraitai,
inviperita. La
sorpresa stava lentamente scemando, sostituita da una certa dose di
rabbia bruciante.
Lo aveva fatto davvero? Non potevo crederci!
«Tre secondi possono essere più che
sufficienti», proseguì, un vago sorrisino sulle
labbra.
«No! No, no, no!».
«Perchè ti dà così
fastidio?». esclamò
Nahuel. Era talmente sconcertato che sembrava sul punto di ridermi in
faccia da un momento all'altro.
«Perchè l'hai fatto?», rilanciai.
Il suo sorriso vacillò. «Io... non saprei. Non
c'è un
motivo preciso», ammise. «Eri così
bella, sdraiata
lì, con gli occhi chiusi... Desideravo baciarti e l'ho
fatto». Tacque per un attimo. «È da
quando ti ho incontrata,
ieri, che mi chiedo quale sia il sapore delle tue labbra. Adesso lo
so», aggiunse dolcemente.
Mi sentii arrossire e sbuffai, infastidita. «Questo non
è un motivo valido per baciare qualcuno»,
protestai a denti
stretti. «È ridicolo».
Nahuel rimase zitto per un lungo minuto, continuando a fissarmi.
«La pensiamo diversamente, allora», disse infine.
«Sì, me ne sono accorta».
Cadde di nuovo il silenzio. Dio, che imbarazzo. Ero così a
disagio. Perchè, perchè
lo aveva fatto? Era tutto rovinato, adesso. Strinsi le braccia al
petto, evitando di guardare nella sua direzione, ma lui sembrava
distratto. Chissà a cosa pensava. All'improvviso
parlò
ancora.
«E comunque, per la cronaca, secondo me i baci più
brevi sono i
migliori. Li trovo più intensi», aggiunse con fare
tranquillo e rilassato, come se stesse
discutendo del tempo che avrebbe fatto il giorno successivo.
Chiusi gli occhi per un attimo. «Nahuel, ti prego. Sto
cercando di rimuoverlo».
«Dai... Bacio così male?».
«Ti ho detto che quello non era un bacio!».
«Ma perchè ti dà così
fastidio?»
ripetè, lentamente e scandendo bene le parole. Quasi
involontariamente, gli gettai un'occhiata nervosa e capii che era
davvero confuso. «Era il primo?», aggiunse un
attimo dopo.
Altra ondata di imbarazzo. Che sfacciato!
«No, non è stato il
primo», risposi a denti stretti, infastidita. «Il
fatto è
che io non sono libera. Ho una specie di ragazzo, a Forks».
Fantastico! Sentito, Alex? Una
specie di ragazzo! Avrei voluto prendermi a schiaffi da
sola. Sentivo un gran caldo al viso ed ero certa di essere arrossita
come un pomodoro.
«In che senso una
specie di ragazzo?».
Alzai gli occhi al cielo. «Un ragazzo, Nahuel. Lo sai in che
senso».
«È una cosa seria?».
«Che intendi per seria?
Stiamo insieme da cinque mesi. E siamo molto felici».
Non mi staccava gli occhi di dosso, la testa un po' inclinata, un'aria
divertita e indagratice che non mi piaceva affatto.
«Non è una cosa seria», disse,
sorridendo.
Trasalii. «Invece sì. Scusa, ma tu che ne sai?
Come ti
permetti di giudicare? Certo che è una cosa seria. Io tengo
molto a lui e non sono interessata a nessun altro», sbottai,
inviperita. Sentii un leggero dolore al braccio sinistro e mi accorsi
che stavo serrando le dita sulla pelle con tanta forza da lasciare dei
segni rossi. Allentai subito la stretta, sorpresa.
La sua espressione divertita si addolcì appena.
Annuì.
«Okay, hai ragione. Non ne so niente e non posso
giudicare»,
ammise,
anche se dal tono che usò parve che volesse assecondarmi.
«Dimmi qualcosa in più. Come si chiama?».
