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Autore: Aurore    29/01/2014    1 recensioni
Sequel di Midnight star.
Dopo gli eventi e le rivelazioni che hanno scosso il suo piccolo mondo, la vita di Renesmee è tornata alla normalità: è sempre più felice con Alex e insieme a Jacob ha ritrovato l'affetto e la complicità del loro legame. Ma all'orizzonte si addensano nuove nubi: quando spaventosi incubi iniziano a tormentare le sue notti, Renesmee si trova costretta a scegliere tra perdere ciò che ama di più e tentare di salvarlo, e ad affrontare eventi imprevedibili che potrebbero cambiare ogni cosa.
Tutto finisce, nulla resta uguale, e a volte il destino impone scelte e cambiamenti dai quali non si torna indietro.
Tratto dal capitolo 7:
Il suo sguardo era stata la prima cosa che mi aveva colpita, di lui, nel giorno lontano in cui ci eravamo conosciuti. [...] Lo stesso sguardo che mi aveva osservata con tanta attenzione per catturare quello che c'era in me di più profondo mentre mi disegnava. Nessuno mi aveva mai guardata così. In quel disegno c'era qualcosa di bellissimo, potente e tremendo al tempo stesso. Qualcosa di ineluttabile, che ormai non poteva essere fermato.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight star'
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C 3
Capitolo 3
You and me



Cause it's you and me and all of the people
With nothing to do
Nothing to prove
And it's you and me and all of the people
And I don't know why
I can't keep my eyes off of you.
You and me, Lifehouse¹


Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde.
Alessandro Baricco




Ero davvero felice di aver ritrovato Nahuel. In quei cinque anni avevo pensato spesso a lui provando soprattutto una forte curiosità. Avevo sempre desiderato conoscerlo davvero, scoprire com'era, come viveva, qual era il suo passato... L'unico altro mezzo vampiro che avessi mai incontrato. Ed ora che mi si era presentata quella inaspettata occasione, non volevo lasciarmela sfuggire.
Edward continuava a sembrarmi un po' teso ogni volta che parlavo di lui e del nostro incontro, e non ne comprendevo la ragione. Per un attimo il suo viso si oscurava, come se qualcosa lo preoccupasse, e subito dopo tornava ad essere tranquillo e allegro come al solito. Era un cambiamento così repentino che poteva essere benissimo soltanto frutto della mia immaginazione. Sebbene avesse la possibilità di conoscere ogni mio pensiero, come sempre, papà non commentava in alcun modo, forse perchè non prestava attenzione a queste riflessioni, forse per lasciarmi un po' di privacy. Dopo la discussione della sera precedente avevo il sospetto che non si sarebbe azzardato tanto presto a commentare di nuovo a voce alta quello che mi passava per la testa.
La sera della cena tornai
dalla spiaggia prima del solito per prepararmi. Non intendevo essere elegante, ma mi vestii con cura particolare e mi truccai un poco. Non ci misi molto e appena pronta scesi in cucina, dove i miei stavano tirando fuori gran parte delle nostre provviste e alcune stoviglie, probabilmente per facilitare Nahuel, che si era assunto il compito di pensare al menù.
«Prepari qualcosa?», domandai alla mamma per stuzzicarla un po' mentre emergeva dal frigorifero con alcune confezioni di formaggio tra le mani.
Mi lanciò un'occhiataccia, ma capii che non era arrabbiata. «No, tranquilla. Stasera lascerò questo privilegio a Nahuel».
Papà sistemò sul tavolo una pila di pentole e tegami e mi fissò. «Sta arrivando», disse. «Allora, ehm... Io e la mamma... andiamo».
«Andate? Dove?», domandai, confusa.
Fu Bella a rispondere. «Be', abbiamo pensato che forse preferireste stare da soli, per conoscervi meglio». Alzò le spalle. «La nostra presenza potrebbe mettervi in imbarazzo».
Ero totalmente spiazzata e per un secondo la fissai senza capire. «Ma... perchè? Non è necessario, davvero», protestai.
«Certo che non è necessario, però... insomma, sappiamo che hai sempre desiderato conoscerlo meglio e ora che ne avete la possibilità vogliamo lasciarvi spazio», aggiunse la mamma accennando un sorriso. «Avremo sicuramente altri occasioni per stare tutti insieme, la vacanza è ancora lunga».
Annuii, pensierosa. «Di chi è stata l'idea?», chiesi dopo qualche secondo di silenzio.
«Mia», rispose Bella. Istintivamente guardai papà. Sembrava impassibile, eppure ero certa che ci fosse qualcosa che non andava. Ma cosa? Prima che potessi domandarlo a voce alta, la mamma parlò di nuovo. «Muoviamoci, Edward». Lo prese per mano. «Saremo alla baia dall'altra parte dell'isola. Potreste anche raggiungerci, dopo cena, se vi va. Divertitevi, ma non fate troppo tardi. Oh, e salutalo da parte nostra».
