epilogo
Le
favole si avverano:
nel
profondo
vogliamo
credere che
continuano
ad avverarsi
e
un segreto è svelato,
è
la parte della storia
che
preferiamo.
Non
chiedere al tuo cuore se
sente
di poter volare.
La
tua testa sente di poter girare,
ogni
lieto fine è un nuovo inizio,
restane
affascinato.
(Ever
Ever After – Carrie Underwood, colonna sonora
di
“Come d'Incanto”, Walt Disney)
Epilogo
Era
sempre qualcosa
d’emozionante e di “magico” estrarre la
sua scatola a forma di
scrigno: ne sfiorava la superficie intagliata con l'incisione dei due
simboli (un diadema da principessa e una stella a simboleggiare il
grado militare) con rispettive iniziali “B” e
“H” che un caro
amico aveva commissionato per loro. Uno dei doni decisamente
più
apprezzati di sempre.
Lo schiuse e, ancora una
volta, lo sguardo vagò tra i ricordi più sereni
della sua vita, ma
non indugiava mai troppo nella dolce nostalgia: richiamarli alla
mente, era
come riviverli, ma con la consapevolezza di ciò che era
avvenuto
dopo e, al contempo, con la dolce sicurezza che ve ne sarebbero stati
altri. Altrettanto sereni e felici con i quali riempire ulteriormente
quello scrigno.
Il primo che prese tra le
mani era una pergamena arrotolata: seppur conoscesse a memoria le
parole scritte, le rilesse ancora una volta. E la mente, con un
sorriso sognante sulle labbra, vagò alla prima volta in cui
le aveva
lette.
Quando
schiuse gli occhi, un sorriso sereno aleggiava ancora sulle sue
labbra, ma serrò nuovamente le palpebre, quasi volendo
assicurarsi
di poter trattenere quella nuova serenità il più
lungo possibile.
Dopo anni nei quali era sembrata vagare in una sorta di limbo, tutto
sembrava così incredibilmente meraviglioso nella sua
naturalezza.
Allungò
la mano, ma corrugò le sopracciglia, quando
percepì la zona più
fredda del materasso. Schiuse nuovamente gli occhi e si
sollevò con
il torso: ad eccezione di Mr Pussy che si stava stiracchiando
pigramente, era sola.
Ma
fu alla vista della rosa adagiata sul comodino e della busta che si
rasserenò: allungò la mano a prenderla, l'altra
intenta ad
accarezzare il micio le cui fusa sembravano un saluto.
Schiuse
il bigliettino, gli occhi già illuminati
d’aspettativa.
Perdonami se non sarò
qui, quando troverai questo biglietto,
i miei doveri di
Princip-
Capitano esigono la mia presenza.
Buon risveglio: sembra tu
stia facendo sogni meravigliosi che non vedo l'ora di conoscere.
A più tardi,
Hunter
Si beò della rosa che
si portò al volto per sentire la fresca morbidezza dei suoi
petali
e, infine, si alzò. Lasciò a sua volta un
biglietto, prima di
uscire dalla camera.
I
doveri di un Principe Soldato sono improrogabili,
almeno
ti ho incontrato in sogno, ma non vedo l'ora che avvenga davvero.
Buona
giornata, a più tardi,
xoxo
Brittany
~
Sarebbe
stata l'ultima volta in quella camerata, ma non poté fare a
meno di
provare un po' di nostalgia, soprattutto quando Marley
l'abbracciò e
dovette deludere le sue speranze su un suo possibile ritorno a
frequentare l'Accademia.
Persino
Lauren, certo a modo suo, sembrava un po' dispiaciuta, anche se
asserì che non le sarebbero ovviamente mancate tutte le
punizioni
extra che erano state scontate per i suoi guai.
S’intrattenne
tutta la mattinata con loro e stava ancora discutendo circa la
possibilità di un colloquio con il responsabile delle
ammissioni
alla Tisch
School of Arts,
quando un placido miagolio le riscosse tutte. Mr Pussy
avanzò nella
stanza e Brittany sorrise, ma si chinò a prenderlo in
braccio,
ignorando le risatine maliziose delle altre, fino a quando non scorse
una pergamena arrotolata ed incastonata nel collare.
La
srotolò, il cuore in gola e le guance più rosate,
e scorse
quell'iscrizione che sembrava tratta... da un libro di favole,
persino con l'iniziale in miniatura, le rifiniture dorate a
decorazione e il font di scrittura perfettamente abbinato.
Non abbiamo
ancora avuto
il nostro “ballo ufficiale” e credo sia giunto il
momento di
rimediare.
Questa sera,
dove ti ho
vista ballare da sola la prima volta, alle 21.
Ti accludo un
biglietto
da visita: sono certo che farà al caso tuo. Ogni Principessa
dovrebbe avere una “fata madrina” che si rispetti.
Confido che, in questo
caso, sarà davvero speciale.
A stasera,
Hunter
PS: fremo
nell'attesa.
“E'
così
romantico”, aveva commentato Marley con sguardo sognante, per
poi
punzecchiarle il fianco con il gomito. “Abbiamo appurato che
il
Capitano Clarington ha un cuore, dopotutto”.
“Parla
per te,” fu
la sferzante e maliziosa replica di Lauren, “io di altri
parti del
corpo, non ho mai avuto dubbi”.
Non le
stava
ascoltando, Brittany, il foglio di pergamena ancora tra le mani e un
sorriso rivolto al biglietto allegato, anch'esso decorato con fregi e
decorazioni degne dei suoi libri preferiti. Rilesse il post scriptum
e sentì il cuore scalpitare furiosamente: decisamente
se la loro vita sarebbe stata simile a quell'esordio giornata, non
avrebbe potuto sognare di più.
~
“Dream Dress”,
quello era il nome del negozio, scritto con un carattere elegante e
raffinato che Brittany aveva ammirato con sguardo emozionato.
Entrata, fu
subito
attratta dalla visione degli abiti più incantevoli e
pregiati che
avesse mai scorto: abiti da sera, da Prom, fino ai modelli da
cerimonia e dai più svariati colori e tessuti che sembravano
soltanto attendere di poter essere indossati per dare davvero vita ai
sogni delle ragazze. Si guardò attorno, quasi suggestionata
da tanto
splendore, fino a quando non le apparve di fronte un ragazzo le cui
belle fattezze erano paragonabili a quelle di un elfo, nel suo
immaginario infantile. Aveva, infatti, lineamenti delicati, ma la
statura era ben più slanciata, rispetto alla versione
mitologica.
Tutta la sua carnagione sembrava lucente come la porcellana: su di
essa erano incastonati, come pietre preziose, occhi di sfumatura
cangiante di azzurro e gli abiti di raffinata sartoria, ne
risaltavano il portamento signorile.
