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Quattro ore e trenta minuti.
(o, se vi pare, duecentosettanta minuti)
I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è la loro ombra soltanto
Che trema nella notte
Stimolando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell'abbagliante splendore del loro primo amore
(I ragazzi che amano – Jacques Prévert)
(Dedicato A chi amo. A chi è lontano. A chi è
vicino. A chi è stato vicino alle cose che ama per troppo poco tempo.)
Il cuore inizia a battergli più forte quando la
voce metallica annuncia che il treno sta arrivando. Stringe la presa attorno al
mazzo di rose rosse che ha fra le mani e per un attimo, solo per un attimo, si
chiede come reagirebbe se qualcosa andasse storto.
Magari lui non è su quel treno, magari quei cinque
mesi trascorsi su Internet a chattare fino alle cinque del mattino, a ridere
come idioti guardandosi attraverso una webcam, a progettare ogni singolo attimo
di quell'incontro sono stati solo un'allucinazione, o uno scherzo, o chissà
cos'altro. E lui non verrà.
Quando la folla inizia a scendere dal treno –
dannazione, sembra che tutti abbiano scelto quel giorno per viaggiare – Edo
inizia a guardarsi intorno con aria sperduta, saltellando sul posto e alzando il
collo per riuscire a scorgere Dario in mezzo a tutta quella gente.
Che poi, che idea bislacca scegliere San Valentino
come giorno del loro primo incontro. Se andasse tutto male – e ci sono almeno un
milione di modi in cui le cose possono andare storte, la sera prima Edo si è
addormentato mentre cercava di enumerarle tutte – ogni anno l'avrebbe ricordato
come il San Valentino più brutto della sua vita.
Dario: Ma è San Valentino!
Edo: Vuol dire che ti bacerò non appena arrivi.
E ti porterò le rose rosse, d'accordo?
Dario: Scommetto che ti vergogni troppo per
farlo!
Edo: Dai, scommettiamo che invece lo faccio!
Cosa scommettiamo?
Dario: Un biglietto del treno. Se hai il
coraggio di portarmi le rose, il biglietto per venire da me te lo pago io la
prossima volta!
Edo: Sì, ma così vinceresti lo stesso, non è
giusto!
Dario: E cosa vincerei, sentiamo? Dovrei
metterci i soldi!
Edo: Vinceresti me che vengo a trovarti, non ti
basta?
Le rose le ha comprate un serio, anche se anche
lui ha creduto fino all'ultimo che alla fine gli sarebbe mancato il coraggio e
adesso che è lì si chiede se Dario apprezzerà il suo gesto o riderà di lui e di
quell'idea così romantica e sdolcinata.
Ogni pensiero viene spazzato via quando ad un
certo punto, Edo lo vede.
Scorge i suoi capelli castani arruffati quasi per
caso, le mani nella tasca del giubbotto, le cuffie nelle orecchie e
l'espressione di chi fa finta di sapere esattamente dove si trova, ma in realtà
teme di essersi perso. Da lontano lo vede sorridere quando gli fa segno con il
braccio libero di essere lì, ed è il sorriso più bello che abbia mai visto.
Dario gli corre incontro ed Edo se lo ritrova fra le braccia, con la testa
nascosta nell'incavo della sua spalla. Lo allontana un attimo da sé perché vuole
finalmente guardarlo come si deve, dopo tutto il tempo che passato ad attendere
quel momento.
Poi lo abbraccia di nuovo, mormorandogli che è
felice di vederlo.
E Dario, all'improvviso, lo bacia.
Gli mette una mano sulla nuca, gli prende una mano
e lo bacia sulle labbra, incurante di tutto quello che succede intorno a loro,
perché il suo universo adesso è Dario e nessun altro.
– Ci stanno guardando tutti! – mormora Edo,
sentendosi impacciato come un quindicenne e pensando che, fra i due, lui coi
suoi vent'anni dovrebbe essere il più adulto e padrone della situazione e...
– E chi se ne importa? Lasciali guardare, vuol
dire che siamo belli da vedere, no?
Lo spinge contro il muro e lo bacia di nuovo e
sotto le sue labbra Dario sorride ed è bellissimo averlo così vicino, è
talmente bello che quasi gli viene da piangere.
Lasciano la stazione tenendosi per mano, con Dario
che tenta di tenere con la mano il mazzo di rose che Edo gli ha porto con gesto
impacciato, ed Edo che proprio non riesce a smettere di ridere, un po' per
l'imbarazzo, un po' perché è troppo felice.
