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Autore: Ghen    18/04/2014    2 recensioni
Chiedete ad un ragazzo adolescente se vuole salvare il mondo. Risponderà senza pensarci, e in positivo ovviamente.
Ma chiedete a quello stesso ragazzo se andrà a dissotterrare il suo gatto morto per mettergli accanto una scatoletta di pesce per gatti. Beh, June, dopo tutto questo, lo ha fatto.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7. Riflessione, ultimo capitolo, ala, arcobaleno, rinascita, vita, scatoletta di pesce per gatti


Uno spillo contro una meteora. C’era qualcosa che avrebbe dovuto farmi pensare che, forse, non avrebbe funzionato, eppure non ci badai nemmeno per un attimo. Ero convintissimo della riuscita, perché avevo superato tutti gli ostacoli e mi mancava ormai solo quella meteora.
Non mi ero perso per la foresta e non avevo sacrificato il sangue del cane mio fedele, ma il mio. Avevo sconfitto l’uomo che mi avrebbe potuto fare a fette grazie alla maledizione della ferita che mi ero procurato alla porta. Non mi ero lasciato ingoiare dal deserto trasportato dal cuore ferito. Avevo imparato che la forza non era tutto e che si poteva sistemar ogni cosa con dolcezza. Avevo aperto i miei occhi e scoperto l’amore. Questo era l’ultimo passo mio e poi avrei riavuto ogni cosa, come miagolò Pussy. Riavuto ogni cosa… e mi domandavo quasi cos’era che avrei riavuto indietro. Sembrava passato del tempo, e così tanto laggiù, da non ricordarmi davvero più chi fossi.
June, il mio gatto morto, la meteora, malinconia, una forza apparente, il mio amico cane, sangue, un male senza ragioni, una ferita profonda, la solitudine, il pianto, la mia cara piccola foglia, l’essere speciali, la dolcezza e la carezza, un amore, fiori, frammenti dell’amore morto sulla ferita, i gufi innamorati, l’aprire gli occhi. Chi ero e cos’avevo passato? Chi ero prima d’essere June e chi ero in quel momento?
Fissai lo spillo. Non era poi così importante capire proprio tutto in quel momento, se prima non avrei fermato quella meteora.
«Sei pronto, June?», miagolò Pussy, destandomi. «Questo è l’ultimo capitolo, poi si torna a casa»

Seguendolo per il giardino, che avrei visto per l’ultima volta, mi accorsi di quant’era ancora più bello e magico: i fiori tutti parlavano e le statue si muovevano per ragione propria. Rividi la scultura dei due che s’abbracciavano e i loro visi schifati: forse s’odiavano, pensai, e lo scultore li aveva comunque fatti accoppiare, dove sarebbero restati per sempre. Una maledizione, era quella, altro che amore. Nemmeno si muovevano, loro: erano solo pezzi di pietra senza sentimento.
«Per di qua», Pussy si voltò e poi corse per degli scalini in pietra contornati da fili d’erba, sopra di essi vi era una grande arcata. Non vedevo ciò che c’era al suo interno se non della luce rossa. Non appena m’avvicinai il tanto che bastava, tuttavia, riconobbi il cielo ch’avevo abbandonato, e la meteora, che imponente lasciava scie di luci taglienti nella sua corsa spericolata contro il suolo.
Passata l’arcata mi ritrovai a salire sull’erba marrone e morta che era rimasta del mio giardino, e lo pensai perché riconobbi la mia casa, seppur un po’ diversa, poco lontana da lì.
Fissai la meteora e lo spillo.
Fissai la ferita con i frammenti di foglia rimasti a tenermela chiusa. Fissai il braccio sinistro grigio con la maledizione che sentii arrivata fino a metà petto. Fissai il mio caro gatto, ch’era morto, ma che mi guidò fin lì.
«Cosa devo fare, di preciso?», domandai.
«Credo tu già conosca la risposta, mio caro June», sorrise Pussy.
Alzai lo spillo contro l’imponente meteora, pronto a lanciarlo. Prima che ciò avvenne, però, qualcosa di strano accadde e rimasi a fissare lo spillo che avevo tra le dita: una piccola ala, trasparente com’era che mi ricordava quelle delle fate, riportava alla luce i colori dell’arcobaleno, e si muoveva lentamente, come un cucciolo al suo primo tentativo di volo, era nata dallo spillo. Mi venne da sorridere senza ragione. O forse la ragione già c’era, che era la felicità nel vederla.
«Perché una sola?», chiesi a Pussy.
«Oh, June, lo spillo è piuttosto piccolo: cosa ne avrebbe fatto di ali in più?»
Era chiaro; ora tutto era chiaro. Lanciai lo spillo come avrei fatto con un aeroplanino di carta e la piccola ala tagliò il vento impavida finché, com’era che doveva essere, arrivò a colpire la meteora e questa, come un palloncino bucato, scoppiò e si arricciò nel cielo più e più volte diventando infinitamente più piccola ad ogni sbuffo, riproducendo del chiasso sempre minore. Risi felice quando vidi che la piccola ala aveva perso le sue piume e i colori dell’arcobaleno cadevano dal cielo. Saltellai estasiato e risi ancora, osservando Pussy che tentava di acchiapparle con le zampe, come ogni gatto che si rispettasse.
«Quest’avventura è finita, mio caro campione, non saprei essere più fiero di te», miagolò colmo d’affetto.
«Mi mancherai. E mi mancherà tutto questo», dissi invece io.
«Oh andiamo, June, quest’avventura è finita ed è pur vero, ma non hai idea di quante altre ancora ne avrai», strizzò un occhio verde. «Basterà tenere sempre a mente ciò che hai imparato e seguire il sentiero»
«E ci sarai sempre tu a guidarmi?»
«Non ti viziare, mio caro ragazzo, io sono solo un gatto»
Una piuma d’ala mi cadde dinnanzi e la presi con la mano, orgoglioso di quei colori.
«Cosa posso fare per te, Pussy?»
«Una cosa ci sarebbe», sghignazzò con quella sua fine voce che mi ricordava tanto un cantante d’opera. «Una scatoletta di pesce fresco. Ne voglio una. Dissotterrami e mettimela accanto, aperta»
In quel momento non pensai nemmeno per un attimo che quella richiesta pareva tanto insolita quanto da un lato orribile, o almeno no, non insolita nella sua irregolarità, ma il mio gatto morto, morto da un anno, poteva esser irriconoscibile là sotto la terra, adesso. Ma in fondo Pussy era un gatto, e amava le scatolette di pesce quant'era vero che amava fissarmi.
Annuii e osservai nuovamente il cielo: qualcosa lassù stava finalmente cambiando. Riprendeva ora l’azzurro colore del mattino e le nuvole bianche si gonfiarono ancora, paffute come sempre. La meteora finì per scomparire in una cicatrice bianca nel cielo e le piume d’ala terminavano di precipitare lente. L’erba e le foglie riprendevano vita e ad esser verdi; gli alberi ricomparvero tutti spuntando da sotto il terreno fino ai massimi livelli d’altezza loro permessi. Gli uccellini ripresero a cinguettare e le altre case di campagna, miei vicini, rispuntarono dietro una fitta nebbia. Il grigio, la maledizione mia che non aveva fatto in tempo a mangiarmi, fu risucchiata fin dentro la ferita e questa, rapidamente, si richiuse, portando con sé i frammenti della mia piccola amata foglia. Mi voltai e Pussy non c’era già più.
Udii il rumore di pentole di chi lavava i piatti prima di far colazione e sorrisi, ricordandomi dei miei genitori e di quanto li amassi. Avevo riavuto indietro ogni cosa come promessomi. La vita mia, era tutta di nuovo fra le mie mani.
Corsi verso casa guardando come, ovunque, il color arcobaleno delle piume della piccola ala mi avrebbero ricordato chi ero. E grazie tante avrebbero ricordato qualcosa un po’ a tutti, bastava solo esser lì pronti, che per vederle bastava saper guardare.



