A fate worse than
death
Ambientato
dopo Hunger
Games e
prima di Catching
Fire
Nel
migliore dei casi è la morte, nel peggiore la vita.
La vera condanna del sopravvivere è rivedere continuamente
spegnersi e chiudersi per l'ultima volta gli occhi di quelli che hai
ucciso e, a loro volta, hanno cercato di ucciderti; schizzi di sangue
tutt'intorno che tingono di rosso l'erba ondeggiante e macchiano le
foglie ocra d'autunno. Rivivere quegli attimi è sempre paura
e terrore, scatti incontrollati di follia.
Qualche volta a Katniss sembra che i Giochi non siano ancora finiti, le
pare che qualcuno, non sa bene chi, sia in agguato dietro alla porta o
nella via che sta per imboccare, pronto a sorprenderla alle spalle e a
calare l'arma sul collo, trafiggendola a morte. In quei momenti respira
a fatica e le mani le tremano, ma il petto ancora si solleva,
riempiendosi d'aria, e questo la tranquillizza ― giusto, alla fine
li ha vinti, i Giochi.
Ma è difficile, torna sempre a casa con il respiro corto e
gli occhi lucidi e Prim ― cara,
dolce, piccola Prim ― le chiede cos'abbia.
Perché la Katniss che Prim conosce non ha paura, non ha
avuto paura il giorno della mietitura nell'offrirsi come tributo e non
può, non è giusto, che tremi adesso che tutto
è finito, scoppiato come una bolla di sapone. È successo davvero?
Qualche volta Katniss scorge, in mezzo a quell'invisibile mare di
sguardi accusatori, gli occhi neri di Rue: non opachi di morte come
allora, ma scoppiettanti di vita.
Rue dalla voce leggera e dalle mani sottili di tanto in tanto le
scivola ancora accanto, inconsistente, e l'accompagna nelle lunghe
passeggiate per il distretto ―
lei la vede.
Da quando è tornata cammina molto, arranca nelle vie
desolate e nei sentieri stretti dietro casa, si trascina. Rue, ora,
quando la raggiunge nel suo vagare, non si eclissa più al
minimo rumore fra le fronde fitte, come durante i Giochi, ma le
passeggia affianco canticchiando e simulando la ghiandaia imitatrice,
nell'aria riecheggiano note conosciute. E qualche volta ride, gonfiando
le guance di gioia proprio come dovrebbe fare una dodicenne, senza
preoccupazioni. E Katniss vorrebbe farle seguito, lasciarsi andare
anche lei, vorrebbe sentire le vene riempirsi di felicità e
la gola gorgheggiare di risa.
Qualche altra volta Katniss si rigira nel buio, gli occhi spalancati,
non potendo fare a meno di chiedersi cosa sarebbe successo se i Giochi
si fossero svolti diversamente. Se Cato, per esempio, proprio alla fine
fosse riuscito ad ammazzare lei e Peeta o, magari, se lei e Peeta
avessero mangiato le bacche, morendo con la schiuma alla bocca, o se,
ancora meglio, Marvel non avesse trafitto Rue e la bambina fosse
sopravvissuta e, per una serie fortuita di casi, avesse vinto. Che sarebbe successo?
Allora Katniss dapprima vede il proprio corpo e quello di Peeta
contorcersi per gli spasmi fino a morire, le labbra ancora sporche del
succo del frutto, e Cato svettare sullo cornucopia stringendo l'arma,
vittorioso. Vede Rue, poi, che sorride davanti alla folla di Capitol
City e lei, Katniss, si sente quasi bene a figurarsi la ragazzina viva,
sorridente, che avanza con la testa alta e le gote rotonde di gioia.
Ma Rue è morta e a lei, a lei che è
sopravvissuta, non resta che vomitare dolore.
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