7.
Riflessione, ultimo capitolo, ala, arcobaleno, rinascita, vita,
scatoletta di
pesce per gatti
Uno
spillo contro una
meteora. C’era qualcosa che avrebbe dovuto farmi pensare che, forse,
non
avrebbe funzionato, eppure non ci badai nemmeno per un attimo. Ero
convintissimo della riuscita, perché avevo superato tutti gli ostacoli
e mi
mancava ormai solo quella meteora.
Non
mi ero perso per la
foresta e non avevo sacrificato il sangue del cane mio fedele, ma il
mio. Avevo
sconfitto l’uomo che mi avrebbe potuto fare a fette grazie alla
maledizione
della ferita che mi ero procurato alla porta. Non mi ero lasciato
ingoiare dal
deserto trasportato dal cuore ferito. Avevo imparato che la forza non
era tutto
e che si poteva sistemar ogni cosa con dolcezza. Avevo aperto i miei
occhi e
scoperto l’amore. Questo era l’ultimo passo mio e poi avrei riavuto
ogni cosa,
come miagolò Pussy. Riavuto ogni cosa… e mi domandavo quasi cos’era che
avrei
riavuto indietro. Sembrava passato del tempo, e così tanto laggiù, da
non
ricordarmi davvero più chi fossi.
June,
il mio gatto morto, la
meteora, malinconia, una forza apparente, il mio amico cane, sangue, un
male
senza ragioni, una ferita profonda, la solitudine, il pianto, la mia
cara
piccola foglia, l’essere speciali, la dolcezza e la carezza, un amore,
fiori, frammenti
dell’amore morto sulla ferita, i gufi innamorati, l’aprire gli occhi.
Chi ero e
cos’avevo passato? Chi ero prima d’essere June e chi ero in quel
momento?
Fissai
lo spillo. Non era poi
così importante capire proprio tutto in quel momento, se prima non
avrei
fermato quella meteora.
«Sei
pronto, June?», miagolò
Pussy, destandomi. «Questo è l’ultimo capitolo, poi si torna a casa»
Seguendolo
per il giardino,
che avrei visto per l’ultima volta, mi accorsi di quant’era ancora più
bello e
magico: i fiori tutti parlavano e le statue si muovevano per ragione
propria. Rividi
la scultura dei due che s’abbracciavano e i loro visi schifati: forse
s’odiavano, pensai, e lo scultore li aveva comunque fatti accoppiare,
dove
sarebbero restati per sempre. Una maledizione, era quella, altro che
amore. Nemmeno
si muovevano, loro: erano solo pezzi di pietra senza sentimento.
«Per
di qua», Pussy si voltò
e poi corse per degli scalini in pietra contornati da fili d’erba,
sopra di
essi vi era una grande arcata. Non vedevo ciò che c’era al suo interno
se non
della luce rossa. Non appena m’avvicinai il tanto che bastava,
tuttavia,
riconobbi il cielo ch’avevo abbandonato, e la meteora, che imponente
lasciava
scie di luci taglienti nella sua corsa spericolata contro il suolo.
Passata
l’arcata mi ritrovai
a salire sull’erba marrone e morta che era rimasta del mio giardino, e
lo
pensai perché riconobbi la mia casa, seppur un po’ diversa, poco
lontana da lì.
Fissai
la meteora e lo
spillo.
Fissai
la ferita con i
frammenti di foglia rimasti a tenermela chiusa. Fissai il braccio
sinistro
grigio con la maledizione che sentii arrivata fino a metà petto. Fissai
il mio
caro gatto, ch’era morto, ma che mi guidò fin lì.
«Cosa
devo fare, di preciso?»,
domandai.
«Credo
tu già conosca la
risposta, mio caro June», sorrise Pussy.
Alzai
lo spillo contro l’imponente
meteora, pronto a lanciarlo. Prima che ciò avvenne, però, qualcosa di
strano
accadde e rimasi a fissare lo spillo che avevo tra le dita: una piccola
ala, trasparente
com’era che mi ricordava quelle delle fate, riportava alla luce i
colori
dell’arcobaleno, e si muoveva lentamente, come un cucciolo al suo primo
tentativo
di volo, era nata dallo spillo. Mi venne da sorridere senza ragione. O
forse la
ragione già c’era, che era la felicità nel vederla.
«Perché
una sola?», chiesi a
Pussy.
«Oh,
June, lo spillo è
piuttosto piccolo: cosa ne avrebbe fatto di ali in più?»
Era
chiaro; ora tutto era
chiaro. Lanciai lo spillo come avrei fatto con un aeroplanino di carta
e la
piccola ala tagliò il vento impavida finché, com’era che doveva essere,
arrivò
a colpire la meteora e questa, come un palloncino bucato, scoppiò e si
arricciò
nel cielo più e più volte diventando infinitamente più piccola ad ogni
sbuffo, riproducendo
del chiasso sempre minore. Risi felice quando vidi che la piccola ala
aveva
perso le sue piume e i colori dell’arcobaleno cadevano dal cielo.
Saltellai
estasiato e risi ancora, osservando Pussy che tentava di acchiapparle
con le
zampe, come ogni gatto che si rispettasse.
«Quest’avventura
è finita, mio
caro campione, non saprei essere più fiero di te», miagolò colmo
d’affetto.
«Mi
mancherai. E mi mancherà
tutto questo», dissi invece io.