– Abbiamo solo quattro ore, dannazione. – dice
Dario una volta entrato nella macchina di Edo, dando un'occhiata distratta al
cellulare.
– Non sono quattro ore, te l'ho detto, sono
duecentoquaranta minuti.
Dario: Ci sono solo due treni al giorno, arrivo
alle dieci e alle due e mezza devo andare via di nuovo :( nemmeno cinque ore...
Edo: Non preoccuparti, ce le facciamo bastare.
Sono quattro ore e mezza, ma se conti i minuti sono duecentosettanta, non va già
meglio? ;)
Edo vorrebbe fare tante di quelle cose con Dario,
in quelle quattro ore e trenta minuti.
Hanno fatto l'elenco e, dopo averlo finito, hanno
passato le successive due ore ad aggiungere voci che avevano dimenticato.
Vorrebbe mangiare tanta di quella cioccolata fino
ad avere il mal di pancia, vorrebbe giocare con la Play fino a farsi bruciare
gli occhi, e poi baciarlo, toccarlo, passargli le dita fra i capelli anche se a
lui dà fastidio.
E poi.
E poi finiscono a fare l'amore non appena
entrati in casa (“i miei oggi non ci sono, stai
tranquillo”).
Sbattono contro
gli spigoli di metà dei mobili del corridoio, imprecano, ridono, respirano l'uno
il profumo dell'altro, non fanno nemmeno in tempo a disfare il letto che si sono
tolti tutti i vestiti di dosso e non vedono l'ora di continuare.
L'amore non era previsto, in quel loro elenco. Ne
avevano parlato, ma Dario era più che sicuro che non sarebbe successo la prima
volta che si sarebbero visti, perché voleva un po' più di tempo per abituarsi
all'idea, invece alla fine è stato lui a dire ad Edo che va bene, facciamolo
adesso, facciamolo subito prima che si faccia tardi perché di tempo loro ne
hanno poco e chissà quando sarà la prossima volta che si rivedranno. Però fai
piano, è la prima volta che lo faccio e ho un po' paura, ma tu tienimi per mano
così non rischio di perdermi.
Restano abbracciati a raccontarsi mille cose, a
dirsi che quell'incontro rubato al tempo è molto meglio di come avevano
immaginato, che sarebbe bello se potesse andare sempre così.
Edo bacia uno ad uno i nei che Dario ha sul
fianco, mentre Dario lo morde piano sul collo, succhia la pelle e ride quando
lui gli dice che i succhiotti sono cose da ragazzini.
– Io sono un ragazzino. – specifica poi,
facendogli la linguaccia. – Ho diciotto anni e vado ancora a scuola.
– Dove dovresti essere
adesso! – fa finta di
rimproverarlo Edo, indicando la borsa coi libri che Dario ha abbandonato sul
pavimento appena entrato nella sua stanza.
– E tu dovresti... Dovresti... Boh, Edo, che avevi
da fare stamattina se non venivo?
– Mangiare cioccolata e deprimermi perché non
avevo un ragazzo da aspettare alla stazione! – scherza Edo, sfregando il naso
contro quello di Dario. – Invece...
– Invece sono arrivato io e ti ho salvato la
giornata... Forte, no?
Si alzano e si rivestono solo quando è ora di
pranzo ed entrambi avvertono un vuoto allo stomaco, nonostante la scatola di
Baci Perugina che Dario ha portato con sé e che hanno praticamente divorato
mentre parlavano.
Edo cucina la pasta col salmone, uno dei suoi
piatti migliori, e Dario dimostra di apprezzare le sue doti di cuoco. Mastica
lentamente, come se allungare il tempo del pasto significasse allungare il tempo
della sua permanenza, e un po' Edo lo capisce, specialmente ora che i minuti a
loro disposizione sono diventati sessanta e sembra non esserci alcun modo di
tornare indietro.
Chiudersi il portone di casa dietro le spalle,
quando sono le due ed è ora di riaccompagnare Dario in stazione, lascia un peso
sul cuore di Edo. Stringe la mano di Dario un po' più forte e gli sorride.
Vorrebbe dirglielo, che è stato bellissimo, ma in fondo non c'è bisogno. Lo
sanno già entrambi.