«Alexander. Alexander Hayden» mormorai.
«Ma tutti lo chiamano Alex. È un mio compagno di
scuola».
«Eravate amici prima di mettervi insieme?».
«No, lui... si è
trasferito la scorsa primavera da New York. Praticamente ci siamo
conosciuti per
caso. Ha un anno più di me».
«E quel licantropo che ne pensa?».
Quel licantropo? Quale licantropo? Jacob? La domanda mi
spiazzò completamente. Per un secondo lo
fissai in silenzio, come imbambolata. «Vuoi dire Jacob? Be',
è felice per me. È il mio migliore
amico». Tacqui,
esitante e incerta su come continuare. «Tu... sai
dell'imprinting?», borbottai, cauta.
Nahuel sgranò gli occhi scuri, stupito. «Tu
sì?», domandò a sua volta.
Annuii. «L'ho saputo di recente», risposi, per
farla breve. Non mi
andava di ripercorrere quella spiacevole vicenda. «E
tu come
lo sai?».
«Me ne ha parlato tuo nonno, Carlisle. Ero curioso riguardo
al
coinvolgimento dei licantropi nel vostro problema con i vampiri
italiani e lui mi ha spiegato come stavano le cose». Fece una
breve
pausa. «Quindi Jacob è felice che tu stia con
questo
ragazzo?».
«Certo».
«Ah, Be', sai, io avevo avuto l'impressione che... ma forse
mi sbaglio».
Non lo lasciai finire. «Sì, ti sbagli»,
sbottai,
stizzita. «Non sempre si finisce all'altare. Non è
detto».
Pronunciare quelle parole mi costò un certo
sforzo. Era dannatamente difficile e imbarazzante parlare di quello. Lui se ne
accorse e accennò un sorrisetto.
«Capisco. Dunque voi due siete... Che cosa,
esattamente?».
«Amici. È il mio migliore amico»,
ripetei, sicura. In
verità la definizione amico mi sembrava riduttiva per
esprimere
il mio legame con Jake, ma era quella che più si avvicinava
ad
esprimere il senso del nostro rapporto.
«Capisco», rispose a bassa voce. Sembrava che
rimuginasse su ogni parola che pronunciavo, valutandola attentamente.
«Immagino che a lui tu possa raccontare tutto, di
te», aggiunse, piano. «Anche cose che non potresti
raccontare alle tue compagne di scuola».
«Questioni "sovrannaturali", intendi?», domandai
con un lieve sorriso sulle labbra. La mia stessa definizione suonava un
po' buffa. «Certo, ma non parliamo soltanto di queste cose.
Non ho segreti per Jacob».
«Neanche per il tuo ragazzo?».
«Che cosa intendi?», mormorai, a disagio. Lui aveva
gli occhi bassi e non riuscivo a scorgere la sua espressione. Non
rispondeva alla mia domanda e mi toccò intuire dove volesse
arrivare. «Sono sempre sincera con Alex... quando ne ho la
possibilità». Tacqui per un attimo. «Ci
sono cose che non posso raccontargli, naturalmente».
«Naturalmente», ripetè Nahuel con voce
lieve. «E pensi che non gliele racconterai mai?».
Riflettei silenziosamente per un po', stupita dalla piega che aveva
preso la nostra conversazione. Avevamo iniziato parlando del
più e del meno, tra battute e risate, poi ci eravamo baciati
e adesso parlavamo di Jacob ed Alex e del mio rapporto con loro. Come
eravamo arrivati fino a lì?
«Be', dubito di poter dire tranquillamente al mio ragazzo che
sono una mezza vampira, bevo sangue e vivrò per
sempre senza causargli un attacco cardiaco», risposi in tono
ironico, cercando di alleggerire un po' l'atmosfera. «E in
fondo perchè dovrei dirgli tutto questo? Le cose vanno bene
così, adesso».
