La riga luminosa incide il nero del monitor. Disegna picchi sempre uguali, a un ritmo sempre uguale.
Quelle linee bianche, insieme al cadenzato segnale acustico dei
macchinari, testimoniano che la vita nel corpo della ragazza resiste.
Sam, ai piedi del letto, osserva il viso di Jane: addormentato,
tranquillo nella totale assenza d'espressione, incorniciato dal rosso
smorto delle lisce ciocche. Il petto di lei, sotto alla stoffa del
camicione, si alza e si abbassa in respiri poco profondi ma regolari.
Più di undici ore prima, nella stanza bianca, un respiro molto
più flebile di quelli è stato sufficiente per restituire
speranza ai cacciatori.
Sono stati attimi di gesti convulsi e di decisioni prese in un batter d'occhio.
Hanno coperto Jane con le loro giacche. Dean l'ha sollevata in braccio
per spostarla al pian terreno, dove l'aria poteva essere più
calda. Sam ha composto il 911. Poi, il bagliore blu e il suono di una
sirena, il sobbalzo di una barella, una corsa verso l'ospedale. Tutto
è terminato nel quieto brusio di un corridoio del terzo piano,
quando un medico di mezza età — radi capelli grigi e lindo
camice bianco — con il misto di tatto e solerzia adatta al
proprio ruolo, ha spiegato: «Vostra cugina è viva, signori
Simmons». Un ma non detto è rimasto ad aleggiare nell'aria
odorosa di medicinali. «Sfortunatamente, la bassa temperatura ha
rallentato la circolazione del sangue per un periodo di tempo troppo
lungo e il cervello non ha ricevuto sufficiente ossigeno. C'è
speranza che la ragazza si risvegli dal coma, ma anche in tal caso, non
possiamo sapere quali e quanto gravi danni il suo sistema nervoso abbia
riportato».
Sam si è detto che un letto d'ospedale è pur sempre
meglio del tavolo di un obitorio o di una pila in fiamme, ma da un'idea
del genere ha ottenuto una magra consolazione, subito sostituita da un
flusso di pensieri ben più amari.
Se fossero stati meno negligenti nel controllare il vecchio edificio.
Se non avessero lasciato Jane da sola.
Se fossero arrivati prima in quella maledetta stanza.
Se, semplicemente, avessero compreso subito la verità.
Solo adesso Sam inizia a realizzare quanto sia stata inutile la propria
fuga. Per un anno intero, tra le braccia di Amelia, ha creduto con
tutto il cuore di essersi finalmente liberato della vita da cacciatore.
Ha sperato che fossero finiti i giorni in cui era costretto ad
addossarsi la responsabilità delle esistenze altrui, spezzate o
rovinate per sempre.
Tutta un'illusione.
Il cacciatore distoglie lo sguardo. Respira pesantamente e si appresta a lasciare la camera.
In una manciata di minuti, raggiunge Dean nel parcheggio St. Peter's
Hospital: un'arida distesa di asfalto nero e di automobili, rischiarata
dalle pozze di luce dei lampioni.
È tarda sera. Ha smesso di piovere e le nuvole iniziano a diradarsi, mostrando scaglie di cielo buio e vuoto.
Dean se ne sta appoggiato allo sportello dell'Impala: mani affondate
nelle tasche e sguardo basso. L'illuminazione, che piove dall'alto,
scava i suoi lineamenti regolari, dando loro un aspetto più
severo e dolente di quanto siano normalmente.
Quando Sam lo raggiunge, il maggiore dei fratelli Winchester non si prende la briga di alzare lo sguardo.
«Dobbiamo decidere cosa fare» principia Sam.
La reazione di Dean è stoica: «Torniamo al negozio e
facciamo sparire ogni traccia. Registrazioni comprese. Tempo pochi
giorni e qualcuno denuncerà la scomparsa della libraia. Dobbiamo
tenere i sospetti lontani da Jane».
Sam stringe le labbra in un cenno di assenso.
«E con lei, con Jane, cosa facciamo? Hai sentito i medici, Dean.