– Quindi adesso devi farti tre ore e mezza di
treno per tornare a casa? – gli chiede, mentre Dario oblitera il biglietto e
cerca di capire da quale binario partirà il suo treno
– Già... – sbuffa Dario – E ho l'iPod scarico, non
so proprio come farò a far passare il tempo.
– E... e vale la pena farsi sette ore di treno
solo per questo? – chiede Edoardo, facendosi improvvisamente triste.
Dario si ferma e lo prende per una manica.
– Ehi, che cos'è quella faccia? Ovvio che ne vale
la pena. Se non altro mi sono perso il compito di matematica, no?
Dario gli fa l'occhiolino e si sporge verso di lui
per baciarlo, poi gli toglie uno degli anelli di metallo che Edo porta al
pollice e inizia a giocherellarci.
– No, intendevo... Vale la pena farlo per noi?
Dario gli prende il viso fra le mani.
– Ehi guardami. Noi valiamo tutte le ore di
treno del mondo, d'accordo?
Si baciano ancora una volta e tutte le paure di
Edo – non essere abbastanza interessante dal vivo, sbagliare qualcosa, far
pentire Dario di aver sacrificato una giornata per lui, annoiarlo, demolire
l'immagine di quella loro storia nata sul filo della rete – svaniscono in un
attimo.
– E adesso sorridi, scemo. Sei più bello quando
sorridi.
Obbedisce, cercando la sua mano e restando a
guardare le loro dita che si inseguono prima di intrecciarsi.
Va tutto bene.
E nella sua mente non c'è nemmeno spazio per
progettare una prossima volta, anche se, fosse per lui, prenderebbe il
treno anche l'indomani, dopo aver scoperto quanto Dario sia vero e reale oltre
ogni sua aspettativa. Adesso può solo godersi quel poco di tempo che resta alla
loro giornata passata insieme, magari rubandogli un altro bacio, perché se di
una cosa è certo, è che non sarà mai abbastanza sazio dei baci di Dario e di
quel suo modo di guardarlo dopo essersi baciati più e più volte.
Lo guarda salire sul treno e poi aspetta che si
affacci dal finestrino per salutarlo un'ultima volta da lontano. Mancano tre
minuti alla partenza del treno, ed Edoardo è felice così, perché gli ultimi
duecentosessantasette li ha trascorsi insieme a Dario e non c'è niente al mondo
che possa deprimerlo.
Tre minuti.
Due minuti.
Sessanta secondi e un treno che si allontana.
Adesso Edo può ricominciare di nuovo a contare il
tempo che lo separa dal suo prossimo viaggio, quello segnato sul biglietto che
Dario gli ha fatto scivolare in tasca prima di andarsene.
La sua scommessa vinta e i minuti che li separano
dal rivedersi di nuovo.
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Vedete l'immagine ad
apertura della storia? Beh, è salvata sul mio pc da circa due anni e due mesi.
L'avevo salvata perché è troppo carina e mi ero ripromessa di scriverci una
storia.
E... Avete presente quando
le storie arrivano nei momenti più inaspettati, nelle forme che magari abbiamo
già utilizzato in altre storie, ma coi volti di altri personaggi, che hanno
voglia di raccontarti la loro storia, e
che è inutile che gli dici "No, ma io una cosa così l'ho più o meno scritta, non
posso..." loro urlano che la loro storia è diversa, quindi ti costringono
a scrivere? Beh, questa storia si è scritta in questo modo, in una giornata,
cosa per me molto molto insolita, fra l'altro.
La poesia di Prévert in
questi giorni ce l'hanno fatta ascoltare e riascoltare mille volte, con la
pubblicità dei Baci, e io la trovo assolutamente stupenda, roba che a leggerla
mi viene da piangere. E volevo scrivere qualcosa di ispirato anche a questo, sì
E quindi eccoli qui, Edo e
Dario, la distanza, un treno che passa solo due volte al giorno, un amore nato
come virtuale e che si concretizza in uno spazio di tempo molto breve.
Solitamente non sono tipo
da fluff, da romanticherie e da ricorrenze come San Valentino, però ehi... come
scriveva oggi qualcuno, mica bisogna essere fidanzati per amare :) è la festa
degli innamorati e tutti, sono sicura, amiamo almeno una cosa nella vita ^^ E
poi davvero, ogni giorno succedono così tante cose brutte e antipatiche, che
trovare spazio per le cose belle è un'impresa ormai...
Fatemi sapere se questa
storia vi è piaciuta,
Aika.
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