Nahuel annuì, ancora con a testa china, senza guardarmi
negli occhi. «Già, adesso. Ma prima o poi
arriverà il giorno in cui non potrai più
mentirgli, in cui dovrai scegliere. È difficile dire addio a
una persona, lo so. Ho detto addio tante volte nella mia esistenza...
Forse troppe. Ma non diventa mai un po' più facile. No,
è sempre peggio».
Feci un sospiro lieve, con la sensazione di avere un peso opprimente
sul petto. Non potevo non riconoscere l'incontestabile
verità delle sue parole; davano voce a pensieri e
preoccupazioni che mi accompagnavano spesso e che non riguardavano
soltanto Alex, ma ogni essere umano che faceva parte della mia vita:
Charlie, Jas, Danielle, Tom... Improvvisamente
realizzai che quegli stessi pensieri dovevano abitare la mente di
Nahuel da molto più tempo. Potevo capire che iniziassero a
pesare sul suo cuore e che avvertisse il bisogno di parlarne con
qualcuno, qualcuno che lo comprendesse, come aveva detto lui stesso
poco prima. Ma erano pensieri
troppo pesanti da mandare giù in una serata come quella,
calda, dolce, dal sapore di mare e spezie, fino a poco prima piena di
chiacchiere spensierate e risate.
«Io... non lo so. Non ci ho ancora pensato,
veramente», risposi, un po' irritata.
Nahuel non aggiunse altro. Mi lanciò un'occhiata rapida e
cambiò posizione sulla sdraio, l'aria concentrata, come se
si
stesse riordinando le idee. Dopo un attimo di silenzio,
abbozzò un sorriso ed io lo fissai, meravigliata.
«Okay, senti», disse infine. «Non
volevo metterti in difficoltà, nè con il bacio
nè con... questi discorsi. Scusa». Mi
guardò di nuovo con espressione intensa e un po'
preoccupata. «Ho rovinato tutto?».
«In che senso?».
«Tra te e me. Per via del bacio. Tu mi piaci e voglio che
restiamo amici».
«Oh», esclamai. «No, Nahuel, non hai
rovinato
niente. Nè con il bacio nè con... il resto.
Fingeremo che non sia mai successo. Anche tu mi piaci e vorrei
essere tua amica. E comunque quello non era un bacio,
quindi non c'è nulla di cui preoccuparsi, in
effetti».
«Sei ostinata, vedo», commentò,
divertito.
«Anche tu».
«Il tuo Alex non lo saprà mai, che differenza
fa?».
«Lo saprei io».
«Non si può mentire a se stessi,
Renesmee», disse,
scuotendo appena la testa. «Puoi mentire a lui, ma non a te
stessa».
Strinsi i denti, seccata. Temevo che quella frase potesse riportarci al
discorso appena concluso e non mi andava. Meglio tentare di salvare la
serata.
«Non ho bisogno di mentire nè a me stessa
nè a lui perchè non è successo niente».
Questa volta non rispose subito. Mi fissò in silenzio per un
poco, le sopracciglia aggrottate, come se non riuscisse a credere a
tanta ostinazione. Poi alzò le spalle. «D'accordo.
Se lo dici
tu».
Mi assecondava, adesso? Gli lanciai un'occhiataccia, ma non dissi
nulla, cercando di lasciar cadere il discorso. Perchè
attribuiva
tanta importanza a una tale sciocchezza? Sfiorarsi le labbra per pochi
secondi, senza nessun coinvolgimento emotivo, non
significava niente. Ne ero convinta, ma sospettavo che insistere fosse
inutile e che Nahuel credesse ciò che preferiva.
«Tornerai mai a sederti qui?», domandò
all'improvviso, e il suo umore parve molto più allegro
rispetto a prima. Si allungò più comodamente
all'indietro, incrociando le braccia
dietro la testa con ostentazione.
«Sto benissimo dove sto, grazie».
«Non pensi di esagerare un poco?».