“Mademoiselle,”
si
era presentato con un sorriso altrettanto brillante, “lasci
che mi
presenti: sono Kurt
Hummel
e
è mio compito quello di realizzare i sogni di ogni fanciulla
che valichi la porta di quel negozio. L'accompagnerò in un
tour
accurato e, nel frattempo, potremo scambiare qualche parola,
così
conoscerò meglio la mia prossima Musa”.
Sorrise,
Brittany, e
fu impossibile resistere ai suoi modi galanti, ma intrisi di
piacevole complicità.
“Come una fata
madrina?”,
chiese con aria evidentemente sognante prima di
porgergli la mano, “è un piacere conoscerti, Kurt,
mi chiamo
Brittany”.
A quel paragone,
Kurt
dondolò le spalle con aria compiaciuta, ma ne
baciò la mano con la
stessa raffinatezza che sembrava parte di lui, prima di sorriderle
più accattivante. “Il mio metro”, e lo
estrasse dalla tasca
interna della giacca, “fa più magie di una
bacchetta: questo te lo
assicuro”.
Come prevedibile,
Kurt
andò letteralmente in visibilio alla vista dell'invito
impresso su
pergamena, seppur avesse sorriso con aria sorniona, evidentemente
già
a conoscenza delle intenzioni del ragazzo. “Il signor
Clarington,
sì: ho già parlato con lui, ma la sua iniziativa
è
andata ben oltre le mie aspettative sulle sue doti da
Principe”,
aveva ammesso.
Quasi non
resistesse,
srotolò di nuovo la pergamena, la mano sul petto e un
sospiro quasi
sognante. “E' così bello vedere che esistono ancora dei
fidanzati così romantici ed è persino un soldato,
lui”,
l'aria sognante aveva lasciato spazio ad una più polemica, a
giudicare da come aveva alzato la voce ad una maniera assai
eloquente.
Solo in quel
momento,
lievemente sorpresa, Brittany si avvide di un ragazzo seduto su un
divano (era stato così silenzioso fino a quel momento, che
neppure
vi aveva fatto caso), le gambe accavallate, sembrava completamente
preso dalla lettura della sua rivista sportiva. Aveva i capelli di
un castano chiaro, sollevati in un ciuffo morbido e vaporoso, occhi
verdi, spesso illuminati dal divertimento e con un ghigno che ne
increspava le labbra sottili. A quelle parole, tuttavia,
levò lo
sguardo e sollevò gli occhi al cielo. Senza distogliere lo
sguardo
sulle pagine che aveva di fronte, replicò con voce annoiata
ma
intrisa di sarcasmo.
“I soldati sono
sopravvalutati e quelli dell'Accademia sono solo arrapati disperati
che farebbero di tutto per arrivare... all'alzabandiera”.
Una sfumatura
color
vermiglio pitturò le gote di Kurt che parve irrigidirsi: da
parte
sua, Brittany, non riusciva a capire quale attinenza potesse avere la
bandiera dell'Accademia, ma preferì non intromettersi o
esplicitare
quel dubbio. Almeno alla presenza del ragazzo che appariva
così
brusco nelle risposte.
Kurt, tuttavia,
si
schiarì la gola, evidentemente desideroso di ignorarlo,
perché le
sorrise nuovamente e si concentrò su di lei.
“Quindi sarà un
appuntamento galante, con tanto di ballo, se ho ben capito?”,
le
chiese conferma.
Sorrise
soddisfatto,
il ragazzo seduto al suo angolo, e voltò pagina,
apparentemente
deciso ad ignorarli.
Annuì,
Brittany, le
guance nuovamente rosate, ma lo guardò quasi timorosa.
“Ecco, in
realtà non siamo proprio fidanz-”.
“Non ancora”,
ribatté Kurt con una garbata strizzata d'occhio,
“ma è bello
vedere che esista ancora una certa attenzione al corteggiamento”,
aveva sospirato nuovamente con aria stoica.
“Disse colui che mi
odiò dal primo istante in cui il suo ex ragazzo ci
presentò e dal
suo « non mi piaci », cadde tra
le mie braccia. Sei mesi
dopo, tutto secondo il mio piano”, fu la pronta replica
dell'altro
ragazzo, quasi fosse stato implicitamente chiamato in causa.
Brittany, suo
malgrado
incuriosita, cercò di trattenere il sorriso.
“Sei mesi?”,
chiese infatti.
“In realtà
mi amava
da prima, ma sa essere molto testardo”, replicò
l'altro con una
scrollata di spalle. “L'attesa comunque si è
dimostrata...
piacevole quanto il
risultato”.
Kurt, che era
divenuto
di un bel color ciliegia, si volse nuovamente al ragazzo per poi
assumere una posa rigida e impettita. “Da questo momento,
t’ignorerò!”, dichiarò con
veemenza.
Rise l'altro e
Brittany dovette nascondere il suo stesso divertimento, ma si
affrettò a stringere il braccio che Kurt le aveva porto,
evidentemente intenzionato ad iniziare il tour.
“Realizzerò
la tua
favola: credo di avere già l'idea adatta”.
Aveva perso la
cognizione del tempo tra abiti di diverso tessuto e colore, ma quando
uscì per l’ennesima volta dal camerino e il suo
sguardo incontrò
quello di Kurt, seppero entrambi che non avrebbe potuto esservi
un’altra scelta.
L'abito era
naturalmente ispirato ad una delle favole preferite di Brittany:
soprattutto il momento cruciale del ballo, non quello del primo
incontro sotto false spoglie per entrambi, ma quello finale, a
palazzo e circondati dalle reciproche famiglie e dai sudditi.
Un bustino
stretto ed
aderente alla vita sottile, ne modellava il busto, aveva maniche
lunghe e il bavero bianco a risaltare contro la sfumatura rosa
dell'abito. Lasciava le spalle nude e il corpetto era impreziosito da
uno scintillio dorato di pietre a disegnare un ghirigoro sul davanti.
Si apriva poi in un'ampia gonna, resa corposa dagli strati di tulle e
che scivolava morbida fino al pavimento, sembrava perfetta per un
ballo da sala.
“Sai,
l’ignorarmi
era divertente per le prime due ore-”, persino Sebastian
(quello
era il nome del ragazzo) si concesse di gettarle un’occhiata
distratta. Probabilmente era stato il tessuto lucido ad attirarne
l’occhio. O l'espressione emozionata della ragazza e quella
commossa di Kurt che si affrettò ad avvicinarsi per togliere
delle
pieghe inesistenti e sistemare gli strati di tulle.
Batté
le mani ed
annuì. “E’ per questo che disegno abiti:
lo sguardo della
fanciulla che trova quello giusto, è come
innamorarsi”.
Era rimasta
silenziosa
fino a quel momento, Brittany, incapace di distogliere lo sguardo dal
proprio riflesso e dirsi, ancora una volta, che la sua favola si
stava realizzando e quell'abito ne era uno splendido ed evidente
simbolo. Non restava, a quel punto, che vivere la sua favola e senza
più alcun timore.
“E’
davvero…
perfetto”, sussurrò, infine, con voce quasi rauca,
incapace di
articolare una frase più lunga.
