Non
puoi ferirmi più adesso che non sei più dentro ai
sogni miei, non puoi.
Amica mi ritorni,se
vuoi sbarrando i limiti,
non senza inibizioni,
che sciolgo ormai.
Ah, io e te. Come siamo
andati d'accordo, non so più.
Noi due specchi in
contro riflessi ma lontani,
in un gioco di
intermittenze e di vuoti strani.
Sospesi in aria allo
stesso piano, come due palloni di gas con uno
spillo in mezzo
e tenuti in volo da un
vento costante e lento,
che ad un primo cambio
di verso li scoppi così, da un lato o
dall'altro.
La prima volta può essere davvero un trauma.
Può essere dolce, romantica, intensa. Ma anche squallida,
breve, deludente.
Può essere imbarazzata ed imbarazzante, tenera, divertente,
dolorosa, sofferta, piacevole, insperata, perfetta, rubata, sognata,
sbagliata, complice, violata, giocosa, tranquilla, silenziosa.
E ancora: piacevole, terribile, indimenticabile, passionale, fredda,
programmata, disgustosa, inaspettata, studiata a tavolino, poetica,
rumorosa, inesperta, tardiva, precoce, fantastica, appicciosa,
meravigliosa, sgradevole, incantevole.
La prima volta segna definitivamente il passaggio all'età
adulta ed è una delle poche cose insieme alla morte da cui
non si può tornare indietro.
La prima volta può suscitare la più vasta gamma
di emozioni, ma difficilmente ti lascia del tutto indifferente.
A meno che il tuo nome non sia Ranma Saotome.
Era arrivato alla locanda del vecchio Xian-Lu nella notte
più piovosa che ricordasse di aver vissuto, coperto di fango
e ferite, con gli occhi arrossati e totalmente seccati dalle forti
raffiche di vento che gli bruciavano come se qualche sadico vi avesse
puntato dentro tanti spilli lunghi e sottili come capelli.
Aveva zoppicato aggrappato a quel bastone in legno che era stato il suo
unico supporto lungo i chilometri che aveva macinato per cercare
rifugio, mentre l'aria che passava attraverso gli squarci della sua
casacca bruciata sembrava tagliargli la carne, e le labbra, secche a
causa del freddo, lo facevano rabbrividire dal dolore ogni volta in cui
la lingua vi si posava.
Man-Lo lo aveva accolto correndogli incontro preoccupata non appena
aveva varcato la soglia dell'ostello. Era una ragazzina più
o meno della sua età, magra e molto più bassa di
lui, con i capelli neri raccolti in una folta coda bassa.
Si era presa cura di lui per tutta la sera, tralasciando le sue
mansioni di cameriera e medicandolo con pazienza, proprio come qualcuno
una vita prima di lei usava fare, con la stessa dolcezza mista a
rassegnazione negli occhi.
''Tu sei pazzo''
''Perchè?''
''Guarda come ti sei fatto conciare! Cosa sei, un combattente?''
Poteva ancora considerarsi tale, dopo la sconfitta appena subita?
Jordan lo aveva messo a tappeto con un solo, efficace colpo, dopo che
lui gli aveva tenuto testa per quasi un'ora. Ad un certo punto era
stato addirittura sicuro di vincere.
Sarebbero potuti passare cento anni, ma Ranma non avrebbe mai
dimenticato l'imponenza del fascio di luce che lo aveva investito e la
sensazione che aveva provato, per la prima volta in vita sua, quando
aveva capito che non ci sarebbe stato più niente da fare.
Ci aveva messo così tanto ad acquisire un briciolo di stima
per se stesso.
Ad un occhio poco esperto, forse, sarebbe sembrato un pallone gonfiato
borioso ed arrogante, ma Ranma in cuor suo sapeva di non essere mai
stato all'altezza di niente in tutta la sua vita.
Incompleto, irrisoluto, immaturo, vigliacco. Così si era
sentito dopo aver lasciato la casa dei Tendo e per larga parte del
tempo in cui vi aveva abitato.
Dopo aver riacquistato la sua forma normale a Jusenko ed aver
combattuto e vinto più di cento incontri, si era sentito
quasi pronto a tornare a casa, da lei. Si era sentito quasi all'altezza.
Ma la vita era strana, imprevedibile e beffarda, e quel maledetto
pomeriggio aveva costretto se stesso ad accettare di malavoglia la
sfida di un ragazzino con gli occhiali, nonostante il suo codice
d'onore gli impedisse di confrontarsi con qualcuno così
visibilmente più debole di lui.