Non hanno idea di quando si risveglierà. Noi dobbiamo trovare
Kevin, non possiamo restare qui. E Jane ha una famiglia. Che ha il
diritto di sapere cosa le è successo».
«E lo saprà. Adesso andiamo» ribatte Dean, lapidario.
Sam lo guarda aprire la portiera con uno strattone.
Non c'è altro da dire ad alta voce. Sam sa già cosa
nasconde la cupa immobilità del viso del fratello. Sa che, per
Dean, il fatto di conoscere Jane Leigh da meno di un paio di giorni non
serve ad attenuare il rimorso. Sa che, per Dean, conta solo una cosa:
avrebbe potuto tenerla al sicuro e non l'ha fatto. E non è
disposto ad assolversi dalla colpa. Si lascerà alle spalle
Mansfield e il caso della donna delle nevi, ma non il ricordo di non
aver fatto abbastanza per proteggere l'ennesimo innocente.
* * *
Mentre l'Impala esce dal parcheggio, immettendosi nel sonnacchioso
traffico serale della cittadina, qualcuno al terzo piano dell'ospedale
esce dalla stanza di Jane.
La mano che si abbassa sulla maniglia appartiene a un uomo: pelle
olivastra e un bracciale di cuoio attorno al robusto polso. Non
è un medico né un infermerie quel giovane, in camicia di
jeans, che adesso guarda entrambi i lati del corridoio momentaneamente
deserto. Dai suoi occhi scuri non trapela alcun tipo di turbamento,
sebbene sia consapevole di non avere l'autorizzazione per essere
lì. Nessuno l'ha notato accedere al reparto. Nessuno l'ha notato
oltrepassare l'ingresso dell'edificio ospedaliero. Nessuno lo
vedrà uscire. Neppure le due infermiere che, tra pochissimi
minuti, si precipiteranno per prime a prestare assistenza a una ragazza
appena risvegliatasi dal coma.
* * *
«Ed ecco le copie della contabilità della libreria».
Jane sventola la cartellina sottile sotto il naso di Sam.
Lui gliela sfila dalle mani, per sfogliarla distrattamente.
Siedono entrambi sul divano, nel soggiorno del 2601 di Wakefield
Terrace. Non c'è più traccia della profetica frase
impressa dalla Yuki-onna sopra al camino e la stanza è stata
rassettata a dovere. Jane, tornata a casa la mattina precedente, ha
spazzato il pavimento e gettato via i cocci; tolto di mezzo la cornice
vuota e sostituito le lampadine fulminate. Un lavoro notevole per
qualcuno che ha sfiorato la morte per assideramento, è stato in
coma per dodici ore e ha trascorso gli ultimi cinque giorni bloccato in
ospedale, sottoposto ad analisi su analisi, accertamenti su
accertamenti.
Gli esiti dei controlli hanno lasciato allibiti i medici ma nessun
spazio per i dubbi: l'organismo di Jane non ha risentito dei traumi
subiti. Si è risvegliata sana come un pesce e i dottori, a parte
mormorare come una simile ripresa abbia del miracoloso, non hanno
potuto far altro che dimetterla. La ragazza, dal canto suo, si è
posta qualche lecita domanda e, dopo aver accuratamente esaminato a
quali risultati l'ha condotta la sua curiosità, ha convenuto che
per una volta può far a meno delle risposte. Si sente in forze
come mai si è sentita in vita sua, e tanto le basta. A ricordo
delle sue sfortune, resta il taglio al palmo della mano sinistra, i
lividi alle ginocchia e non un grammo di sollievo per la fine degli
orrori della piccola libreria.
È stato Dean Winchester a colpire la Yuki-onna ma, in cuor suo,
Jane riconosce in sé stessa e in nessun altro la causa della
morte della signora Sternwood.
«Più uscite che entrate» continua, raccogliendo la
tazza di tè dal tavolinetto. «Lei non mi aveva mai detto
dei problemi con il negozio, ma spiegano perché avesse iniziato
a vendere gli oggetti antichi sotto falso nome. Stampa giapponese
compresa».