“Sei davvero
Britteliziosa”, fu
l’ispirazione di Kurt che le strappò
una risatina.
Sebastian si
strinse
nelle spalle con le sopracciglia inarcate: “Sarà
difficile
toglierlo”, fu la recensione che strappò a Kurt un
verso
d’indignata disapprovazione.
Gli
colpì il braccio
con fare ammonitore, Kurt, ma il sorriso dell’altro divenne
persino
più suadente, mentre, ignorandone l’espressione
stizzita, ne
cingeva la vita: “Come questo”, aveva aggiunto
sfiorando una
sorta di bustino da uomo che indossava sotto la giacca del tight,
facendolo arrossire persino di più.
Brittany
sollevò le
mani, dopo essersi concessa una piroetta su se stessa, con un sorriso
più sognante: “Continuare pure a fingere di
litigare: vado a
cambiarmi”, trillò in loro direzione.
“Non stiamo
fingendo!”, fu la stridula protesta di Kurt.
“Stiamo ancora
litigando?”, chiese Sebastian, “A giudicare da come
tremi, stiamo
già per fare pace”.
“SEBASTIAN!”,
Brittany ne sentì il rimprovero persino dal camerino.
Si
premunì di
cambiarsi con attenzione: in parte per il timore di poter rovinare
l'abito, d'altra parte per lasciare che i due
“litigassero” o
“non litigassero”, per un po'.
Al congedo,
Brittany
abbracciò dolcemente lo stilista. “Sei davvero
magico”, lo lodò
e il ragazzo sorrise con evidente soddisfazione, ma lo sguardo
addolcito dallo scintillio delle iridi.
“Vivi la tua
favola”, le augurò baciandole entrambe le guance.
“Anche voi”,
rimarcò la giovane sorridendo ad entrambi.
“Lo faremo”,
la
rassicurò Sebastian che le rivolse un vago cenno del mento,
ma uno
sguardo tutt'altro che innocuo al proprio ragazzo.
~
Uno stato di
dolce
attesa e d’impazienza febbrile, al contempo, aveva atteso che
l’orologio scandisse quell’esatto momento. Persino
quei corridoi
bui sembravano accoglierla con sguardo attento, silenzioso ma
complice dell’atmosfera più favolosa.
Camminava
lentamente e
solo il suono dei tacchi infrangeva il silenzio: scorse la luce
accesa in prossimità dell’aula di danza e quando
vi entro, rimirò
la tavola che era stata sontuosamente allestita.
Hunter era
lì. Ciò
che ne faceva risplendere il viso era quel sorriso che raramente ne
increspava le labbra, ma che ne faceva risaltare le iridi verdi e
sembrava lui stesso parte di quella favola annunciata, la sua figura
quasi fin troppo meravigliosa e affascinante per potersi definire
reale. Con un gesto fluido le aveva cinto la mano e Brittany
sentì
il suo stesso cuore scalpitare intensamente, come un orologio che
scandisse quei momenti di intensa serenità.
Il giovane si
portò
la mano alle labbra e la sfiorò con un tocco appena
accennato, ma
capace di farle scorrere un brivido lungo la spina dorsale.
“Sei
meravigliosa questa sera”.
E Brittany gli
credette, non per proprio merito, ma per quel dolce scalpitio in
petto che prometteva nuovi istanti da vivere insieme e con
altrettanta gioia ed incanto.
“Anche tu”,
riuscì
a sussurrare e il giovane si scostò dolcemente per spostarle
la
sedia e permetterle di sedere.
Non avrebbe
potuto
ricordare con esattezza il dialogo durante la cena: anche
ripensandoci, a distanza di tempo, vi erano solo fotogrammi di un
sorriso o del momento in cui la mano del giovane trovò la
propria
per non lasciarla più andare.
L’aveva
stretta con
una lieve pressione, prima di alzarsi e indicarle il parquet.
“Vorresti ballare con me?”.
Per un solo
istante,
pensò a quel primo ballo, quando con quel fare
più autoritario
l’aveva vincolata a sé e, ancora
una
volta, realizzò quanto il loro rapporto si fosse evoluto e
così la
loro comunicazione e sintonia.
“Non desideravo
altro”, sussurrò per risposta e, malgrado il
sussurro più
tremulo, si riusciva a cogliere l’aspettativa nello sguardo
brillante.
Se la danza era
il
modo di esprimere se stessa, non poteva essere una coincidenza il
riuscire a sentirsi libera e leggera tra le sue braccia. Quasi tutto
il mondo si fermasse e la sua realtà fosse solo quella
melodia, il
calore della sua mano nella propria, la pressione ferma e sicura del
suo braccio attorno alla vita o il battito del suo cuore sotto il
proprio palmo.
Si era fermato,
Hunter, apparentemente non prestando più attenzione alla
musica.
“Ho riletto la tua
lettera”, l’aveva cinta in una postura meno formale
nel fasciarle
la vita e Brittany aveva allungato entrambe le braccia alla sua nuca,
adattandosi a quel nuovo stile.
Le guance
più rosate
a quelle parole. “Lo farai ogni giorno?”, gli
chiese, cercando di
dissimulare l’imbarazzo.
“E’
probabile”,
le concesse con un sorriso più complice.
Si era nuovamente
fatta seria. “Non credevo di riuscire a dirti tutto di
persona, ”
aveva ammesso, la voce più tremula ma il sorriso a
schermirsi,
“probabilmente neppure adesso, eppure è tutto
perfetto”.
Probabilmente neppure ce ne sarebbe stato bisogno, non fino a quando
i loro sguardi fossero riusciti a fondersi in quel modo.
La stretta del
giovane
si era rafforzata. “Non avresti potuto farlo
meglio”, aveva
obiettato, allungando una mano a sfiorarne la gota con la punta delle
dita, quasi timoroso di poterne compromettere la dolcezza o di
poterle persino procurare dolore.
“Ma neppure io credo
di essere in grado di dire ciò che ci aspetta,”
aveva ammesso ma,
a dispetto di tali parole la pressione delle sue braccia si
rafforzò,
“forse essere una Bestia era più
semplice”, aveva inclinato il
viso di un lato ed
esibiva
quell'espressione provocatoria che aveva adattato nei loro dialoghi
iniziali e più diffidenti.
Aveva
emesso uno sbuffo, Brittany, tra il divertito e il risentito
nell’imbronciare le labbra a quella maniera più
puerile. “Hai
smesso di esserlo da molto tempo”, aveva dichiarato infine.
Si
fermò di nuovo, Hunter, e la osservò
intensamente. “Sei riuscita
a non perdere la Principessa che è in te, malgrado questa
Accademia,
il tentativo di adattarti alla nuova famiglia e il ritorno di tuo
padre”.
Aveva
sorriso, Brittany, lusingata da quell'osservazione ma aveva scosso il
capo: non si era trattato soltanto di un suo merito.