Mentre parlava, avevano già raggiunto la porta. Papà mi fissava con aria esitante, ma lasciava che la mamma lo tirasse via.
«Sì, va bene», mormorai, sconcertata da quel comportamento. «Ciao».
Un attimo dopo erano spariti. Rimasta sola nella cucina, incrociai le braccia, osservando il mucchio di stoviglie sul tavolo e mordicchiandomi un labbro. Appena me ne accorsi, smisi immediatamente. Lo facevo solo quando ero nervosa, ma sapevo benissimo di non avere motivi per esserlo. Avrei solo cenato con un nuovo amico, tutto qui.
«Ehi!».
Feci un salto di un metro per lo spavento. Mi guardai intorno, il cuore che batteva a mille, e scorsi Nahuel in piedi sulla porta della cucina, intento a fissarmi con un sopracciglio inarcato.
«Nahuel», boccheggiai. «Sei qui!».
«Sono troppo in anticipo?».
«No, assolutamente».
Ci guardammo in silenzio per qualche secondo.
«Scusa, non volevo spaventarti», mormorò all'improvviso.
Scossi la testa, cercando di darmi un contegno. «Nessun problema. Tranquillo». Gli sorrisi.
Lui fece qualche passo avanti, avvicinandosi con calma, quasi circospetto, come per farsi perdonare di essere piombato in casa in quel modo. «Ho pensato di venire presto. Abbiamo un bel po' da fare».
«Abbiamo?», ripetei, scettica. «Ti avverto che le mie capacità culinarie sono alquanto limitate: so fare solo toast, tè e caffè. E detesto lavare i piatti. Quindi non so che genere di collaborazione potrei offrire».
Lui ridacchiò mentre andava ad aprire il frigorifero. «Troverò qualcosa da farti fare».
«Mangiare, magari?».
«Ah, sicuro. Stasera assaggerai le migliori empanadas della tua vita».
«Be', difficilmente potranno essere peggiori di quelle della mamma».
«A proposito, dove sono i tuoi? Vorrei almeno salutarli prima di mettermi ai fornelli in casa loro», disse con espressione leggermente divertita.
«Ah, già, i miei. Ehm...». Esitai. E adesso cosa gli avrei raccontato? La verità, magari. «Sono andati ad una piccola baia dall'altra parte dell'isola per un... bagno notturno, immagino. È un posto bellissimo, ci andiamo spesso», spiegai.
Ero parecchio a disagio, sebbene mi sforzassi di apparire tranquilla; non volevo che a Nahuel la loro assenza sembrasse strana. Ma lui se ne accorse e lo capii subito, da come mi guardava, con aria seria e meditabonda. Per un istante temetti che fosse offeso o che volesse approfondire la questione, ma poi sorrise.
«Avremo le empanadas tutte per noi, allora», esclamò ed io intuii che voleva solo rompere quel silenzio e passare oltre.
«Credo che le avremmo avute comunque tutte per noi».
«Secondo me avrebbero trovato una scusa per assaggiarle. Non capisco come possano i vampiri rinunciare al cibo... Certi piatti sono meglio del sangue. Mi passi quella pentola, per favore?».
Nel giro di mezz'ora chiacchieravamo tranquilli e disinvolti come buoni amici, impegnati ai fornelli. Mentre preparava il coxinha ed io gli passavo qualche ingrediente, mi raccontò che cucinare era uno dei suoi passatempi preferiti: lo aiutava a rilassarsi quando era nervoso e a tenersi occupato quando si annoiava. E da un punto di vista strettamente pratico il fatto che sua zia non mettesse mai piede in cucina era stato determinante perchè imparasse a fare da sè. Attualmente vivevano in una casetta fuori mano, quasi immersa nella foresta, dove si erano trasferiti un anno prima. Proprio come la mia famiglia, erano costretti a spostamenti periodici da un luogo all'altro e di solito non si fermavano mai da qualche parte per più di quattro o cinque anni. Sebbene non fossero nomadi veri e propri, quindi, in centocinquant'anni di spostamenti avevano visitato tutta l'America Latina e anche qualche altra parte del mondo. Prima di trasferirsi a Sao Lucas, presso Rio, avevano vissuto in Argentina, a Bahia Blanca (dove li avevano trovati da Alice, Jasper e Kachiri cinque anni prima), prima ancora in Cile, nella Terra del Fuoco, e prima ancora di nuovo in Argentina, nei dintorni di Santa Fe. Per un po' di tempo avevano anche vissuto in Sud Africa, in un piccolo villaggio sul mare.
