All
the little lights.
We’re
born with millions of little lights shining in the dark
and they show us the way.
Il piumone di casa di sua
nonna è verde, ma di un verde così spento che
proprio non sa che cosa fare per convincerla a gettarlo una volta per
tutte. Fuori dalla finestra le luci illuminano le strade, due lampioni
dal colore scolorito come quel piumone allietano quella via asfaltata,
desolata e triste. Così tanto che non sa che cosa far per
convincere la nonna a cambiare casa. I suoi occhi brillano nel buio
della notte, fiocamente, come quei lampioni che sono come quel piumone
che a sua volta è proprio come lei. Perché le
hanno sempre ripetuto che non sei quello che hai, che vali per
ciò che custodisci dentro, ma lei non sa cosa ha dentro
quindi- a questo punto- come la vedono? Come appare?
Perché ha
due occhi quasi gialli, che ha sempre detestato con tutta
l’anima, perché ha i capelli più neri
della morte- e questo è un dato di fatto-, ha tre buchi
all’orecchio sinistro e uno solo a quello destro, ha la
frangetta e le gote sfiorite ma poi? E’ tenuta in piedi da
duecentosei ossa e da strati e strati di carne pallida, ma sotto? Cosa
c’è sotto?
Se non sei quello che
hai fuori ma quello che hai dentro, lo sai per certo cosa hai dentro?
E se ti amano per
quello che trasmetti e per quello che mostri, lo sai per certo quello che
trasmetti e quello che mostri?
E magari, poi, la
incontri quella persona a cui piaci sia fuori che dentro e allora poco
importa se non sai cosa contieni interiormente, perché sai
come sei esteriormente, no? Perché hai tre specchi a casa,
uno nel bagno, uno in camera tua e uno nella camera di tua nonna, e
allora devi saperlo per forza chi sei e come sei. Perché un
conto è l’apparire, ma un altro è
l’essere.
Ma allora sei quello
che appari, o appari per quello che sei?
Sei la ragazza nello
specchio o sei la ragazza dentro lo specchio?
Sei la ragazza che
ride e a cui le si forma una fossetta sulla guancia destra, o sei la
ragazza che piange e a cui le si forma una ruga fra le sopracciglia? E
cosa le distingue? Un sorriso? Una lacrima? Una ruga? Una fossetta?
Sei sempre tu quindi,
infondo, che importa alla gente se piangi o ridi? Se hai una fossetta o
una ruga? Cosa importa alle persone che ti stanno attorno se stai bene
o no? Tanto ci
sei
comunque, quindi è quello che conta. E non importa nemmeno
se ci sei per quello che hai dentro o per quello che sei fuori,
perché si fermano all’esistere e non vanno oltre.
Perché o ridi o piangi, o sorridi o strepiti, ci sei comunque e quindi va bene. Va
bene e basta.
Ma chi sei? Per chi sei?
Sei coperta da un
piumone verde ed orribile, e questa è
un’ovvietà, ti sporgi alla finestra e maledici i
lampioni sfioriti, ed è un’ovvietà
anche questa. Ogni mattina vai a scuola, magari prendi un bel voto o
magari torni a casa piangendo, ma dopo? Cosa c’è
dopo?
Se esisti, esiste una
posteriorità. Ma se sei presente eppure non esisti, che cosa
c’è dopo?
Se ci sei ma non ti senti, e non lo senti, come ti senti?
Se esisti, senti. Ma
se non senti niente? Se non senti niente ma sei reale, quanto e come
vivi?
E se credi al
‘’vivere felici’’, allora
dovresti avercelo un finale felice no? E’ una prassi, come
minimo. Ma chi te lo dice? Dove sta scritto?
Perché, alla
fine, quanti credono al ‘’vivere
felici’’?
E quanti credono al ‘’vivere’’?
E quanti, invece, credono?
Perciò, in
conclusione, capisci che quel poeta di cui non ricordi neanche il nome
aveva ragione quando diceva che nella solitudine, l’individuo
è divorato da se stesso ma nella moltitudine è
divorato dagli altri. O sei incudine o sei martello. Ma tu cosa sei?
Ora scegli.
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