Ed ora era lì, sdraiato e coperto solo da un paio di boxer
bianchi, mentre i suoi vestiti sgualciti centrifugavano nella lavatrice
della locanda ed una diciannovenne cinese di nome Man-Lo stava passando
un panno inzuppato di disinfettante sulle ferite che ricoprivano tutto
il suo corpo.
''Ahia, brucia! Sì, hem... Sono un combattente'', ammise.
''Voi uomini...'', sbuffò lei.
Nel sentire quella parola tutte le terminazioni nervose del giovane si
erano attivate: uomo.
Se c'era una cosa che Ranma Saotome avrebbe difeso fino allo strenuo
delle forze era la sua virilità, ma nonostante questo tutti
sembravano dubitarne. Nessuno mancava di fargli pesare la sua
dualità, e l'insulto più gettonato, quando si
trattava di lui, era sempre lo stesso: mezzo uomo. Per
questo la leggerezza con cui la giovane aveva pronunciato quell'epiteto
lo aveva colpito. Lo dava per scontato, lo vedeva per la prima volta e
vedeva un uomo. Non un mezzo uomo, uno intero.
Si era soffermato a lungo ad osservare i suoi occhi a mandorla e le sue
labbra, scure e carnose, ed era certo di aver notato uno sguardo
compiaciuto quando la giovane, intenta a medicargli la pancia, aveva
passato la mano sui suoi addominali scolpiti dai duri allenamenti.
Con un rapido movimento della mano le sciolse la coda, alzandole il
mento con un dito e guardandola negli occhi, in silenzio.
Le aveva portato i capelli dietro all'orecchio con una carezza ed aveva
notato un piccolo neo sul lato destro del collo della giovane, molto
simile a quello che Akane aveva nello stesso punto, una delle cose che
amava di più di quella ragazza di cui non osava nemmeno
pronunciare più il nome, nemmeno nella sua testa.
Mentre Man-Lo si leccava le labbra, sensuale, in attesa di una sua
mossa, Ranma pensava a quante volte avesse immaginato di baciare quel
neo, a quanto fosse stato felice di vedere che Akane quel caschetto non
se lo voleva proprio far ricrescere, e che, inconsapevolmente, gliene
facilitava la vista.
Ranma Saotome diventò uomo una fredda sera di autunno,
probabilmente la più fredda e piovosa che avesse mai visto,
in una spoglia ed impolverata camera da letto di una locanda
dimenticata dal mondo, illuminata solo da una vecchia e consunta
lampada ad olio, con il sottofondo dello scoppiare dei tuoni e dello
scrosciare della pioggia.
Con una ragazza di nome Man-Lo che, lo sapeva bene, non avrebbe mai
potuto rendere felice.
L'aver posseduto per anni un corpo femminile e la conoscenza anatomica
di esso che ne era derivata, suo malgrado e con non poco imbarazzo, nel
tempo lo aveva facilitato nell'arduo compito di capire cosa, come e
soprattutto dove,
e poteva giurare di non avere fatto nemmeno troppo schifo, per essere
un principiante.
Prima di entrare in lei la aveva guardata a lungo, cercando di
imprimersi in mente quel viso che sembrava scivolare via dalla sua
vista, diventare evanescente e venire sovrapposto da quello di qualcun
altro, e le aveva detto, semplicemente, che non le avrebbe mai potuto
dare niente, che la mattina dopo tutto sarebbe tornato come prima,
mentre la giovane sorrideva ed annuiva come se per lei fosse stato
scontato, come se fosse stata abituata a quel genere di cose.
La mattina dopo si era svegliato e Man-Lo non c'era.
Era sceso al ristorante, aveva chiesto di lei e gli era stato risposto
che era tornata a casa a riposare, non prima di avergli pagato il conto.
Aveva consumato una colazione abbondante offerta dalla casa e scambiato
due parole con un anziano maestro di arti marziali che gli ricordava
tanto quel vecchio maniaco di Happosai.
Il vecchio gli aveva detto che lo aveva visto in combattimento e che
era bravo, che non doveva buttarsi giù per la sconfitta e
che, se fosse partito per l'America con lui quella sera stessa, lo
avrebbe fatto diventare l'uomo più forte del mondo.
Senza nemmeno pensarci su, Ranma aveva accettato, conscio del fatto che
la notte precedente era stata solo un rito di passaggio e che ora,
lo aveva visto nello specchio quella mattina, lo era, un uomo.
***
lo non vorrei
che tu gettassi ancora idee, con fiumi di parole, per noi.
Io
non direi che sia difficile così com'è; ma lo
sarebbe certo, se fossi qui.