Ovunque andassero, disse Nahuel, Huilen non socializzava con nessuno, nè vampiri nè umani. Per carattere non era incline alla compagnia ed era sempre preoccupata che nuove conoscenze potessero mettere in pericolo lei e suo nipote. Nahuel, invece, riusciva sempre a fare amicizia con facilità, ma ad ogni trasferimento era costretto a troncare ogni rapporto e a ricominciare dal principio con altre persone. Non gli pesava: entrare in contatto con gli altri gli veniva spontaneo, a differenza di Huilen, ma ammise che a volte avrebbe voluto poter continuare a frequentare qualche vecchio amico.
Erano molto diversi, lui ed Huilen, come il giorno e la notte. Lei non amava viaggiare e accettava quei continui spostamenti solo perchè necessari. Nahuel, invece, adorava vedere posti nuovi e avrebbe desiderato visitare tutto il mondo. Durante la cena descrisse appassionatamente e con ricchezza di particolari i posti più belli dove era stato e mentre lo ascoltavo, curiosa e affascinata, mi sentivo sempre più una bambina che aveva visto solo una minuscola parte di mondo. Non conoscevo altro che Forks, Denali e l'Isola Esme. Anche le mie amiche avevano visto molte più cose di me.
Sarei rimasta zitta ad ascoltarlo per ore, ma ogni tanto si interrompeva e lasciava parlare me. Avevo ben cose da raccontare sulla mia vita, che ruotava semplicemente intorno alla mia famiglia, alla scuola, al mio gruppetto di amiche, ma Nahuel ascoltava con grande attenzione, curioso quanto lo ero io nei suoi confronti. Mi riempiva di domande, fin quasi a mettermi in imbarazzo e costringendomi a far emergere dettagli di cui forse non avrei parlato spontaneamente. Mi fissava con espressione rapita e affascinata, come se non ci fosse niente di più interessante che sentirmi descrivere le mie giornate tranquille e ripetitive.
Dopo cena lavammo i piatti insieme e poi ci sistemammo sulla terrazza sul retro della casa, da cui si ammirava una splendida vista sull'oceano, con una provvista di guaranà, una bibita alla frutta analcolica che aveva portato Nahuel. Continuammo a chiacchiere ininterrottamente, allungati sulle comode sdraio della terrazza, ed io cercai di indovinare tutti i posti in cui aveva vissuto, senza grandi risultati. Ridendo e scherzando, facevamo tanto chiasso che forse Edward e Bella riuscivano a sentirci anche dall'altra parte dell'isola.
«Ehi, sicuro che non sia alcolica, questa roba?», domandai all'improvviso, tra le risate. Forse mi stavo ubriacando senza neanche accorgermene. O ero un po' brilla, oppure ero semplicemente di ottimo umore.
Nahuel rise ancora più forte. «Certo. Cosa ti fa pensare che lo sia?».
«Be', forse non te ne sei accorto, ma ci stiamo un po' scatenando», risposi con tono serio. Poi gli lanciai un'occhiata e scoppiai di nuovo a ridere senza nessun motivo preciso. Era strano che fossi riuscita ad aprirmi e ad entrare in confidenza con qualcuno tanto in fretta e me ne chiesi distrattamente il motivo.
«E allora? Tutti hanno bisogno di scatenarsi, ogni tanto. Soprattutto tu».
«Ehm... Davvero?».
Lui alzò le spalle. «Sai, quando ci siamo incontrati, ieri... sembravi un po' preoccupata, ecco» spiegò.
«Be', avevo avuto una discussione con i miei. E poi... stavo pensando a un brutto sogno». Aggrottai la fronte, ripensando al mio incubo. Quella notte, per fortuna, non era tornato a visitarmi e potevo sperare che non sarebbe tornato mai più.
«Ah, sì», mormorò Nahuel, con voce appena udibile. Fissava intensamente il cielo stellato, le braccia incrociate sotto la nuca, perso nei suoi pensieri. «I brutti sogni possono essere un problema, a volte».
«Sto passando una bellissima serata, però. Ti ringrazio», aggiunsi, sorridendo.
Anche Nahuel sorrise. «Sono io che ringrazio te».
Tacemmo per un paio di minuti. Cominciavo ad essere stanca, ma non volevo che la serata finisse. Repressi a stento uno sbadiglio, stiracchiandomi sulla sdraio.
«Continuiamo a giocare?», proposi.
«È inutile. Non indovinerai mai tutti i posti che ho visto, fidati».
«Sono davvero così tanti?».
«Un bel po'».
«Eppure tu vorresti vederne altri, giusto?», esclamai. Mi girai su un fianco, sentendo la schiena indolenzita, appoggiata al gomito per guardarlo bene in viso Eravamo piuttosto vicini, entrambi allungati sulla stessa ampia sdraio a due posti dove Edward e Bella passavano intere giornate a sbaciucchiarsi. «Viaggiare ancora».
Fece un piccolo sorriso. «Sì, mi piacerebbe. È stato bello venire nella tua città. Ero molto curioso». Mentre parlava, mi lanciò una strana occhiata, così rapida che non riuscii a decifrarla.
