Dopo quella sera,
non la toccai più, non le tenni nemmeno la mano durante il
percorso da casa a
scuola, lei adesso andava in bici e io beh, a volte non andavo, altre
invece
andavo camminando.
Vederla era diventato un dolore sia per me che per lei, la
guardavo di sottecchi e il suo volto era buio, lo sguardo vuoto,
assente.
Io,
d’altro canto, non potevo non capirla, era colpa mia se stava
in quel modo,
eppure non sapevo che fare, dopotutto lei sapeva.
Sapeva che per la mia
natura
sarebbe stato meglio tornare nel Sengoku, avrei potuto perdere il
controllo e
provocare una strage nella sua epoca; e poi di là mi
aspettavano Rin, Jaken, il
mio mondo, io, non sapevo cosa scegliere.
‘Cosa si
sceglie tra cuore e
cervello?’
era la domanda che mi
uccideva.
Una mattina ci
incrociammo in
corridoio, lei a testa bassa, io la guardai e alzò lo
sguardo, mi persi in
quegli occhi grigio perla senza rendermene conto, o meglio, me ne
accorsi solo
quando lei mi sorpassò e si chiuse in camera, io rimasi
lì, ferma, a guardare
il nulla, solo con la mia coscienza che mi tartassava, maledizione.
Girai i
tacchi e mi diressi verso camera sua.
Era caldo
perché eravamo in Giugno, erano
passati ben sette mesi da quando avevamo litigato e io decisi che era
il
momento per noi di parlare, bussai le nocche sulla porta di legno,
sentii un
tonfo sordo e un ‘ahi!’ di seguito, poi
più nulla, io resistetti all’impulso di
entrare per controllare, vidi la porta aprirsi,
“so che sei
tu, entra...”
sapeva, sapeva che le
avrei parlato della mia epoca, di Rin, di Jaken, ma non
voleva mandarmi via, rimasi fermo sulla soglia, con la porta che
nascondeva
metà del mio corpo, lo sguardo basso,
“entra o
vattene...”
concluse fredda, io
mi sentii trafitto, ferito, vulnerabile, provai l’impulso di
andarmene, ma non
lo feci, avanzai chiudendo la porta alle mie spalle e mi accostai a
lei, fermo
ad un metro di distanza.
Quando si
voltò la vidi, triste, mi guardava, sembrava
stesse per piangere, non riuscii a trattenermi, mi slanciai in avanti e
la
abbracciai forte, rimase immobile, di sasso, non mi
abbracciò, ma non mi
importava, volevo solo sentire il calore del suo fragile corpo dopo
tanto
tempo. Non appena cercò di allontanarsi la lasciai e mi
voltai verso la porta,
in silenzio.
“Vuoi
andartene?”
chiese,
“Non lo so,
volevo solo parlarti, del
Sengoku, e di quelli che mi aspettano...”
sentii un tonfo sordo
e mi voltai, si
era buttata a sedere sul letto e stava strisciando verso il cuscino,
silenziosa,
mi fece cenno di sedermi, e così feci.
Ero di fronte a lei,
seduto, rigido, a
testa bassa,
“Parla
allora, racconta...”
mi incitò,
sospirai, anche se non so
nemmeno il perché.
“Come ben
sai vengo dal Sengoku, sono il demone cane che
governa le terre dell’Ovest, ma da qualche tempo ho iniziato
a viaggiare con un
demone rospo, piccolo, imbranato e fastidioso, ma sopportabile, poco
tempo dopo
l’inizio del mio viaggio, ho incontrato una bimba simile ad
Akira, ma ha i
capelli neri come i tuoi e gli occhi nocciola, sorride sempre e per
questo l’ho
riportata in vita grazie alla Tenseiga, la spada che mi
lasciò in eredità mio
padre, comunque quei due mi seguono ovunque e questo, anche se poco,
allevia la
mia solitudine, ho un fratello, Inuyasha, che viaggia con un gruppo di
umani,
la sua donna ti assomiglia molto caratterialmente, ma non mi piace come
mi
piaci tu, è ovvio.”
Mi fermai un attimo a
guardarla, era immobile, abbracciava
le gambe con le braccia e lo sguardo era fisso su di me, mi sorrise, ma
le sue
labbra tornarono serie subito, continuai abbassando di nuovo lo sguardo.
“beh,
loro sono alla ricerca dei frammenti di una sfera, la sfera degli
Shikon, ma
non so cosa vorrebbero farci, comunque, a me non interessa. Quando ho
attraversato il pozzo, ero solo, Rin e Jaken si erano fermati ad un
villaggio
poco distante e io ne avevo approfittato per passeggiare un
po’, loro non sanno
che io sono qua e forse Jaken è già andato in
paranoia,”
trattenni una risata,
ma mi voltai quando sentii lei che stava per mettersi a ridere, le
sorrisi e
lei sembrò destarsi da quel lungo sonno che
l’aveva resa uno straccio, sorrise,
serena, comprensiva, sembrava mi compatisse, forse si sentiva una...
“scusami,
sono un’egoista, non sapevo che tu avessi qualcuno che ti
aspettava...”
rimasi
di sasso, lei, quella creatura meravigliosa, era tutto, ma non egoista,
scossi
il capo e mi sporsi verso di lei, avvicinai le mie labbra al suo
orecchio,
“Tu
non sei egoista, sono io che sono stupido...”
mi circondò
il collo con le
braccia e strinse forte, feci lo stesso, ma la circondai in vita,
sorrisi.
Quando si
staccò mi prese la mano e si sedette sul letto nella mia
stessa
posizione, fissò il pavimento,
“scusami, io
ero arrabbiata e non mi sono resa conto
che così stavo peggiorando la situazione, se vuoi tornare di
là a me va bene,
cioè, non mi va bene, ma accetterò la tua
decisione pian piano, o almeno
proverò a...”
non la feci finire, le
presi il volto fra le mani e la baciai,
con passione, amore, sì, l’amavo, più
della mia stessa vita forse, la guardai
allontanando le mie labbra dalle sue,
“non me ne
andrò... forse mi allontanerò
per qualche giorno, avvertirò Jaken e Rin che io, beh, ho
trovato l’amore di
qua, e che non intendo abbandonarlo così presto...”
stavolta fu lei a
baciarmi,
poi mi abbracciò forte,
“vorrei che
ci fosse una soluzione per tutto questo, lo
vorrei tanto...”
mi sussurrò
piano. Mi alzai e mi diressi verso la porta
lasciando Rumiko seduta sul letto, mi voltai e le sorrisi, mi
guardò dolcemente.
Tesi la mano.
“Vieni...”
Ci dirigemmo verso la
cucina mano nella mano,
sorridendo, eravamo silenziosi, ma con lo sguardo ci dicevamo tutto.
Lei lasciò
un biglietto alla madre dicendo che sarebbe tornata presto e di non
preoccuparsi, poi si diresse con me verso il pozzo.
Era tornata felice, ne
ero
contento.
°°°ho chiamato così questo capitolo perchè dopo una tempesta c'è sempre l'arcobaleno, e in questo caso, dopo la litigata con Sesshomaru, Rumiko riesce a sorridergli di nuovo come prima... spero vi piaccia...^^ kiss kiss...°°° |