“Sono entrata per mia madre, ma era per te che volevo
restare”,
aveva affermato con semplicità.
Aveva annuito,
Hunter
e lo sguardo si era fatto persino più
pensieroso.“E’ per questo
che sarà facile lasciare tutto questo e trovare di nuovo la
mia
strada, con te e ovunque vorrai”.
“M-Ma
l’Accademia-”.
Si era stretto
nelle
spalle. “E’ stata la mia casa per molto tempo:
è venuto il
momento di seguire il mio sogno come ha suggerito qualcuno, o di
crearne uno nuovo”, spiegò con altrettanta
semplicità per poi
rafforzare la pressione attorno alla sua vita, “ e vorrei te
accanto per riuscirci, se accetterai di essere la mia
principessa”.
Un singulto
emozionato, un sorriso sguardo lucido e, con slancio, gli
gettò le
braccia al collo.
“Solo se continuerai
ad essere il mio Principe”, aveva asserito con voce tremula,
il
viso adagiato sulla sua spalla e le braccia esili a cingerlo, quasi
fosse l’unico appiglio a cui aggrapparsi
all’indomani di un nuovo
inizio.
“E’
la più alta carica che io abbia mai raggiunto”,
aveva sussurrato e
aveva appoggiato il mento contro il suo capo, socchiudendo gli occhi
e quasi dondolandola in quel contatto prolungato.
Infine,
la scostò dolcemente. Non sorrideva più e aveva
smesso
completamente di muoversi: l’emozione le tolse il respiro.
La pressione
delle sue
braccia intorno alla vita si fece più ferma,
l’altra mano
continuava a sfiorarne la gota e lo sguardo fisso in quello della
giovane, sembrava cercare una conferma o una consapevolezza da sempre
condivisa ma mai esplicitata, fino a quel momento.
Si
chinò al suo viso
e Brittany socchiuse gli occhi come nient’altro fosse
possibile e
tutto sembrò fermarsi in quel preciso istante. Conscia
soltanto del
battito incessante del suo cuore che sembrò voler
cristallizzare
quel momento, renderlo unico ed eterno.
Le sue labbra
sfiorarono le sue e trattenne il respiro, consapevole che ogni
singolo istante vissuto fino a quel momento, li avesse condotti
esattamente lì.
Sorrise sulle sue
labbra, il ricordo dei baci “del vero
amore”,
di cui aveva
letto da bambina, ne sfiorò la gota, quasi necessitasse di
un segno
tangibile della sua presenza e della conferma che non stesse
sognando. Sorrise quando la mano più grande si strinse
attorno alla
sua, a trattenerla.
Rafforzò
la pressione
intorno al suo collo, con fare più fanciullesco e puerile,
nel
prendere nuovo slancio, che lo indusse a sollevarla leggermente nel
trattenerla a sé. Un sorriso a fior di labbra, un abbraccio
che
prometteva che non l'avrebbe lasciata andare e di nuovo il tempo si
fermò.
Un altro istante.
Brittany
sorrise e ripose
la pergamena. Lo sguardo fu attratto da una busta pregiata e la
schiuse per leggerne il messaggio della partecipazione al matrimonio
di sua madre e di Neal.
Una meravigliosa
giornata estiva e soleggiata: la sua domanda d’ammissione
alla
Tisch era già
stata
inoltrata e così quella di Hunter alla stessa
Università, ma per la
facoltà di medicina.
Sua
madre sarebbe rimasta a Colorado Springs con il marito e quell'anno
il Glee Club, volendo tenersi stretto il trofeo e il titolo, avrebbe
avuto una spumeggiante ma professionale ballerina alla guida.
Era
stato tutto predisposto e i campi d’addestramento
dell'Accademia
sembravano, con il padiglione sontuosamente allestito e le
decorazioni, un giardino fiabesco. Così anche l'altare di
legno
intarsiato di fronte al quale gli sposi si sarebbero scambiati le
promesse di nozze.
Erano
entrambi sulla terrazza che dava accesso posteriore all'edificio e
stavano rimirando il paesaggio. O almeno lo avevano fatto per qualche
istante, prima che si ritrovasse avvinta tra le braccia del ragazzo.
Un
verso divertito al sentirsi nuovamente trattenere, prima che le
labbra del giovane sfiorassero le proprie e, ancora una volta, le
ripetesse quanto fosse splendida quel giorno.
Cercò
di divincolarsi dolcemente: “Devo andare”, aveva
sussurrato con
voce appena trasognata.
“Lo
so,” aveva replicato, senza tuttavia accennare a lasciarla,
“ma
non ne ho voglia”. Si era stretto nelle spalle nel rinsaldare
la
pressione intorno ai suoi fianchi.
“Devo
farlo”, replicò con
poca
convinzione nel socchiudere gli occhi, al tocco delle labbra lungo la
gota, “sono la damigella d'onore”.
“Sì,
sembra plausibile”, l'aveva lasciata dopo un lungo istante e
aveva
indicato la porta con un cenno del mento, come molto tempo prima.
“Va'”.
Aveva
annuito, Brittany, l'aria ancora sognante, ma, prima di entrare, si
era nuovamente voltata in sua direzione e ne aveva cinto il collo,
con un verso divertito. “L'ultimo”, lo aveva
blandito,
ricevendone un sorriso sornione in risposta, prima che si chinasse al
suo viso.
Si
era scostata alla vibrazione del cellulare per poi estrarlo dalla
pochette: “Dieci chiamate perse: sono morta”, gli
occhi sgranati
prima di schizzare letteralmente via, suscitando una risata divertita
nell'altro.
Si
era voltato, le braccia appoggiate alla balaustra e aveva rimirato il
paesaggio con un sorriso: una delle ultime panoramiche di quel luogo
e tra le più emozionanti da serbare nel ricordo.
“Grazie
a Shirley nessuno potrà più dire che le Accademie
non sono
romantiche”.
Si
era voltato con un sorriso alla vista del padre, fasciato nella
sfolgorante alta uniforme e pronto al suo ruolo di testimone, a
braccetto con una donna molto elegante e dal sorriso scintillante.
“Papà,
Julienne”,
Hunter si era loro avvicinato e si era chinato a baciare la guancia
della donna.
Suo
padre lo aveva osservato divertito, scambiando uno sguardo sornione
con la donna. “Sono sicuro che oggi Brittany sia persino
più
raggiante del solito”, aveva commentato.
Inarcò
le sopracciglia, Hunter, guardandolo con la tipica compostezza,
serrando le braccia al petto. “Ne sono sicuro”,
aveva replicato
cautamente, “credo sia in ostaggio nella camerata
femminile”,
indicò la struttura.
Aveva
annuito, Jonathan, e per qualche motivo Julienne gli aveva affibbiato
una pacca sul braccio. “Non essere irriverente”, lo
aveva
rimproverato dolcemente.