«Certo», commentai. «Perchè non avevi mai visto il Nord America, dico bene?».
Il suo sorriso si allargò. «No, non c'ero mai stato. Ma ero soprattutto curioso di vedere te».
Aggrottai la fronte, un po' sorpresa, ma non commentai. Che voleva dire?
«Devi scusarmi se ti ho bersagliata di domande, stasera, ma non ho resistito. Credo che non sarei mai sazio di ascoltarti».
Come? Rimasi interdetta, a guardarlo in silenzio, senza avere idea di cosa rispondere. All'improvviso ero imbarazzata e mi sembrava che fossimo troppo vicini. Desiderai mettere un po' di spazio in più tra noi, ma mi trattenni: non volevo sembrare paranoica.
«Be', la mia vita è così banale rispetto alla tua», bofonchiai, tanto per dire qualcosa. «A parte andare a scuola e stare con i miei amici non faccio un granchè».
«Non è questo il punto», rispose, tranquillo. Fece una breve pausa. «Non ho mai conosciuto nessun altro come me, a parte le mie sorelle, ovviamente. Ma non ci vediamo spesso e con loro le cose sono... complicate. Jennifer, la più piccola, è l'unica con cui riesca ad avere un rapporto normale. Erano centocinquant'anni che desideravo incontrare un altro mezzo vampiro, qualcuno che non mi fosse legato dal sangue, e credevo di non avere nessuna speranza. Poi è arrivata quell'incredibile notizia, la notizia che esistevi tu, e l'opportunità di vederti, e non me la sarei persa per niente al mondo, neanche a prezzo di farmi staccare la testa da quei vampiri italiani».
Abbassai timidamente lo sguardo, accennando un sorriso lieve. Le sue parole mi lusingavano senza che avessi alcun merito particolare. «Be', non è stato un grande incontro, per la verità. Non ci siamo scambiati neanche una parola, se ricordo bene».
«Ricordi bene. Eri molto impegnata a dormire profondamente in braccio a tua madre».
«Però adesso stiamo recuperando».
«Stiamo recuperando alla grande, direi», commentò, il tono leggermente divertito. «Eppure... nonostante l'interrogatorio a cui ti ho sottoposta stasera... vorrei saperne ancora di più. Non ne ho abbastanza».
«Ma c'è ben poco da raccontare. Ti ho già detto tutto», ripetei, mentre mi sfuggiva una risata. Non capivo dove volesse arrivare.
Nahuel scosse il capo, l'aria seria. Teneva gli occhi bassi e tamburellava con le dita sul soffice cuscino bianco della sdraio. «Non ha importanza. Tu sei come me. Non ti rendi conto...», esitò, stringendo le labbra, come se non sapesse bene quali parole usare. Io aspettai in silenzio, osservandolo attentamente. Capivo che stava cercando di dirmi qualcosa di importante. «Credo che tu sia la persona alla quale mi sento più vicino, adesso. Ti sembrerà assurdo perchè ci conosciamo appena. Avverto la stessa cosa anche con Jennifer², la più piccola delle mie sorelle, ma la conosco da quando è nata. Ho la sensazione che tu possa capirmi, come lei. Che tu possa comprendere cosa provo quando uccido un essere umano, anche se non l'hai mai fatto». Il suo sguardo si indurì mentre pronunciava quella frase ed io cambiai posizione, a disagio. «Quando penso a mia madre. Quando mi chiedo quale diavolo sia il mio posto in questo folle mondo». Sospirò. «So che abbiamo avuto esperienze diverse e che conduciamo vite diverse, ma... mi illudo, forse, che tu possa capire ugualmente. Ho ragione?».
Riflettei per un po' prima di rispondere. Mi sembrava una faccenda complicata e cercai di scegliere le parole con cura. Lui mi osservava con espressione calma, pacata, ma allo stesso tempo sembrava che volesse mettermi alla prova.
«Penso di sì» mormorai. «Dopo tutto, siamo nella stessa barca, io e te. Guardiamo il mondo dalla stessa prospettiva. E solo altre tre persone a parte noi, nell'universo, hanno questa stessa prospettiva».
«La stessa prospettiva», ripetè Nahuel in un sussurro appena percettibile.
«È strano», aggiunsi, mentre mi sistemavo più comodamente sul cuscino, e la mia voce suonò assonnata. «Ed è un po' triste. Fa sentire soli».
Chiusi gli occhi. Sentivo che uno strano torpore si impadroniva di me a poco a poco. Ero davvero stanca, adesso. O forse ero solo troppo rilassata, talmente rilassata che avrei potuto addormentarmi da un momento all'altro. Il mio respiro divenne lento e regolare. Tutto era così silenzioso e pacifico. Lo sciabordio delle onde mi cullava simile ad una ninna nanna, come ogni notte sull'Isola Esme. Ero già scivolata nel dormiveglia, quando sentii qualcosa di morbido posarsi sulle mie labbra. Spalancai gli occhi, tornando bruscamente alla realtà, e saltai giù dalla sdraio così in fretta che quasi persi l'equilibrio.
