La telefonata che avrei voluto farti.
La telefonata che avrei voluto farti
Credo che nell’81 i miei tentativi di rappresentare con una
figura astratta la mente umana fossero sciocchi, per non dire ingenui.
Se la mente umana fosse realmente come una soffitta, non mi
troverei in questa stravagante
situazione, a discutere internamente sul ottativo desiderativo greco.
Sono in un angolo buio, davanti a un ufficio postale, di
notte, in America e l’unica cosa a cui riesco a pensare è che solo ora mi è
chiaro perché i greci fossero così tediosamente specifici nelle loro
subordinate.
Di per sé, una sorta di ottativo desiderativo lo possediamo
anche noi inglesi, difatti non mi è stato difficile apprenderlo –e subito dopo
cercare di dimenticarlo- ma ciò che mi ha sempre fatto un po’ alterare da
ragazzo era l’eccessivo zelo con cui i greci lo usavano.
Bastava che cambiasse una sola desinenza, un minimo tempo
verbale, e il significato mutava, assumeva sfumature usate probabilmente
quattro volte in tutta la letteratura antica.
I greci e le loro astrazioni, un’intera società basata sull’effimero
che rappresentano i sentimenti.
Ti sarà facile immaginarmi appena dodicenne –aggiungendo
alla tipica arroganza di tale età quella mi appartiene di natura- davanti a un’inutilità
del genere.
Facendo qualche rapido calcolo, credo di non averci dedicato
più di due ore in tutta la mia vita, quindi perché ora, in questo preciso
contesto, è risalito dai meandri del passato?
Penso sia colpa del fatto che corra l’anno 1913, che non ci
sentiamo da due anni e che ieri fosse il sette Luglio.
Facendo nuovamente qualche rapido calcolo, tutto indicherebbe
come colpevole la tua persona, mio caro Watson.
Nient’altro al mondo potrebbe far viaggiare tanto
incoerentemente i miei pensieri, nient’altro al mondo mi immobilizzerebbe così
ferramente a terra, a un desiderio tanto sciocco.
Sciocco perché non sarebbe mai potuto accadere nulla di
simile.
Non avrei mai potuto scassinare piano la serratura, con la
tensione che fluiva nel mio corpo.
Non avrei mai potuto scivolare con il favore delle ombre
fino al telefono, sentendomi peggio di un bambino alla sua prima marachella.
Non avrei mai potuto prendere subito la cornetta in mano e digitare
quei numeri che avevo imparato a memoria prima, nel momento stesso in cui me li
avevi consegnati.
Non avrei mai potuto aspettare con le labbra serrate in
un'unica, penosa linea finché il tuo pronto non mi avesse colmato dolcemente le
orecchie.
«Vecchio mio, quanto tempo! Ha cinque minuti da dedicarmi?»
non avrei mai potuto sussurrare sottovoce, cercando di eliminare il tremore che
mi avrebbe preso alla gola.
Non ci sarebbe mai potuto essere un attimo di silenzio e non
io sarei mai potuto rimanere immobile, immaginandomi fin troppo nitidamente il
tuo viso corrucciato distendersi in una così genuina espressione di sorpresa.
«Sherl…» non avresti mai potuto cercare di dire, con gli
occhi spalancati, tinti di quell’azzurro che tutt’ora fatico a trovare nel
cielo.
«Sherry, dici? Amico mio, da quando la mia sola voce ti
provoca un’irrefrenabile voglia d’alcool? Sei peggiorato, due anni fa era la
mia vista a determinare tale effetto.» non ti avrei mai potuto prendere in
giro, con un sorriso tremulo sul volto.
Tu non avresti mai potuto sospirare e sorridere di riflesso,
senza neanche rendertene conto.
«In effetti avrei voluto tendere la mano alla bottiglia, ma
solo per scaraventarla in testa a chi sveglia tutta la casa a quest’ora
indecente della notte.»
Io non avrei mai potuto ridacchiare, sentendo tremare il
cuore in petto.
«Su, su, non faccia così, miei erano nobili motivi, sa?» non
avrei mai potuto dirti, cercando di non crollare su me stesso, sulla mia
codardia. «Bisogna pure che qualcuno conservi le tradizioni.»
«Tradizio—?»
«Auguri, vecchio mio.» non ti avrei mai potuto interrompere
bruscamente, cercando di ascoltare meno possibile la tua voce e al tempo stesso
bramandola. «Oggi…» non avrei mai potuto cercare di dire con la gola troppo
secca «Oggi è l’otto di Luglio, ieri era il tuo compleanno e… e non posso
esimermi da farti gli auguri in ritardo.»
Tu non saresti mai potuto rimanere in silenzio, non avresti mai
potuto stringere la cornetta più forte, intuendo il mio stato d’animo.
Non avresti mai potuto respirare piano, abbassando gli occhi
e ponendoti quei perché che ti colorano sempre gli occhi di blu.
E io –stupido, ottuso, insulso- non ti avrei mai potuto
canzonare per il tuo silenzio, sostenendo che fosse tutto stupore, non mi sarei
mai potuto nascondere da me stesso, incurvando piano le spalle sotto il peso di
quei due anni di silenzio.
Non sarebbe mai potuto accadere.
Non accadrà.
Eppure io sono qui.
***Angolino del cambia-colore***
Uhm, salve.
Non oso neanche contare da quanto tempo è che non vengo in
questo fandom, e neanche oso contare da quanto tempo non ci scrivo sopra. Sì,
perché in verità quello che state leggendo ha un paio di anni, non è neanche
completo, la fine l’ho dimenticata. Non ho però dimenticato il mio Watson (che
ho anch’io lontano ma essendo io un po’ Holmes!Downey la stalkero anche in
lontananza) e quando le ho fatto leggere questo pezzettino l’ha molto
apprezzato, mi ha detto di pubblicare e chi sono io per andare contro il mio
romanziere d’appendice preferito? Forse anche per una sorta di tributo, una
sorta di “ehi, sei ancora un angolo caldo e caro del mio cuore”, non lo so, ma
avevo voglia di pubblicarlo.
Non penso necessiti di molte spiegazioni, è ovviamente
ambientato in quel gap temporale che Holmes spende in America prima del suo
ritorno, prima dell’ultimo caso, prima che il vento soffi da est. E no, se ve
lo state chiedendo, no, le chiamate intercontinentali non erano possibili
all’epoca tecnologicamente parlando, e sì, ovvio che Holmes lo sa, ma se si
parla di Watson certe cose le dimentica per un attimo pure Holmes, colto da
quella orrenda bestia grammaticale che è l’ottativo desiderativo greco. La
quale bestia ho invano cercato di riprodurre con il
condizionale+mai+potuto+infinito, piuttosto pesantuccio, nh? Chiedo venia, mai
stata brava in greco.
Quindi niente, scusate il pistolotto qui sopra e grazie per
aver letto fin qui.
|