“Hai
ragione”, convenne Jonathan che aprì la porta
cavallerescamente,
ma si sporse verso il figlio: “Hai una macchia di rossetto proprio
in quel punto”, aveva indicato una
sbavatura accanto alle labbra e il ragazzo aveva sgranato gli occhi.
Un vago colorito rosato ne aveva sfiorato le gote, prima che
estraesse, più goffo che mai, un fazzoletto dalla tasca.
“ALT!”,
era stata la voce di un agitatissimo Kurt Hummel a fermarlo.
Sebastian
trotterellava alle sue spalle con posa indolente, le mani conficcate
nelle tasche dei pantaloni eleganti, ma guardandosi attorno come un
turista distratto.
“So
cosa stavi per fare!”, lo additò il ragazzo che,
benché
leggermente più basso, ma dalla stazza più esile,
appariva più
minaccioso che mai. “Insubordinazione al buon
gusto!”, esclamò
con enfasi, prima di scuotere la testa. “Andrò
anche a strigliare
la damigella”, aveva scosso il capo con evidente
disapprovazione,
ma, con un gesto spiccio, aveva estratto una salvietta inumidita che
un Hunter inebetito aveva preso. Sospirò, Kurt, che gli
strappò di
mano il fazzoletto e lo insinuò nuovamente nel taschino del
tight
con aria stoica.
Jonathan
e Julienne si allontanarono ancora ridacchiando.
“Devo
ancora vedere la sposa e già sto iperventilando”,
lo stilista che
si era improvvisato wedding planner, stava letteralmente parlando da
solo.
“E
io che speravo fosse per come sono sexy in questo smoking”,
era
intervenuto Sebastian con voce suadente.
Alzò
gli occhi al cielo, Kurt. “Andiamo, siamo in ritardo: devo
ricordarti il
perché?”.
“Non
mi sembrava che ti fosse dispiaciuto rivestirmi”,
c'era un sorriso malizioso ad incresparne le labbra, ma lo
seguì con
aria indolente, rivolgendo appena un cenno del mento al ragazzo che
sorpassò.
Sbatté
le palpebre, Hunter, con aria perplessa: quella giornata si
prospettava tutto fuorché banale o priva di personaggi
curiosi.
~
La cerimonia era
stata
davvero emozionante: Brittany aveva sentito gli occhi inumidirsi in
più di un'occasione, ma era una gioia senza eguali poter
contemplare
l'autentica felicità sul
volto della madre e la consapevolezza che, finalmente,
anch'ella
avesse trovato l'amore della sua vita.
Il pranzo stava
procedendo altrettanto serenamente, quando era giunto il momento dei
brindisi e Neal si era alzato dal suo posto.
“Ho molto di cui
ringraziare quest'oggi e se ho trovato la gioia in questa splendida
donna che oggi è diventata ufficialmente mia”,
fischi
d’approvazione, qualche sporadico applauso.
“Splendida e ancora
in attesa della torta, però”, si era stretta nelle
spalle,
Shirley, con finta modestia, ma lo sguardo raggiante.
Neal si era
schiarito
la gola ed aveva atteso che gli ospiti silenziassero nuovamente.
“Credo che una dedica del tutto speciale vada ad un'altra
giovane
donna che mi ha permesso di entrare nella sua vita. E' con questo
che, sperando non mi dica di no e garantendole che sono stato
addestrato a dovere”,
aveva occhieggiato verso Shirley con
un’aria complice, “vorrei chiederle di concedermi
il primo ballo
tra padre
e figlia”.
Aveva sentito le
guance infuocarsi, Brittany, a tutti gli sguardi puntati in sua
direzione - il naso già arrossato di Kurt che soffiava
nuovamente
nel suo fazzoletto - ma aveva sorriso di cuore. Si era lasciata
sollevare da Neal che, rapidamente, l'aveva raggiunta, per porgerle
cavallerescamente la mano.
“Sarà un
onore”,
sussurrò per risposta e si era lasciata condurre sulla
pedana che
era stata allestita (dopo aver rimosso tutti gli elementi del
famigerato percorso ad ostacoli).
“Attenta, Britty
Woman”, si era levata la voce della madre e il guizzo
ironico,
“Jonathan sarà anche impegnato, ma potrei sempre
prendermi l'altro
Clarington”.
Scosse il capo,
Brittany, ridendo allo sguardo imbarazzato di Hunter, almeno dopo che
ebbe evitato il soffocamento nel sorseggiare il suo drink.
Lasciò
che Neal le cingesse la vita e, insieme, si abbandonarono al ritmo.
Sorrise quando
sollevò
il braccio per farla piroettare, attenta a non calpestare l'orlo del
suo lungo abito.
“E' la festa che
volevi?”, chiese in un sussurro.
“No”, aveva
commentato l'uomo con un sorriso nel condurla abilmente,
“è
persino migliore”.
Aveva annuito, lo
sguardo luminoso quasi quanto quello della madre: “Sono
felice di
far parte del suo sogno”.
Aveva rafforzato
la
pressione dell'abbraccio, Neal, appoggiando il capo contro i suoi
capelli e ne baciò la fronte.
“Non sarebbe stato lo stesso senza di te”.
“E sono anche
onorata di questo ballo padre-figlia: l'ho sempre sognato”,
aveva
ammesso con le guance più rosate.
“E sarà solo
il
primo”, aveva commentato con aria gioviale, ma trattenendola
contro
di sé e lasciandole affondare il viso contro il suo petto.
Un altro lungo
istante
nel quale non sembrò necessario scambiare altre parole. Era
finito
il tempo del disagio, dei silenzi da riempire, delle frasi di
circostanza o del sentirsi in soggezione. Era tutto perfettamente
naturale, tutto in funzione di quell'istante.
“Immagino di doverti
lasciar andare”, aveva alluso ad Hunter che si era avvicinato
con
un sorriso, ma aveva atteso educatamente. La pista, come
notò la
ragazza, si era rapidamente riempita di coppie che volteggiavano
dolcemente.
Sorrise,
Brittany, ma
prima che potesse cingerne la mano, era stato Jonathan ad
intervenire, lasciando il figlio di stucco. “Rispetta i
gradi,
soldato: testimone
e damigella,
dopo lo sposo sono l'uomo più
importante”, aveva commentato, facendo ridere Neal.
“Beh?”, era
intervenuta, Shirley, le mani sui fianchi in un'espressione sorniona,
“la sposa non ha diritto a sgranchirsi le gambe? Non vedo
l'ora di
gettare dal tetto queste stupide scarpe”, era parsa timorosa
che lo
stilista non la sentisse.
Al braccio porto
di
Neal, aveva scosso il capo, cacciandone la mano con un gesto rapido.
“Avrai tempo di calpestarmi i piedi: credo che finalmente mi
prenderò il mio Cavaliere”, con un sorriso
accattivante aveva
insinuato il braccio sotto quello di Hunter che, lo sguardo ancora
incredulo, si era schiarito la gola, prima di rispondere un cauto:
“Sarà un onore”.