«Nahuel!», esclamai, incredula, portandomi le mani alle bocca. «Che cosa... cChe cavolo hai fatto?».
Lui non rispose subito. Sembrava sorpreso dalla mia reazione e mi fissava con le sopracciglia inarcate. «Mi sembra evidente. Ti ho baciato».
Sussultai con violenza. «Cosa? Ma... Ma... Ma se non è durato neanche tre secondi! Non è un bacio, questo!», sbraitai, inviperita. La sorpresa stava lentamente scemando, sostituita da una certa dose di rabbia bruciante. Lo aveva fatto davvero? Non potevo crederci!
«Tre secondi possono essere più che sufficienti», proseguì, un vago sorrisino sulle labbra.
«No! No, no, no!».
«Perchè ti dà così fastidio?». esclamò Nahuel. Era talmente sconcertato che sembrava sul punto di ridermi in faccia da un momento all'altro.
«Perchè l'hai fatto?», rilanciai.
Il suo sorriso vacillò. «Io... non saprei. Non c'è un motivo preciso», ammise. «Eri così bella, sdraiata lì, con gli occhi chiusi... Desideravo baciarti e l'ho fatto». Tacque per un attimo. «È da quando ti ho incontrata, ieri, che mi chiedo quale sia il sapore delle tue labbra. Adesso lo so», aggiunse dolcemente.
Mi sentii arrossire e sbuffai, infastidita. «Questo non è un motivo valido per baciare qualcuno», protestai a denti stretti. «È ridicolo».
Nahuel rimase zitto per un lungo minuto, continuando a fissarmi. «La pensiamo diversamente, allora», disse infine.
«Sì, me ne sono accorta».
Cadde di nuovo il silenzio. Dio, che imbarazzo. Ero così a disagio. Perchè, perchè lo aveva fatto? Era tutto rovinato, adesso. Strinsi le braccia al petto, evitando di guardare nella sua direzione, ma lui sembrava distratto. Chissà a cosa pensava. All'improvviso parlò ancora.
«E comunque, per la cronaca, secondo me i baci più brevi sono i migliori. Li trovo più intensi», aggiunse con fare tranquillo e rilassato, come se stesse discutendo del tempo che avrebbe fatto il giorno successivo.
Chiusi gli occhi per un attimo. «Nahuel, ti prego. Sto cercando di rimuoverlo».
«Dai... Bacio così male?».
«Ti ho detto che quello non era un bacio!».
«Ma perchè ti dà così fastidio?» ripetè, lentamente e scandendo bene le parole. Quasi involontariamente, gli gettai un'occhiata nervosa e capii che era davvero confuso. «Era il primo?», aggiunse un attimo dopo.
Altra ondata di imbarazzo. Che sfacciato!
«No, non è stato il primo», risposi a denti stretti, infastidita. «Il fatto è che io non sono libera. Ho una specie di ragazzo, a Forks».
Fantastico! Sentito, Alex? Una specie di ragazzo! Avrei voluto prendermi a schiaffi da sola. Sentivo un gran caldo al viso ed ero certa di essere arrossita come un pomodoro.
«In che senso una specie di ragazzo?».
Alzai gli occhi al cielo. «Un ragazzo, Nahuel. Lo sai in che senso».
«È una cosa seria?».
«Che intendi per seria? Stiamo insieme da cinque mesi. E siamo molto felici».
Non mi staccava gli occhi di dosso, la testa un po' inclinata, un'aria divertita e indagratice che non mi piaceva affatto.
«Non è una cosa seria», disse, sorridendo.
Trasalii. «Invece sì. Scusa, ma tu che ne sai? Come ti permetti di giudicare? Certo che è una cosa seria. Io tengo molto a lui e non sono interessata a nessun altro», sbottai, inviperita. Sentii un leggero dolore al braccio sinistro e mi accorsi che stavo serrando le dita sulla pelle con tanta forza da lasciare dei segni rossi. Allentai subito la stretta, sorpresa.
La sua espressione divertita si addolcì appena. Annuì. «Okay, hai ragione. Non ne so niente e non posso giudicare», ammise, anche se dal tono che usò parve che volesse assecondarmi. «Dimmi qualcosa in più. Come si chiama?».
«Alexander. Alexander Hayden» mormorai. «Ma tutti lo chiamano Alex. È un mio compagno di scuola».
«Eravate amici prima di mettervi insieme?».
«No, lui... si è trasferito la scorsa primavera da New York. Praticamente ci siamo conosciuti per caso. Ha un anno più di me».
«E quel licantropo che ne pensa?».