Sam abbandona la cartellina sul tavolinetto da caffè — che
è già occupato da due piccoli libriccini rilegati in
pelle.
Poi, appoggia gli avambracci sulle gambe e guarda Jane. «Posso farti una domanda?»
Jane mugugna un verso di assenso.
«Ricordi qualcosa... del coma?»
«Niente luci in fondo al tunnel e niente esperienze
extra-corporali». La ragazza soffia sul tè. «In
effetti, non c'è stato proprio niente di niente. È come
se quelle dodici ore non fossero mai esistite. Ricordo il freddo e
poi... il soffitto della camera, in ospedale. Francamente, mi va bene
così».
Il rombo di un motore dirotta l'attenzione di entrambi verso la
finestra: fuori è l'inizio di una placida giornata autunnale.
Brandelli di basse nuvole grigie avvolgono le cime delle colline
coperte di boschi e il cielo è ancora un gonfio tappeto bianco,
ma qui e là fanno capolino pennellate di azzurro.
In strada, una lunga automobile con la carrozzeria nera rallenta fino a fermarsi davanti alla casa di Jane.
È l'Impala.
Sam e Jane osservano Dean scendere e percorrere il vialetto.
«Perché tuo fratello cammina sempre come un cowboy appena smontato da cavallo?»
«Difetto di fabbrica».
«Temevo fosse una scelta di vita».
Un rumore all'ingresso e Dean li ha raggiunti in soggiorno.
«Serbatoio pieno. Possiamo partire» esordisce,
avvicinandosi al divano. Un'occhiata a Jane: «Bel vestito».
Jane pecca di ingenuità e sorride.
«Davvero? Ti piace?»
Ma si dà il caso che l'abituccio sembri rubata agli anni
Sessanta: una lunga blusa bianca, lavorata a maglia, con un paio di
balze in pizzo come orlo per la gonna.
«No. Nonna Papera rivuole indietro i suoi centrini».
«Amico, tu quando sei diventato un fashionista?» interviene Sam.
«Non è mai successo» decreta Jane. Sorseggia il suo tè. «Allora, avete nuova meta?»
«Minneapolis» sillaba Sam, lanciando un'occhiata strana alla volta del fratello.
«Notizie da Harrison Ford?»
«No» risponde Dean. «Ma abbiamo notizia di due cuori
strappati, nel giro di sei mesi, in quella città». [1]
«Scenario incantevole».
Dean raccoglie dal tavolino uno dei libri.
«Questo è...»
«Uno dei suoi diari» lo anticipa Jane. «Erano tutti
nascosti e tenuti sotto chiave nella scatola con il grosso lucchetto.
Ho dovuto usare un martello».
«Ma hai davvero intenzione di tenere tutta la sua roba?»
chiede Sam. Con un vago cenno del capo, indica alle proprie spalle.
Si riferisce alla camera degli ospiti — dove, stivato con
minuziosa cura in una decina di scatoloni, c'è quanto era
conservato nella stanza in cima alla libreria.
Dal letto d'ospedale, Jane ha chiesto a Sam e a Dean il favore di
tornare lassù e svuotare ogni cassetto e ogni vano. Ne è
uscito un bottino degno di un museo dedicato all'Ottocento: cofanetti
pieni di gioielli, abiti e cappellini, giocattoli e libri. I diari si
sono rivelati una lussureggiante forte di informazioni. Jane ha
scoperto che C.B.W. erano le iniziali di Crystal Blanche Wells:
l'identità assunta dalla Yuki-onna al suo arrivo negli Stati
Uniti. Ha letto che la bambina nacque in Inghilterra nel 1858, figlia
di un tale signor Haydon di Londra. Era umana e fu la tubercolosi a
portarsela via. Ma la scoperta più inaspettata è stata
sulla capacità della Yuki-onna di mutare i dettagli del proprio
aspetto fisico: non un dono innato della sua razza ma l'effetto di un
incantesimo, perché più di ogni altra cosa la donna delle
nevi desiderava poter vivere tra gli esseri umani e non nascosta nelle
foreste, come quelle che diario definiva 'sorelle'.