«Nahuel», sbottai, esasperata, come se il suo nome
fosse
un'imprecazione. Sospirai. «Ti
prego, basta. Dobbiamo fingere che non sia successo, dimenticare,
giusto? Mi sembra difficile riuscirci se tu continui a
parlarne».
«Forse è meglio che vada»,
esclamò, alzandosi in piedi alla velocità della
luce.
Sorpresa, cercai di trattenerlo. Una parte di me temeva di aver
esagerato, di averlo offeso in qualche modo.
«Aspetta»,
mormorai, senza troppa convinzione. «Non è
necessario. È stata una serata fantastica, non
roviniamola».
Lui si avvicinò ed io dovetti reprimere l'impulso di
indietreggiare. Nei suoi occhi scuri c'era un velo di malizia che non
prometteva nulla di buono. «Non è per questo,
davvero. Si
è fatto tardi e tu sembri stanca. Tanto ci
rivediamo».
Sorrise, in modo aperto e tranquillo.
Se era così deciso, forse avrei fatto meglio ad
assecondarlo. Decisi di cedere. «Certo»,
concordai, alzando le spalle. «Torni a trovarci
domani?».
«Con piacere. Se sta bene ai tuoi».
Mamma e papà. Accidenti, li avevo del tutto dimenticati.
Chissà dov'erano finiti. Quando quei due si lasciavano
prendere
dalla passione tendevano a dimenticare il resto del mondo.
«Certo
che gli sta bene, saranno felici di conoscerti meglio. Credo che domani
li troverai a casa». Li avrebbe trovati eccome. A costo di
costringerli, sarebbero stati lì a farci compagnia e a
bloccare
sul nascere altre follie come quella specie di bacio.
Nahuel sembrò intuire cosa stavo pensando perchè
inspiegabilmente rise. «D'accordo, allora vado. Grazie per la
cena, sono stato davvero bene. Buonanotte».
Si avvicinò con un movimento lento, quasi cauto, e mi
baciò la guancia accanto
all'orecchio. Sentii il suo fiato caldo sulla pelle e poi le sue labbra
si mossero. «E comunque, per la cronaca... hai un buonissimo
sapore.
Anche meglio di quel che pensavo», bisbigliò, con
voce
bassissima.
Rimasi di stucco, ma un istante dopo si era voltato e camminava nel
buio, allontanandosi. Poi sparì.
Quando Edward e Bella rientrarono, circa un quarto d'ora più
tardi, ero ancora sulla terrazza ad aspettarli. A dispetto dell'orario
e
della stanchezza, ero ancora sveglia. Guardavo il cielo punteggiato di
stelle e riflettevo. L'espressione di papà era piatta e
incolore
come un foglio di carta immacolato; ovviamente sapeva già
tutto. La mamma sorrideva spensierata, il che mi fece capire che non
sapeva un
bel niente.
«Ehi, piccola! Com'è andata la serata?»,
domandò con tono allegro.
Invece di risponderle, guardai papà. «Tu sapevi
che sarebbe
successo, vero? Ecco perchè non volevi andartene,
prima».
Lui esitò e si passò una mano tra i capelli
scompigliati, forse un po' sorpreso da un attacco così
diretto. «Avevo percepito nei suoi pensieri un
certo... interesse... nei tuoi confronti. Sospettavo che prendesse
un'iniziativa», rispose lentamente.
Lo sguardo di Bella si spostava da me a Edward, rapido e confuso.
«Un'inziativa?», ripetè. «Chi
ha preso
un'iniziativa?».
«Avresti potuto avvertirmi», sbottai all'indirizzo
di papà, irritata dalla sua calma.
«Mi dispiace, amore»,
mormorò dolcemente, accennando un sorriso.
«Ma a volte le cose
devono seguire il loro corso. Temevo che tu annullassi la serata e
rinunciassi a creare un rapporto con lui e non voglio interferire nella
tua vita e nelle tue scelte». Non lo disse a voce alta, ma
intuii cosa avrebbe voluto aggiungere: non più.