Ah,
io e te. Ma che tempo abbiamo lasciato, non so più.
Noi,
due oasi in un deserto di allegrie, con di tanto in tanto miraggi di
poesie.
Presi
dal vento allo stesso modo, con la sabbia che dalle dune ci viene
incontro,
ed
all'acqua limpida e chiara rapisce il posto.
Noi,
un gusto perso nel tempo, un odore che poi con l'aria se ne va.
La prima volta può essere davvero un trauma.
Può essere dolce, romantica, intensa. Ma anche squallida,
breve, deludente.
Può essere imbarazzata ed imbarazzante, tenera, divertente,
dolorosa, sofferta, piacevole, insperata, perfetta, rubata, sognata,
sbagliata, complice, violata, giocosa, tranquilla, silenziosa.
E ancora: piacevole, terribile, indimenticabile, passionale, fredda,
programmata, disgustosa, inaspettata, studiata a tavolino, poetica,
rumorosa, inesperta, tardiva, precoce, fantastica, appicciosa,
meravigliosa, sgradevole, incantevole.
La prima volta segna definitivamente il passaggio all'età
adulta ed è una delle poche cose insieme alla morte da cui
non si può tornare indietro.
La prima volta può suscitare la più vasta gamma
di emozioni, ma difficilmente ti lascia del tutto indifferente.
A meno che il tuo nome non sia Akane Tendo.
Akane ed Ataru erano la coppia più bella ed invidiata di
tutta Nerima.
Stavano insieme da sei mesi ormai, quando il bel fotografo le aveva
proposto di partire insieme per un week end romantico nella sua casa al
mare.
I due avevano già dormito insieme diverse volte, ma il
ragazzo aveva sempre rispettato il desiderio di Akane di aspettare, e
nonostante fossero già molto intimi, non si era mai spinto
oltre il limite consentitogli.
Benchè Soun fosse ormai abituato a vederlo girare per casa
in mutande o a vedere la sua bambina fare avanti ed indietro da casa
sua con una pesante borsa del cambio per la notte, non aveva smesso di
piangere nemmeno quando la moto coi due sopra era ormai troppo lontana
per sentirne anche solo il rumore, quando quella mattina era uscito
sulla soglia per salutarli prima della partenza.
Akane era diventata una donna, ormai lo sapeva.
E la cosa, stranamente, lo rendeva felice.
Dopo averla vista crollare fisicamente ed emotivamente in seguito alla
fuga di Ranma non aveva fatto altro che desiderare di rivederla
sorridere, di sentire ancora la sua voce squillante chiamarlo per la
cena o di sentire il rumore dei suoi passi mentre tornava dopo la corsa
mattutina. Alla fine di una lunga e disperata agonia il suo esiderio fu
esaudito, e Soun sapeva bene che il merito era, in parte, anche di quel
giovane amico di Nabiki e che davvero non poteva opporsi a quell'amore
per cui non era stato lui a decidere, ma che in qualche modo gli
sembrava così giusto, puro, naturale.
Avevano passato una giornata splendida, Ataru si era preso cura di lei
dedicandole ogni attenzione potesse venire in mente ad una giovane
ventenne innamorata.
Erano stati in spiaggia quando ancora era deserta, ed avevano fatto un
lungo bagno a riva beneficiando del cullare delle deboli onde
mattutine. Avevano passeggiato sul bagnasciuga fino a raggiungere un
ristorantino sulla spiaggia, ed il nuotatore si era preoccupato di
tenere la mano della giovane quando aveva dovuto arrampicarsi su una
scaletta di legno per raggiungerne la terrazza sul mare.
Dopo pranzo avevano camminato ancora, raccolto conchiglie, visitato i
negozietti tipici della città e mangiato un gelato. Ataru
faceva tutto quello che Akane chiedeva e non si era spazientito nemmeno
quando la giovane era stata ferma mezz'ora davanti ad una bancarella di
braccialetti d'argento, gliene aveva addirittura comprato uno.
La sera aveva cucinato per lei i migliori piatti della tradizione
giapponese e glieli aveva serviti sul tavolo bianco della sala da
pranzo di casa sua, totalmente illuminata da candele di ogni forma e
dimensione e con un piacevole sottofondo musicale.
Era rilassata, distesa, finalmente serena dopo tanto tempo. Il suo
corpo ed il suo cuore erano pronti a donarsi a lui completamente.