«Li metterò in un deposito» spiega Jane. «Ma
non voglio che vadano perduti». Anche se è impegnata a
fissare il bordo smussato della tazza, la ragazza avverte su di
sé lo sguardo poco convinto dei due cacciatori. «Sentite,
sembra assurdo... alla luce del fatto che abbia tentato di
ammazzarmi... ma non ci riesco a pensare a lei come a un mostro. Non
era cattiva. Anzi, sono sicura che a modo suo... un modo poco sano,
certo... mi volesse bene sul serio».
«Jane, non si uccidono le persone alle quali si vuole bene» fa notare Sam.
«E chiederle di sacrificare la sua vita per la mia non è
un richiesta da poco» insiste Jane. «Quel diario... risale
al periodo in cui ha avuto la bambina. C'è la cronaca di tutta
la sua sofferenza del vedere la figlia ammalarsi e morire. Dicono che
non ci sia dolore peggiore di quello di un genitore che perde un
figlio. Immaginate come dev'essere stato convivere con quel dolore per
centoquarantasette anni? Non mi stupisce che alla fine sia...»
«Diventata pazza?» suggerisce Sam.
«Non era pazza. Credo solo che... qualcosa, sotto la superficie della normalità, fosse andato in pezzi».
Dean e Sam continuano a sembrarle perplessi.
«È davvero così inconcepibile, per voi due, avere
pietà di qualcuno anche se non è umano?»
È Dean a rispondere. Lo fa senza guardare né Jane né il fratello.
«No» afferma. E mette giù il diario.
Jane osserva il profilo del cacciatore, incerta sul reale significato
da dare a quella risposta. E al modo in cui è stata pronunciata.
Poi, il breve silenzio viene rotto dal secco toc della tazza di
tè che la ragazza poggia sul tavolino. Si strofina le mani sulle
gambe, prima di alzarsi in piedi e annunciare: «Be', ho qualcosa
per voi».
I bassi tacchi degli stivaletti marroni fanno un discreto fracasso,
prima sul parquet, poi sul linoleum della cucina e poi di nuovo sul
parquet, quando Jane si ripresenta in soggiorno con una scatola per
alimenti tra le mani. Stende le braccia e la porge a Dean. «Per
il viaggio. Sfornata un'ora fa» cinguetta. «Visto che la
prima volta che sei entrato in questa casa, c'è mancato poco
così che non sbavassi sull'altra torta...»
Dean solleva il coperchio: il profumo di torta di mele è
inconfondibile e il sorriso del cacciatore più eloquente di
qualsiasi parola.
Jane arriccia il naso in una smorfietta.
«Consideratelo anche un grazie in più per avermi... be',
salvato la vita. Alla fine, mi sono davvero comportata come la
protagonista stupida di un film dell'orrore».
* * *
In fondo al vialetto, è tempo di salutarsi.
Jane, sollevandosi in punta di piedi, abbraccia Sam. Lui le accarezza
la schiena e lei stringe le dita sottili sulla stoffa marrone della
giacca del cacciatore, mentre respira profumo di dopobarba misto a un
odore che ricorda quello della pelle dei sedili della vecchia Impala.
Dean li ha osservati in silenzio. Ora, davanti a lui, Jane è
costretta a dissimulare l'improvvisa titubanza con un sorriso
sghembo.
«Niente abbraccio per me, Nancy?» sogghigna amabilmente il cacciatore.
Jane sbuffa in silenzio e alza gli occhi al cielo.
Poi, si fa più vicina, quanto basta per posagli una mano una guancia e un asciutto bacio sull'altra.
Dean deve accontentarsi e sale in auto, mentre Sam, un attimo prima di seguirlo, si rivolge a Jane.
«Ehi, un'ultima cosa: cos'era quella storia della regola ventidue?»
Jane se la ride.