Rise ancora al
ricordo,
Brittany, e scosse lievemente il capo.
Lo sguardo
corse ad un
altro oggetto: una scatolina metallica che aprì con un
sorriso,
rivelando dei cartigli rettangolari, alcuni vergati dalla propria
calligrafia, altri da quella di Hunter.
Rilesse quelle
parole che
sembravano già allora segnare il destino che li avrebbe
attesi,
quando quelle aspettative si sarebbero concretizzate. Aspettative
che erano divenute la cornice della quotidianità che stavano
tuttora
vivendo.
Erano
saliti sul tetto
della casa di New York, sul quale la madre aveva fatto edificare un
giardino che si apriva al paesaggio della città. Brittany si
muoveva
con incedere fluido e sicuro, il giovane la seguiva con cipiglio
appena più curioso.
“Perché siamo
saliti fin qua?”, chiese, infatti, prima che il suo stesso
sguardo
fosse catturato dalla splendida panoramica che poteva osservare da
quell'altezza.
“Non solo per
quello”, lo blandì Brittany che stava scrutando
attentamente il
pavimento fino ad individuare una mattonella mobile nel pavimento.
Sorrise con aria di trionfo e la scostò per rivelare qualche
giocattolo che Hunter osservò più divertito.
“Un nascondiglio?”.
“Esatto, era per i
giocattoli, ma ho pensato ad un altro modo per usarlo da
quest'anno”,
aveva esordito, rimettendosi in piedi ed osservandolo. “So
che non
ti piace festeggiare la notte di San Silvestro”, aveva alluso
agli
invitati della madre e di Neal che stavano già rumoreggiando
nell'appartamento in cui avevano vissuto fino all'anno precedente.
“E questo mi sta
bene, ma non devi smettere di credere che le cose non andranno meglio
e te lo proverò!”, aveva concluso con aria
determinata. Fu allora,
che dalla borsa appesa alla spalla, estrasse due penne e dei cartigli
rettangolari per poi porgerne alcuni al giovane.
“Scrivi una lista di
desideri per il prossimo anno: tra un anno torneremo qui e scopriremo
quali si sono realizzati e quali avranno bisogno di più
tempo”.
Aveva scribacchiato
velocemente i propri per poi inserirli in una scatola di latta che
avrebbe ospitato anche quelli del giovane, ma fu quando lo scorse con
la penna ancora in mano e lo sguardo volto a lei, che si
immobilizzò.
“Non riesci a decidere?”.
Si
morsicò il labbro, quasi timorosa che lui potesse obiettare
quanto
quell'espediente fosse sciocco o infantile. O che la sola idea
palesava quanto fossero diversi, fino anche a suscitarne un terribile
ripensamento.
Aveva scosso il capo,
un sorriso più dolce e lo scintillio più
amorevole nello sguardo.
“In realtà stavo pensando che momenti simili hanno
reso quest'anno
incredibilmente perfetto ed è difficile immaginare che possa
andare
persino meglio”.
Aveva sorriso per
risposta, quasi commossa. “Ma è soltanto
l'inizio”, lo aveva
blandito più dolcemente.
Aveva annuito, Hunter,
si prese un istante di riflessione e scrisse sui suoi cartigli, il
sorriso ancora sulle labbra. A quel punto, Brittany li piegò
e li
confuse tra loro, prima di nasconderli nella scatola e poi sotto la
mattonella.
“Tra un anno
sapremo”, aveva sussurrato, realizzando che ciò
implicava la
volontà di essere ancora insieme a costruire i loro sogni.
Sembrò intuirlo,
Hunter, perché ne cinse la mano prontamente. “Tra
un anno”.
Indugiò nel rileggere
qualche proprio cartiglio nella scintillante biro rosa:
Mamma
e Neal felici.
Un
altro anno con il Principe.
Un
saggio di danza alla Tish.
Aveva poi scorto quelli
del ragazzo:
Mio
padre e Julienne felici.
Hudson
fuori dall'Accademia (possibilmente senza che vi faccia ritorno).
Sopravvivere
al primo anno di medicina.
Smettere
di essere una “Bestia”.
Aveva riso di
quell'ultimo cartiglio, seppur fosse divenuto una sorta di gioco tra
loro, ma ancora si ritrovava ad arrossire alla menzione di quella
prima lettera d'amore e quel paragone che sembrava racchiudere tutto
quanto.
Fino a quando non scorse
l'ennesimo proposito che riuscì, ancora a distanza di tempo,
a
strapparle un brivido lungo la spina dorsale e un sorriso a fior di
labbra.
Non si sarebbe mai
stancata di percorrere quelle parole: ignara, nel momento in cui
erano state vergate, che quella voce in particolare, nella lista dei
desideri, ne avrebbe cambiato la vita.
“Il tuo ultimo per
quest'anno”, aveva riepilogato nell'indicare il cartiglio.
Come di tradizione,
erano saliti sul tetto per poi riprendere la scatola con i reciproci
desideri e leggere quelli dell'altro ad alta voce, lasciandolo poi
commentare se fosse più o meno riuscito nell'intento. Aveva
dispiegato il foglietto e una vampata di calore le aveva sfiorato le
guance, gli occhi appena lucidi e le labbra tremanti nel leggerlo:
“Chiederti di diventare mia moglie”,
aveva letto con un
sorrisino accattivante, prima di sfiorare con dedizione l'anello e
sorridere.
“Questo è stato più
che realizzato”, convenne.
Il giovane sorrise,
cingendone la vita: “Decisamente era il più
importante”.
Sfogliò l'album con le
fotografie del matrimonio, un sorriso nello scorgere un foglio su
cui, stesso inchiostro di sempre, aveva scribacchiato (tra correzioni
varie), le parole delle sue promesse di matrimonio.
“Ero una ragazzina
con la testa tra le nuvole e questo non è cambiato molto.
Ero
testarda e permalosa... ma solo un pochino”, aveva ignorato
lo
sbuffo ironico della madre e del giovane che le stava di fronte,
più
bello che mai nello smoking confezionato dal sarto di fiducia e ormai
provetto wedding planner.
Gli aveva rivolto uno
sguardo di pacato rimprovero. “Poco, poco!”, aveva
esplicitato,
indicando una piccola quantità con pollice ed indice, prima
di
schiarirsi la gola e ritrovare serietà e concentrazione,
stringendo
il bouquet quasi fosse un punto di sostegno.
“Le favole erano il
mio rifugio dal mondo: dai momenti tristi o dalle mie paure. Mi
sentivo sperduta, quando ho abbandonato New York per venire a vivere
in quell'Accademia con quelle orribili uniformi:
era come se
strappassero via la felicità e la sarta si era rifiutata di
farmene
una rosa, ancora non ho capito perché, in fondo credo che,
invece,
avrebbe-”.
Allo schiarimento di
gola di Kurt, si era morsicata le labbra. “Stavo divagando,
chiedo
scusa”, si era raddrizzata e aveva sospirato.