Imbarazzata e timorosa di perderlo gli aveva confessato che con
quell'ex fidanzato con cui era stata tre anni e di cui non amava
parlare non si era mai spinta oltre il punto di non ritorno, che per
lei era la prima volta. Lui aveva sorriso felice e le aveva chiesto
ancora se fosse sicura, se non preferisse aspettare.
Akane Tendo diventò donna in una calda sera di fine luglio,
nell'anniversario di un giorno che le aveva cambiato la vita*. In una
splendida camera da letto in stile occidentale arredata nei toni del
beige, con la luna che splendeva alta nel cielo e si rifletteva
sull'enorme vetrata che dava sulla spiaggia ed il rumore del mare in
sottofondo. Con un ragazzo di nome Ataru Dakashi, un ragazzo che non
era irruento, presuntuoso ed iracondo ma dolce, gentile, premuroso e
pacato. Un ragazzo la cui anima era di un rassicurante colore tenue, beige, come la loro
storia d'amore e come quelle pareti.
Era stata una prima volta piuttosto canonica: Ataru, da vero
gentiluomo, aveva messo da parte i suoi desideri per dedicarsi
esclusivamente al corpo della sua fidanzata, in modo da renderlo pronto
a quell'esperienza nuova. Si era unito a lei con estrema lentezza e
dolcezza, preoccupandosi di cosa stesse provando, chiedendole in
continuazione cosa desiderasse, coprendone il viso di baci, in
particolare un punto preciso: quel piccolo neo sul suo collo che diceva
di adorare tanto.
Si era dovuta fingere addormentata per permettergli di alzarsi dal
letto ed andare in bagno a fare una doccia: dopo aver fatto l'amore, il
giovane non avrebbe smesso di accarezzarla e stringerla, rassicurarla,
farle sentire la sua costante presenza, per nessun motivo al mondo,
finchè lei fosse stata cosciente.
Dopo aver sentito la porta chiudersi era scattata in piedi per vedere
quali e quanti danni il dolore sordo che aveva provato avesse causato
alle morbide lenzuola bianche. E dire che era stato dolce ed aveva
fatto piano, se l'avesse fatto con quello zoticone di Ranma cosa
sarebbe successo?
Coprì con un cuscino la prova del cambiamento che l'aveva
appena travolta, si avvicinò ad uno specchio a figura intera
e guardò il suo corpo ancora nudo cercando invano di
coglierne anche la benchè minima differenza con l'Akane di
prima, con il maschiaccio totalmente privo di sex- appeal dalla vita
larga ed i modi poco aggraziati.
Possibile che non fosse cambiato nulla?
Perchè non si
vedeva?
Perchè non si sentiva diversa?
Rasseganta si sedette sul letto con la schiena appoggiata al muro e
chiuse gli occhi, inspirando profondamente ed aspettando che Ataru
tornasse da lei.
*Ho
ambientato la prima volta di Akane ed Ataru nel giorno
dell'anniversario della partenza di Ranma perchè sono una
persona drammatica di natura e totalmente priva di fantasia. Non ho
riletto la mia storia e quindi non so se ho sbagliato qualcosa con
l'ordine cronologico degli eventi, in caso notaste qualche grossa
incongruenza fatemi sapere.
La colonna sonora è, come suggerisce il titolo, ''Specchi
riflessi'' di Mina ed Adriano Celentano.
Scusate
il ritardo nell'aggiornamento di questa raccolta di missing moments di
cui mi ero sinceramente un po' dimenticata. Spero non l'abbiate
dimenticata anche voi perchè mi metto a piangere come Soun
Tendo, sappiate che mi sto dannando per tirar su un seguito quanto meno
decente di Tutto come prima!
Siamo
quasi alla fine, qui ho voluto descrivere un momento importante per
entrambi e fare anche un po' di esercizio di stile per alcune cose che
dovrò fare e che mi spaventano un po'. Sappiate che ODIO
scrivere di sesso, mi sento stupida, vedo aggettivi sbagliati,
inopportuni e ridondanti in ogni dove e, quando mi rileggo, sbuffo
scocciata come se leggessi qualche fan fiction sfigata in stile 50
sfumature.
Sono
scema, eh?
In
ogni caso, non vorrei dirlo troppo forte ma questo capitolo (che
è il terzultimo, salvo ''complicazioni'') mi piace tanto, e
sapete quanto sia critica con me stessa. Potevo fare meglio, ma
considerando il topic e la mancanza di ispirazione che,
ahimè, ancora mi affligge, non mi è andata male!
Voi che ne pensate?
Fatemi
sapere, se vi va, e grazie di cuore perchè se siete qui
significa che non avete dimenticato la mia prima storia!
Alla
prossima!
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