«Non avete mai visto Zombieland? Sono le regole per sopravvivere
in un mondo post-apocalisse zombie. Non-così-sorprendentemente
utili anche nel nostro, di mondo. La regola ventidue è: conosci
sempre la tua via d'uscita. Voi due siete la regola otto».
«Vale a dire?» chiede Dean, dal finestrino abbassato.
«Trovati un compagno con le palle». [2]
Entrambi i fratelli sbuffano un mezzo sorriso. Sam prende posto accanto a Dean e Dean afferra il volante con entrambe le mani.
«Sta lontana dai guai, Nancy Drew».
Con quell'ultima frase, il motore scoppietta e i fratelli Winchester se ne vanno.
Jane resta sul vialetto, fin quando l'automobile non scompare dalla sua visuale.
Adesso, Wakefield Terrace — le sue bianche case, le sue zucche
sui portici e i suoi alberi dalle fronde dorate — è quanto
di più tranquillo e ordinario si possa desiderare.
Jane stringe le braccia al petto e cerca con le dita la metallica solidità del ciondolo a forma di gufo.
È il momento di tornare a fingere che il mondo sia un posto dove niente sfugge alle leggi del naturale.
FINE
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[1] Il dialogo è basato sulla scena iniziale
dell'episodio 8x03 quando, nel marcato all'aperto, Dean - vincendo le
resistenze di Sam che preferirebbe mettersi sulle tracce di Kevin -
trova notizie sul prossimo caso da risolvere. Non ricordo se nella
scena viene indicato dove si trovino i Winchester, ma potremmo fingere
u.u che il mercato si trovasse proprio dalle parti di Mansfield. E che
quindi la conversazione sia avvenuta proprio poco prima che Sam e Dean
si separino da Jane.
[2] "Get a kickass partner" nel film del 2009.
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Inutili chiacchiere
Note finali
A chiunque mi abbia seguita fino all'ultima parola o solo
saltuariamente o capiterà da queste parti in futuro: grazie! And
let me hug you!
Io mi commuovo per aver portato a termine qualcosa nella vita
una storia. Un giorno, una mia versione del futuro tornerà a
leggere questa fan fiction e la decreterà una vergogna da
riscrivere da capo a piedi, ma per ora ho fatto del mio meglio. Non
sono una scrittrice di professione e nemmeno una sceneggiatrice per la
tv, volevo solo provare e divertirmi. Spero che a qualcuno il
personaggio di Jane sia piaciuto, almeno un filino. Da parte mia, mi
garbava l'idea di far interagire Sam e Dean con un personaggio
femminile, e positivo, che fosse nelle corde dello show, ma magari
leggermente diverso da quelli che ci hanno proposto in tutti questi
anni gli autori. Jane è lontana dallo sterotipo della
cacciatrice, di una Xena senza macchia e senza paura, ma non è
prettamente e soltanto la damsel in distress di turno. Sotto questo
aspetto, credo sia simile a Charlie, anche se in quanto a carattere
temo che i due personaggi siano agli antipodi. Che poi Jane si ficchi
comunque da sola nei guai e qualcuno la debba tirare fuori all'ultimo
minuto, be', quelle sono esperienze di vita. Nessuno nasce eroe, a mio
parere. A proposito di eroismi vari: prego e scongiuro di essermi
tenuta discretamente alla larga dai cliché alla Mary-Sue. Ma ora
colgo l'occasione per annunciare che, poiché nessuno mi ha
ancora invitato a dedicare il mio tempo libero ad altre
attività, i fratelli Winchester non riusciranno ad arrivare sani
e salvi alla fine dell'ottava stagione senza incappare di nuovo in Jane
durante un secondo episodio. Da qui la mia scelta di lasciare aperte
alcuni punti secondari della trama della fanficion. Gettate le basi con
un primo incontro, sfrutterò il nuovo racconto per far evolvere
il personaggio e il rapporto con Sam e Dean. E non si sa mai, da
qualche parte potrebbe persino esserci spazio per una sorta di risvolto
più o meno romantico.
Per ora, un saluto a tutti dalla vostra tazzina di tè!
◕‿◕