In
un gioco di fili
Teneva
il capo chino, sconsolato, le braccia ricadevano stanche lungo i
fianchi, abbandonandosi, lasciandosi guidare dalla forza di
gravità senza aver intenzione di opporre resistenza.
Eppure, non una lacrima solcava il suo viso, ma solo strani singulti lo
scuotevano, ed aveva la netta impressione che non gli appartenessero.
Niente in quel momento gli parve suo, nemmeno il dolore. Lei non
c’era più.
Ma ciò che era peggiore, era il fatto che non
l’avesse abbandonato di sua volontà, ma che fosse
stata rapita. E lui, lui non era stato in grado di fare nulla per lei.
Se l’era vista scivolare via dalle mani nel momento
più bello della sua vita, gliel’avevano strappata
brutalmente, sotto gli occhi sbigottiti di spettatori inesistenti.
Eppure, la tristezza che non poteva fare a meno di esprimere, si
ostinava a rimanere sopita all’interno del suo corpo.
Giurò che l’avrebbe salvata a tutti i costi, solo
non sapeva il perché.
Ed ora, arrivato a quel punto, quella piccola parolina era
diventata sempre più fondamentale all’interno
della sua vita, ora che le risate gli apparivano chiare, ora che la sua
intera esistenza era crollata, chiusa fra qualche parete.
Perché?
Aveva cavalcato notti e notti, affrontato nemici dall’aspetto
grottesco e fronteggiato ogni pericolo per qualche ragione a lui
sconosciuta.
Ma ora, ora che quei fili, legati alle sue braccia, ora che quelle
stecche di legno sospese sopra la sua testa si erano stranamente
rivelate a lui, tutto era finito. Il perché era
l’unica cosa rimastagli.
Perché?
Perché non avere la facoltà di decidere della
propria vita? Perché dover essere solo un burattino nelle
mani di qualcun altro?
E di nuovo quella spiacevole sensazione lo pervase: la sofferenza
bandita da quel corpo da quell’animo.
Solo un insistente smarrimento a compagno della sua
agitazione, del suo moto di rabbia, della sua triste impotenza.
“Smettetela!” gridò all’udire
le risate di quei sadici spettatori dimenandosi, posseduto da
chissà quale demone.
“Smettetela” urlò ai nemici grottesche
che si facevano beffe di lui e della sua inspiegabile rabbia,
inconsapevoli della loro schiavitù.
“Smettila” aggiunse infine con voce roca e
disperata a quel crudele burattinaio che guidava il suo corpo in gesti
ridicoli, umilianti.
“Basta” concluse infine in un lieve sussurro,
sospirando appena mentre lentamente si accasciava sul palco.
Uno scrosciante applauso fu l’unica testimonianza della sua
fine.
La semplice fine di uno spettacolo ma, purtroppo, non di quella
soffocante esistenza.
Il burattinaio chiuse la sua scatola, e smontò il piccolo
teatrino di legno piazzato sul ciglio di una stradina
dopodiché, soddisfatto del suo lavoro, tornò a
casa dimenticandosi del suo strumento di piacere.
Il buio della scatola investì il burattino,
rendendolo il triste eroe di una storia ripetuta, rimasta sempre la
stessa, trasformandolo in un semplice piccolo uomo racchiuso in un
misero gioco di fili.
Grazie a tutti
coloro che troveranno un ritaglio di tempo per leggere questa one-shot
e, magari, anche per recensirla.
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