“Non è stato facile
adattarmi alla nuova città, una nuova casa o alle corse alle
cinque
del mattino, a non dormire durante le ore di storia”, aveva
sorriso
a Jonathan per poi schiarirsi la gola.
“E poi c'eri tu”,
lo aveva indicato con lo stesso bouquet, “non somigliavi
proprio ad
un Principe, a dirla tutta, ma io ero soltanto un'aspirante
principessa senza corona e senza il suo Re, almeno non
ancora”, e
lo sguardo aveva cercato quello che era divenuto suo padre a tutti
gli effetti, con un sorriso più dolce.
“Non mi sono arresa:
certo, c'è voluto del tempo e Kitty e le mie compagne di
camerata
potrebbero aggiungere che ho combinato qualche guaio
lungo il
percorso, ma poi le cose, a poco a poco, sono diventate più
nitide
perché avevo già le risposte, dentro di
me”, lo sguardo era
divenuto più sicuro e la voce più rauca, quasi
commossa.
“La mia favola è
diventata realtà perché tu l'hai resa tale e di
questo non potrò
mai ringraziarti abbastanza, ma prometto che ci proverò,
ogni
giorno, con tutto l'amore che ho e tutto quello che
verrà”.
Stava ancora indugiando
sulle fotografie del meraviglioso abito che Kurt aveva confezionato,
ispirandosi naturalmente agli abiti delle Principesse, ma fu il
vagito alle sue spalle a strapparla dalla sua contemplazione. Fu
lesta a riporre tutto nel bauletto ed alzarsi in piedi: un sorriso a
fior di labbra nell'avvicinarsi alla culla, posta ad un angolo della
camera da letto matrimoniale. Si chinò rapidamente ad
osservare la
sagoma agitata.
“Shhh, va tutto bene”,
sussurrò con voce più dolce nello sfiorarne la
gota, quasi timorosa
di non essere abbastanza delicata nel farlo.
Gli occhioni si
spalancarono alla sua vista: sembrò che tutto si fosse
fermato in
quello stesso istante e tutto fosse in funzione della sua voce e
presenza. Aveva aperto e chiuso le manine, le labbra avevano emesso
un suono prolungato, simile ad un richiamo e il lamento era finito.
Una nuova urgenza ne faceva rilucere il viso.
Brittany aveva sorriso
nel sollevarlo con attenzione e baciarne la fronte, per poi
specchiarsi negli occhi di quel verde di una sfumatura chiara, quasi
azzurrina.
“Ciao Nathan:
ben svegliato, amore”, lo aveva cullato dolcemente e aveva
osservato quel sorriso di pura adorazione che ne aveva increspato le
labbra, mentre la manina cucciola si allungava, come sempre, ad
insinuarsi tra i capelli biondi e sciolti. “Hai di nuovo
confuso la
notte con il giorno, mh?”, lo aveva blandito premendo il naso
contro quello del bambino.
Lasciò che le dita della
mano libera ne sfiorassero il viso, inducendola a baciarne il palmo.
“Hai fame, mh?”, si era avvicinata al comodino per
prendere il
biberon pieno (dopo averlo riscaldato) e glielo porse, sorridendo
dell'espressione evidentemente soddisfatta.
Ne continuò a sfiorare
la testolina bionda, la manina ancora avvinta alla sua: non
distoglieva lo sguardo, Nathan, seppur impegnato a suggere,
distraendosi di tanto in tanto per sfiorarne il viso, mentre si
chinava a baciarne la fronte.
Quando fu nutrito, si
appoggiò nuovamente alla sua spalla e passeggiarono lungo la
camera,
prima di uscire nel corridoio, sorridendo all'udire la voce di Hunter
in sottofondo: la flessione cadenzata e piacevole che assumeva
durante la lettura.
Si soffermava spesso
sulla soglia dell'uscio, quasi timorosa di invadere quell'atmosfera o
di essere persino di troppo.
Sorrise nell'osservarlo
appoggiato alla testiera del letto di Rebecca,
i cui occhi erano velati dal sonno, malgrado si sforzasse di
mantenerli aperti e di riuscire a prestare ancora attenzione.
Nathan, scostandosi
appena dalla sua spalla, aveva contemplato a sua volta la scena ed
emesso un altro vagito.
“Shhh, papà sta
leggendo la favola a tua sorella”, lo aveva blandito,
baciandone
nuovamente la fronte, ma aveva sorriso, quando la bambina le aveva
rivolto uno sguardo sognante per poi bisbigliarle un:
“Siediti,
mamma”, tastando l'altro lato del letto.
Sotto lo sguardo
divertito del marito che aveva interrotto la lettura, si era
accomodata a sua volta, dondolando ancora Nathan che sembrava a quel
punto interessato ad osservare a sua volta il volume, gli occhi
sgranati e le dita protratte a
toccare le
figure.
Hunter riprese la lettura
e Brittany sorrise nel riconoscere il passaggio della sera di Natale
e il ballo di Belle e di Adam.
“Una delle mie parti
preferite”, aveva osservato nel vederlo richiudere il libro,
quando
la bambina si era finalmente addormentata. Non ci sarebbe stato
bisogno di schiudere la copertina per conoscere le parole che Hunter
vi aveva vergato, otto anni prima, quando era nata.
Questo
libro mi ha condotto alla mia Principessa,
l'ho
guardata diventare Regina, ogni giorno al suo fianco.
Con
la promessa di essere sempre il tuo Re,
ma
lasciarti crescere e vivere la tua favola,
Papà.
“Perché? Esiste una
parte che non ti piace?”, le chiese con un accenno
più ironico,
mentre, con attenzione, rimboccava il letto della bambina e spegneva
la lampada sul comodino.
“L'allontanamento di
Belle”, rispose di riflesso, rimettendosi in piedi, ancora
cullando
Nathan che, tutt'altro che stanco, stava ancora toccando (e talvolta
tirando) le ciocche di capelli che le scivolavano sulle spalle.
“Ma era necessario”,
la blandì con un sorriso.
“Ma è triste”, aveva
obiettato.
“E' il vissero per
sempre felici e contenti che conta”, aveva rimarcato
cingendone la
vita, baciando il capo del figlio e soffermandosi ad osservare la
bambina addormentata.
Aveva sorriso, Brittany,
e si era chinata a sua volta a baciarne la fronte con un:
“Sogni
d'oro”. Ne scostò la frangetta dalla fronte ed
uscirono
silenziosamente, per poi dirigersi alla loro camera.
Le prese il bambino dalle
braccia, consentendole di inoltrarsi per prima sotto le coperte,
raggiungendola poco dopo, malgrado Nathan fosse impegnato a tirarne
chirurgicamente i capelli con espressione divertita.