Quel licantropo? Quale licantropo? Jacob? La domanda mi spiazzò completamente. Per un secondo lo fissai in silenzio, come imbambolata. «Vuoi dire Jacob? Be', è felice per me. È il mio migliore amico». Tacqui, esitante e incerta su come continuare. «Tu... sai dell'imprinting?», borbottai, cauta.
Nahuel sgranò gli occhi scuri, stupito. «Tu sì?», domandò a sua volta.
Annuii. «L'ho saputo di recente», risposi, per farla breve. Non mi andava di ripercorrere quella spiacevole vicenda. «E tu come lo sai?».
«Me ne ha parlato tuo nonno, Carlisle. Ero curioso riguardo al coinvolgimento dei licantropi nel vostro problema con i vampiri italiani e lui mi ha spiegato come stavano le cose». Fece una breve pausa. «Quindi Jacob è felice che tu stia con questo ragazzo?».
«Certo».
«Ah, Be', sai, io avevo avuto l'impressione che... ma forse mi sbaglio».
Non lo lasciai finire. «Sì, ti sbagli», sbottai, stizzita. «Non sempre si finisce all'altare. Non è detto». Pronunciare quelle parole mi costò un certo sforzo. Era dannatamente difficile e imbarazzante parlare di quello. Lui se ne accorse e accennò un sorrisetto.
«Capisco. Dunque voi due siete... Che cosa, esattamente?».
«Amici. È il mio migliore amico», ripetei, sicura. In verità la definizione amico mi sembrava riduttiva per esprimere il mio legame con Jake, ma era quella che più si avvicinava ad esprimere il senso del nostro rapporto.
«Capisco», rispose a bassa voce. Sembrava che rimuginasse su ogni parola che pronunciavo, valutandola attentamente. «Immagino che a lui tu possa raccontare tutto, di te», aggiunse, piano. «Anche cose che non potresti raccontare alle tue compagne di scuola».
«Questioni "sovrannaturali", intendi?», domandai con un lieve sorriso sulle labbra. La mia stessa definizione suonava un po' buffa. «Certo, ma non parliamo soltanto di queste cose. Non ho segreti per Jacob».
«Neanche per il tuo ragazzo?».
«Che cosa intendi?», mormorai, a disagio. Lui aveva gli occhi bassi e non riuscivo a scorgere la sua espressione. Non rispondeva alla mia domanda e mi toccò intuire dove volesse arrivare. «Sono sempre sincera con Alex... quando ne ho la possibilità». Tacqui per un attimo. «Ci sono cose che non posso raccontargli, naturalmente».
«Naturalmente», ripetè Nahuel con voce lieve. «E pensi che non gliele racconterai mai?».
Riflettei silenziosamente per un po', stupita dalla piega che aveva preso la nostra conversazione. Avevamo iniziato parlando del più e del meno, tra battute e risate, poi ci eravamo baciati e adesso parlavamo di Jacob ed Alex e del mio rapporto con loro. Come eravamo arrivati fino a lì?
«Be', dubito di poter dire tranquillamente al mio ragazzo che sono una mezza vampira, bevo sangue e vivrò per sempre senza causargli un attacco cardiaco», risposi in tono ironico, cercando di alleggerire un po' l'atmosfera. «E in fondo perchè dovrei dirgli tutto questo? Le cose vanno bene così, adesso».
Nahuel annuì, ancora con a testa china, senza guardarmi negli occhi. «Già, adesso. Ma prima o poi arriverà il giorno in cui non potrai più mentirgli, in cui dovrai scegliere. È difficile dire addio a una persona, lo so. Ho detto addio tante volte nella mia esistenza... Forse troppe. Ma non diventa mai un po' più facile. No, è sempre peggio».
Feci un sospiro lieve, con la sensazione di avere un peso opprimente sul petto. Non potevo non riconoscere l'incontestabile verità delle sue parole; davano voce a pensieri e preoccupazioni che mi accompagnavano spesso e che non riguardavano soltanto Alex, ma ogni essere umano che faceva parte della mia vita: Charlie, Jas, Danielle, Tom...
Improvvisamente realizzai che quegli stessi pensieri dovevano abitare la mente di Nahuel da molto più tempo. Potevo capire che iniziassero a pesare sul suo cuore e che avvertisse il bisogno di parlarne con qualcuno, qualcuno che lo comprendesse, come aveva detto lui stesso poco prima. Ma erano pensieri troppo pesanti da mandare giù in una serata come quella, calda, dolce, dal sapore di mare e spezie, fino a poco prima piena di chiacchiere spensierate e risate.
«Io... non lo so. Non ci ho ancora pensato, veramente», risposi, un po' irritata. 
Nahuel non aggiunse altro. Mi lanciò un'occhiata rapida e cambiò posizione sulla sdraio, l'aria concentrata, come se si stesse riordinando le idee. Dopo un attimo di silenzio, abbozzò un sorriso ed io lo fissai, meravigliata.