Serrò le labbra per un istante. «Non è
giusto. Spetta
a te decidere quello che vuoi. Sei un'adulta, ormai, ed è
così che noi ti consideriamo, anche se a volte...».
Esitò ancora per un attimo. Ero certa che stesse pensando
alla
nostra discussione della sera precedente. Fece un sospiro lieve e
proseguì. «Anche se
a volte, forse, non siamo capaci di dimostrartelo. E Nahuel avrebbe
potuto non fare niente.
Davanti a noi c'è sempre un milione di
possibilità, Alice dovrebbe avertelo insegnato,
ormai».
«Qualcuno mi spiega che succede?»,
protestò la
mamma, rivolgendo uno sguardo esasperato a mio padre.
Edward la guardò, trattenendo a stento una risata.
«Ehm... Aspetta dieci minuti e te lo raccontiamo».
Lei aggrottò la fronte. «Dieci minuti?
Perchè?».
«Già, perché?», le feci eco,
curiosa.
«Diamo a Nahuel un po' di vantaggio. Non credo che sia in
grado di vedersela con una vampira giovane e infuriata».
Note.
1. You
and me. Stupenda!
2. Il nome della sorella di Nahuel è preso dalla Guida ufficiale
della saga (un'autentica miniera d'oro di informazioni xd). Sappiamo
che ha tre sorelle, Serena e Maysun, più grandi di lui, e
Jennifer, appunto, nata solo nel 1991. Ricorderete senz'altro che
Nahuel non è in buoni rapporti con suo padre, Joham, mentre
incontra spesso le sue sorelle, e tra loro quella che incontra
più spesso e più volentieri, e con la quale ha un
legame più stretto, è proprio Jennifer,
perchè è più simile a lui e il fatto
di essere suo fratello maggiore lo fa sentire in dovere di vegliare su
di lei e proteggerla. Serena e Maysun, invece, (soprattutto Serena)
sono più simili al padre e condividono il suo modo di
pensare. Ho trovato molto interessanti tutte queste notizie sulla
famiglia di Nahuel
e cercherò di inserire le sue sorelle e suo padre nella
storia... Più avanti, però. Molto più
avanti. Che nota lunghissima! xd
Spazio autrice.
Salve! Innanzitutto scusate per questo ritardo nella pubblicazione! Di
solito pubblico in mattinata o al più tardi nel primo
pomeriggio, ma questa mattina ero impegnata fuori casa e poi ho avuto
qualche problema con la pubblicazione del capitolo.
Allora, veniamo subito a quello che penso sia il punto più
"caldo" del capitolo, il bacio tra Nahuel e Renesmee. Forse qualcuna di
voi se lo aspettava, o magari lo
temeva xd, dal momento che tifate tutte per Alex o per
Jacob, ah ah ah! Come al solito preferisco lasciarvi con qualche
piccolo dubbio ora piuttosto che svelare troppo e rovinarvi la
sorpresa, ma una cosa vorrei dirvela: questo episodio avrà
un suo ruolo nella storia, e anche piuttosto rilevante, ma non
attribuitegli più importanza di quante gliene abbiano
attribuita gli stessi personaggi coinvolti. O meglio, attribuitegli la
"giusta" importanza. Tutto è partito da Nahuel, che si
è lasciato coinvolgere dall'atmosfera intima, di tenera
complicità, creatasi con Renesmee, e ha assecondato il
desiderio di un istante, quello di baciarla, appunto. E la stessa
Renesmee dopo un primo momento di sconcerto e confusione capisce che si
è trattato di una svista. Forse il discorso vi appare poco
chiaro, ma più avanti lo diventerà. Non posso
dire di più, scusate xd. Comunque, non preoccupatevi e per
qualunque dubbio o domanda chiedete, come al solito ^^. Grazie, alla
prossima!
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