“Che ne diresti di
dormire un paio d'ore?”, chiese al bambino in tono
accattivante,
appoggiandoselo in grembo. Questi lo stava scrutando, ma si era
sbilanciato in avanti ed era parso troppo interessato a tastarne il
viso o osservarne le smorfie e le espressioni: soprattutto il
sopracciglio che inarcava ad esprimere spesso scetticismo o
perplessità.
Brittany scosse il capo
con un sorriso ormai consapevole, ma ne aveva profittato per prendere
carta e penna dal comodino accanto al suo lato del letto. Quell'anno
aveva in mente di proporre anche a Rebecca di stilare la sua lista di
desideri per l'anno successivo.
“E' tutto a posto per
il 31, hanno tutti confermato: mamma e papà, tuo padre e
Julienne,
Marley e Ryder, Kurt e Sebastian (credo lo costringerà),
Alyson e le
sue amiche e...”, aveva voltato il foglio, “Finn e
Rachel, sì”.
Si era voltato così
bruscamente, Hunter, che si sarebbe detto che un nervo del collo si
fosse accavallato, gli occhi sgranati e persino Nathan
sembrò
restare congelato per un istante, quasi ne avesse percepito lo stato
d'animo. “Hudson?!”, ripeté in tono
incredulo. “In casa
nostra”.
“Rachel aspetta un
bambino”, aveva commentato con tono sognante, “non
è
meraviglioso?”.
“Un baby Hudson?”,
aveva soggiunto, persino più sconvolto, “scommetto
che distruggerà
qualcosa persino dal ventre materno”.
Aveva soffocato una
risatina, Brittany, il viso inclinato di un lato. “Oh,
avanti, non
fare-”.
“La bestia?”, aveva
chiesto con un sorriso malizioso.
“Non stavo per dire
questo”, si era affrettata a distogliere lo sguardo, un
sorriso
appena più divertito ma le guance rosate. Ancora
a distanza di tempo si sorprendeva di come sembrava riuscire a
leggerle il pensiero. O probabilmente era dovuto al fatto che non
fossero cambiati molto dal primo incontro, seppur cresciuti insieme.
“Non sai mentire”, fu
la replica pacata ma divertita, mentre dondolava appena le gambe
quasi sperando di poter così indurre il bambino ad
addormentarsi.
Aveva scosso il capo,
Brittany, ma ne aveva cinto la mano. “Lo so che per te non
è
facile e ne sono davvero fiera”, aveva sussurrato con voce
più
dolce, intrecciando le dita alle sue e rivelando quanto la sua
riflessione andava ben oltre la conferma di una lista di invitati.
L'espressione dell'altro
si era addolcita, sporgendosi a baciarne le labbra in un tocco
sfiorato, attento a non schiacciare il bambino. “Lo
è, quando si
crede di nuovo in qualcosa o in qualcuno”, aveva sussurrato
nel
baciarne poi la tempia.
“Lieta di averti
salvato allora”, aveva sorriso nello stendersi per poi
accoccolarsi
al suo petto, cingendo a sua volta il bambino. Quest'ultimo,
evidentemente comprendendo cosa stava accadendo, di nuovo insinuando
le dita nei capelli della madre, si era steso a sua volta, ma di
traverso. Il capo appoggiato al seno della madre e i piedi sulla
faccia del padre.
Hunter sospirò e scostò
delicatamente il piede con una mano, le sopracciglia inarcate, ma la
scrutò con la coda dell'occhio: “Mi salverai anche
da questo?”.
Aveva ridacchiato,
Brittany, prendendo il bambino tra le braccia e stendendolo su di
sé.
“Una Regina può questo ed altro per il suo
Re”, aveva sussurrato
con dedizione, lasciando che Hunter l'attirasse a sé e
appoggiasse
il capo al suo.
La Principessa aveva
lasciato spazio alla Regina, ma nel suo cuore non vi erano
più
timori nel vivere appieno la sua favola.
The
End
Poco
conta quanto tempo si dedichi alla stesura della fanfiction o quanto
abbia preceduto lo scriverne la prima bozza: quelle due parole finali
sembrano sempre una sorta di condanna
definitiva. E' sempre una
gioia dolce amara lasciar andare i propri personaggi, pur sapendo
perfettamente che, almeno nel proprio immaginario, avranno il loro
“
e vissero per sempre felici e contenti”.
Credo
che ogni fanfiction rappresenti una fase della propria vita:
indubbiamente alla stesura di questa ha contribuito l'essermi
affezionata al personaggio di Hunter (per non scomodare l'interprete
e cadere nel puro fangirling).
Ha voluto essere uno
sfizio per riuscire a convivere con la consapevolezza che, ancora una
volta (dopo Sebastian), Murphy mi abbia fatto infatuare di un
personaggio, senza svilupparne adeguatamente il background e la
personalità, per poi porlo da parte come un giocattolo
difettoso
all'origine e non più utile al disegno finale.
La
scelta della principessa è stata semplice: certamente con
l'avvertimento dell'OOC o la premessa di un contesto e premesse
diverse dall'originale, avrei potuto sbizzarrirmi con chiunque, pur
rispettando le mie “coppie ideali” che fossero
canon o fanon. Ma
ha voluto essere anche il riscatto di un personaggio inserito nella
trama quasi per sbaglio, per un espediente fortunato dell'interprete
e che è scandalosamente evoluto ad una maniera spesso
illogica e
incoerente. Più per l'affetto, le aspettative dei fan, che
per
merito del personaggio di per sé (almeno per come
sviluppato, senza
alcuna critica ad Heather che ho sempre ammirato come ballerina e
alla quale ovviamente auguro ogni fortuna nella carriera e vita
privata).
Credo
che ognuna di noi abbia avuto il suo sogno di essere una Principessa
(più o meno riposto nel cassetto), ognuna si sia affezionata
a
quelle favole che (come le fanfiction stesse) sono proiezioni dei
desideri per una vita serena. E ognuna di noi ha avuto (e ha ancora)
il sogno di un Principe che non manchi di essere garante di
protezione e sicurezza e, al contempo, capace di dolcezza e di
tenerezza, quando richiesto.
Brittany
ed Hunter sono stati il mio filtro in una realtà immaginaria
nella
quale tutto è andato, come avevo pianificato dall'inizio ed
è come
se, con loro, anche una parte di me si fosse sentita partecipe della
loro gioia.
Una
gioia ulteriormente alimentata dai feedback che ho ricevuto e
scorgere dalle splendide recensioni. Persino le attese e speranze di
chi ha letto, le osservazioni argute o più spiritose,
sognanti o
ironiche. Ma, soprattutto, la disponibilità a lasciarsi
guidare da
me e condividere un po' di sé, relazionandosi alle mie
creaturine
(più o meno originali) e sognando
con me.
Tutto
questo e molto più in questi cinque mesi.
Non
mi resta che, con un sorriso, ringraziarvi di cuore di essere stati
parte della mia personale favola.
Senza
bacchetta magica ma con uno spruzzo di magia che non basta mai e
augurandovi di realizzare le vostre favole e i vostri sogni :)
Kiki87
|