«Okay, senti», disse infine. «Non volevo metterti in difficoltà, nè con il bacio nè con... questi discorsi. Scusa». Mi guardò di nuovo con espressione intensa e un po' preoccupata. «Ho rovinato tutto?».
«In che senso?».
«Tra te e me. Per via del bacio. Tu mi piaci e voglio che restiamo amici».
«Oh», esclamai. «No, Nahuel, non hai rovinato niente. Nè con il bacio nè con... il resto. Fingeremo che non sia mai successo. Anche tu mi piaci e vorrei essere tua amica. E comunque quello non era un bacio, quindi non c'è nulla di cui preoccuparsi, in effetti».
«Sei ostinata, vedo», commentò, divertito.
«Anche tu».
«Il tuo Alex non lo saprà mai, che differenza fa?».
«Lo saprei io».
«Non si può mentire a se stessi, Renesmee», disse, scuotendo appena la testa. «Puoi mentire a lui, ma non a te stessa».
Strinsi i denti, seccata. Temevo che quella frase potesse riportarci al discorso appena concluso e non mi andava. Meglio tentare di salvare la serata.
«Non ho bisogno di mentire nè a me stessa nè a lui perchè non è successo niente».
Questa volta non rispose subito. Mi fissò in silenzio per un poco, le sopracciglia aggrottate, come se non riuscisse a credere a tanta ostinazione. Poi alzò le spalle. «D'accordo. Se lo dici tu».
Mi assecondava, adesso? Gli lanciai un'occhiataccia, ma non dissi nulla, cercando di lasciar cadere il discorso. Perchè attribuiva tanta importanza a una tale sciocchezza? Sfiorarsi le labbra per pochi secondi, senza nessun coinvolgimento emotivo, non significava niente. Ne ero convinta, ma sospettavo che insistere fosse inutile e che Nahuel credesse ciò che preferiva.
«Tornerai mai a sederti qui?», domandò all'improvviso, e il suo umore parve molto più allegro rispetto a prima. Si allungò più comodamente all'indietro, incrociando le braccia dietro la testa con ostentazione.
«Sto benissimo dove sto, grazie».
«Non pensi di esagerare un poco?».
«Nahuel», sbottai, esasperata, come se il suo nome fosse un'imprecazione. Sospirai. «Ti prego, basta. Dobbiamo fingere che non sia successo, dimenticare, giusto? Mi sembra difficile riuscirci se tu continui a parlarne».
«Forse è meglio che vada», esclamò, alzandosi in piedi alla velocità della luce.
Sorpresa, cercai di trattenerlo. Una parte di me temeva di aver esagerato, di averlo offeso in qualche modo. «Aspetta», mormorai, senza troppa convinzione. «Non è necessario. È stata una serata fantastica, non roviniamola».
Lui si avvicinò ed io dovetti reprimere l'impulso di indietreggiare. Nei suoi occhi scuri c'era un velo di malizia che non prometteva nulla di buono. «Non è per questo, davvero. Si è fatto tardi e tu sembri stanca. Tanto ci rivediamo». Sorrise, in modo aperto e tranquillo.
Se era così deciso, forse avrei fatto meglio ad assecondarlo. Decisi di cedere. «Certo
», concordai, alzando le spalle. «Torni a trovarci domani?».
«Con piacere. Se sta bene ai tuoi».
Mamma e papà. Accidenti, li avevo del tutto dimenticati. Chissà dov'erano finiti. Quando quei due si lasciavano prendere dalla passione tendevano a dimenticare il resto del mondo.
«Certo che gli sta bene, saranno felici di conoscerti meglio. Credo che domani li troverai a casa». Li avrebbe trovati eccome. A costo di costringerli, sarebbero stati lì a farci compagnia e a bloccare sul nascere altre follie come quella specie di bacio.
Nahuel sembrò intuire cosa stavo pensando perchè inspiegabilmente rise. «D'accordo, allora vado. Grazie per la cena, sono stato davvero bene. Buonanotte».
Si avvicinò con un movimento lento, quasi cauto, e mi baciò la guancia accanto all'orecchio. Sentii il suo fiato caldo sulla pelle e poi le sue labbra si mossero. «E comunque, per la cronaca... hai un buonissimo sapore. Anche meglio di quel che pensavo», bisbigliò, con voce bassissima.
Rimasi di stucco, ma un istante dopo si era voltato e camminava nel buio, allontanandosi. Poi sparì.
Quando Edward e Bella rientrarono, circa un quarto d'ora più tardi, ero ancora sulla terrazza ad aspettarli. A dispetto dell'orario e della stanchezza, ero ancora sveglia. Guardavo il cielo punteggiato di stelle e riflettevo. L'espressione di papà era piatta e incolore come un foglio di carta immacolato; ovviamente sapeva già tutto. La mamma sorrideva spensierata, il che mi fece capire che non sapeva un bel niente.