Aprii una scatoletta di pesce dopo un anno che non sentii più quell’odoraccio e brandii una vecchia pala. Mi fermai in giardino e presi a scavare. Non credevo di aver mai potuto fare una cosa simile, ma glielo dovevo, al mio caro gatto morto. Una parola data era una parola data e scavai fino al sentire qualcosa, così cercai di ripulirlo dalla terra. Oh no, quell’ammasso di cosa informe e puzzolente aveva ormai ben poco del mio caro gatto ma gli lasciai comunque la scatoletta di pesce e ripresi a rimettere la terra inverminita al posto suo. Colpii per schiacciarla e vidi che qualcosa si era attaccato alla mia mano sinistra, forse un pezzo di una piuma dell’ala ma, quando cercai di toglierla, una zampa a ciuffi bianchi e neri sbucò dalla terra e spaventato caddi a terra.
Quando presi il coraggio di guardare e capii che non c’era più niente, pensai solo che, frutto della mia immaginazione o verità ben celata, il mio caro gatto morto aveva un pessimo senso dell’umorismo.
Ripresi la pala e la conficcai nel terreno. La prossima volta, per lui, non ci sarebbe stata nessuna scatoletta.









***


Ed è… finita *-* Il finale è frettoloso ma in fondo è tutto frettoloso; poi per partecipare a quel contest per cui era stata scritta dovevo scrivere 7777 parole esatte! Ora non so se sono ancora 7777, credo di aver cambiato qualcosa nei capitoli precedenti e non ho contato, ma non importa.
Ah, l’idea del palloncino mi è sempre piaciuta e volevo usarla da qualche parte :D

Passate il mouse come sempre…
“«Oh andiamo, June, quest’avventura è finita ed è pur vero, ma non hai idea di quante altre ancora ne avrai», strizzò un occhio verde. «Basterà tenere sempre a mente ciò che hai imparato e seguire il sentiero»”
La verità è che la vita, in fondo, è un’avventura. La crescita lo è e il percorso fatto da June in tutti questi capitoli è appunto la rappresentazione di una crescita: le amicizie, gli amori, la fiducia ecc…

Credevo di avere tante altre cose da dire su questo capitolo e su tutto l’insieme ma credo di essermi scordata °.° Eh va beh, nel caso non dovrò fare altro che modificare il capitolo.
Ringrazio tutte le persone che mi hanno seguito fin qui, nonostante tutto ^_^

Alla prossima! Ciao, ciao da Ghen =^___^=
   
 
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