«Oh
andiamo, June,
quest’avventura è finita ed è pur vero, ma non hai idea di quante altre
ancora
ne avrai», strizzò un occhio verde. «Basterà tenere sempre a mente ciò
che hai
imparato e seguire il sentiero»
«E
ci sarai sempre tu a
guidarmi?»
«Non
ti viziare, mio caro ragazzo,
io sono solo un gatto»
Una
piuma d’ala mi cadde dinnanzi
e la presi con la mano, orgoglioso di quei colori.
«Cosa
posso fare per te,
Pussy?»
«Una
cosa ci sarebbe»,
sghignazzò con quella sua fine voce che mi ricordava tanto un cantante
d’opera.
«Una scatoletta di pesce fresco. Ne voglio una. Dissotterrami e
mettimela
accanto, aperta»
In
quel momento non pensai nemmeno
per un attimo che quella richiesta pareva tanto insolita quanto da un
lato
orribile, o almeno no, non insolita nella sua irregolarità, ma il mio
gatto
morto, morto da un anno, poteva esser irriconoscibile là sotto la
terra,
adesso. Ma in fondo Pussy era un gatto, e amava le scatolette di pesce
quant'era
vero che amava fissarmi.
Annuii
e osservai nuovamente
il cielo: qualcosa lassù stava finalmente cambiando. Riprendeva ora
l’azzurro
colore del mattino e le nuvole bianche si gonfiarono ancora, paffute
come
sempre. La meteora finì per scomparire in una cicatrice bianca nel
cielo e le
piume d’ala terminavano di precipitare lente. L’erba e le foglie
riprendevano
vita e ad esser verdi; gli alberi ricomparvero tutti spuntando da sotto
il
terreno fino ai massimi livelli d’altezza loro permessi. Gli uccellini
ripresero a cinguettare e le altre case di campagna, miei vicini,
rispuntarono
dietro una fitta nebbia. Il grigio, la maledizione mia che non aveva
fatto in
tempo a mangiarmi, fu risucchiata fin dentro la ferita e questa,
rapidamente,
si richiuse, portando con sé i frammenti della mia piccola amata
foglia. Mi
voltai e Pussy non c’era già più.
Udii
il rumore di pentole di
chi lavava i piatti prima di far colazione e sorrisi, ricordandomi dei
miei
genitori e di quanto li amassi. Avevo riavuto indietro ogni cosa come
promessomi. La vita mia, era tutta di nuovo fra le mie mani.
Corsi
verso casa guardando
come, ovunque, il color arcobaleno delle piume della piccola ala mi
avrebbero
ricordato chi ero. E grazie tante avrebbero ricordato qualcosa un po’ a
tutti,
bastava solo esser lì pronti, che per vederle bastava saper guardare.
Aprii
una scatoletta di pesce
dopo un anno che non sentii più quell’odoraccio e brandii una vecchia
pala. Mi
fermai in giardino e presi a scavare. Non credevo di aver mai potuto
fare una
cosa simile, ma glielo dovevo, al mio caro gatto morto. Una parola data
era una
parola data e scavai fino al sentire qualcosa, così cercai di ripulirlo
dalla
terra. Oh no, quell’ammasso di cosa informe e puzzolente aveva ormai
ben poco
del mio caro gatto ma gli lasciai comunque la scatoletta di pesce e
ripresi a
rimettere la terra inverminita al posto suo. Colpii per schiacciarla e
vidi che
qualcosa si era attaccato alla mia mano sinistra, forse un pezzo di una
piuma
dell’ala ma, quando cercai di toglierla, una zampa a ciuffi bianchi e
neri
sbucò dalla terra e spaventato caddi a terra.
Quando
presi il coraggio di
guardare e capii che non c’era più niente, pensai solo che, frutto
della mia
immaginazione o verità ben celata, il mio caro gatto morto aveva un
pessimo
senso dell’umorismo.
Ripresi la
pala e la
conficcai nel terreno. La prossima volta, per lui, non ci sarebbe stata
nessuna
scatoletta.
***
Ed è… finita *-* Il
finale è frettoloso ma in fondo è tutto
frettoloso; poi per partecipare a quel contest per cui era stata
scritta dovevo
scrivere 7777 parole esatte! Ora non so se sono ancora 7777, credo di
aver
cambiato qualcosa nei capitoli precedenti e non ho contato, ma non
importa.
Ah, l’idea del palloncino
mi è sempre piaciuta e volevo
usarla da qualche parte :D
Passate il mouse come
sempre…
“«Oh
andiamo, June, quest’avventura è finita ed è
pur vero, ma non hai idea di quante altre ancora ne avrai», strizzò un
occhio
verde. «Basterà tenere sempre a mente ciò che hai imparato e seguire il
sentiero»”
La verità è
che la vita, in fondo, è un’avventura.
La crescita lo è e il percorso fatto da June in tutti questi capitoli è
appunto
la rappresentazione di una crescita: le amicizie, gli amori, la fiducia
ecc…
Credevo di avere tante
altre cose da dire su questo capitolo
e su tutto l’insieme ma credo di essermi scordata °.° Eh va beh, nel
caso non
dovrò fare altro che modificare il capitolo.
Ringrazio tutte le
persone che mi hanno seguito fin qui,
nonostante tutto ^_^
Alla
prossima! Ciao, ciao da Ghen
=^___^=
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