«Ehi, piccola! Com'è andata la serata?», domandò con tono allegro.
Invece di risponderle, guardai papà. «Tu sapevi che sarebbe successo, vero? Ecco perchè non volevi andartene, prima».
Lui esitò e si passò una mano tra i capelli scompigliati, forse un po' sorpreso da un attacco così diretto. «Avevo percepito nei suoi pensieri un certo... interesse... nei tuoi confronti. Sospettavo che prendesse un'iniziativa», rispose lentamente.
Lo sguardo di Bella si spostava da me a Edward, rapido e confuso. «Un'inziativa?», ripetè. «Chi ha preso un'iniziativa?».
«Avresti potuto avvertirmi», sbottai all'indirizzo di papà, irritata dalla sua calma.
«Mi dispiace, amore
», mormorò dolcemente, accennando un sorriso. «Ma a volte le cose devono seguire il loro corso. Temevo che tu annullassi la serata e rinunciassi a creare un rapporto con lui e non voglio interferire nella tua vita e nelle tue scelte». Non lo disse a voce alta, ma intuii cosa avrebbe voluto aggiungere: non più. Serrò le labbra per un istante. «Non è giusto. Spetta a te decidere quello che vuoi. Sei un'adulta, ormai, ed è così che noi ti consideriamo, anche se a volte...». Esitò ancora per un attimo. Ero certa che stesse pensando alla nostra discussione della sera precedente. Fece un sospiro lieve e proseguì. «Anche se a volte, forse, non siamo capaci di dimostrartelo. E Nahuel avrebbe potuto non fare niente. Davanti a noi c'è sempre un milione di possibilità, Alice dovrebbe avertelo insegnato, ormai».
«Qualcuno mi spiega che succede?», protestò la mamma, rivolgendo uno sguardo esasperato a mio padre. 
Edward la guardò, trattenendo a stento una risata. «Ehm... Aspetta dieci minuti e te lo raccontiamo».
Lei aggrottò la fronte. «Dieci minuti? Perchè?».
«Già, perché?», le feci eco, curiosa.
«Diamo a Nahuel un po' di vantaggio. Non credo che sia in grado di vedersela con una vampira giovane e infuriata».








Note.
1. You and me. Stupenda!
2. Il nome della sorella di Nahuel è preso dalla Guida ufficiale della saga (un'autentica miniera d'oro di informazioni xd). Sappiamo che ha tre sorelle, Serena e Maysun, più grandi di lui, e Jennifer, appunto, nata solo nel 1991. Ricorderete senz'altro che Nahuel non è in buoni rapporti con suo padre, Joham, mentre incontra spesso le sue sorelle, e tra loro quella che incontra più spesso e più volentieri, e con la quale ha un legame più stretto, è proprio Jennifer, perchè è più simile a lui e il fatto di essere suo fratello maggiore lo fa sentire in dovere di vegliare su di lei e proteggerla. Serena e Maysun, invece, (soprattutto Serena) sono più simili al padre e condividono il suo modo di pensare. Ho trovato molto interessanti tutte queste notizie sulla famiglia di Nahuel e cercherò di inserire le sue sorelle e suo padre nella storia... Più avanti, però. Molto più avanti. Che nota lunghissima! xd









Spazio autrice.
Salve! Innanzitutto scusate per questo ritardo nella pubblicazione! Di solito pubblico in mattinata o al più tardi nel primo pomeriggio, ma questa mattina ero impegnata fuori casa e poi ho avuto qualche problema con la pubblicazione del capitolo.
Allora, veniamo subito a quello che penso sia il punto più "caldo" del capitolo, il bacio tra Nahuel e Renesmee. Forse qualcuna di voi se lo aspettava, o magari lo temeva xd, dal momento che tifate tutte per Alex o per Jacob, ah ah ah! Come al solito preferisco lasciarvi con qualche piccolo dubbio ora piuttosto che svelare troppo e rovinarvi la sorpresa, ma una cosa vorrei dirvela: questo episodio avrà un suo ruolo nella storia, e anche piuttosto rilevante, ma non attribuitegli più importanza di quante gliene abbiano attribuita gli stessi personaggi coinvolti. O meglio, attribuitegli la "giusta" importanza. Tutto è partito da Nahuel, che si è lasciato coinvolgere dall'atmosfera intima, di tenera complicità, creatasi con Renesmee, e ha assecondato il desiderio di un istante, quello di baciarla, appunto. E la stessa Renesmee dopo un primo momento di sconcerto e confusione capisce che si è trattato di una svista. Forse il discorso vi appare poco chiaro, ma più avanti lo diventerà. Non posso dire di più, scusate xd. Comunque, non preoccupatevi e per qualunque dubbio o domanda chiedete, come al solito ^^. Grazie, alla prossima!

   
 
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